Pisa-Giza: dalla Torre alle
Piramidi
(testo e foto di Giuseppe Ghiani)
Equipaggio: Giuseppe, 27
Mezzo: Elnagh Trophy 1 su meccanica Ford
Transit 2.0 B/GPL (1992)
PREFAZIONE - Ashdod (Israele), 16 agosto 2009
Inizio la scrittura di queste pagine con carta e penna.
Come ai tempi delle elementari, quando ci davano il “tema
libero” e io sceglievo di raccontare un viaggio inventato,
attraverso paesi stranieri e continenti. Oggi, dalla mia
cabina sulla motonave Grande Ellade, posso finalmente cominciare
a scrivere di un viaggio intercontinentale che ho incredibilmente
effettuato, in totale autonomia, a bordo del mio camper.
La spedizione, che ho chiamato “Pisa-Giza, dalla Torre
alle Piramidi”, ha attraversato 9 paesi su 3 continenti.
Per ora non mi sento di aggiungere che è stata un
successo: infatti il mio camper, parcheggiato al ponte n°6
della nave su cui mi sono appena imbarcato, è praticamente
inutilizzabile a causa del radiatore spaccato.
Spero, durante le lunghe giornate di navigazione verso il
porto di Salerno, di riuscire a rimediare al grave danno
subito nell’ultima notte trascorsa in Israele. Solo
in questo modo, rimettendo il camper in condizioni di viaggiare,
per poter percorrere gli ultimi 600 km tra Salerno e Pisa,
dopo averlo riportato a casa “sulle sue ruote”
(e non su un carro attrezzi), la spedizione si potrà
considerare un vero successo.
venerdì, 31
luglio 2009
È il primo pomeriggio quando timbro l’uscita
dall’ufficio e vado a casa per terminare il caricamento
del camper, iniziato molti giorni fa. Controllo un’ultima
volta la lunga checklist, la cui stesura ha richiesto sei
mesi, e alle 16 parto finalmente da Pisa. Il contachilometri
del buon vecchio Elnagh Trophy 1 segna 56.536. In cabina
ci sono ancora piccoli mucchietti di sabbia del Sahara tunisino,
rimasti dal viaggio di Capodanno. Quei sottilissimi granelli
sono difficili da eliminare, anche con l’aspirapolvere,
e presumibilmente andranno a mischiarsi con la polvere dei
deserti mediorientali che attraverserò nelle prossime
settimane.
È stato proprio al rientro dal viaggio in Tunisia,
a gennaio, che è nata l’idea di andare in Egitto
in camper. Volevo infatti tornare in Africa ma, essendo
interessato a visitare qualche paese asiatico, ho deciso
di andarci passando per l’Asia (Minore), e cioè
attraversando il Medioriente. Impresa ambiziosa, come facevano
notare praticamente tutti quelli con cui ne parlavo: amici,
parenti, colleghi, camperisti e non. Le considerazioni variavano
da quelle più ottimistiche come “Siria
e Giordania sono molto interessanti e da sole valgono il
viaggio, ma la durata è limitata: in meno di un mese
non riuscirai a visitare bene nessuno dei paesi attraversati
e darai luogo a una serie di occasioni mancate.”
Fino alle più negative: “noi dell’Associazione
vorremmo che tu riflettessi bene prima di partire e stabilire
se ne vale la pena, dati i rischi a cui vai incontro”.
C’erano poi le opinioni degli esperti riguardo le
difficoltà logistiche e burocratiche.
I pochi a conoscenza del traghetto tra Aqaba
(Giordania) e Nuweiba (Egitto) sostenevano che veniva spesso
riservato ai pellegrini musulmani in transito dal Nord Africa
verso l’Arabia Saudita e viceversa. Secondo queste
e altre voci, i valichi di frontiera tra Giordania e Israele
e tra Israele ed Egitto erano chiusi a causa del conflitto
e quindi l’unico modo per raggiungere l’Egitto
in camper sarebbe stato via Tunisia e Libia. Non era dato
sapere la natura del conflitto (o per lo meno chi era in
guerra con chi), ma se c’era un fatto certo sulla
complicata situazione di belligeranza mediorientale era
che, tra i paesi confinanti con Israele, gli unici ad averci
fatto la pace erano proprio Giordania ed Egitto. Queste
leggende sulla difficoltà di entrare in Egitto con
il proprio veicolo (specialmente con il camper) sono probabilmente
alimentate da una serie di notizie diffuse da siti internet
più o meno ufficiali e da guide turistiche di una
nota casa editrice. La cazzata più grande è
quella secondo cui i veicoli privati possono transitare
da Israele all’Egitto ma non viceversa. Niente di
più falso. Se così fosse, non si spiega come
l’alto numero di cittadini israeliani che si recano
con il proprio veicolo nel Sinai potrebbero rientrare in
patria. Per non parlare dei fantomatici divieti d’ingresso
per veicoli diesel e a trazione integrale: tutte balle.
Mentre ripasso mentalmente l’elenco
dei documenti di viaggio, mi rendo conto che l’unica
cosa che ho dimenticato a casa è la spazzatura. Sarò
costretto a telefonare a qualcuno per chiedere la cortesia
di buttarla. Firenze, Bologna, Padova. A Calstorta incontro
Daniele, camperista di Faenza con il quale mi ero accordato
via Internet per condividere la strada fino in Turchia,
dove lui è diretto insieme la famiglia. Daniele mi
informa che l’equipaggio di Graziano, partito in serata
da Alessandria, ci raggiungerà nella giornata di
domani in Slovenia o in Croazia. A Calstorta, nell’area
di servizio intasata dal gran traffico, faccio il pieno
di GPL e acquisto il bollino autostradale per la Slovenia.
Collaudo il mio nuovo CB portatile per tenermi in contatto
con Daniele lungo la strada. Ci sintonizziamo sul canale
11 e ci infiliamo nel traffico verso la frontiera di Fernetti.
A causa delle lunghe code in zona Trieste non passiamo il
confine con la Slovenia prima dell’una di notte. Prendiamo
la prima uscita autostradale e ci parcheggiamo in un tranquillo
paesino sloveno, davanti a un ristorante ormai chiuso.
La stanchezza si fa sentire pesantemente: dopo mezza giornata
di lavoro e l’intera serata alla guida sono a pezzi,
anche a causa del caldo intenso. Tuttavia, avendo superato
il confine di Stato, ho un piccolo anticipo sulla tabella
di marcia e quindi il morale è alto. Durante la notte
la temperatura scende di diversi gradi e riesco a dormire
almeno per qualche ora.
km 503
sabato, 1 agosto 2009
Partire prima delle 7 non è servito ad evitare il
traffico. Diretti a Lubiana, forse a causa dei lavori in
corso, ci ritroviamo imbottigliati in autostrada. La coda
è chilometrica. Daniele propone di uscire dall’autostrada
e di percorrere una strada secondaria che attraversa alcuni
centri abitati, per by-passare il tratto interessato dai
lavori. Lui è già stato in questa zona della
Slovenia e con l’aiuto del navigatore riesce a riportarci
rapidamente sull’autostrada oltre il blocco, in direzione
Zagabria. Durante la sosta presso un’area di servizio,
osservo il gran numero di auto con targa tedesca, austriaca,
britannica.
I passeggeri però hanno l’aria
di provenire da latitudini molto più basse. Dalle
grosse Mercedes, BMW, Audi, scendono famiglie intere che
consumano spuntini accovacciate sull’asfalto. Dato
che le donne portano il velo, immagino che si tratti di
famiglie di origine turca che rientrano in patria per le
vacanze. Non riesco a credere che percorrano migliaia di
km, dalla Germania o dall’Inghilterra per arrivare
in Kurdistan dopo più giorni di viaggio. Praticamente
attraversano un continente. Al confine Sloveno-Croato dobbiamo
di nuovo fare i conti con il traffico. Sia in uscita dalla
Slovenia che in ingresso in Croazia le corsie per il controllo
documenti sono almeno una decina, ma sembrano insufficienti
a far fronte al gran flusso di auto provenienti da tutta
Europa. Proprio mentre attendo di entrare in Croazia, sotto
il sole che picchia, ho il primo surriscaldamento del motore.
L’indicatore della temperatura sale
progressivamente e, anche se si mantiene all’interno
della zona “normale”, si avvicina pericolosamente
a quella rossa di ebollizione. Istintivamente effettuo una
manovra di emergenza: accendo il riscaldamento dell’abitacolo
e la ventola interna, attendendo che la temperatura del
motore diminuisca. Il riscaldamento dell’abitacolo
consiste in un piccolo radiatore che sfrutta il liquido
di raffreddamento del motore. Accendendo il riscaldamento,
cioè aprendo la valvola del radiatore dell’abitacolo,
una parte del calore viene dissipata dentro la cabina e
la temperatura del motore tende a diminuire.
Inizialmente non riesco a spiegarmi il motivo del surriscaldamento:
il radiatore, il termostato e il liquido di raffreddamento
sono stati sostituiti pochi giorni prima della partenza
(con una spesa di alcune centinaia di euro). La pompa dell’acqua
ha un anno di vita. Il livello del liquido è ottimale
e ne deduco che non ci sono perdite nell’impianto.
Una motivazione potrebbe essere nell’alta
temperatura dell’ambiente (oltre i 30°C e assenza
di vento) nonché nelle lunghe pause col motore al
minimo. In proposito, mi torna in mente la caratteristica
del sistema di raffreddamento del vecchio Ford Transit:
la ventola del radiatore è collegata al motore tramite
un giunto viscostatico. Per cui, col veicolo fermo o a velocità
ridotta, la ventola gira in funzione della velocità
del motore. Con veicolo in movimento, la ventola si ferma
allorché viene investita da un flusso d’aria
sufficiente a garantire il raffreddamento del radiatore.
Evidentemente, nelle condizioni odierne, tale sistema non
è efficace. Probabilmente, installando un moltiplicatore
per aumentare la velocità della ventola, oppure semplicemente
montando una ventola più grande si potrebbe ovviare
al problema. Per il momento mi chiedo quali conseguenze
potrebbero avere sul motore del Transit i 45°C ai quali
andrò certamente incontro nella zona di Aqaba (Mar
Rosso).
Per scavalcare il traffico intenso (praticamente
immobile) della tangenziale, passiamo per l’interno
di Zagabria. Fortunatamente la capitale croata, bella, ordinata
e con tanto verde, è anche deserta: la attraversiamo
in pochi minuti. Ma il traffico non ci dà tregua:
dopo il pranzo, consumato all’interno dei camper presso
un’area di servizio, a pochi chilometri dal confine
serbo, siamo di nuovo incolonnati. La temperatura esterna
sfiora i 35 gradi. Caldo afoso. Si fanno un paio di metri
al minuto. Le auto, una dopo l’altra, cominciano ad
avere problemi e accostano nella corsia d’emergenza
o verso lo spartitraffico centrale. Il mio camper va in
surriscaldamento: a voler essere precisi la temperatura
si mantiene “normale”, ma il rapido aumento
è sufficiente ad allarmarmi e a farmi aprire il cofano
per avere un maggior ricambio d’aria nel vano motore.
Pensare di poter tenere il motore costantemente acceso,
comunque, è una follia: ci saranno ore ed ore di
coda prima della frontiera.
Daniele, via CB, dice che a qualche decina
di metri c’è un’uscita, e mi suggerisce
di chiedere consiglio al poliziotto in moto appostato a
pochi metri da me. Spengo il motore e chiedo al poliziotto
informazioni sulla distanza esatta fino al confine. Mi risponde
che mancano diversi chilometri e che ci possono volere fino
a tre ore. Spiego che ho dei problemi di surriscaldamento
e lui mi consola dicendo che non sono il solo: in effetti,
le auto ferme in corsia di emergenza e che vengono continuamente
portate via dai carro-attrezzi, sono andate in ebollizione.
Utilitarie così come berline di lusso non hanno avuto
scampo al gran caldo. Il poliziotto chiede dove sono diretto,
e quando rispondo “Belgrado”, si illumina e
sembra molto contento. Forse è di origine serba e
gli fa piacere che degli stranieri siano interessati a fare
tappa nella capitale del suo paese.
Mi dà precise indicazioni sulla via alternativa verso
la Serbia: Lipovac, Nijemci, Tovarnik. Il valico secondario
poco dopo Tovarnik ci porterà in Serbia a pochi chilometri
dall’autostrada per Belgrado. Daniele mi comunica
via radio che i nomi dei paesini menzionati non compaiono
nel suo navigatore. Ci affidiamo, così, alla mia
cartina della Ex-Yugoslavia e alle indicazioni stradali
che purtroppo, fuori dall’autostrada, sono scarse
e poco chiare. Nei paesini che attraversiamo, graziose casette
dai colori accesi si alternano a edifici/villette che mostrano
ancora i segni della guerra degli anni ’90: pareti
bucate dai proiettili e tetti crollati, probabilmente, a
causa di granate. Chissà quante volte avrò
sentito nominare Lipovac, Nijemci, Tovarnik quando, al tempo
delle elementari, il telegiornale diffondeva i bollettini
sulla guerra in Yugoslavia. Io ero piccolo e tutta la vicenda
mi sembrava inevitabilmente lontana, ma questi posti erano
dove sono ancora oggi, incredibilmente vicini: a una giornata
di strada dall’Italia.
Mentre attendiamo, assieme ad altre centinaia di auto, di
passare la dogana, i bambini locali cercano di vendere bicchieri
di bevande fresche agli accaldati automobilisti diretti
in Serbia. Sullo sfondo, ogni dieci case ce n’è
una con la facciata scalfita dall’artiglieria.
Un’abitazione di Tovarnik danneggiata dall’artiglieria
della guerra Yugoslava.
Nonostante accenda il motore solo per spostare il camper,
ad ogni piccolo avanzamento della coda che avviene ogni
qualche minuto, in pochi secondi la temperatura del motore
si avvicina a quella critica. Decido, anche a motore spento,
di lasciare accesa la ventola del riscaldamento. In questo
modo il radiatorino interno dissipa il calore anche a veicolo
fermo e, alla successiva messa in moto, la pompa dell’acqua
manda in circolo del liquido leggermente meno caldo. La
tecnica funziona, ma trasforma l’abitacolo in un forno
(ventilato!) a più di 40°: la maglietta e il
coprisedile sono zuppi del mio sudore, le cui gocce che
cadono sugli occhi bruciano più dell’aria bollente
che arriva dal cruscotto. Il frigorifero non riesce a contrastare
il caldo: ormai le bottiglie d’acqua all’interno
sono tiepide, a non meno di 20 gradi. Per sicurezza, temendo
un ulteriore aumento della temperatura, metto le medicine
nel scomparto congelatore (incapace di congelare, ma in
grado di garantire qualche grado in meno rispetto al frigo).
I controlli all’uscita dalla Croazia sono praticamente
nulli. Alla dogana serba viene controllato rapidamente l’interno
del camper e vengono verificati i documenti, specialmente
il passaporto e la Carta Verde.
Acquistiamo dinari serbi per pagare l’autostrada e
il carburante fino al confine bulgaro, facciamo una breve
pausa e ci mettiamo in viaggio alla volta di Belgrado. A
Šid, poco oltre il confine serbo, vediamo i primi carretti
trainati da animali: siamo ancora nel cuore dell’Europa,
ma sempre più vicini all’Asia. Sull’autostrada
per Belgrado smentisco un’altra leggenda: quella secondo
cui l’autostrada serba sarebbe carissima e si potrebbe
pagare solo in contanti. Non è vero: il pedaggio
per Belgrado costa pochi euro e vengono accettate anche
le carte di credito. La strada non presenta grandi difficoltà,
se non quella di guidare su un fondo particolarmente deformato.
Auto con targa italiana, tedesca, svizzera, ci sorpassano
a razzo, dirette forse verso Kosovo, Macedonia, Turchia.
È buio quando entriamo a Belgrado.
Daniele ha le indicazioni per il camping Dunav, che si troverebbe
a Zemun, poco fuori la capitale serba. Prendiamo l’uscita
per Zemun ma non riusciamo a trovare indicazioni per il
camping. Tra le poche persone incontrate per strada, quelle
che parlano inglese non sono in grado di fornirci indicazioni
perché non conoscono il camping Dunav. Per loro Dunav
è il fiume Danubio, sul quale ritengono sia possibile
campeggiare in più punti senza problemi. Siamo sul
punto di rinunciare a pernottare nel campeggio. Ci fermiamo
nel parcheggio di un centro commerciale su proposta di Daniele,
che non mi trova molto d’accordo, e diventiamo subito
oggetto dell’attenzione di un tipo che non si capisce
se cerca di venderci un cellulare o di farsene prestareuno.
È proprio il caso di cambiare aria, e ci rimettiamo
alla ricerca del camping Dunav.
Ci facciamo guidare da un tassista, per 5 euro, fino all’indirizzo
del campeggio (reperito su Internet). Il problema è
che davanti a noi non c’è alcun campeggio.
Daniele inizia ad innervosirsi con il tassista, il quale
prende il cellulare e inizia a fare telefonate (presumibilmente
a dei colleghi) per cercare informazioni sul camping Dunav.
Io cerco di mediare. Faccio ragionare Daniele,
sottolineando l’importanza di pernottare in campeggio:
ci troviamo in un paese totalmente sconosciuto, abbiamo
bisogno di fare rifornimento d’acqua e domani dobbiamo
fare un lungo viaggio. Abbiamo bisogno di riposare in un
luogo silenzioso. Effettivamente l’indirizzo era sbagliato,
e dunque il tassista non aveva colpa. Una volta reperito,
al telefono, l’indirizzo corretto del campeggio, il
tassista ci porta davanti all’ingresso (prezzo: altri
5 euro).
L’anziano signore che ci accoglie alla reception non
parla una parola di inglese, né francese, e ovviamente
neanche di italiano. Ci occorrono alcuni minuti per spiegare
che prima di consegnare i nostri passaporti vorremmo visionare
il listino. I prezzi sono contenuti e, contrariamente a
come si presentava l’Autopark Dunav (un parcheggio
in una zona degradata), è un vero campeggio: piazzole
alberate, servizi igienici e persino un bar. Diverse sono
le roulotte e i camper, alcuni con targa italiana, che stazionano
all’interno. Un semintegrale con targa di Alessandria
attira subito la mia attenzione: scommetto che è
il camper di Graziano, il piemontese con cui eravamo d’accordo
di condividere una parte del viaggio fino alla Turchia.
Graziano compare poco dopo e inizia a indagare
sul mio viaggio in Medioriente ed Egitto. Lui è stato
in Siria e Giordania l’estate scorsa e conosce la
strada turca di transito verso Aleppo. Il suo entusiasmo
iniziale per il mio itinerario cessa allorché accenno
alla durata del viaggio: due settimane residue per attraversare
Bulgaria e Turchia, visitare rapidamente Siria e Giordania,
transitare per Israele, entrare in Egitto per fare tappa
nel Sinai e al Cairo, ritornare in Israele per qualche giorno,
entrare nei Territori Palestinesi e infine prendere la nave
cargo per l’Italia. Secondo Graziano la mia tabella
di marcia è un’autentica pazzia. Intanto, visti
i lunghi tempi di percorrenza della tratta balcanica, l’ingresso
a Edirne (Turchia) potrebbe avvenire tra uno così
come tra tre giorni. Le strade turche, poi, dopo il primo
tratto relativamente semplice fino ad Ankara, sono molto
impegnative.
La mia idea di sostare in Turchia solo per
una notte (cioè ad Ankara), per proseguire direttamente
per Aleppo (in Siria), secondo Graziano è fuori luogo.
Innanzitutto perché il mio mezzo è totalmente
inadatto alla strade turche fra Ankara e il confine siriano,
caratterizzate da asfalto deformato, buche e forti dislivelli.
Il mio camper è infatti poco potente e obsoleto.
Inoltre, essendo un mansardato ha minore stabilità
ed è più sensibile al vento, sia contrario
che laterale. E Graziano ancora non sa che è alimentato
a GPL (altro punto a sfavore, in quanto riduce ulteriormente
la potenza del motore). Rimandiamo i discorsi a domani,
anche perché è quasi mezzanotte, sono a digiuno
dal pranzo in Croazia e prima di cenare devo ancora farmi
una doccia nei fantastici bagni dell’Autopark Dunav.
La notte è fresca ma l’umidità del Danubio
si fa sentire.
km oggi: 631 totali: 1134
domenica, 2 agosto
2009
Al risveglio rimango piacevolmente sorpreso dalla vicinanza
del Danubio, che scorre pochissimi metri oltre la recinzione
del campeggio. Le operazioni di routine come il carico dell’acqua,
la pulizia dei vetri e i controlli vari ai livelli del motore,
avvengono in un clima di generale ilarità, quasi
di euforia, mentre chiacchieriamo con dei camperisti italiani
impegnati nel tour dei Balcani.
Sono molto contento che Graziano si sia unito al gruppo,
in quanto lui ha poche ferie, ha i giorni contati come me
e per questo è deciso ad arrivare a Edirne quanto
prima, così come voglio fare io. Però sappiamo
tutti che tra Belgrado ed Edirne ci sono due frontiere,
così come è ormai chiaro che il periodo scelto
per la nostra partenza, cioè il weekend a cavallo
di luglio ed agosto, è il più critico dell’anno
a causa del traffico Europa-Balcani/Turchia. Al proposito,
Graziano riprende il discorso di ieri sera sulla complessità
del mio itinerario. Lui è decisamente contrariato
e mi consiglia di rinunciare all’ingresso in Egitto
per poter visitare meglio Siria e Giordania. Gli spiego
che al rientro dall’Egitto ho un appuntamento il 13
agosto con lo spedizioniere del porto di Ashdod (Israele),
da dove devo imbarcarmi per ritornare in Italia, e che se
rinuncio alle tappe in Egitto guadagno al più 3
o 4 giorni, che di certo non fanno la differenza tra un
raid (cioè quello che sto facendo io) e il classico
tour (quello che intende lui).
Ci vuole quasi un’ora perché le addette alla
reception compilino i nostri fogli di uscita dal campeggio,
chiamati “dichiarazioni di domicilio”. Alle
10 stiamo finalmente guidando per le strade del centro di
Belgrado. Graziano, primo in colonna, detta il ritmo di
marcia: 90 km/h con continui slalom per via del traffico,
che per essere domenica è veramente intenso. Il mio
CB portatile comincia a manifestare le sue limitazioni (appena
4 Watt di potenza, antenna di ridotte dimensioni) rispetto
agli apparecchi di Graziano e Daniele. I miei compagni di
viaggio possono infatti contare su impianti veicolari con
antenna esterna, e riescono a comunicare tranquillamente
anche a distanza di molte decine di metri. Io invece, che
riesco ad ascoltare bene le loro conversazioni, non trasmetto
a più di 20 metri: il risultato è che loro
non mi ricevono quasi per niente.
Durante una breve pausa presso un distributore autostradale
faccio il pieno di GPL, che in Serbia costa molto meno che
in Italia e si trova nella maggior parte delle stazioni.
Chiedo al benzinaio se troverò facilmente il GPL
anche in Bulgaria. Mi risponde, scherzando, che in Bulgaria
vanno tutti a GPL… mi sembra di capire, dalle espressioni,
che il tipo consideri i bulgari un po’ spilorci.
Dopo Nis l’autostrada termina. Ci fermiamo a pranzo
prima del confine con la Bulgaria, in una piazzola a bordo
strada. In sosta c’è anche una coppia di camperisti
del Trentino. Hanno un bel mezzo a trazione integrale e
sono diretti in Turchia. Dopo pranzo Graziano vorrebbe continuare
per conto proprio, anche perché mantiene una velocità
mediamente maggiore della nostra. La sua proposta ci trova
d’accordo: non ha senso rallentarsi a vicenda, e in
ogni caso le tappe sono le stesse per tutti. Ci si rincontrerà
in Bulgaria o in Turchia. Graziano ci comunicherà
telefonicamente gli aggiornamenti sul traffico al confine
bulgaro e sulla strada per Sofia.
Nel primo pomeriggio, Daniele fa strada verso Dimitrovgrad
serba (da non confondere con l’omonima città
bulgara), al confine con la Bulgaria. La frontiera è
presa d’assalto da auto (la maggior parte con targa
tedesca), furgoni e qualche camper italiano. Sia l’uscita
dalla Serbia che l’ingresso in Bulgaria richiedono
del tempo, sotto un sole rovente.
Dopo l’ingresso in Bulgaria tento senza successo di
convertire i dinari serbi avanzati in LEV (moneta bulgara).
La somma di cui mi voglio sbarazzare ha un controvalore
di circa 60 euro. Il problema è che i dinari serbi
non sono accettati in Bulgaria, tranne che in qualche banca
di Sofia. La signora dello sportello di cambio mi consiglia
di tornare in Serbia per convertire i dinari. Naturalmente
l’idea è fuori luogo perché presuppone
un’enorme perdita di tempo. Quando vado ad acquistare
il bollino autostradale settimanale scopro che gli euro
non sono accettati e sono dunque costretto a tornare allo
sportello per cambiare 20 euro in LEV. Fa caldo, sono stremato
e sconcertato per i piccoli inconvenienti valutari che sinceramente
non mi sarei mai aspettato da un paese europeo. Tuttavia,
il ritardo accumulato è trascurabile: se non dormiremo
a Edirne, probabilmente ci arriveremo domattina.
Il traffico fino a Sofia è veramente intenso, peggiorato
dal fatto che la strada statale tra il confine serbo e la
capitale è fatta di strettoie e curve. Mi fermo in
un ampio spiazzo sterrato e, accanto a un cumulo di rifiuti,
effettuo il primo “scarico selvaggio” del viaggio:
svuoto i serbatoi delle acque grigie e nere. C’è
da dire che, usando detersivo e disgregante ecologici e
pochissimo bagnoschiuma per fare la doccia, l’acqua
che ho scaricato non ha aggravato la situazione di immane
marcescenza che caratterizzava il bordo strada prima del
mio passaggio. In alcuni tratti la strada attraversa centri
abitati in cui il limite di velocità è 30
o 40 km/h e la polizia è immancabilmente appostata
con il telelaser. Tuttavia, le auto straniere (che ci accompagnano
ormai da migliaia di km) rispettano scrupolosamente la segnaletica
(divieti di sorpasso, strisce continue) e non appena hanno
via libera si lanciano in quelli che io chiamo i “superamenti
di gruppo”: flotte di 2, 3, 4 auto con targa della
stessa città, molte equipaggiate con antenna per
CB, ci sorpassano rimanendo incollate tra loro. Probabilmente
si tratta di amici o parenti che viaggiano in gruppo. Praticamente
in tutte le aree di servizio in cui ci fermiamo, a partire
dalla Slovenia, sostano decine di auto dirette verso Sud-Est.
Gli occupanti, di ogni età, sesso e direi anche ceto
sociale sembrano totalmente esenti dagli effetti dei migliaia
di km percorsi. Equipaggiati con oscuranti, cuscini e frigoriferi
termoelettrici, scendono dalle loro auto (utilitarie, fuoristrada,
grosse ammiraglie) e consumano allegri spuntini stravaccati
sull’asfalto. Con Daniele ci chiediamo, via CB, dove
possano sostare a dormire tutti questi viaggiatori. La risposta
è che probabilmente non si fermano in alcun albergo.
Fanno una lunga tirata dall’Europa Centro-occidentale
alla Turchia, magari alternandosi alla guida per riposare
qualche ora durante il viaggio. Questo spiegherebbe la presenza
dei moltissimi cartelli lungo la strada che segnalano la
presenza di docce pubbliche.
Il viaggio continua verso il confine con la Turchia. Quando
fa buio ci fermiamo in un’area di servizio per cenare
presso un fast-food di una nota catena internazionale. Nonostante
i menù siano scritti solo in cirillico, riesco a
farmi capire in inglese per ottenere una bella insalatona
come contorno. Mangiamo in totale relax per circa un’ora,
prima di renderci conto che mancano ancora centinaia di
km alla Turchia. Decisamente oggi non si arriva a Edirne,
quindi bisogna cercare un posto per trascorrere la notte.
L’unico campeggio segnalato dalle nostre guide è
a Sofia. Le aree di sosta sono invece in città che
si trovano tutte molto distanti dal nostro percorso.
L’idea inizialmente è quella di fermarci a
dormire in qualche parcheggio custodito: quelli per i TIR
espongono il cartello e sembrano sicuri. In seguito, cerchiamo
un posto di polizia senza successo. Decidiamo allora di
proseguire fino al confine ed eventualmente fermarci poco
prima della frontiera (generalmente le zone di frontiera
sono presidiate dalla polizia).
L’indicazione stradale per un camping distante 15
km arriva inaspettata. Seguiamo la direzione e in pochi
minuti arriviamo al Camping Sakar Hills. Il campeggio si
trova sperduto in mezzo alla campagna ed è piccolo,
ma veramente ben organizzato: colonnine dell’elettricità
e rubinetto con raccordo per l’acqua potabile ad ogni
piazzola, servizi igienici e prato curatissimi. Oltre ai
nostri due veicoli ci sono una caravan con targa del Regno
Unito e dei campeggiatori locali con la tenda. Si spendono
12 euro.
km oggi: 687 totali: 1821
lunedì, 3 agosto
2009
Peccato, se non fosse stato per i galli che hanno cantato
a turno tra la 4 e le 6 di stamattina, direi di aver dormito
perfettamente. Mentre rabbocco il serbatoio dell’acqua,
giunge la bella notizia che il campeggio è coperto
da wireless-lan gratuita. Prima di ripartire navighiamo
sul web, aggiorniamo le pagine personali e facciamo qualche
telefonata via VOIP verso l’Italia. Ci mettiamo in
viaggio tra le 8 e le 9. Dalla stradina che va verso la
direttrice per il confine possiamo osservare i campi che
ieri sera non abbiamo visto a causa del buio: pare siano
gestiti prevalentemente con l’aratro trainato dagli
animali.
In questo angolo d’Europa permane l’uso di metodi
tradizionali che, invero, ricordo di aver visto usare l’ultima
volta in Sardegna, quando ero ancora alle elementari. Raggiungiamo
il confine in breve tempo: il traffico è scarso e
prevalentemente locale: sorpassiamo vecchi trattori, carretti
trainati da muli, auto che trasportano animali. Nel distributore
a ridosso della frontiera incontriamo quattro motociclisti
italiani: hanno traghettato fino a Smirne e sono diretti
in Iran, per niente preoccupati dalle notizie dei disordini
che giungono da Teheran. L’uscita dalla Bulgaria è
immediata, mentre per l’ingresso in Turchia vi sono
alcune formalità. Innanzitutto viene scattata una
foto digitale al volto degli occupanti dei veicoli. I passaporti
vengono scrupolosamente controllati e sfogliati prima di
avere il timbro d’ingresso. L’annotazione del
veicolo nel passaporto del conducente, che ne consente l’importazione
temporanea, avviene solo dopo la verifica della carta di
circolazione e della Carta Verde assicurativa.
È in questo momento che commetto un
passo falso che sarebbe potuto costarmi caro: prima di ritirare
i documenti, in attesa del controllo interno del veicolo,
non rispetto l’alt di un qualche funzionario turco.
Poliziotto? doganiere? è impossibile riconoscerne
i gradi perché non porta nessun segno distintivo.
Inoltre, in Italia, (e penso convenzionalmente in tutto
il mondo) per avere l’autorità di bloccare
un veicolo si è tenuti a indossare un cappello con
un segno distintivo. Insomma, ignorando l’alt di tale
individuo, mi dirigo verso il posto di polizia dove avevo
capito di dover effettuare il controllo del camper. Peraltro,
visto che procedevo a 5 km/h, l’”inseguimento”
non avrebbe richiesto neanche l’uso di autoveicoli.
Vengo rimandato indietro dalla poliziotta all’uscita,
che fa un gesto che suona come “ma dove haila testa?”.
È il momento giusto per sfoderare il mio lato scusate-turista-ingenuo:
grande sorriso, fingendo di non capire bene l’inglese,
ritorno dal doganiere che mi rimprovera: “signore,
le ho intimato di fermarsi ma lei ha proseguito!”
Chiedo umilmente scusa (in maniera fantozziana), dicendo
che “non avevo sentito”. L’incidente internazionale
si conclude quando il doganiere, sfogliando il mio passaporto,
si accorge che risiedo a Cagliari. “Arrivi dalla Sardegna!”
– “Sì..” dico (non è vero,
in realtà sono partito da Pisa, dove lavoro e sono
domiciliato da oltre 5 anni). “Bella la Sardegna,
sono stato a Sassari...”. Il tutto si risolve, fortunatamente,
con una semplice brutta figura. Guardando il lato positivo
della vicenda, ho sicuramente imparato che bisogna attendere
il via da poliziotti, agenti e funzionari vari prima di
oltrepassare un confine o unqualunque posto di blocco.
È meglio chiedere conferma più volte, rischiando
di sembrare paranoici, piuttosto che trovarsi in una situazione
come quella appena occorsa. Prima di restituirmi i documenti,
il camper viene controllato da un giovane funzionario della
dogana che mi fa una serie di domande relative alla mia
destinazione. Dico ovviamente la verità, e cioè
che la mia destinazione è l’Egitto, via Siria
e Giordania (senza nominare Israele, che non si sa mai).
Il funzionario mi chiede se la mia famiglia si trova già
in Egitto, e si sorprende quando rispondo chesono single
e sto viaggiando da solo. È la prima volta che mi
vengono chieste notizie sulla eventuale mia famiglia. Sono
certo che procedendo in Medioriente le domande sul motivo
del mio viaggio in solitaria si faranno più insistenti.
Entrando a Edirne la mia attenzione è
catturata dallo svettare di minareti: ormai siamo nel mondo
islamico. Scatto qualche fotografia del camper di Daniele
che mi precede sul pittoresco ponte, con i minareti sullo
sfondo. Edirne, o almeno la zona che attraversiamo per raggiungere
il parcheggio della Moschea, potrebbe essere una tranquilla
cittadina svizzera: gli edifici sono curatissimi, il traffico
è ordinato, le strade pulite. I passanti sembrano
quelli che si incontrano per le strade delle nostre città:
la maggior parte delle donne non portano il velo. Davanti
alla Moschea ci sono due camper italiani in sosta vietata.
Con Daniele ci fermiamo al parcheggio custodito che si trova
proprio di fronte all’ingresso della Moschea, dove
ritroviamo anche l’Adriatik di Graziano. A questo
punto il mio umore inizia a cambiare: sono felicissimo di
essere arrivato in Turchia e di avere l’opportunità
di visitare Edirne. So anche di essere abbastanza in orario
sulla tabella di marcia.
Tuttavia, nonostante le “tirate”
degli ultimi giorni, in cui siamo sempre andati a dormire
tardi per recuperare il tempo perso durante il giorno (soprattutto
a causa del traffico), non sono riuscito ad accumulare il
benché minimo “anticipo”: non ho messo
da parte nessun margine temporale di sicurezza, neppure
qualche ora. Devo essere in Siria domani e mi rendo conto
che solo nella migliore delle ipotesi potrò arrivare
ad Aleppo in tarda serata, e cioè riuscendo a fare
1200 km in Turchia, una parte dei quali su strade statali
e oltrepassando una frontiera sufficientemente complicata
da farmi perdere l’eventuale piccolo anticipo accumulato.
Continuo a far finta di riflettere sulle due possibilità
principali: trattenermi a Edirne e partire domani mattina
all’alba per Ankara oppure andare via subito. Ma la
risposta la so già.
Devo andarmene al più presto perché
un’occasione come questa, cioè avere mezza
giornata a disposizione per percorrere gli oltre 600 km
da Edirne ad Ankara, non capita tutti i giorni. Così,
dopo la visita della Moschea, un veloce pranzo a base di
kebab e insalata presso un bar nel centro di Edirne, saluto
Daniele, Graziano e le rispettive famiglie. Metto via il
CB perché ormai non ci potrei comunicare con nessuno,
cerco l’autostrada e mi dirigo verso Istanbul. La
strada è ottima e il traffico inesistente. Faccio
molti chilometri senza incrociare nessun veicolo. La strada
è praticamente deserta, le indicazioni sono buone
e ci sono molte aree di servizio. Mi stupisco, quando mi
fermo a fare il pieno di GPL, della modernità dei
distributori. Le norme di sicurezza sono rigorosamente rispettate
dagli addetti che collegano la massa del camper a terra
con un morsetto per evitare pericolose scintille. Ogni pompa
è inoltre dotata di un lettore integrato per carte
di credito, in modo che l’utente non debba andare
all’interno per pagare.
L’autostrada poi è una vera sorpresa: prima
di accedere al ponte sul Bosforo, si è costretti
ad acquistare una tessera prepagata con chip RFID (Radio
Frequency IDentification) da utilizzare per pagare i successivi
tratti autostradali. Essendo contact-less, la scheda viene
semplicemente avvicinata ai lettori di ingresso e uscita
per transitare ai caselli, risparmiando un sacco di tempo
e riducendo le code. Alle 16:20 passo il Bosforo ed entro
in Asia.
Istanbul, ponte sul Bosforo: tra Europa ed Asia.
Ma Ankara è ancora lontana, e più
volte penso che potrebbe essere il caso di fermarmi a passare
la notte presso il parcheggio di un’area di servizio
(molti di questi parcheggi sono custoditi).
Il vantaggio di pernottare lungo l’autostrada è
indubbiamente il risparmio di tempo. Al contrario, entrare
in una metropoli significa dover percorrere decine di chilometri
attraverso tangenziali/circonvallazioni in cui i cartelli
stradali che indicano le uscite non sono sempre intuitivi,
specialmente per un forestiero. Una volta arrivati in centro,
poi, bisogna cercare la strada esatta. Spesso si deve attraversare
buona parte del centro urbano perché ci si accorge
di aver preso l’uscita sbagliata. Considerato che
è tarda serata e il traffico sarà sicuramente
minore, decido di comunque di continuare fino ad Ankara
e di cercare un parcheggio custodito in centro. In questo
modo avrò anche la possibilità di vedere,
sebbene di sfuggita e da dietro il parabrezza del camper,
qualche scorcio della capitale turca, delle strade e dei
suoi edifici. Magari potrò scambiare due parole con
qualcuno del posto.
Arrivo ad Ankara dopo le 23. Secondo la guida
“I Timoni” vicino alla stazione ferroviaria
ci sarebbe un parcheggio custodito, indicato come Gençlik
Park, in cui è possibile sostare con il camper.
Nelle indicazioni, scritte in turco, non c’è
traccia di qualunque termine che mi possa ricordare la parola
“stazione” o “ferrovia”. La mia
salvezza è la carta stradale della Turchia, edizioni
I.T.M.B., che comprende la mappa semplificata delle principali
città turche. Ankara è rappresentata in un
quadratino più piccolo di un fazzoletto. Mi fermo
a bordo strada, accendo la luce della cabina e cerco di
estrarre preziosa informazione per raggiungere il mio punto
di sosta. Per trovare la stazione nella cartina metto in
atto un trucco: cerco la linee scure che, per convenzione,
rappresentano i binari e trovo il punto in cui si dividono
e congiungono. La presenza di binari paralleli indica,
generalmente, una stazione ferroviaria.
Trovo, così, la scritta “Gari”,
che mi ricorda il termine francese per indicare la stazione.
Mi convinco che devo cercare le indicazioni per la “Gari”
centrale. Fortunatamente, fatti un centinaio di metri, trovo
un parcheggio con un taxi in attesa di clienti. Chiedo al
taxista informazioni per la “Gari”. Lui, che
non parla una parola di inglese, non sa di cosa parlo. Dopo
che gli mostro la cartina con la scritta “Gari”,
mi informa che la pronuncia corretta è “Har”
e mi indica la direzione: sempre dritto per pochi chilometri
e al primo cavalcavia svincolo a destra.
Cinque minuti e sono alla stazione. Non trovo traccia però
del Gençlik Park, o almeno non ci sono indicazioni
esplicite. Il poliziotto di guardia davanti alla stazione
mi indica che il parcheggio è dall’altra parte
della strada. Devo semplicemente fare inversione qualche
centinaio di metri più avanti. Arrivato davanti a
quello che dovrebbe essere l’ingresso del parcheggio,
trovo il cancello sbarrato. Chiedo informazioni a dei giovani
fermi in una corsia di sosta, e con le poche parole di inglese
che conoscono mi spiegano che il parcheggio principale è
chiuso in quanto temporaneamente occupato dalle giostre.
C’è un parcheggio temporaneo, custodito, dov’è
è possibile sostare con il camper. Un ragazzo che
sostiene di lavorare per il parcheggio ma di non essere
di turno, si offre di accompagnarmi.
Il parcheggio “temporaneo” è adiacente
a quello ufficiale dove, effettivamente, intravedo i camion
delle giostre. La fortuna vuole che le giostre non siano
in funzione (diversamente, avrei avuto non poche difficoltà
a dormire). Il fondo è sterrato ma in buone condizioni.
Lo spazio è più che sufficiente: oltre al
mio camper c’è un solo furgone in sosta. Il
ragazzo che è venuto con me dice che il parcheggio
costa l’equivalente di 5 euro. Dopo che gli do i soldi,
si mette a parlare con i custodi e mi dice che posso tranquillamente
sostare fino a domani mattina. I 3 custodi del parcheggio
sono tutti in divisa e armati. Mi suggeriscono di chiudermi
a chiave e di non lasciare nessun oggetto di valore vicino
ai finestrini, perché la prudenza non è mai
troppa. In mezzo ai grattacieli di Ankara, con decine di
poliziotti in giro, il custode di un parcheggio mi dice
che è meglio se nascondo il frontale dell’autoradio.
La situazione è ridicola.
Dormo per poche ore, ma bene.
km oggi: 750 totali: 2571
martedì, 4
agosto 2009
Una doccia, la mia solita colazione e poi parto. Il parcheggio
è custodito anche di giorno, ma il custode è
solo uno; ha iniziato il turno alle 6 e mi saluta con estrema
cordialità.
Di buon mattino vedo Ankara immersa nel traffico dell’ora
di punta. Autobus e taxi collettivi raccolgono e scaricano
centinaia di persone che invadono intere corsie delle strade
a scorrimento veloce. In quelle stesse strade, che ieri
notte erano deserte, posso oggi osservare ciò che
mi sembra uno spaccato della società turca: donne
con e senza velo, ragazze vestite in maniera molto disinvolta,
giovani in tenuta casual, signori in giacca e cravatta,
uomini con il turbante islamico. La Turchia europea, quella
delle località balneari mediterranee e del “Capodanno
ad Istanbul” da pacchetto turistico, è lontana.
E non solo fisicamente. Quella è solo una piccola
parte della vera Turchia, un crocevia tra Europa, Medioriente
e Caucaso. Gestire un paese come questo non deve essere
cosa facile. Per cui, mi complimento con chi ci riesce.
Dopo Ankara, l’autostrada si interrompe lasciando
spazio a una strada secondaria a singola carreggiata, in
alcuni tratti a quattro corsie. La qualità dell’asfalto
degenera fino a suggerire di non superare i 60 km/h. Limitare
le velocità mi consente di non uscire di strada,
ma non salva il camper dalle terribili vibrazioni che mettono
a dura prova il fissaggio dei vari pensili. L’unico
motivo che può spiegare come l’autostrada non
sia ancora arrivata fin qui è lo scarso traffico.
Il paesaggio cambia. La popolazione dei villaggi attraversati
ha la pelle sempre più scura. Compaiono i primi cartelli
pubblicitari in arabo. Non si vedono più chiese ortodosse,
ma solo moschee. Ogni centro abitato è dotato di
più aree di servizio modernissime. Tutte accettano
le principali carte di credito, la maggior parte ha la pompa
di GPL e un piccolo supermarket annesso.
Vengo sorpassato da un fuoristrada verde metallizzato con
targa italiana, che per salutarmi suona il clacson. L’autostrada
ricomincia poco prima di Adana. Cerco un’area di servizio
in cui pranzare. Non ho voglia (né tempo) di cucinare,
per cui vorrei mangiare in ristorante. Paradossalmente,
tra le tante ultra-fornite aree di servizio autostradali,
mi fermo in una semplice area di parcheggio al centro della
quale c’è un piccolo bar-ristorante. Quando
mi accorgo che la situazione igienica del locale lascia
alquanto a desiderare, ho già attirato l’attenzione
dei pochi avventori e dei gestori, che mi prospettano subito
un lauto pasto.
Per andare sul sicuro chiedo del semplice kebab e un’insalata.
La scelta del kebab richiede alcuni minuti: ci sono almeno
10 combinazioni di spiedini da cuocere. Dopo aver cercato
di capire di che tipo di carne si tratta (inutilmente, dato
che nessuno parla inglese), ne scelgo uno a caso. Per l’insalata
la cosa è molto più semplice: me ne portano
di 4 tipi diversi. Ovviamente ho anche una bella razione
di pane arabo. Mangio avidamente fino quasi a scoppiare,
fregandomene delle più elementari norme igienico-sanitarie
del bravo viaggiatore, cioè quelle che vietano la
consumazione di verdure crude. Tuttavia, il fatto che le
stoviglie siano pulite lascia ben sperare. Il locale è
un interessante punto di osservazione: attraverso i grandi
vetri osservo la gente in sosta nell’area di parcheggio:
intere famiglie intente a consumare picnic nei prati tutto
attorno. Purtroppo posso anche verificare quanto letto nelle
guide turistiche circa la brutta abitudine mediorientale
di abbandonare nel prato i rifiuti del picnic appena consumato.
L’abbondante pranzo, compresa la bottiglia d’acqua
minerale e il caffè, mi costa l’equivalente
di 5 euro.
L’autostrada si arrampica sulle montagne e il traffico
di TIR diviene spaventoso. Nelle forti salite, che mi obbligano
a scalare in seconda marcia, sono costretto a pianificare
in largo anticipo ogni sorpasso per evitare di intralciare
altri veicoli. In discesa, invece, nonostante riesca ad
acquistare l’incredibile velocità di quasi
120 km/h, vengo puntualmente raggiunto dai TIR precedentemente
sorpassati. Il parco veicoli in circolazione è vetusto.
I TIR sovraccarichi (tanto che i rimorchi sono inclinati
su un lato) e gli autocarri che, nel cassone, trasportano
anche persone, sono ormai la norma.
L’aria è fresca per via del forte vento e dell’altitudine.
Lascio l’autostrada presso Gaziantep e, come da programma,
mi dirigo verso Kilis, punto d’uscita dalla Turchia.
La strada secondaria è lunga: parecchie decine di
chilometri senza alcuna indicazione, cosa che mi fa temere
di aver fatto errori. Viaggio senza navigatore e dunque
non è facile localizzarmi in una carta stradale,
specie quando le indicazioni (numero della strada, eventuale
chilometraggio verso qualche località) sono totalmente
assenti. Chiedo informazioni a degli automobilisti locali.
Nonostante non parlino inglese, non è difficile farmi
capire: basta nominare Kilis e Halab (cioè Aleppo,
primo centro abitato importante dopo l’ingresso in
Siria).
Il fatto che la direzione sia corretta mi mette di ottimo
umore. Inoltre i signori mi spiegano, a gesti, che la frontiera
è aperta 24 ore su 24. Inverto l’alimentazione
del camper: da GPL a benzina. Quest’ultima, in Siria,
costa molto meno che in Italia. Vedo i primi veicoli con
targa araba che provengono dal senso opposto: sono ormai
cerco di essere sulla strada giusta verso la Siria, e continuo
in questa direzione. Intorno alle 19 inizio ad espletare
le pratiche d’uscita presso la dogana turca.
C’è poco traffico: tre auto in
uscita e una in ingresso. Per il controllo passaporto bastano
pochi minuti. Più complessa sembra invece la situazione
per avere il timbro d’uscita: un doganiere urla contro
un signore turco nella cui auto è stata trovata una
grande quantità di merci, nascoste in buste di plastica.
Il doganiere è incavolatissimo e, dal poco che riesco
a capire, ricorda al contrabbandiere dilettante le norme
relative alla quantità massima di sigarette, olio
e sapone che si possono importare dalla Siria. I funzionari
della dogana smontano l’auto del contrabbandiere:
più frugano e più trovano ... Per una mezz’ora
osservo, alquanto divertito, l’insolita scena del
contrabbandiere che, con un’espressione innocente,
cerca di calmare il doganiere dandogli qualche pacca sulla
spalla. Ma il bello deve ancora venire: la situazione viene
sbloccata da un gruppo di giovani uomini che attendono spazientiti
l’OK del doganiere turco per l’ingresso (così
come io lo attendo per l’uscita). Con atteggiamento
tra l’aggressivo e l’ironico, cominciano a dividersi
la merce e a mettersi in tasca quello che possono. Si rivolgono
quindi al doganiere con aria di sfida come a voler chiedere
“e adesso che nessuno trasporta più della quantità
massima, ci lasci passare?”. Il doganiere pare che
si sia arreso.
Peccato che ho fretta e non posso vedere
il finale di quella che ha tutta l’aria di essere
una scena che va in onda ogni giorno. Appena ottengo il
timbro d’uscita sul passaporto vado a registrare la
riesportazione del camper e mi dirigo verso la frontiera
siriana.
Adesso mi trovo in tutti i sensi (geograficamente e politicamente)
fuori dall’Europa.
Dopo alcune decine di metri, giungo sotto il ritratto del
presidente Assad. I primi funzionari siriani che incontro
sono due ragazzini, poco più che maggiorenni. Sembrano
molto sorpresi di vedermi arrivare e mi sommergono di domande,
mentre sfogliano attentamente il mio passaporto: “Signore,
da dove viene; che lavoro fa; dov’è diretto;
perché è venuto Siria; quanto ci rimane; qual
è il suo itinerario”. Alla domanda “ma
per quale motivo viaggia solo?” rispondo “tutti
i miei amici avevano paura di venire in Medioriente”.
Quando mi chiedono “e perché non ha
una famiglia o una moglie?” rispondo: “a dire
la verità sono venuto in Siria proprio a cercare
moglie”. So perfettamente che fare ironia sul tema
della famiglia, molto caro ai popoli mediorientali, non
è il miglior biglietto da visita. Tuttavia, è
bene che capiscano al più presto che se sono riuscito
ad arrivare fin qui per conto mio è perché
non ho perso tempo in chiacchiere né prima e né
durante il mio viaggio.
I ragazzini, un po’ perplessi dalla mia risposta,
mi lasciano passare al “successivo livello”.
Rilassatissimo, mi avvio verso gli uffici doganali.
Gli sportelli per il controllo passaporto si trovano nel
primo edificio a sinistra, dopo l’ingresso. I funzionari
siriani, tutti in divisa militare, non sembrano accorgersi
di me. Sono seduti in cerchio, dietro alla vetrata degli
sportelli per il pubblico. Cavolo, sono arrivato proprio
all’ora del tè! Dopo che tengo in mano passaporto
e Carnet de Passages per una decina di minuti, finalmente
un funzionario mi si presenta davanti e comincia con le
domande relative al motivo e all’itinerario del mio
viaggio. Mi fa compilare un foglio con i miei dati, compresi
quelli del datore di lavoro. Si tratta di informazioni che
ho già fornito, un paio di mesi prima della partenza,
all’ambasciata siriana di Roma per ottenere il visto
d’ingresso. Immagino che tali informazioni non vengano
trasmesse a tutti i posti di frontiera, e quindi evito di
lamentarmi. Non posso tuttavia fornire indicazioni esatte
sull’indirizzo di domicilio in Siria, in quanto intendo
fermarmi una notte in campeggio presso Aleppo e un’altra
notte nella zona di Palmira. A dire la verità non
sono neanche certo di riuscire a raggiungere il campeggio
di Aleppo in un orario decente, per cui non escludo di fare
sosta libera almeno per questa sera.
A Palmira sarà ancora diverso: non
ho notizia dell’esistenza di campeggi, ma solo di
parcheggi attrezzati presso strutture alberghiere, peraltro
con prezzi elevati. Lì la sosta libera sarà
quasi una scelta obbligata. Per mostrarmi collaborativo,
fornisco l’indirizzo del Camping Salaam (di cui ho
anche il numero di telefono), dichiarando di fermarmi lì
almeno per una notte e specificando di non conoscere i punti
di sosta per i giorni seguenti. Il funzionario sembra sorpreso,
ma quando gli spiego che questa flessibilità è
proprio il vantaggio di viaggiare in camper, si mostra comprensivo
e accetta il modulo anche se incompleto. Mi viene infine
richiesto di compilare una dichiarazione di buona salute.
Non posso però ottenere il timbro d’ingresso
prima di una breve visita medica in cui mi viene misurata
la temperatura per accertare l’assenza di influenza.
Una volta ottenuta la firma del medico, il mio passaporto
viene finalmente timbrato.
Un signore che gira con la mascherina sul viso, trovato
positivo all’influenza, cerca di corrompere un funzionario
dell’ufficio passaporti passandogli una manciata di
dollari.
Le formalità doganali per il veicolo sono espletate
in un gabbiotto presso un altro edificio. Il militare seduto
alla scrivania sta riordinando un mazzo di voucher staccati
dai Carnet de Passages. Passano alcuni minuti prima che,
con un gesto, mi chieda di entrare. In un ottimo inglese
mi dà le istruzioni da seguire prima di poter sdoganare
il veicolo: “vai alla banca, cambia l’equivalente
di 10 dollari in sterline siriane e conserva la ricevuta.
Dopo, vai allo sportello dell’assicurazione e stipula
una polizza temporanea. Torna qui e portami: ricevuta, polizza,
Triptick e carta di circolazione del veicolo”. Poi
mi ripete altre 3 volte: “ricorda: 10 dollari e la
ricevuta”.
Nell’ufficio bancario c’è un frigorifero
degli anni ’60, un PC che avrà almeno 10 anni
e un forte odore di candeggina. Oggetti, pareti e soffitto
sono luridi. Oltre a cambiare i 10 dollari per il signor
dogana, compro una quantità sufficiente di dinari
per la polizza assicurativa e per le spese dei prossimi
due giorni. Nell’ufficio dell’assicurazione,
due ragazzini giovanissimi e vestiti distintamente mi sommergono
di domande non tutte relative alla stipula della copertura.
Capisco che per chi lavora in una frontiera
secondaria non sia frequente avere a che fare con degli
occidentali, ma ho la sensazione che in questo posto siano
tutti “istruiti” per strappare agli stranieri
il maggior numero di informazioni. Probabilmente sono paranoico
ma sembra che mi tendano almeno 3 o 4 trabocchetti per intuire
la mia effettiva destinazione. Non cado nei loro tranelli
e me la cavo dicendo: devo raggiungere l’Egitto; ci
andrò con il traghetto da Aqaba. Se riuscirò
ad ottenere un visto libico allora tornerò in Italia
dalla Tunisia, altrimenti ripasserò per Giordania
e Siria.”
Con 55 euro ottengo la tassa di circolazione temporanea
e l’assicurazione per un mese. Torno quindi dal doganiere,
che mi offre il caffè e mi racconta che sta lavorando
da 3 giorni senza sosta. Dice che è colpa dei colleghi
che sono andati in ferie tutti contemporaneamente, e si
scusa se per la stanchezza fa fatica a ragionare. Firma
i fogli, timbra il Carnet de Passages trattenendo l’”importation
voucher” e mi dice che se il camper è diesel
devo pagare la tassa. Quando rispondo che è a benzina
si sorprende; gli dico che può controllare il motore,
ma lui ha bisogno di vederlo scritto su qualche documento.
Fortunatamente nella carta di circolazione c’è
scritto GPL/benzina, e questo mi salva dal pagamento di
circa 100 dollari di tassa sul diesel. Il doganiere annota
sul passaporto i dati del veicolo e mi rinvia all’ufficio
passaporti per il controllo. Penso che probabilmente l’ufficio
deve registrare o firmare qualche altro foglio, così
faccio pazientemente la fila per mezz’ora. Nell’attesa
parlo con una ragazza giapponese in viaggio da sola. Sta
aspettando di ottenere un visto d’ingresso siriano
in quanto è arrivata dalla Turchia senza averlo richiesto
in anticipo. Sapevo che non era possibile ottenere un visto
in frontiera, per questo lo avevo richiesto all’ambasciata
con largo anticipo. Evidentemente le informazioni in mio
possesso non erano esatte.
Faccio la fila inutilmente, visto che il
controllo passaporto non era necessario. Tuttavia l’attesa
è servita a fare amicizia con Tobie, la giapponese,
che riesce a ottenere il visto e decide di venire ad Aleppo
con me. Dopo un rapido controllo del camper, i doganieri
ci spiegano gentilmente la strada verso il camping e ci
lasciano passare.È buio, la strada è pessima.
Viaggio sotto i 30 all’ora perché non riesco
a vedere neanche il bordo strada. Attraverso A’zaz,
che per essere una località di frontiera versa veramente
in condizionidisastrose: segnaletica quasi inesistente,
buche ovunque, aspetto generale di un campo profughi. È
per un colpo di fortuna che riesco a intravedere la direzione
per Aleppo, su quel poco che rimane di un cartello stradale.
La gioia dura poco: appena fuori A’zaz, vedo solo
all’ultimo momento una profonda voragine che occupa
tutta la carreggiata: nonostante la frenata, entro nella
buca a circa 20 all’ora (sarebbe stata da fare a 5)
e il camper fa due forti sobbalzi. Una prima botta sull’avantreno,
che ci fa saltare sui sedili, e una sul retrotreno che danneggia
gravemente il pensile di coda: il fondo del pensile collassa
sul letto, insieme a tutto il contenuto.
Non c’è male come inizio del tour siriano.
Il resto della struttura del pensile rimane incredibilmente,
ma precariamente, attaccato alle pareti. Peccato, con un
pensile in meno perdo un comodo spazio di stivaggio. Ma
la mia preoccupazione principale è la cellula e tutto
ciò che è attaccato sotto. Scendo dal camper
e controllo il sottoscocca. I serbatoi delle acque grigie
e nere non hanno neanche un graffio, così come i
due serbatoi di GPL (uno laterale e uno in coda). Il miracolo
è merito delle sospensioni pneumatiche gonfiate a
3 bar, che garantiscono il sollevamento della parte posteriore
di diversi centimetri. Riprendiamo il viaggio verso Aleppo.
Il camping Salaam si trova a quasi 30 km dalla città,
in direzione Turchia, ma sulla strada per la frontiera di
Bab-Al-Hawa: per raggiungere quella strada è necessario
attraversare un piccolo tratto di Aleppo.
L’ingresso ad Aleppo è degno di nota: aldilà
del traffico caotico, neanche paragonabile a quello di Ankara,
il bordo strada è occupato da macchine parcheggiate
disordinatamente i cui passeggeri stanno evidentemente banchettando
nei prati adiacenti. Giovani, anziani, famiglie, tutti scappati
dalla calura delle case roventi, si godono beatamente il
fresco. Le scene di gioia dei prati a bordo strada, che
penso si ripetano in tutte le serate estive, mi fanno tornare
il buonumore.
Entro in un distributore per il mio primo pieno di benzina
a un prezzo onesto: circa 40 centesimi al litro. Un inserviente
pulisce il parabrezza del camper e chiede, prostrandosi,
una mancia. Gli do un dollaro. Se ne va tutto contento,
ammirando la banconota appena guadagnata. Con Tobie decidiamo
di fermarci a mangiare. Nel ristorante in cui entriamo veniamo
accolti con grande gentilezza, nonostante sia quasi l’ora
di chiusura. Il personale parla poco inglese ma è
molto disponibile: ci porta carne e diverse insalate. Su
esplicita richiesta ottengo una bottiglia d’acqua
minerale, dato che non ritengo affidabile quella nel boccale
di vetro (certamente del rubinetto). Le posate sono luride,
per cui facciamo buon uso del pacco di salviette sul tavolo.
Buon cibo a ottimo prezzo: meno di 5 euro in due persone.
Mentre lascio il locale, carta alla mano, chiedo informazioni
sulla esatta ubicazione del camping Salaam, o per lo meno
sulla direzione per Ebzimo (villaggio presso il quale dovrebbe
trovarsi il camping). Nessuno conosce il camping, ma la
fortunatamente siamo sulla strada giusta per Ebzimo.
Ho già messo in moto il camper quando uno dei camerieri,
sorridente, si avvicina e ci porge due lattine fresche di
succo di mela… omaggio della casa. In queste poche
ore che ho trascorso in Siria sono stato trattato con una
tale gentilezza che ho quasi i sensi di colpa. L’ulteriore
dimostrazione della disponibilità illimitata dei
siriani me la danno i giovani a cui chiediamo informazioni
sul camping Salaam, nella zona di Ebzimo. Mancano pochi
chilometri, ma tutti i cartelli sono in arabo e non li capiamo.
I giovani ci fanno strada, in motorino, verso quella che
dovrebbe essere la via in cui si trova il camping. Anche
loro, però, sono costretti a chiedere indicazioni.
La fortuna vuole che, a poche decine di metri dal camping,
incontriamo un uomo che dice di essere il cugino del signor
Kaddour (gestore del camping) e che ci guida verso la casa
di Kaddour che è in corrispondenza dal camping omonimo.
Lui citofona a casa di Kaddour, e a dire la verità,
visto che è l’una di notte, mi fa un gran favore.
Kaddour, mezzo addormentato, ci fa sistemare nel camping
e ci spiega la regola principale: non lasciare la luce del
bagno accesa. Mi faccio una doccia usufruendo dei servizi
del camping, che sono puliti ed eleganti, e torno al camper
che Tobie è già a letto.
Oggi è stato un giorno molto faticoso, ma anche pieno
di piccoli avvenimenti (per la maggior parte positivi) che
non scorderò mai. La giornata più intensa
della mia carriera di camperista: partenza da Ankara, attraversamento
di quasi tutta la Turchia, sdoganamento in Siria, incontro
inaspettato con una ragazza più pazza di me, ingresso
ad Aleppo.
km oggi: 850 totali: 3421
mercoledì,
5 agosto 2009
Non ho dormito granché. Alle 7 il sole è già
alto e la temperatura del camper si porta presto oltre i
30°C. Faccio colazione, senza riuscire a staccare gli
occhi dal foglio con il programma di viaggio. Sono in perfetto
orario sulla tabella di marcia. Troppo in orario: nonostante
la corsa in Turchia, le ore di guida notturna (sottratte
a quelle di sonno) non sono riuscito ad accumulare nessun
anticipo. Ho in mente di visitare Aleppo insieme a Tobie,
ma non potrò fermarmi in città più
di una mezza giornata. Devo raggiungere, entro sera, Palmira.
Mentre Tobie si fa la doccia, io faccio il bucato e stendo.
Poi smonto quel che rimane del pensile di coda, collassato
ieri nella strada tra A’zaz ed Aleppo. Consegno i
residui di legno multistrato al signor Kaddour. Lui pensa
subito ad una soluzione per ripararlo, e alza le spalle
quando gli dico che ci rinuncio e voglio semplicemente smaltire
quel che resta dei pannelli, per evitare di portarmeli appresso.
Francamente odiavo quel pensile perché è sempre
stato storto. A nulla erano valsi i miei passati sforzi
per raddrizzarlo. Inoltre stonava col resto della tappezzeria.
Evidentemente era stato il tentativo di uno dei precedenti
proprietari (o di qualche officina) di installare un vano
aggiuntivo per lo stivaggio. Tentativo tanto maldestro che
il telaio del mobile si è disintegrato per pochi
chili di pressione, e io mi ritrovo a smontare le decine
di viti rimaste attaccate alla parete, con un caldo bestiale.
In mezz’ora il bucato è già asciutto
per via dell’aria bollente.
Il Camping Salaam nei pressi di Aleppo
Decidiamo di recarci ad Aleppo con un taxi
collettivo. Davanti al camping ne passano in continuazione,
ma sono tutti pieni. Ci incamminiamo verso la strada principale,
che dovrebbe essere ancora più trafficata. Il caldo
è insopportabile, bevo in continuazione e temo che
il litro d’acqua che mi sono portato non mi basterà
neanche per un paio d’ore.
Il taxi collettivo su cui saliamo è già pieno,
ma gli occupanti ci fanno spazio e incredibilmente riusciamo
a starci. Non passa un minuto che mi sono già pentito
di non essere andato in centro con il camper. La corsa in
taxi è demenziale: innanzitutto non capisco come
sia stato possibile omologare un veicolo come questo (poco
più grande di una normale monovolume) per una dozzina
di passeggeri. Probabilmente è omologato per 7, mentre
gli altri sedili sono stati aggiungi sacrificando il bagagliaio.
Il povero motore arranca sulle pendenze della periferia
di Aleppo e, una volta acquistata la velocità, il
taxista non sembra avere nessuna intenzione di cederla:
le curve vengono semplicemente “tagliate” sfiorando
i veicoli che procedono in senso inverso. Questa sembra
una pratica assai diffusa e trasforma quella che dovrebbe
essere una strada a 4 corsie in una a 2. Infatti tutti viaggiano
in fila indiana, al centro della carreggiata, per evitare
di fare le curve. Avrei detto che questa è l’interpretazione
locale della segnaletica, se non fosse stato che la segnaletica
orizzontale qui non esiste.
I sorpassi, ovviamente, si fanno a destra.
L’arrivo al terminal dei taxi è un sollievo…
anche per il prezzo della corsa: meno di un euro a testa.
Vari giovani, notandoci, ci chiedono dove siamo diretti.
Vorremmo visitare la Cittadella di Aleppo, così ci
danno, in un inglese stentato, il numero del taxi collettivo
che va in quella direzione. Non se ne parla proprio di risalire
su una di quelle trappole. Piuttosto vado a piedi. Ci sarà
circa un chilometro in linea d’aria fino alla Cittadella.
Su strada molto di più: forse mezz’ora a piedi.
Il caldo è insopportabile e, se lo dico io che lo
tollero molto bene, vuol dire che non c’è da
scherzare. Mi fiondo così verso un taxi “normale”,
ignorando quello che potrebbe essere il prezzo, e mi faccio
portare con Tobie fino a pochi metri dall’ingresso
della Cittadella, sperando di trovare subito un po’
d’ombra. Il taxi ha il tassametro e la corsa costa
un paio di euro.
La Cittadella di Aleppo.
La cittadella è imponente. Sono costretto
a visitarla da solo perché Tobie ha lo zaino pesante,
che dovrà portare in albergo, e preferisce starsene
al bar.
Effettivamente le scale sono lunghe e ripide, ma una volta
all’interno si può godere di vaste aree ombreggiate.
Incontro diversi turisti italiani, tra cui il gruppo di
un noto tour operator specializzato viaggi avventurosi.
Mi chiedo cosa ci sia di avventuroso nel farsi portare a
spasso tutti insieme, accompagnati da una guida, con gli
spostamenti programmati e i mezzi prenotati in anticipo.
Parlo del mio itinerario con vari connazionali, tra cui
un gruppo di 4 sardi che viaggiano per conto proprio. I
commenti sono positivi e tutti mi fanno i complimenti per
la fantasia della trovata, non prima di avermi chiesto “com’è
possibile arrivare fin qui su strada?”. Rispondo che
non c’è alcuna difficoltà logistica,
che le strade sono discretamente praticabili e che l’unica
vera rogna sono i documenti doganali.
Il centro di Aleppo visto dalla Cittadella.
Mi trattengo all’interno della Cittadella
per un’oretta, alternando veloci passeggiate nel terrazzo
esterno a pause all’ombra dei portici. Il caldo si
fa sentire, e appena esco dal complesso non vedo l’ora
di rifugiarmi sotto il gazebo del bar dov’è
seduta Tobie. Ordino un’enorme succo di mango, che
bevo in pochi minuti, ma che non basta a reidratarmi. Così
prendo anche una bottiglia di acqua fresca. Bevo in continuazione
senza riuscire a placare la sete. Aleppo è una città
bellissima, meriterebbe un soggiorno più lungo. Ma
la mia tabella di marcia è spietata, e mi costringe
già a salutare Tobie. Anche lei, come me, è
interessata a visitare Palmira. Ma ci vuole arrivare dopo
aver sostato ad Aleppo per almeno 3 giorni. Non c’è
modo di adattare il mio o il suo itinerario per condividere
almeno una parte del viaggio, così ci scambiamo le
e-mail e continuiamo ognuno per la sua strada.
Prendo il primo taxi libero. È in condizioni pietose:
manca il tassametro e anche la cintura di sicurezza. Il
tassista parla un po’ d’inglese e mi racconta
che ha dei parenti in Italia e ci è andato in vacanza.
Sarà pure simpatico ma è un imbroglione, visto
il prezzo che mi accorda per la corsa. Si tratta di quasi
30 km, ma più di 20 euro sono troppi. Si va verso
Bab-Al-Hawa con la radio a tutto volume e brani in arabo
di cui la sola parola comprensibile è “Allah”,
ripetuta ogni 5 secondi. Non parliamo della guida, molto
peggiore di quella del microbus dell’andata, perché
i tagli di corsia e i sorpassi a destra sono fatti a velocità
ancora maggiore. L’unica cosa che funziona bene, oltre
alla radio, è il clacson, suonato in continuazione
e a volte senza nessun apparente motivo.
Torno al camping e pago la sosta al signor Kaddour (meno
di 10 euro). Ho la pessima idea di provvedere al carico
dell’acqua sotto il sole delle 13. Nell’aiuola
c’è un tubo di gomma per l’irrigazione.
Di usarlo per riempire il serbatoio del camper non se ne
parla: è impossibile toccarlo tanto è caldo.
Così devo ripiegare sulla tanica portatile: la riempio
nel bagno del camping (che è all’ombra) e la
travaso nel serbatoio del camper. Ripeto l’operazione
un paio di volte, accecato dal sole riflesso dal suolo di
terra chiarissima. Stavolta metto nel serbatoio una dose
doppia di disinfettante, perché temo che la temperatura
elevata possa favorire il proliferare di batteri. Pranzo
velocemente con un tramezzino e mi avvio verso l’uscita
del camping. Il signor Kaddour, nell’aprire la porta,
viene raggiunto dai suoi graziosi figlioletti: due maschietti
e una femminuccia che sono venuti a salutarmi. Faccio un
“petit cadeau” ai bambini: un blocco di carta
e dei pastelli colorati.
I bambini sono felicissimi. Kaddour, che parla
solo arabo e francese, è tutto compiaciuto e mi augura
“bonne route”. Chiede dove sono diretto e osserva
quanto sia lunga e difficile la mia strada fino al Cairo.
Mi raccomanda, infine, ad Allah. Bene, nel mio camper c’è
posto per tutti.
Sulla tangenziale di Aleppo, sotto un sole pazzesco, con
una temperatura dell’abitacolo che ormai supera i
45°C, prendo una dura decisione: smetterla di bere litri
d’acqua, cercando di resistere fino a quando il sole
calerà. Mi viene in mente un capitolo del libro “Il
Raid Automobilistico” di Nino Cirani, in cui l’autore
sconsigliava l’assunzione di acqua e cibo nelle ore
diurne in zone desertiche. Quando lessi il libro pensai
che fosse una soluzione troppo estrema, dettata forse da
errate convinzioni dell’epoca (quel libro è
del ’73). Ora non ne sono poi così convinto:
in effetti, bevendo litri d’acqua e sudando, perdo
una grande quantità di sali minerali che non riesco
a reintegrare con la semplice acqua minerale. Domani proverò
con le bibite gassate.
Mi rendo conto che sono proprio un ignorante in materia
di assunzione di liquidi. Così, tra i vari ragionamenti
pseudo-medicali, ne approfitto per dirigere il Trophy verso
Palmira.
Sulla strada per Palmira.
L’asfalto dell’autostrada siriana è paragonabile
a quello di una penosa provinciale italiana: avallamenti,
buche, deformazioni che ti fanno deviare in continuazione.
Sono frequenti (e legali) le “inversioni a U”
nelle numerose intersezioni segnalate. Una caratteristica
interessante dell’autostrada è che vi sono
lunghi tratti alberati su cui, in alcune ore, si viaggia
all’ombra. Questo comunque non mi salva dal caldo
che rende bollente la tappezzeria, il cruscotto e ogni componente
della cabina di guida. Dato che il traffico è scarso
e quindi riesco a viaggiare quasi sempre al centro della
carreggiata, decido di spingere il camper oltre i 100 km/h.
Ogni tanto sorpasso uno dei vecchi TIR vecchi di 40 anni
che procedono, sovraccarichi, lentissimi. L’”incontro”
più interessante è quello con una colonna
di veicoli militari, stracarichi di militari giovanissimi,
evidentemente impegnati in esercitazioni. I mezzi risalgono
ad almeno 30 anni fa (o almeno i modelli sono quelli di
allora) e mi viene da ridere se penso che la Siria gioca
a braccio di ferro con Israele, che invece vanta la più
avanzata tecnologia bellica.
Seguendo le indicazioni, finisco alla periferia di Homs
dove non trovo più alcun cartello per Palmira. Mi
fermo e chiedo informazioni a un signore che, fortunatamente,
parla un po’ d’inglese. Conosce la strada per
Palmira, e mi dice che sono un po’ fuori rotta. Mi
fa una proposta: se lo accompagno fino a casa sua per prendere
un bagaglio e poi gli do un passaggio fino a fuori Homs,
mi indica la strada fino alla direttrice per Palmira. Lui
infatti deve portare il bagaglio nel suo paese natale che
si trova proprio sulla strada per Palmira, a una ventina
di km da Homs. Non mi piace far salire estranei nel camper,
ma questo signore sembra abbia proprio bisogno di un passaggio.
Inoltre, potendo contare sulla sua conoscenza della strada,
non rischierò di perdere tempo a cercare altre indicazioni.
Così faccio salire il nuovo passeggero che mi fa
strada verso il centro di Homs.
Attraversiamo delle zone popolari che mi fanno
paura tanto sembrano degradate. Poi, girato un angolo, compare
improvvisamente un grazioso quartiere residenziale immerso
nel verde di aiuole e piccoli parchi. Decine di persone
passeggiano, i bambini divorano gelati, la maggior parte
delle ragazze sono vestire all’occidentale. Il mio
passeggero abita qui e, ovviamente, gli faccio i complimenti
per il suo quartiere. Va a casa sua a prendere il “bagaglio”:
una piccola busta di plastica nera. Siccome tendo a mantenere
un livello decente di prudenza, gli chiedo di mostrarmi
il contenuto della busta: in qualità di autista ho
la responsabilità del bagaglio trasportato. Il passeggero,
un po’ imbarazzato, mi mostra un coniglio surgelato.
Durante la breve conversazione scopro che il signore ha
5 figli, che ha lavorato per 20 anni a Palmira e che è
molto contento per me, che ci sto andando come turista.
Il signore e il coniglio scendono nei pressi di un minuscolo
villaggio a ridosso della strada statale e io proseguo verso
Palmira, in direzione del confine con Iraq.
La strada si infila nel deserto vero: sabbia, vegetazione
inesistente e persino qualche duna. Sui cartelli stradali
si legge la distanza da Baghdad. Cala la notte e mi ritrovo
a guidare per decine di minuti senza incrociare alcun veicolo.
Le uniche luci sono quelle degli stabilimenti (raffinerie?)
lungo la strada. Trovo un distributore solo poco prima di
entrare a Palmira. Il benzinaio, dalla quantità di
benzina che versa, si accorge che il serbatoio era completamente
vuoto e mi rimprovera: “Eri a secco?!”. Non
sa che viaggio sempre con 200-300 km di GPL come riserva.
L’ingresso a Palmira è un sollievo: la città
è calma, niente traffico. Sulle strade larghissime
ci sono solo ragazzini che giocano a pallone.
A uno di questi chiedo indicazioni per l’Hotel Zenobia,
dove vorrei parcheggiare per la notte. Dalle notizie in
mio possesso, il Zenobia sarebbe l’unica struttura
attrezzata per la sosta dei camper. Nel parcheggio sarebbe
anche possibile effettuare, in qualche modo, il carico e
scarico. Fortunatamente tutta la città (compresa
la parte antica) si estende in un raggio di un paio di km,
così non è difficile trovare il Zenobia. Purtroppo
scopro che l’hotel è chiuso al pubblico per
via di una qualche festa. I custodi mi suggeriscono di pernottare
per strada, in cui la sosta libera è consentita.
Mi parcheggio vicino ai resti spettacolari dell’antica
Palmira. Sto per farmi una doccia, ovviamente senza accendere
il boiler (visto che l’acqua è già quasi
a 40°C), quando un signore in moto si avvicina e mi
propone il parcheggio presso un camping molto ben attrezzato
che si trova a poche centinaia di metri. Il camping sarebbe
di fronte al Grande Tempio e la sosta costerebbe 10 euro
a notte. Decido di seguire il signore fino al camping “Al
Baider”, che effettivamente non è male. La
struttura è prevalentemente riservata a tende beduine
per viaggiatori senza attrezzatura propria. Ci sono solo
due piazzole per veicoli, alle quali si accede con difficili
manovre. Una piazzola è occupata da una coppia di
italiani che viaggiano con la tenda e il fuoristrada lo
stesso fuoristrada che mi ha sorpassato due giorni fa in
Turchia!! Com’è piccolo il mondo. Il camping
è attrezzato con piscina e ristorante beduino. Il
gestore, come se non fossi già abbastanza convinto
dell’ottima sistemazione, mi mostra orgogliosamente
l’adesivo di un camper club dell’Emilia Romagna
dicendo che qui hanno sostato con soddisfazione vari camperisti
italiani e di altre nazionalità.
Mi parcheggio a meno di 10 metri dal Tempio di Bel, faccio
una doccia e vado a testare il ristorante del camping. Il
cibo è abbondante e saporito. Tuttavia, la scarsa
pulizia delle stoviglie e il numero di insetti che popolano
il risotto con pollo e anacardi saranno il vero banco di
prova per il vaccino contro il colera che ho fatto prima
di partire.
Dopo cena faccio dono di un adesivo dell’Associazione
Camperisti Pisani al gestore del camping, che lui accetta
felicemente. È arrivato il momento di fare un giro
in città. Il signore con la moto mi da un passaggio
fino al centro (che si trova a meno di un km dal camping).
Con la moto che arranca, un po’ a causa della strada
sconnessa, un po’ perché saranno 10 anni che
non viene carburata, attraversiamo l’antica Palmira,
splendidamente illuminata. In questo momento, a stomaco
pieno e con una temperatura gradevole, con il vento tiepido
che solleva la sabbia sottile, mi dimentico della dura settimana
trascorsa prevalentemente al volante, del caldo, e della
sete.
Riguardo i sei mesi di preparativi e i soldi investiti nel
viaggio, posso già dire che ne valeva la pena. Ho
mezz’ora di tempo da passare all’Internet Point
prima che il tipo con la moto mi riporti al camping. La
connessione è lenta; non riesco neanche ad aprire
Facebook. Invio 2 e-mail in 25 minuti. Sto per andare a
lamentarmi col gestore, quando mi metto a dialogare con
un turista coreano seduto alla postazione affianco. Anche
lui è seccato dalla situazione penosa della connessione.
Quando gli chiedo se è riuscito ad aprire Facebook,
mi risponde, come se fosse la cosa più normale del
mondo, che il sito è stato bloccato dal governo siriano.
Il gestore dell’internet point, che si è nel
frattempo avvicinato, dice che Facebook in alcuni giorni
non è accessibile. Mi sembra a questo punto probabile
che il governo siriano faccia bloccare l’accesso a
Facebook quando cavolo gli pare, quando circolano notizie
scomode.
Sto iniziando a irritarmi, anche perché da quando
sono entrato in Siria non riesco a chiamare o inviare messaggi
con il cellulare (nonostante sia abilitato al roaming internazionale).
Mi calmo solo quando mi fanno usare un telefono fisso, a
pagamento, per chiamare in Italia. Le corse in “mototaxi”
da e verso il camping mi costano quasi 3 euro.
La temperatura notturna a Palmira è più che
gradevole.
km oggi: 378 totali: 3799
giovedì, 6 agosto
2009
Ho dormito molto bene. Il vento non è stato particolarmente
forte ma ha fatto calare la temperatura di parecchio, tanto
che alle 7 stavo per accendere la stufa. Mi metto a dialogare
con la coppia di italiani con tenda e fuoristrada. Arrivano
da Mantova e sono diretti ad Aqaba. Fanno il tipico tour
di Siria e Giordania.
Il camping “Al Baider”, sotto al Tempio
di Bel, presso Palmira.
Vista l’abbondanza di acqua del camping,
ne approfitto per fare il bucato e caricare la taniche.
L’inserviente, che non parla quasi niente l’inglese
ed è semi-balbuziente, si fa in quattro per darmi
una mano. Lo ringrazio regalandogli due camicie che non
uso più. Il tipo si vorrebbe anche fare un paio di
scarpe e di pantaloni, ma non lo posso accontentare.
Visito il Tempio di Bel il cui ingresso è a pagamento,
poi torno al camping per pagare e portare via il camper.
Voglio infatti continuare il giro di Palmira per poi dirigermi
verso la Cittadella, costruzione fortificata a pochi chilometri
dal centro.
La sosta al camping, compresa la cena di ieri e la mancia,
mi costa quasi 20 euro.
Prendo il camper e mi sposto verso le rovine di Palmira.
È possibile visitare quasi tutto il sito a bordo
del proprio veicolo. Il percorso, comunque, è più
adatto ai fuoristrada. I numerosi sassi al suolo mi fanno
desistere, così parcheggio il camper e scatto qualche
foto.
Ci sono molti turisti, tra cui italiani, per la maggior
parte individuali. Scambio impressioni con una coppia di
lombardi che si fermeranno a Palmira per un paio di giorni:
loro ritengono che, salvo avere una particolare passione
per la storia antica, Palmira si può visitare piacevolmente
in un solo giorno. Sto maturando l’idea di andarmene
prima di pranzo. Ma non posso lasciare Palmira e la Siria
senza acquistare un qualche souvenir. Per 15 euro compro
due discreti tappeti siriani fatti a macchina ma rifiniti
a mano. Me li vende un ragazzino che sembra abbastanza sveglio,
parla l’inglese e ama viaggiare: sta risparmiando
per andare in viaggio in Turchia. Gli mostro sulle carte
stradali il mio percorso dall’Italia alla Siria, via
terra, e gli auguro di realizzare i suoi sogni di viaggiatore.
È giunto il momento di rimettermi in viaggio, dato
che intendo raggiungere la Giordania in serata. Forse arriverò
nei pressi di Amman prima che faccia notte. Ma non voglio
lasciare Palmira senza visitare la fortezza. A bordo del
camper percorro la ripida salita e i tornanti. Parcheggio
in prossimità della fortezza, che purtroppo è
chiusa: non si sa per quale motivo, ma apre alle 12. Posso
però godere di un ottimo panorama e scattare ancora
delle foto interessanti.
Sulla strada per Damasco c’è poco traffico.
Arrivato alla capitale siriana, tuttavia, il flusso di auto
diviene molto intenso e disordinato. Le indicazioni per
la Giordania sembrano contraddittorie: cerco la giusta direzione
per Der’a, punto di frontiera dal quale vorrei uscire
(e che ho specificato nella domanda per il visto). I nomi
arabi delle città, in Siria, vengono indicati in
diversi modi. Forse perché sono scritti secondo la
pronuncia a volte francese e a volte inglese. Der’a
viene anche indicata con Dar’ah o Der’ah. Quando
vedo le indicazioni per Derra, penso male di seguirle e
mi ritrovo a viaggiare nella direzione sbagliata, verso
il Libano. Tornare indietro e trovare il giusto svincolo
per Der’a non è per niente facile: sull’autostrada
ci sono lavori in corso e le indicazioni provvisorie sono
incomprensibili. Perdo inutilmente più di un’ora
nella zona di Damasco. Intanto è già pomeriggio
e ho saltato il pranzo. Mentre procedo verso Sud, il caldo
aumenta. Gli autobus che mi sorpassano, a velocità
impensabili, a volte perdono grandi quantità d’acqua.
Più avanti li ritrovo fermi a bordo strada, con l’autista
che cerca di ovviare all’ebollizione del motore che
ha determinato l’esplosione dei manicotti del radiatore
e la conseguente perdita dell’acqua di raffreddamento.
I passeggeri, non potendo sopportare il caldo all’interno,
aprono i vani portabagagli e ci si siedono, riparandosi
dal sole sotto i portelloni spalancati.
Convinto che in Giordania troverò la benzina un po’
più cara, faccio l’ultimo pieno in Siria, come
sempre, a circa 40 centesimi al litro.
Anche dopo essere entrato a Der’a,
non mi è facile trovare la frontiera per la Giordania.
È assurdo, ma anche se si tratta di un importante
punto di confine non ci sono indicazioni per raggiungerlo.
Dopo aver chiesto consiglio alla gente per strada, scopro
che stavo ovviamente andando nella direzione opposta. Il
lato siriano della frontiera è preso d’assalto
da veicoli con targa dell’Arabia Saudita (KSA) e degli
Emirati Arabi Uniti (UAE). I passeggeri, prevalentemente
maschi, sono tutti vestiti con la tipica tunica araba (compresi
i giovani). Il primissimo passo, dopo il controllo del veicolo
che tipicamente precede l’ingresso nelle aree doganali,
è la timbratura dell’uscita dalla Siria.
Un funzionario deve sostanzialmente annotare, accanto al
timbro di ingresso nel passaporto, il fatto che sto uscendo
in data odierna da questo punto di frontiera. Inoltre mi
deve essere dato un foglietto che poi dovrò consegnare
al check point prima di lasciare definitivamente la Siria.
Sembra cosa semplice, ma il funzionario dice che non ho
bisogno di alcun foglio per uscire dalla Siria. Chiedo al
poliziotto che sta all’esterno (addetto alle indicazioni),
il quale ribadisce il contrario. Torno dal funzionario,
che insiste sul fatto che essendo europeo non mi occorre
il foglietto.
I passeggeri arabi, invece, acquistano e compilano il famoso
foglietto. C’è da dire che prima di parlare
col funzionario mi tocca a fare ogni volta una fila in cui
vengo ripetutamente scavalcato dai signori arabi con la
barba lunga. Loro, avendo la barba, hanno tradizionalmente
la precedenza. Dopo una mezz’ora riesco a ottenere
il famoso foglietto, che costa 12 dollari oppure 500 sterline
siriane in contanti. Pago il dovuto non senza lamentarmi:
chiedo per quale motivo devo pagare 12 dollari per un foglietto
d’uscita. Il funzionario, perplesso, alza le spalle.
Le altre persone mi guardano stupite. Sto iniziando a pensare
che qui sia normale pagare qualche piccola tassa per poter
passare. Fortunatamente, osservando il talloncino del foglio
di uscita, leggo “500 S.P.” che è appunto
il prezzo richiestomi, e mi sto zitto. Per un pelo evito
una figuraccia. Mi sposto dunque verso l’ufficio per
le pratiche automobilistiche. Attendo quasi mezz’ora
prima che un funzionario si degni di timbrarmi il Carnet
de Passages. Anche qui a Der’a, così come ad
A'zaz, gli uffici doganali sono quasi fatiscenti. Riesco
a uscire dalla Siria senza aver pagato neanche un dollaro
di mancia presso le varie frontiere.
L’altro lato della frontiera fa capo
alla cittadina giordana di Ramitha, che dista alcuni chilometri
dalla Siria. Praticamente, dopo le pratiche siriane, si
guida per parecchi minuti in una striscia di “terra
di nessuno”, delimitata da filo spinato. Seguendo
i cartelli mi ritrovo in quello che per il mio camper è
un vicolo cieco: limite d’altezza di 2 metri. Devo
fare retromarcia alla grande. Il primo militare giordano
che mi ferma è interessato solo a conoscere la mia
nazionalità. Il successivo passo è l’incontro
con la “polizia turistica”: un giovane che parla
benissimo l’inglese mi spiega gentilmente le procedure
burocratiche e ne approfitta per interrogarmi circa il mio
itinerario. Anche se la Giordania ha firmato la pace con
Israele negli anni ’90, continuo con il bluff sull’itinerario:
dico che sono diretto ad Aqaba per prendere il traghetto
per l’Egitto. Non è vero: in realtà
sono diretto in Egitto via Israele, e non appena arrivato
ad Aqaba chiederò il visto egiziano per potermi recare
ad Eilat (Israele) e da lì a Taba (Egitto). Le solite
domande sul perché non viaggio con la mia famiglia,
sull’attività lavorativa che svolgo in Italia
e, soprattutto, sui luoghi nei quali intendo pernottare
in Giordania. Sfodero l’elenco dei punti sosta di
cui ho preso nota: Olive Branch Resort presso Jerash, Ammarin
Bedouin Camp presso Petra e Bedouin Village in zona Aqaba.
I giordani conoscono bene i camper e quindi, nonostante
io non abbia i voucher degli alberghi, capiscono che non
avrebbe avuto senso per me prenotare i punti sosta. Dunque
non fanno ulteriori verifiche e si accontentano di prendere
nota del punto del primo pernotto: Olive Branch Resort di
Jerash, dove intendo recarmi al più presto.
L’area doganale di Ramitha è molto più
moderna di quelle che ho visto in Siria. Ottengo rapidamente
il visto d’ingresso al prezzo di circa 10 euro, non
prima di essermi fatto fotografare. Per l’importazione
dei veicolo devo fare la coda in diversi sportelli: polizia,
assicurazione, dogana. Avendo il Carnet de Passages dell’ACI
(internazionalmente riconosciuto), l’ingresso del
veicolo non mi viene annotato sul passaporto e risparmio
un po’ di tempo. Però devo comunque pagare
la tassa di importazione di circa 20 euro.
Tutti i pagamenti vengono fatti in dinari giordani, preventivamente
acquistati allo sportello di cambio prima di iniziare le
varie procedure burocratiche.
Dopo un paio d’ore, completate le procedure, passo
all’ufficio della polizia turistica. Il giovane poliziotto,
che mi aveva precedentemente spiegato l’iter burocratico
per l’ingresso, mi dà il benvenuto in Giordania
e mi rifornisce di una caterva di opuscoli sulle varie località
di interesse turistico della regione.
Gli ricordo che dopo una breve sosta a Jerash
(dove vorrei arrivare prima di cena) e una a Petra, proseguirò
velocemente per Aqaba e quindi entrerò in Egitto.
Nonostante ciò, il tipo continua a rifornirmi del
materiale informativo più vario e a darmi il benvenuto
in Giordania. Devo osservare che più mi spingo verso
il cuore del Medioriente, più i personaggi che incontro
sono cordiali. Una iniziale, brevissima, diffidenza (che
scompare non appena scoprono la mia nazionalità),
lascia subito spazio al più totale compiacimento:
i popoli mediorientali mi sembrano molto contenti di essere
visitati da turisti occidentali. Incontrare un turista indipendente,
che viaggia senza organizzazione, è un evento raro.
Il fatto di viaggiare senza “scorta” di guide
più o meno ufficiali rende molto più facile
l’avvicinamento da parte dei locali, che possono così
placare la loro curiosità facendo le più semplici
domande.
All’imbrunire, lascio l’area frontaliera e passo
per il centro di Ramitha. La cittadina sembra un paesino
del Sud Italia durante la festa patronale: addobbi luminosi,
gente per strada, banchetti che vendono ogni sorta di cibo.
Le strade sono molto migliori di quelle siriane. Raggiungere
Jerash non dovrebbe essere difficile: basterebbe procedere
verso Amman. Comunque, per sicurezza, mi fermo a bordo strada
e chiedo conferma a un signore. Con mio stupore il tipo
parla bene l’inglese. Appena scopre che sono italiano
mi prende in simpatia. Quando gli dico che sono arrivato
fin qui guidando mi fa i complimenti. Poi viene attorniato
da un gruppo di bambini i quali parlano tutti l’inglese
e iniziano a chiedermi da dove vengo e cose simili. Anche
se Ramitha è una cittadina di frontiera, non sembra
che da qui passino frequentemente degli occidentali.
Ho l’impressione di essere stato, per
queste persone, l’evento del giorno. La direzione
per Amman va benissimo per andare a Jerash. Imbocco l’autostrada
con le sue terribili pendenze e mi porto, in meno di un’ora,
all’ingresso di Jerash. Ho l’indirizzo del Olive
Branch Resort, un hotel che avrebbe un’area adibita
al campeggio. Lo cerco per un po’ senza successo.
Mi parcheggio davanti a un posto di polizia e chiedo indicazioni.
Enorme sorpresa quando scopro che sono affianco all’ingresso
dell’Olive Branch. Sorpresa ancora più grande
quando vengo invitato dal capo della polizia a prendere
il tè. Dopo le solite domande tipo “da dove
vieni”, “qual è il motivo del tuo viaggio
e dove sei diretto”, ecc, si passa a parlare della
mia sistemazione per la notte: mi viene proposto di pernottare
nel parcheggio dei diplomatici in cui già sostano
altri camperisti europei, che si trova nell’altro
lato della strada. In seguito alla registrazione dei miei
dati personali e di quelli del camper, mi posso considerare
“ospite” della polizia di Jerash (in pratica
non pago un centesimo).
Quando entro nel parcheggio, noto che i 15
camper hanno tutti targa italiana. Gli equipaggi, che prendono
il fresco all’aperto, sono abbastanza stupiti nel
vedermi arrivare. Appena parcheggio, vengo avvicinato da
un signore che mi fa notare come l’area fosse stata
riservata e che mi chiede se per caso devono arrivare altri
camperisti. Gli rispondo che sono stato invitato dalla polizia
a sostare nell’area riservata e che non credo ci siano
molti altri camper nei paraggi. Francamente, essendo un
camperista solitario in cerca di un punto sosta di notte
e nel cuore del Medioriente, mi sarei aspettato un’accoglienza
diversa dai colleghi camperisti connazionali. Nonostante
un mal di stomaco che mi tormenta da qualche ora (sto maledicendo
la cena di ieri al camping di Palmira), mi faccio una doccia
e mi cucino una mega porzione di pennette al tonno. La notte
dormo molto bene.
km oggi: 464 totali: 4263
venerdì, 7
agosto 2009
Il parcheggio è davanti a una strada molto trafficata.
La fortuna è che essendoci un posto di polizia di
fronte, gli automobilisti rallentano e non fanno troppe
cavolate. In poche parole non fanno casino, e quindi si
dorme bene.
Il mal di stomaco non mi dà tregua, ma sono deciso
a visitare il sito turistico di Jerash. Per cui, dopo la
mia classica colazione, prendo un’adeguata dose di
farmaci e mi lancio alla scoperta di Jerash. Il parcheggio
è a ridosso del sito e il mio camper si trova a pochi
passi dalla biglietteria. Ne approfitto per rabboccare l’acqua
del serbatoio, che da queste parti non manca mai, e poi
vado a fare il biglietto. Mentre visito le rovine, oltre
al gruppo dei camperisti (guidato dal TURIT), incontro vari
altri connazionali. Nei commenti sul mio itinerario domina
la linea di pensiero secondo la quale sto compiendo una
vera pazzia. Sono ormai abituato a tali considerazioni,
ma non mi stanco di ribadire che il mio itinerario è
assolutamente fattibile (dovrebbe esserlo almeno fino ad
Aqaba) a condizione di avere i documenti in regola.
Resti di Jerash
Prima di pranzo sono sull’autostrada
per Amman. Al primo distributore di benzina giordano in
cui faccio il pieno mi stupisco del prezzo: circa 40 centesimi
al litro, come in Siria.
Il problema è però la qualità della
benzina: negli ultimi rifornimenti ho messo Verde a 90 ottani.
Il motore rende poco e mette in moto con fatica. Per evitare
problemi dovrei mettere benzina con almeno 95 ottani, che
però non è sempre disponibile. Proseguo verso
Sud, in un clima sempre più caldo ma sempre meno
umido. Mi fermo presso un’area di servizio in cui
acquisto dell’acqua minerale.
Le bottiglie hanno tutte il tappo sigillato con il PVC e
costano una fortuna. Pranzo in camper e poi continuo verso
Petra, dove arrivo nel pomeriggio. Mi sistemo nel parcheggio
presso l’ingresso principale. Per poter sostare con
il camper durante la notte devo pagare il parcheggio per
48 ore (circa 4 euro).
Il fondo è sconnesso e in forte pendenza,
ma non posso lamentarmi dato che mi trovo a pochi passi
dalla “Città Rosa” e dal centro di Petra.
Nel parcheggio c’è un veicolo italiano: un
bel fuoristrada con tetto a soffietto. L’equipaggio
è una coppia di genovesi in pensione e il loro cane.
Sono partiti alcune settimane fa, si sono imbarcati per
la Turchia e hanno fatto un bel giro in Siria e Giordania.
Il signor Emilio, ha decenni di esperienza in viaggi intercontinentali:
tra i vari paesi che ha visitato in auto ci sono Iraq, Iran
e Afghanistan.
Poi è passato ai viaggi in camper. Attualmente sta
collaudando un mezzo fatto fare su misura: un fuoristrada-camper.
Il veicolo è stato allestito in Francia e consiste
in una cellula abitativa in vetroresina con tetto a soffietto
montata sulla meccanica con cabina di un 4x4.
La cabina è in comunicazione con la
cellula (come in un autocaravan tradizionale), la quale
non è “scarrabile”, ma è fissata
al pianale della meccanica. L’allestimento è
completo di un locale toilette indipendente dotato anche
di piatto doccia. Il signor Emilio mi mostra le caratteristiche
del suo mezzo, ma non può fare a meno di citare un
problema appena occorso: uno dei pistoni del tetto a soffietto
ha ceduto. Il tetto è attualmente tenuto sollevato
da un travetto in legno. Non bello per un mezzo che è
costato un sacco di soldi.
Saluto l’equipaggio genovese, acquisto un biglietto
per 2 giorni e inizio subito la visita del sito di Petra.
Nel percorso che scende verso la Città Rosa, cammellieri,
bambini che vendono souvenir e mercanti vari si sprecano.
Petra, sentiero nel canyon
Evitando abilmente tali seccatori e camminando
speditamente mi basta meno di mezz’ora per raggiungere
il famoso teatro nella roccia, che ha reso celebre il sito
di Petra. Del mio mal di pancia non c’è più
traccia: essendo durato meno di 24 ore potrebbe essere stato
causato da un semplice sbalzo termico e non dal cibo di
Palmira.
Petra, il teatro nella roccia
Faccio fotografie, acquisto souvenir e bevo
una bibita (sigillata, ovviamente) presso un chiosco che
si trova proprio davanti al Teatro.
Torno al camper e mi faccio una doccia. Poco dopo, nel parcheggio,
incontro l’equipaggio di fuoristradisti di Mantova
che mi avevano sorpassato in Turchia e che avevano pernottato
al camping di Palmira. Hanno deciso di dormire in un albergo
a 4 stelle, scoprendo con piacere che il prezzo è
veramente concorrenziale e che il cibo è ottimo.
La notte dormo molto bene, grazie anche alla temperatura
che cala.
km oggi: 275 totali: 4538
sabato, 8 agosto 2009
Mi sveglio ripensando a quanto mi veniva detto da varie
persone prima di partire: “Tu pensi che ti facciano
parcheggiare e dormire nel camper davanti all’ingresso
di Petra?”. Faccio colazione, scendo dal camper e
in un paio di minuti sono già in cammino nel canyon
della Città Rosa. Supero il Teatro e continuo a camminare
verso gli antichi resti. Ovunque mi giri vedo colonne, facciate
e capitelli vari scolpiti nella roccia. Un caldo asciutto
mi suggerisce di alternare brevi passeggiate a soste in
luoghi ombreggiati. Per arrivare al secondo punto principale
di Petra mancano più di due chilometri. Rinuncio
all’impresa e torno all’ingresso, dove compro
e spedisco un paio di cartoline. Quindi faccio ritorno al
camper e parto per Aqaba.
Percorro una parte della “Kings Way”
(la strada dei re) che attraversa interessanti panorami
montuosi. Prima di arrivare ad Aqaba c’è un
tratto di deserto giordano… quello con la sabbia,
per intendersi. Qui vedo alcuni beduini (autentici) che
viaggiano a dorso dei loro cammelli. Aqaba si presenta come
una cittadina modernissima. La viabilità e la segnaletica
sono ottime. Guidare sarebbe un piacere se non ci fosse
così caldo. Visto che sono le 14 e che non ho ancora
pranzato, mi fermo presso un fast food di una nota catena.
Dentro ci sono circa 20 °C in meno rispetto all’esterno,
ma mi adatto presto e mangio a volontà. I clienti
e le cameriere sono tutti vestiti all’occidentale.
Ad Aqaba ci si sente quasi come in una città occidentale.
Sarà per via del turismo o per la vicinanza con Israele
(con cui peraltro la Giordania è in ottimi rapporti,
almeno in teoria). La cosa strana è che a pochi chilometri
c’è il confine con l’Arabia Saudita,
un paese islamico molto integralista.
Prima di parcheggiarmi in un campeggio voglio
individuare il consolato egiziano in cui domani, domenica,
chiederò il visto per entrare in Egitto via Israele.
Il consolato è chiuso il venerdì e il sabato.
Grazie alla mappa di Aqaba della Lonely Planet, non è
difficile individuarlo. Chiedo conferma al guardiano sulla
possibilità di ottenere il visto per l’Egitto
domani, e lui mi risponde che lo potrò ottenere in
giornata senza problemi.
Vado verso il “Garden Village”, dove sarebbe
possibile, secondo quanto ho letto da qualche parte su Internet,
campeggiare con il camper. Si trova a Sud di Aqaba, molto
vicino al confine con l’Arabia Saudita.
Quando arrivo al campeggio sono circa le 16. Concordo il
prezzo della sosta con il proprietario (meno di 3 euro a
notte) e faccio conversazione con alcuni italiani che si
trovano lì in vacanza. Fa caldissimo: riesco a malapena
a tirar fuori una sedia pieghevole dal camper e a sistemarmi
all’ombra dietro la coda, prima di crollare sull’orlo
del collasso. Rimango un quarto d’ora immobile per
recuperare le forze.
Il campeggio Garden Village, tra Aqaba e l’Arabia
Saudita
Quando il sole inizia a calare mi faccio
coraggio e vado in spiaggia, accompagnato da una ragazza
italiana. Faccio così un tuffo nelle calde acque
del Mar Rosso.
Torno al campeggio e chiedo ai gestori se è possibile
usare la lavatrice. Questi dicono che al bucato pensano
loro e che costa 1 euro al kg. A parte che la lavatrice
è in condizioni pietose, il prezzo è quantomeno
disonesto. Rinuncio al bucato, facendo capire ai signori
che cosa penso della loro politica dei prezzi. Riempio due
taniche d’acqua e me ne torno al camper per farmi
la doccia.
Loro fanno gli offesi e poi vengono a propormi di fare il
bucato gratis. Col cavolo che faccio il bucato qui, lo farò
al camping del Cairo.
Gli servirà di lezione per la prossima volta che
vorranno fare i furbi. Dopo la doccia, prima del tramonto,
mi stravacco affianco al camper sulla sedia da campeggio
per ammirare il panorama del golfo di Aqaba dalla riva giordana:
davanti a me il Sinai egiziano, a destra la città
israeliana di Eilat, a sinistra l’Arabia Saudita.
4 paesi incasinatissimi nel raggio di pochi chilometri.
Un traghetto della Arab Bridge Marittime fa la spola tra
Aqaba e Nuweiba (Egitto).
Quel traghetto sarebbe stata la soluzione più semplice
per andare in Egitto. Troppo semplice per me: domani tenterò
di entrare in Egitto attraverso Israele, in cui transiterò
per alcuni chilometri.
Un signore italiano di Varese, avendo notato il mio camper
targato “VA”, si avvicina e attacca discorso.
Sta facendo una vacanza di un mese con la famiglia in Siria
e Giordania, si sposta con i mezzi pubblici e gestisce l’itinerario
senza supporto di alcun tour operator.
Il vento bollente che si alza all’imbrunire e che
spazza il golfo di Aqaba non porta fresco, anzi, disturba
il sonno perché fa dondolare il camper per tutta
la notte.
km oggi: 151 totali: 4689
domenica, 9 agosto
2009
Adrenalina alle stelle: al 10° giorno
di viaggio sto per scoprire se potrò raggiungere
la meta finale della mia spedizione, cioè l’Egitto.
Intorno alle 8 mi metto in viaggio verso il centro di Aqaba,
dove si trova il consolato egiziano, per chiedere il visto
per l’Egitto. La fila davanti all’ingresso del
consolato è notevole: decine di (presumo) lavoratori
egiziani, numerosissimi ad Aqaba, attendono di entrare.
Probabilmente devono regolarizzare dei documenti. Tutti
quelli che entrano si devono registrare all’ingresso.
Fortunatamente un militare mi fa saltare la fila, forse
perché ha intuito che sono lì per chiedere
un visto turistico.
La sala d’attesa del consolato è in pessime
condizioni igieniche. Due condizionatori vecchissimi sparano
aria ghiacciata. Una quindicina di egiziani si accalcano
presso lo sportello dove due funzionari (un uomo e una donna)
provvedono a stampare, timbrare, firmare scartoffie varie.
Chiedo notizie sull’ottenimento del visto; la funzionaria,
sorridente, mi fa un gesto che da noi sta per “Che
cavolo vuoi?”. Fortunatamente mi torna in mente quanto
letto su qualche guida turistica: quel gesto per gli egiziani
significa “Aspetta un minuto”. Effettivamente
poco dopo mi viene dato il modulo per la richiesta del visto,
che compilo e consegno ai funzionari. Il visto costa circa
12 euro.
L’unico altro straniero presente in
sala d’attesa è uno studente brasiliano che
vive in Israele, con cui mi metto a parlare. Sta facendo
un giro in Medioriente e vorrebbe andare in Egitto con il
traghetto. Gli spiego che non ha bisogno del visto perché,
a differenza della frontiera terrestre di Taba (per dove
passerò io), al porto di Nuweiba fanno tranquillamente
i visti turistici. Lui vuole fare comunque il visto per
scrupolo. Per contraccambiare, mi mette in guardia sui casini
che mi faranno gli Israeliani al valico di Arava quando
vedranno il timbro siriano sul mio passaporto.
La scena più bella è quella delle 10:30, quando
entra una signora molto ben vestita. Dietro di lei, un codazzo
di egiziani che sventolano i loro documenti mentre fanno
a gara per farsi ascoltare. La signora, che con tutta probabilità
è la console, si ferma davanti alla porta dell’ufficio,
si gira e si mette a urlare, ricacciando indietro gli egiziani
spaventati.
Poco dopo le 11, a meno di due ore dalla richiesta, ritiro
il mio passaporto con il visto egiziano e parto per il confine
israeliano. Do un passaggio a Ramos, il brasiliano, fino
al quartier generale della AB Maritime che si trova all’ingresso
di Aqaba. Infatti, penso erroneamente che la strada per
Israele sia all’esterno di Aqaba (dentro Aqaba non
ho trovato alcuna indicazione né per Israele né
per Eilat). Dopo un’ora persa a girare intorno alla
città, mi faccio dare le indicazioni precise da alcuni
passanti e riesco a raggiungere la frontiera.
Prima di accedere all’area frontaliera vengo fermato
dai militari giordani. Vogliono controllare il camper e
sono abbastanza nervosi. Mi chiedono dove sono diretto:
“Egitto: vado a Taba via Eilat”, rispondo. Rimangono
a bocca aperta: non dev’essere frequente per loro
vedere un turista occidentale che guida dalla Giordania
all’Egitto via Israele. La rotta “normale”
prevede infatti l’imbarco sul traghetto Aqaba-Nuweiba.
Capisco anche che questa è una zona molto delicata.
Siamo a poche centinaia di metri da Eilat, città
che è stata oggetto di vari attentati terroristici.
Immagino anche che, nonostante Israele e la Giordania abbiano
fatto pace da 15 anni, gli israeliani siano molto pignoli
nei controlli ed esigano la stessa scrupolosità dalla
loro controparte. Dopo aver rovistato praticamente tutto
il camper, i soldati si tranquillizzano e mi fanno passare.
Il valico Aqaba-Arava, sul lato giordano, consiste in un
paio di corsie strette tra due schiere di uffici. La prima
cosa che faccio prima di scendere dal camper e intraprendere
l’iter di uscita dalla Giordania è raccogliere
tutti i documenti (miei e del camper). Me li porto appresso
perché so per esperienza che è sempre meglio
averli tutti a portata di mano. Nel primo ufficio pago la
tassa d’uscita personale di 5 euro e ottengo il timbro.
Sventolo i documenti del veicolo sottolineando che devo
sdoganare pure quello, ma l’impiegata mi manda all’ufficio
successivo. Nell’ufficio seguente mi mandano ancora
avanti, e via così per una decina di tentativi.
Nel piazzale davanti agli uffici, dei signori smontano dalle
loro grosse auto le targhe giordane e montano quelle israeliane:
si tratta di cittadini israeliani che tornano in patria
dopo un viaggio in Giordania. Per loro, all’uscita
da Israele, è obbligatorio sostituire la targa con
una giordana (e fare il viceversa al rientro), probabilmente
per motivi di pubblica sicurezza facilmente intuibili.
C’è un gruppo di giovani stile “zaino
in spalla” che sono scesi da un autobus e che vanno
in Israele. Per loro le procedure sono più semplici,
ma comunque richiedono pazienza. Scherzo con un tipo tedesco
sul gran casino che c’è in questo posto: in
Europa non abbiamo di questi problemi quando ci spostiamo
da un paese all’altro. Intanto tengo sempre il Carnet
de Passages in mano, pensando che la vista del documento
possa illuminare le menti di qualche funzionario. Macché,
devo tornare al primo ufficio e rivolgermi all’impiegata
(già pronta a mandarmi via) con decisione: “Devo
uscire da questo paese a bordo del mio veicolo!”.
Interviene un altro funzionario, che strappa il timbro di
mano alla collega e che mi compila il Carnet de Passages.
Mi vengono chiesti 10 euro, ma erroneamente: infatti ne
dovrei pagare solo 5 per il veicolo (i 5 euro personali
gli ho pagati prima). Per fortuna riesco a dimostrare il
pagamento precedente, avendo già avuto il timbro
personale sul passaporto. Un ultimo controllo del passaporto
e poi posso finalmente uscire dal Regno Ascemita di Giordania.
Israele si presenta con un grande cartellone che mostra
una colomba bianca su sfondo azzurro e la scritta “PACE”
in 3 lingue: ebraico, inglese, arabo. Tutto attorno, tanto
filo spinato.
Mi viene incontro un ragazzo che sarebbe
vestito normalmente, se non fosse per la mitragliatrice
da guerra che porta a tracolla. Qualcuno direbbe che non
c’è da preoccuparsi, visto che lui fa parte
dei “buoni”. A chi la pensa così, io
rispondo che quando la gente ti si presenta davanti in quel
modo, può anche essere buona, ma è pur sempre
in assetto da guerra. Il tipo, prima di avvicinarsi al camper,
mi fa la decenza di appoggiare il fucile da qualche parte.
Comincia l’interrogatorio: il controllo del passaporto,
le domande sul viaggio e sul bagaglio trasportato. Il militare
controlla anche l’interno del camper.
Penso di essermela cavata con i controlli sul camper, ma
il bello deve ancora venire. Mi fanno fermare vicino alle
auto che provengono dalla Giordania, da cui i passeggeri
stanno scaricando tutti i bagagli. Una ragazza di istanza
alla frontiera, con la naturalezza con cui si direbbe “ma
guarda un po’ che bella giornata”, mi ordina
di scaricare dal camper tutto ciò che non fa parte
della dotazione di bordo. Le rispondo chiedendole se ha
idea di tutto quello che devo portar fuori. “Capisco”,
risponde, “Ma purtroppo questa è la procedura.
Non si preoccupi. Le forniamo sacchi di plastica e carrelli
e la aiutiamo a scaricare.”.
Penso che la tipa, così come il gruppo
di ragazzini/e che si sono nel frattempo avvicinati al camper,
non hanno idea di cosa li attende. Alle 13, sotto il sole,
iniziano le procedure di scarico del camper: tutto il contenuto
viene messo in sacchetti di plastica e portato, su dei carrelli
tipo quelli aeroportuali, all’interno di una sala
con lo scanner a raggi X. Solo un camperista può
immaginare cosa tutto c’è dentro un camper,
specie quando si fa un viaggio di più settimane:
vestiti, cibo, prodotti vari (detergenti, detersivi, lubrificanti),
attrezzi, materiali, pezzi di ricambio, materiale cartaceo
vario (libri, cartine, guide turistiche). Mi fanno togliere
e passare ai raggi X anche i tappeti della cellula perché
“non fanno parte della dotazione di bordo”.
Mentre rimuovo tutti gli oggetti dal camper, i ragazzi della
frontiera li caricano sui carrelli e li portano dentro una
grossa tenda in cui ci sono il metal detector e lo scanner
a raggi X.
Potevano degnarsi di mettere un tendone o una qualche copertura
anche sopra la corsia degli autoveicoli (come fanno in Giordania
e in Siria), così almeno mi sarei evitato di lavorare
sotto il sole cocente. Per fortuna che una gentile ragazza
israeliana mi porta, ogni 15 minuti, un bicchiere d’acqua
fresca. Dopo circa un’ora termino la procedura di
scarico e procedo con quella di controllo del bagaglio.
Domande su domande circa l’utilità degli strumenti
che porto con me (ho due pesanti cassette degli attrezzi):
spiego che il camper è in generale un mezzo complesso,
che il mio ha 17 anni, e che sto facendo un viaggio intercontinentale.
Per cui cerco solo di essere pronto a fronteggiare eventuali
guasti e inconvenienti.
Ho una racchetta elettrica anti-zanzare. Sembra che in Israele
non ne abbiano mai vista una: l’annusano sentendo
odore di bruciato e si allarmano. Poi è il momento
del mio cellulare da polso, che io ritengo un oggetto molto
comodo (anzi, non capisco com’è che non si
sia ancora diffuso): i tipi partono con le domande sulle
funzionalità e finalmente si danno una tranquillizzata,
iniziando a anche a scherzare.
A questo punto, con tutta la mia roba ammucchiata
sui carrelli, manco fossi uno sfollato, vado a chiedere
il timbro d’ingresso israeliano (praticamente un visto
immediato). Allo sportello c’è una bella ragazza
in divisa militare, sui 25 anni, pelle scura, che dall’aspetto
potrebbe essere sarda o siciliana. Sfoglia velocemente il
passaporto e trova, come mi aspettavo, il timbro siriano.
“Di dov’è questo timbro?”, chiede.
Le rispondo che forse è turco… oppure siriano.
Il fatto è che in quella pagina ci sono timbri di
ingressi e uscite da diversi paesi: c’è anche
un timbro degli Stati Uniti di quando ero ancora studente.
Il suo bel visino diventa ancora più nero, come a
rimproverarmi, spalanca gli occhi e mi chiede per quanto
tempo sono rimasto in Siria. “Il tempo di attraversarla
per andare dalla Turchia alla Giordania.”, le rispondo.
Poi sparisce per qualche minuto col mio passaporto, probabilmente
per consultarsi con un superiore, e infine ritorna e mi
dà il timbro d’ingresso.
Il camper, vuoto, viene preso in custodia
da due doganieri, che lo portano in un punto dove io non
posso vederlo. Dicono che devono fare dei controlli di sicurezza.
La soldatessa del passaporto si siede sotto il gazebo all’esterno
degli uffici, e si fuma una sigaretta. E’ proprio
una gran gnocca, ma cercare di attaccare discorso è
una pessima idea, dato che non riesco neanche ad incrociare
il suo sguardo. Non dev’essere molto felice di trascorrere
una giornata estiva in frontiera anziché in spiaggia.
Visto che la bella soldatessa non mi da corda, vado allo
sportello bancario per acquistare un po’ di Shekels
(moneta locale). Gli Shekels mi serviranno alla prossima
frontiera (che dista solo pochi chilometri da qui), per
poter pagare la tassa d’uscita dell’equivalente
di 20 euro.
Quando i doganieri tornano dal controllo sicurezza, riportandomi
il camper, sono a dir poco entusiasti. Di certo non hanno
trovato tracce di materiale esplosivo, e forse anche per
questo sono più tranquilli. Mi fanno i complimenti
per il veicolo e per la bella vita che si fa in camper.
“Non avete i camper in Israele?” chiedo. “Ce
ne sono pochissimi”, rispondono, “A differenza
dell’Italia, in cui si può viaggiare parecchio,
Israele è piccolo e si gira velocemente. Per cui
ci si arrangia con la tenda per stare fuori pochi giorni”.
Sono a un passo dal fare una pessima figura. Sto infatti
per chiedere se non valga la pena, anche per gli Israeliani,
di fare un giro come quello che sto facendo io: Siria, Giordania,
Egitto.
Per fortuna che mi viene in mente la situazione
geopolitica corrente: Siria e Libano per gli Israeliani
sono offlimits; l’ingresso in Giordania richiede particolari
accorgimenti; l’Egitto, a parte il Sinai, è
per i temerari; per non parlare di Iran, Arabia Saudita,
ecc. Mi evito una figuraccia.
Prima di ricaricare i bagagli nel camper, vengo invitato
nell’ufficio doganale per espletare le formalità
di importazione (molto) temporanea del veicolo. Mi chiedono
la patente internazionale, la Carta Verde, la carta di circolazione:
dovendo annotare gli estremi di tutti questi documenti,
compreso il numero di motore (non menzionato sulla carta
di circolazione italiana), vogliono visionare anche il Carnet
de Passages, che riporta esplicitamente il numero di motore.
Il Carnet non viene timbrato, in quanto in Israele è
sufficiente l’annotazione dell’importazione
del veicolo nel passaporto.
Il foglio che ottengo in dogana è
in pratica una carta di circolazione israeliana (scritta
in ebraico), che scade alla mezzanotte di oggi: questo perché
ho spiegato che sono diretto alla frontiera con l’Egitto,
che dista soltanto pochi chilometri, e che raggiungerò
presto.
Rimonto sul camper insieme ai bagagli e ai sacchi di plastica
pieni di oggetti e suppellettili (che non svuoto per mancanza
di tempo). Percorro il lungomare di Eilat, ancora addobbato
con le insegne per il 60° anniversario della fondazione
di Israele. Lo attraverso rapidamente, mentre sgranocchio
quello che dovrebbe essere il pranzo… La frontiera
con l’Egitto, il valico Eilat-Taba, si trova davanti
al mare sopra una scogliera. Il terminal automobilistico
è pieno di auto lasciate in sosta dagli israeliani
che proseguono per Taba a piedi, per evitare le solite rogne
dei documenti per il veicolo.
Parcheggio il camper e vado a informarmi sulle procedure
d’uscita da Israele. Sotto il portico antistante li
uffici doganali, dei vaporizzatori spruzzano goccioline
d’acqua per umidificare l’aria secca e renderla
più respirabile. Pago la tassa d’uscita di
circa 20 euro, ottengo il timbro e riconsegno la carta di
circolazione alla dogana. Una funzionaria israeliana mi
fa notare: “Per entrare in Egitto con il veicolo ti
occorre il triptick, o, come lo chiamate voi in Europa,
il Carnet de Passages.
Noi non lo controlliamo perché non
è compito nostro, ma sappi che gli egiziani lo esigono”.
Rispondo che ho tutti i documenti in regola. Passo al lato
egiziano, dove i funzionari, prima di farmi proseguire,
mi chiedono per 4 volte se ho il Carnet de Passages. Glielo
devo mostrare per convincerli. Il primo passo è il
controllo del veicolo: salgono a bordo due funzionari e
si mettono a rovistare dappertutto, anche dentro le cassette
degli attrezzi. Si squagliano dal caldo per qualche minuto,
poi desistono. Devo osservare che hanno fatto molta attenzione
a non disordinare, rimettendo a posto tutto ciò che
spostavano. Prima di farmi continuare con le procedure,
chiamano il capo della polizia locale per fagli ammirare
l’interno del camper, mostrandogli specialmente il
bagno e il frigorifero. Ma il controllo sicurezza non finisce
qui: devo scaricare dal camper almeno i bagagli più
ingombranti (borsone, zaini vari) e portarli in una piccola
sala per sottoporli ai raggi X.
Dentro la sala c’è un signore
israeliano, che si accinge a entrare in Egitto in auto con
la moglie, il quale allunga un mazzo di banconote (sembrano
dollari) a un funzionario egiziano. Penso che se riuscirò
a superare tutte le frontiere mediorientali senza cacciare
neanche un dollaro di mancia mi potrò definire un
caso anomalo di turista fai-da-te. Al terminal passeggeri
compilo il modulo d’ingresso e mi faccio timbrare
il visto sul passaporto. Poi torno a prendere il camper
e lo parcheggio davanti alla dogana egiziana, che secondo
alcune voci sarebbe la più complicata del mondo.
Mi precedono soltanto due auto di turisti israeliani, una
in ingresso e una in uscita. Per lo meno non c’è
ressa. L’edificio, nonostante la frontiera sia stata
inaugurata solo negli anni ‘80, versa in condizioni
mediocri (almeno internamente) e non è dei più
accoglienti.
I funzionari egiziani, però, sono
molto gentili e mi spiegano in perfetto inglese la procedura
che devo seguire per portare il camper in Egitto. Devo andare,
nell’ordine, nei seguenti uffici: dogana (custom),
assicurazione (insurance), polizia (traffic). Facile a dirsi,
ma al primo ufficio il doganiere mi chiede 3 fotocopie di:
pagina del Carnet de Passages in cui verrà annotato
l’ingresso in Egitto, prime 2 pagine del passaporto,
pagina del passaporto con visto d’ingresso, fronte
e retro della carta di circolazione italiana. Negli uffici
del terminal non è presente alcuna fotocopiatrice,
così il doganiere mi suggerisce di andare alla reception
del Taba Hilton Hotel e chiedere la cortesia di farmi le
fotocopie. Esco dall’area doganale dopo vari controlli
e affronto i 3 checkpoint per l’ingresso al Taba Hilton.
L’Hotel fu semidistrutto qualche anno fa da un grave
attentato terroristico, e attualmente è soggetto
a severe misure di sicurezza.
Alla reception mi vengono fatte subito le fotocopie, e,
nonostante la mia insistenza, la mancia non viene accettata.
Alla dogana, oltre a portare le fotocopie, devo pagare una
tassa d’importazione temporanea di circa 70 euro.
L’assicurazione mi costa invece quasi 75 euro. La
quota per il noleggio delle targhe egiziane è di
circa 6 euro. E sì, perché in Egitto è
veramente obbligatorio reimmatricolare il proprio veicolo,
qualunque sia la nazionalità: le targhe egiziane
non possono essere tenute semplicemente dietro al parabrezza,
ma devono essere montate sopra quelle originali.
Un funzionario egiziano ricalca il numero
di telaio del camper con carta e matita. Io sono invece
alle prese con il fil di ferro per cercare di montare le
targhe egiziane. Il funzionario mi mostra la procedura tradizionale:
si svitano le viti superiori della targa originale e ci
si monta quella egiziana sopra. Poco importa se, non coincidendo
i fori di quella egiziana con quella italiana, quest’ultima
viene arricchita di uno o due buchi in più. La procedura
che ho appena portato a termine, costata poco più
di 150 euro, mi permetterebbe di circolare in Egitto per
3 mesi. Peccato che me ne dovrò andare molto prima.
Mentre lascio Taba vengo fermato da un signore che chiede
il pagamento di qualcosa; sto per ripartire scambiandolo
per un venditore di souvenir, quando vedo che effettivamente
c’è un cartello che riporta il prezzo della
tassa d’uscita dall’area di Taba (che è
una zona speciale, una sorta di porto franco). La tassa
costa circa 15 euro (veicolo + 1 passeggero).
Poco dopo vengo fermato a un posto di blocco, dove i militari
mi chiedono sia i documenti personali che le scartoffie
doganali del camper.
Faccio attraversare la strada a un cammello, e poi mi lancio
verso quelle che dovrebbero essere le famigerate strade
egiziane: dissestate, trafficate e pericolose. Per il momento,
la strada che porta verso Nuweiba è ottima e deserta.
Il panorama, fino a che fa buio, è molto suggestivo:
il mare a sinistra, sotto le scogliere, e i rilievi del
Sinai a destra. C’è un posto di blocco ogni
20 km. I poliziotti/militari controllano scrupolosamente
tutti i documenti, ma sono assolutamente gentili e disponibili
a fornire indicazioni. Dopo Nuweiba la strada devia verso
l’interno del Sinai. Si sale di quota e la temperatura
scende piacevolmente. Mi fermo una mezz’ora a mangiare,
nei pressi di un posto di blocco, e poi riparto a razzo
sulla strada che attraversa queste magnifiche montagne,
di cui posso ammirare almeno le forme grazie alla luce della
luna.
L’asfalto è ottimo e le curve sono ben disegnate
e quindi rimango quasi sempre in quarta, sugli 80 km/h.
Questa velocità mi consente di raggiungere il villaggio
di Santa Caterina a un orario decente, cioè prima
delle 23. Non è difficile trovare il Fox Camp: si
trova sulla strada principale ed è segnalato. Il
camping è discretamente animato da turisti europei
e non. Pago il park per 1 notte (poco più di 2 euro)
e mi metto a conversare con due ragazze francesi che stanno
girando la zona da sole. Sono state in Israele, ma non si
sono trovate bene e così hanno ripiegato in Egitto
e vorrebbero spingersi fino al Cairo, dopo un bel giro del
Sinai.
Me ne vado a dormire rifiutando la proposta di gita delle
francesi, che all’una di notte si metteranno in cammino
verso la cima del Monte Sinai, accompagnate da una guida.
Il loro obiettivo è, chiaramente, quello di vedere
l’alba sul Monte Sinai. Il mio, invece, è quello
di riposare il più possibile, dopo aver guidato su
3 nazioni attraverso 2 frontiere difficili.
km oggi: 272 totali: 4961
lunedì, 10 agosto
2009
Prima che inizi a fare troppo caldo, mi
dedico al rifornimento d’acqua. Dal “Fox Camp”
si intravede il Monte Sinai.
Il campeggio “Fox Camp”, presso il Monte
Sinai.
Il campeggio si rivela un’ottima sistemazione,
in quanto si trova sulla strada tra il centro del villaggio
di Santa Caterina e il Monastero, che dista meno di un chilometro:
mi pento di esserci arrivato col camper, in quanto devo
trovare un buco di parcheggio tra le decine di autobus turistici.
Un bambino egiziano mi chiede, di malo modo, un dollaro
(“dammi un dollaro”) perché dice che
ho fotografato il suo cammello. Io in realtà ho fotografato
lo sfondo, peggio per lui che mi ha messo il cammello davanti.
Questo è un tipico caso di comportamento maleducato
da parte di locali, dovuto all’approfittarsi dei turisti
sprovveduti. Non è la prima volta che mi trovo in
una situazione simile, ma non ci farò mai l’abitudine.
Il piccolo delinquente se ne va non appena capisce che l’unica
cosa che può ottenere in quel modo è una pedata.
Il Monastero di Santa Caterina è invaso dai turisti,
prevalentemente russi e dell’Europa dell’Est.
A causa della ressa è veramente faticoso districarsi
tra i vialetti del complesso monasteriale. All’interno
degli stretti edifici è ancora peggio. Comunque è
molto interessante visitare un monastero cristiano nel bel
mezzo di un paese islamico.
Sinai, Monastero di Santa Caterina
Dopo la visita al complesso del monastero,
vado a fare un giro nel villaggio di Santa Caterina. Ho
bisogno di acquistare acqua e cibo, prelevare contanti al
bancomat e fare benzina. Lo sportello bancomat c’è
ed è funzionante. Nessun problema neanche per il
cibo, grazie alla presenza di molti mini-market. Impossibile
però fare rifornimento di benzina normale: al distributore
del villaggio hanno solo diesel e super a 80 ottani, che
il benzinaio mi sconsiglia vivamente. Parto quindi per il
Cairo, fermandomi a fare il pieno in un distributore 20
km più avanti.
Qui scopro con sorpresa che il prezzo della benzina è
molto inferiore a quello che avevo letto sulla guida turistica.
La Lonely Planet parla di 5 sterline egiziane, invece il
prezzo alla pompa è di appena 1,9 sterline (intorno
ai 20 centesimi di euro). Probabilmente questo è
il prezzo nel Sinai: temo che oltre Suez spenderò
di più. I bambini del benzinaio danno una pulita
al camper.
Non ho capito come hanno fatto, visto che
gli stracci usati erano molto più sporchi della carrozzeria.
Ad ogni modo, si sono meritati un dollaro di “backsheesh”
(mancia). Costeggio il Sinai diretto a Nord-Ovest, verso
il Canale di Suez. Per via del caldo afoso, decido di pranzare
in ristorante. Adocchio un locale che si presenta bene e
mi ci fermo: davanti ci sono dei fuoristrada di un tour
operator. All’interno, una ventina di ragazze olandesi,
in arrivo dal Cairo e dirette nel Sinai. Il cibo del locale
è abbondante e molto buono: insalata fresca, carne
e salse varie mi costano 6 euro. Posso continuare, a stomaco
pieno, sulla strada per il Cairo, che è ancora lunga,
seguendo le indicazioni per il tunnel del Canale di Suez.
Nel pomeriggio arrivo a un casello: è qui che si
paga il pedaggio per il tunnel (circa 50 centesimi).
Ingresso del tunnel che passa sotto al Canale di Suez,
tra Asia e Africa
Il tunnel si attraversa in un paio di minuti.
Dall’altra parte nessuna novità: la stessa
strada in mezzo al deserto, lo stesso sole, gli stessi colori…
Dimenticavo: Hello Africa! Alle 15:00, ho infatti lasciato
l’Asia alle spalle del tunnel. Sono quindi riuscito
a raggiungere l’Africa in 10 giorni (9 giorni e 23
ore, per l’esattezza), dall’Italia, senza prendere
nessun traghetto, percorrendo una lunga striscia d’asfalto
che, su 9 paesi stranieri, mi sta portando dritto alle Piramidi
di Giza.
Buona parte della strada verso il Cairo è in costruzione
o in ammodernamento. Alcuni operai fanno gesti strani agli
automobilisti: chiedono acqua. Purtroppo non faccio in tempo
a fermarmi. Il traffico si intensifica e diventa ben presto
impossibile mantenere una guida tranquilla: potrei stare
nella corsia più a destra, ma i mezzi lenti che si
immettono dalle strade laterali mi obbligano a continui
sorpassi. Sorpassare con il camper richiede impegno, specialmente
quando il motore è sottodimensionato come il mio
2000 a benzina.
Più mi avvicino al Cairo e più
mi rendo conto di come non conosco assolutamente la strada
per il campeggio “Salma Motel”, dove vorrei
fermarmi per almeno due notti. L’idea originale è
di seguire le indicazioni per El Giza, quartiere in cui
si trovano le piramidi, in quanto il camping sarebbe ad
Harraniyya, frazione di El Giza.È un’idea molto
stupida, ma naturalmente ignoro la portata della metropoli
che mi accingo ad attraversare. L’unica cosa intelligente
che faccio nell’avvicinarmi al Cairo è prendere
la “Ring Road”, cioè la tangenziale a
5 corsie. All’inizio sembra facile, poi il traffico
si intensifica fino a trasformare la guida in un’impresa
demenziale: le linee delle corsie non vengono rispettate
dagli egiziani. Si viaggia quasi sempre in 6 o 7 file parallele,
quando non si incontrano i “colli di
bottiglia”, cioè la corsia più a destra
occupata da autobus, taxi collettivi e auto varie intente
a caricare pendolari e autostoppisti.
La seconda corsia a destra è inevitabilmente
intasata da altri veicoli che cercano di parcheggiare o
che hanno appena caricato i passeggeri e tentano di immettersi
nella bolgia. Sorpassi a destra e slalom, conditi da un
uso a dir poco improprio del clacson, sono la norma. Lo
smog si mischia al fumo dei rifiuti che bruciano un po’
ovunque. La polvere entra nel camper e rende il volante
e il cambio appiccicosi. Sullo sfondo, i sobborghi del Cairo
(una delle metropoli più grandi del mondo), con i
palazzoni tutti dello stesso colore marrone, contrastano
con il verde della vegetazione e l’acqua dei canali.
Siccome non ho idea dell’uscita che dovrei prendere
per raggiungere El Giza, chiedo informazioni alla polizia
in un posto di blocco: mi dicono che mancano circa 20 uscite
(decine di chilometri). Sto iniziando a perdere le speranze
di poter fare qualche foto alle piramidi prima che faccia
buio.
Al tramonto le Piramidi di Giza fanno capolino dal parapetto
della Ring Road, ma sono ancora molto distanti. Questo mi
dà speranza, ma purtroppo basta un attimo di distrazione
per sbagliare strada: a una biforcazione della Ring Road
vado verso l’esterno ed esco dal percorso principale.
Mi ritrovo totalmente fuori rotta, visto che non ho una
mappa dettagliata e neanche un GPS. Chiedere informazioni
non serve a molto. In un incrocio, un po’ per la fretta
e un po’ per distrazione, imbocco uno svincolo contro
mano. Vengo immediatamente bloccato da un poliziotto che
mi rimprovera pesantemente. Mi chiede i documenti, specialmente
la patente. Io prendo tempo perché so che se mi sequestrano
la patente sono cavoli amari.
Faccio finta di non capire e gli mostro il
passaporto. Vengo “scortato” alla caserma di
Traffic Police che si trova poco distante. “Ridicolo”,
penso, “dopo 10 anni di patente prenderò la
mia prima multa al Cairo”. E invece, dopo avermi fatto
un mini-corso su come usare gli svincoli, i poliziotti mi
fanno girare il camper e mi salutano senza prendermi neanche
i dati. Mi riporto sulla Ring Road e, alla fine, decido
di infilarmi all’interno del Cairo. Non è possibile
descrivere il caos che mi circonda. Probabilmente è
l’ora di punta per la popolazione locale. Per un po’
seguo il flusso, poi chiedo informazioni. La direzione è
quella giusta, ma devo percorrere dei chilometri a passo
d’uomo. Caldo afoso, aria irrespirabile, rumore di
clacson, su e giù col pedale della frizione per almeno
un’ora. La stanchezza mi fa compiere un errore di
manovra: sfioro uno spartitraffico rigando la fascia laterale
sinistra del camper.È arrivato ormai il momento di
fare la cosa più sensata del giorno: cercare un taxi
e farmi guidare fino al camping.
Un tassista, per pochi euro, mi scorta fino
alla strada in cui si troverebbe il camping: “Saqqara
Road”. Per arrivarci ripassiamo per la Ring Road.
In pratica, per andare ad Harraniyya, non conviene seguire
le indicazioni per Giza ma bisogna prendere l’uscita
per Saqqara. In questo modo ci si ritrova in prossimità
del camping. Ma non basta: sono quasi le 23 e sto ancora
cercando il camping, che in Saqqara Road. non c’è.
Chiedo informazioni ai poliziotti di guardia presso l’Hotel
Cataract, che molto gentilmente chiamano un signore dipendente
dell’albergo per aiutarmi. Il signore conosce bene
il motel-camping, noto come “Salma Camp” e mi
fa strada con la sua auto. Sono molto contento di aver trovato
l’ingresso del camping, ma la zona sembra molto degradata:
spazzatura dappertutto, edifici fatiscenti e un canale di
acqua stagnante a pochi metri.
Ma l’ingresso al camping rivela un luogo
curatissimo, con alberi, aiuole e piazzole molto spaziose.
Il parcheggio del camper costa 25 sterline egiziane a notte
(3 euro). Sono compresi i servizi, l’acqua e la corrente.
Il campeggio è gestito dalla famiglia del sig. Salma
Said Moussa. Samer, figlio del sig. Salma, mi da il benvenuto
dicendomi che sono l’unico ospite. Il villaggio, che
comprende un piccolo motel, si sviluppa attorno alla bellissima
villa della famiglia Said Moussa.
Doccia, cena, e poi vado a cercare di dormire. Sono stanchissimo
ma non riesco ad addormentarmi: il camper è pieno
di zanzare perché non ho le zanzariere alle finestre.
Gli insetticidi a spirale che ho messo all’esterno,
nulla possono contro le zanzare del Cairo. Ogni tanto vengo
svegliato dai clacson dei camion che per tutta la notte
sfrecciano nella vicina Ring Road.
km oggi: 549 totali: 5510
martedì, 11
agosto 2009
Alla luce del sole posso constatare che il campeggio è
veramente ben curato e ben attrezzato.È possibile
anche fare il bucato (pagando un piccolo extra): se ne occupa
la madre di Samer, che prende in carica tutti i miei vestiti
da lavare.
Il campeggio “Salma Camp” a Giza-Haranya
Mi metto in viaggio, a bordo del camper, verso le Piramidi
che si intravedono già dal campeggio. Secondo quanto
mi hanno detto al camping, non dovrebbe essere difficile
arrivarci. Inizialmente le indicazioni sono chiare, ma una
volta entrato nell’area urbana scompaiono. In realtà
i cartelli ci sarebbero anche, ma sono sporchi di smog (quando
non sono coperti da adesivi pubblicitari), e quindi illeggibili.
Il solito girotondo in cerca di informazioni presso alcuni
passanti, poi finalmente trovo la giusta strada verso la
Piana di Giza.
Entro all’interno del parcheggio, dove scendo dal
camper e faccio qualche foto con la Piramide di Cheope sullo
sfondo.
Giza, finalmente alle Piramidi
Missione compiuta. Da Pisa a Giza su strada,
dalla Torre alle Piramidi totalmente via terra.
A questo punto non mi rimane che rilassarmi e fare il turista
per qualche ora. Cerco di entrare con il camper all’interno
del complesso delle piramidi, così come fanno gli
autobus e i taxi, ma purtroppo la polizia non mi fa passare.
Parcheggio all’esterno del complesso, in un’area
gestita da un privato. Lì incontro una guida che
mi offre un giro in calesse di 45 minuti per una ventina
di euro (prezzo abbastanza elevato). Faccio un bel giro
in calesse nella Piana di Giza, fotografo le Piramidi, la
Sfinge e mi faccio fotografare dalla guida. Tutto va benissimo
finché non arriva un ragazzo che cerca di convincermi
a salire sul cammello per farmi fotografare. La cosa che
mi fa perdere la pazienza è che ci si mette pure
la guida a insistere. Prima di prendere tutti e due a parolacce,
lancio uno sguardo alla guida, che recepisce subito il seguente
messaggio: “sto per chiamare uno dei venti poliziotti
nel raggio di 50 metri, così vi prendete tutti e
due un’ammonizione, io me ne vado per i cavoli miei
e tu (guida) non vedi un soldo”. Tutto sistemato.
Si continua, in calesse, verso le vie strette di El Giza
dove, la mia guida, caccia via i venditori di souvenir “non
convenzionati” e mi porta da quelli di sua conoscenza.
Visito un interessantissimo negozio a più piani che
espone una bella collezione di papiri dipinti a mano. Veri
o falsi che siano, non mi interessano: acquisto solo delle
piccole piramidi. Per tornare al camper il calesse attraversa
una zona, adiacente alle piramidi, poco carina: polvere
e rifiuti dappertutto. In una strada si viaggia su un tappeto
di rifiuti. Chiedo alla guida come mai a pochi passi dalla
Piramide di Cheope possa esserci una simile miseria. La
guida mi risponde che qui sono tutti benestanti, grazie
al turismo: tutti hanno un’attività, casa di
proprietà e auto. Ho appena fatto una pessima figura.
Passeggiata in calesse per le vie di El Giza
Giza, scambio culturale Torre – Piramide
Pago il parcheggio (6 euro per 2 ore, è
ovvio che qui si arricchiscono!) e me ne torno al camping
tutto soddisfatto.
Siccome la cucina del motel è chiusa e non ho voglia
di cucinare, Samer mi consiglia di ordinare una pizza. Chiama
col suo cellulare e mi passa la centralinista, che parla
un ottimo inglese. L’unico problema è scegliere
la pizza: oltre alle varietà di condimenti e dimensioni,
ci sono le tipologie di spessore e le farciture della crosta.
Alla fine ottengo una margherita di medio spessore con la
crosta farcita al formaggio. Nel mentre Samer si gode la
scena ridicola di un italiano che non riesce a ordinare
una pizza. Nel pomeriggio decido di andare verso il centro
del Cairo: prima di lasciare la capitale egiziana vorrei
visitare almeno il Museo Egizio. Prendo uno dei taxi in
sosta davanti all’Hotel Cataract, che si trova a pochi
minuti dal camping. Il tassista, al volante di una versione
moderna della Fiat Regata, fortunatamente parla bene l’inglese.
Ci accordiamo per un prezzo di 12 euro, compreso il ritorno.
Il tassista si fida e non mi chiede il pagamento anticipato.
Il Museo Egizio è, come ci sarebbe da aspettarsi,
pieno di turisti. Scendono da decine di autobus turistici
per un’immancabile tappa del loro pacchetto “all
inclusive”. Io invece, arrivo per conto mio, con la
Lonely Planet in mano e il cappellino da esploratore in
testa, sotto gli occhi vigili di decine dei poliziotti in
assetto da guerra.
Il Museo Egizio è vastissimo. Un visitatore
documentato e interessato potrebbe metterci anche più
giorni per visionare i migliaia di reperti che popolano
le enormi sale. Io, purtroppo, non mi intendo di archeologia,
né di storia (antica o contemporanea che sia), per
cui ho difficoltà a resistere per troppo tempo. Dopo
un’ora, le pietre e le mummie cominciano ad annoiarmi
e quindi lascio il museo (peraltro in chiusura). Faccio
una breve passeggiata e vado all’appuntamento con
il tassista, che mi riporta ad Harraniyya. Prima di tornare
al campeggio faccio tappa all’hotel Cataract, dove
per la modica cifra di 5 euro acquisto un’ora di navigazione
in Internet. Aggiorno il mio stato su Facebook e il thread
su camperonline.it relativo alla mia spedizione. Mentre
torno al campeggio, incontro Samer che mi dà un passaggio
in auto. Al campeggio iniziamo una lunga conversazione:
Samer è un pilota di aerei e sta studiando per il
rinnovo della licenza. Gli racconto che anche io sono una
specie di pilota (molto dilettante): ho un attestato di
volo da diporto, scaduto da due anni, che vorrei rinnovare.
La conversazione, che si sposta presto sul mio itinerario
di viaggio, non può che andare a parare verso scottanti
temi di politica internazionale. Si tratta di quei discorsi
che ai turisti viene formalmente sconsigliato di intavolare.
Ma se avessi seguito quei consigli, non sarei qui, per cui
prendo parte a un’elegante discussione di carattere
squisitamente mediorientale. Ritiro il bucato e saluto Samer
e la famiglia, dato che domani partirò presto.
km oggi: 22 totali: 5532
mercoledì,
12 agosto 2009
Sveglia presto: oggi sarà una lunga giornata. Devo
assolutamente arrivare in Israele entro sera, perché
domani ho l’appuntamento con lo spedizioniere al porto
di Ashdod, vicino a Tel Aviv. Purtroppo è necessario
consegnare allo spedizioniere i documenti doganali del camper
entro 3 giorni dall’imbarco sulla nave (previsto per
il 16 agosto). I documenti doganali vengono compilati al
momento dell’ingresso in Israele. Ecco perché
non ho scelta, e devo partire al più presto. Mi dispiace
dover lasciare l’Egitto così presto, ma il
raid deve continuare. Il punto di ingresso in Israele sarà
la frontiera Taba-Eilat, la stessa del viaggio di andata,
ma la strada è diversa: devo attraversare il Sinai
da Nord. Non c’è molto da sbagliare: c’è
una sola strada che va da Suez a Taba. Ring Road, Tunnel
sotto il canale di Suez, Sinai. Prima di iniziare la strada
che non conosco, faccio il pieno di benzina.
Vengo fermato a un posto di blocco della
polizia, dove un poliziotto mi chiede dell’acqua.
Ovviamente offro una bottiglia di minerale che ho in frigo.
Intanto inizia un tratto di strada sottoposto a pesanti
lavori di rifacimento. Una deviazione mi costringe per ore
e ore su un tratto sterrato, dal fondo pessimo (di quelli
da fare a 30 all’ora). Di aree di servizio neanche
l’ombra. Gli addetti ai lavori stradali cercano di
fermare gli automobilisti per farsi offrire dell’acqua.
Questi operai (tutti giovanissimi), non sono autosufficienti
con le scorte idriche, forse perché stanno fuori
tutto il giorno e l’acqua che si portano non gli basta.
Quindi contano sul buon senso degli autisti di passaggio.
Nel Sinai orientale la situazione stradale migliora. Posso
viaggiare a 100 all’ora.
Finalmente, da dietro le montagne, spuntano
il Mar Rosso e il Golfo di Aqaba. Prima di entrare a Taba,
come c’era da aspettarsi, i militari mi bloccano per
un controllo del camper e di tutti i documenti. Alla dogana
ci sono gli stessi funzionari dell’andata, che si
ricordano di me e mi chiedono com’è andato
il soggiorno al Cairo. Pago la tassa d’uscita (pochi
centesimi), la dogana (3 euro) e la revoca della carta di
circolazione (60 centesimi). Devo lasciare circa 50 centesimi
di “mancia” perché il doganiere non ha
il resto. C’è un equipaggio di camperisti tedeschi
con un bellissimo camper 4x4 (mi sembra un Unimog) nuovo.
Stanno entrando in Egitto e hanno appena ritirato le targhe
egiziane. Il funzionario mi chiede di spiegare loro come
montare la targhe egiziane facendo i buchi aggiuntivi. Il
tedesco capisce subito, ma non sembra molto contento di
dover sforacchiare il suo camper fiammante. Il funzionario
egiziano prende il calco del numero di telaio del mio camper
con carta e matita (come aveva fatto all’ingresso),
e poi mi lascia andare. Sul lato egiziano me la sono sbrigata
velocemente. Ma la parte più impegnativa è
quella israeliana, e temo che mi faranno smontare il camper
per la seconda volta.
Le domande alla frontiera israeliana sono
sempre le stesse: “Qual è il motivo del suo
viaggio in Israele?” “Trasporta armi o oggetti
che possono essere scambiati per armi?” “Qualcuno
le ha dato qualcosa da portare in Israele?” Naturalmente
le mie risposte sono sempre negative. Cerco di sembrare
collaborativo, ma a fatica trattengo una risata. I giovani
(prevalentemente ragazze), di istanza alla frontiera, si
affollano attorno al camper e vogliono sapere il vero motivo
del mio viaggio. Rispetto alla frontiera con la Giordania,
qui l’atmosfera è più rilassata probabilmente
per il maggior flusso turistico. Tuttavia, l’interrogatorio
dura non meno di un quarto d’ora. Le domande vanno
dai dettagli sull’itinerario fino alla mia attività
lavorativa in Italia. Al momento del controllo bagagli mi
faccio furbo: dichiaro che buona parte di quello che c’è
nel gavone di coda fa parte dell’equipaggiamento del
camper. In questo modo non sono tenuto a svuotare il gavone.
Riesco anche a tenere a bordo le cassette
degli attrezzi, che vengono rapidamente visionate senza
rimuoverle. Prima di darmi il visto di ingresso, una solerte
funzionaria chiama l’ufficiale (anche lei donna) per
mostrarle il timbro siriano del mio passaporto e chiedere
come procedere. L’ufficiale sembra si lamenti di essere
stata disturbata per una stronzata del genere, e se ne va
sbuffando. Io me ne vado, quindi, con il mio nuovo visto
israeliano sul passaporto. Alla dogana ottengo una nuova
carta di circolazione, ma ho bisogno di parecchio tempo.
Il funzionario sembra incerto, nonostante io abbia riconsegnato
la carta di circolazione del precedente ingresso proprio
in questo ufficio qualche giorno fa. Vuole ricontrollare
tutti i documenti, compresa la Carta Verde, di cui non riesce
a capire qual è il numero seriale. Poi c’è
il solito problema del numero di motore, che non compare
nella carta di circolazione italiana e va quindi letto dal
Carnet de Passages, e una serie di domande fuori luogo tipo
“dov’è la data di scadenza della carta
di circolazione italiana?”.
Ho l’impressione che mi vogliano far
perdere tempo, ma non ho fretta. Innanzitutto considero
che il traffico automobilistico dall’Egitto a Israele
è praticamente inesistente. I turisti viaggiano quasi
solo in auto, e sembra che i TIR non passino proprio. Quindi,
il caso di un viaggiatore in camper deve essere proprio
un evento anomalo. Ad ogni modo, la mia giornata finirà
qui ad Eilat, dove cercherò un campeggio per trascorrere
la notte. Nella guida “I Timoni” c’è
un utilissimo recapito: un villaggio turistico di fronte
al mare, tra il confine egiziano e il centro di Eilat. Il
villaggio, che si trova sul lato sinistro della strada provenendo
dall’Egitto, si chiama “PMNI Field Study Center”.
È una via di mezzo tra un hotel e un campeggio: ci
sono le camere, il ristorante e una vasta area adibita a
campeggio. Per una notte di sosta pago circa 15 euro.
Il ristorante del villaggio stasera è
chiuso e io non ho voglia di cucinare. Mi faccio una doccia,
mi vesto in maniera decente e decido di mangiare fuori.
Gli altri campeggiatori sono tutti attrezzati con tende,
tavolini e fornelli portatili. Nella piazzola affianco alla
mia c’è un tipo israeliano, che ascolta musica
israeliana e mangia tramezzini: una specie di invasato.
Gli chiedo se conosce qualche struttura di ristorazione
nei paraggi, ma non parla una parola d’inglese. Mi
dirigo verso il centro di Eilat, a piedi, senza una meta
precisa. Ho fortuna, perché a pochi minuti dal campeggio
c’è una specie di “locale beduino”
all’aperto. Il ristorantino consiste principalmentein
una serie di divanetti e tavolini bassi sistemati di fronte
al mare, ed è frequentato da giovani. È gestito
da un signore egiziano che ha vissuto a Perugia. Suo figlio
piccolo si occupa di arrostire il kebab nel barbecue.
Spaparanzato in un divano, aspetto la carne con insalata,
e osservo il Mar Rosso. L’aroma delle shisha (pipe
ad acqua) è fortissimo, nonostante il vento che soffia.
Lo stesso vento caldo che soffiava qualche giorno fa ad
Aqaba. La cittadina giordana è ora qualche chilometro
davanti a me, accanto all’Arabia Saudita di cui posso
vedere chiaramente le luci. Dopo la cena che è ottima
ed economica (10 euro), torno al campeggio per una lunga
dormita. km oggi: 447 totali: 5979
giovedì, 13
agosto 2009
Oggi è l’ultimo giorno utile per contattare
lo spedizioniere del porto di Ashdod (da cui tra 3 giorni
prenderò la nave), quindi non posso perdere troppo
tempo. Nel pomeriggio, inoltre, vorrei arrivare a Gerusalemme
per fare una passeggiata per il centro. Domani continuerò
la visita della città e cercherò di proseguire
per Betlemme, in Cisgiordania. Le strade israeliane sono
eccellenti. Il viaggio fino ad Ashdod però è
faticoso sia per il caldo che per il traffico. La parte
più impegnativa è quella che passa tra il
deserto del Negev e il Mar Morto. La strada sale sulle montagne
e si restringe. Causa traffico mi occorre del tempo per
poter sorpassare un TIR che trasporta un carro armato e
che procede lentissimo.
Raggiunto il porto di Ashdod non è difficile trovare
l’agenzia di spedizione. In realtà, prima di
contattare lo spedizioniere, Interdel, devo presentarmi
presso l’agenzia convenzionata con Grimaldi, cioè
Allalouf. Sia Allalouf che Interdel mi avvisano che il giorno
dell’imbarco vorranno essere pagati in dollari: rispettivamente
75$ e 250$. (Sia chiaro che, prima di partire dall’Italia,
ho pagato alla Grimaldi quasi 1200 euro per il biglietto
della nave). Ad Ashdod non potrò pagare con altre
valute o con carta di credito. Me ne vado incredulo: dovrò
procurarmi oltre 300$ per colpa di questi che sono rimasti
ai tempi degli antichi romani.
Verso la città vecchia di Gerusalemme
La strada per Gerusalemme passa attraverso
zone boscose e montagnose. Si sale e si scende di parecchie
centinaia di metri.
All’ingresso della città il traffico è
pazzesco. Nelle salite, in cui si procede a passo d’uomo,
c’è puzza di frizione che brucia. Tante auto
accostano, evidentemente in surriscaldamento. Anche il mio
camper rischia l’ebollizione. Dentro Gerusalemme,
invece, si circola molto bene. Il mio obiettivo è
raggiungere il Museo Israeliano, nel cui parcheggio sarebbe
possibile sostare con il camper. Il Museo si trova nella
zona della Knesset (Parlamento Israeliano), e non è
difficile trovarlo. Purtroppo è in chiusura, così
devo rimandare la visita a domani. Chiedo a un guardiano
se è possibile (e consigliabile) pernottare nel parcheggio.
Nessun problema: si può sostare e la zona è
costantemente sorvegliata. Ne approfitto per la consueta
doccia e per cenare con calma. Nel parcheggio del Museo
Israeliano si dorme benissimo perché nelle strade
adiacenti non c’è traffico.
km oggi: 424 totali: 6403
venerdì, 14
agosto 2009
Gerusalemme è una delle tappe principali del mio
viaggio. Non so quasi niente di questa città, ma
penso che passeggiare nel centro storico sarà comunque
interessante. Rimando la visita del Museo Israeliano a più
tardi e mi avvio verso la città vecchia, che si trova
all’interno delle mura. Prima di iniziare il giro
turistico cerco un posto per cambiare i soldi: devo acquistare
dei dollari per poter pagare gli intermediari del porto
di Ashdod. Nelle stradine della città vecchia, le
botteghe sono già aperte. Pochi i turisti, ma i mercanti
arabi fanno di tutto per attirarli dentro i loro negozi.
Tento inutilmente di accedere alla spianata delle moschee:
i militari israeliani non mi fanno passare, probabilmente
perché oggi è venerdì ed è l’ora
della preghiera. Continuando a passeggiare, vengo fermato
da un signore che mi propone di salire nel terrazzo dell’ostello
di un qualche paese europeo per poter fotografare la città
dall’alto. L’idea è buona, ma mi aspetto
di trovare all’interno almeno uno spaccio di souvenir.
E invece l’ingresso è totalmente gratuito.
Posso fare tutte le foto che voglio dal terrazzo, da cui
si vede il centro storico di Gerusalemme: moschee e minareti,
chiese cattoliche e ortodosse, sinagoghe, nel raggio di
poche decine di metri.
Vista di Gerusalemme
Passeggiando per la Via Dolorosa e zone limitrofe
incontro moltissimi turisti italiani. Nessuno di loro è
stato a Betlemme o in Cisgiordania, e nessuno ha intenzione
di andarci. Sulla strada per il Museo Israeliano faccio
tappa presso una stazione di polizia, per chiedere se potrò
recarmi in Cisgiordania (Territori Palestinesi) con il camper.
Mi viene detto, come se fosse la cosa più naturale
del mondo, che ovviamente posso entrare e circolare liberamente.
Basta avere il passaporto e la patente.
Una parte del Museo Israeliano è chiusa per ristrutturazione.
Le restanti sezioni, invero, non le trovo molto attraenti.
Riguardano prevalentemente la storia di Israele vista da
chi ha costruito la nazione, cioè i coloni di varie
epoche. Oggettistica di vario tipo, dai giocattoli all’abbigliamento.
Tantissime fotografie che descrivono la vita quotidiana
degli israeliani di ieri e di avantieri, e direi anche di
oggi, visto che il fattore comune a molte scene sono le
armi. Niente di interessante per il turista europeo medio:
i contenuti oscuri, quasi esoterici, peraltro senza un apparente
filo logico tra loro, danno alle sale un aspetto grottesco.
Sto cominciando a pentirmi della scelta di visitare il museo.
Avrei fatto meglio a fare una passeggiata da qualche parte,
o ad anticipare il trasferimento a Betlemme. Decido così,
prima di pranzo, di acquistare dei tramezzini e una macedonia
da mettere in frigo e mi dirigo verso Betlemme. La cittadina
dista pochi chilometri: è praticamente adiacente
a Gerusalemme.
Seguendo le indicazioni arrivo davanti a quello
che in questa zona dovrebbe essere il principale valico
verso i Territori Palestinesi. Per attraversare il cosiddetto
“muro della vergogna” bisogna fermarsi a un
checkpoint della polizia israeliana. Davanti a me ci sono
dei palestinesi (probabilmente lavoratori transfrontalieri)
che passano mostrando semplicemente il loro documento al
poliziotto che sta in un gabbiotto di vetro blindato. Quando
arriva il mio turno faccio anch’io così e mostro
il passaporto. Il poliziotto rimane 10 secondi immobile,
si guarda attorno. Probabilmente non crede a quello che
vede. Poi fa cenno di avvicinarmi, controlla il passaporto
e mi dice che non posso passare con il veicolo, ma soltanto
a piedi. Domando se questa è una direttiva generale
o se riguarda solo questo checkpoint, cioè se è
possibile entrare con il camper da qualche altro valico.
Risponde che non ne ha idea. Faccio inversione e ritorno
sulla strada per Gerusalemme. Ma non mi arrendo. Chiedo
informazioni a un palestinese che aspetta l’autobus.
In particolare vorrei sapere qual è il più
vicino valico alternativo. Vengo a sapere che quello di
Beit Jayla è a pochi minuti: basta seguire il muro
per arrivarci. Mi metto dunque in marcia verso Beit Jayla.
Passo accanto a un checkpoint israeliano in cui vengono
controllate la auto che viaggiano in senso opposto. Questa
è una fortuna… oppure no: dipende dai punti
di vista. Potrebbe non essere una bella cosa, perché
se per qualche motivo dovrò tornare indietro sarò
costretto a passare da lì e mi potrebbero fare delle
storie.
Carta alla mano, parcheggio e chiedo chiarimenti
ad alcuni palestinesi fermi a bordo strada. Uno parla benissimo
l’inglese e dice (parole testuali): “Betlemme?
Hai fatto benissimo a fermarti qui. Puoi mettere via la
cartina perché non ti servirà a niente. Devi
sapere che gli ebrei e i musulmani hanno appena fatto un
casino da queste parti: hanno chiuso vecchie strade e costruito
nuove. Per andare a Betlemme devi girare a sinistra. Fai
50 metri e sei in Palestina!” (e mi indica un piccolo
incrocio da cui non mi sarei mai sognato di passare). “Niente
checkpoint… né israeliani né palestinesi.
Lì nessuno ti ferma.”.
Questa è un’ottima cosa… oppure no, dipende
da che prospettiva si guarda alla situazione. Un’agenzia
di viaggio sconsiglierebbe di entrare in Cisgiordania in
questo modo. Per la Farnesina starei facendo una grande
cavolata: il sito del Min. degli Esteri a luglio 2009 sconsigliava
fortemente ai connazionali di recarsi in qualunque zona
dei Territori Palestinesi.
Beit Jayla, valico non presidiato tra Israele e i Territori
Palestinesi
Ad ogni modo, il cartello che segna il confine
tra Israele e la Cisgiordania, vieta l’ingresso solo
agli israeliani. Quindi non vedo perché rinunciare
a un giro turistico di Betlemme. Faccio circa 100 metri
e vengo fermato dai poliziotti palestinesi. Tutti giovanissimi
e armatissimi, quando vengono a sapere che sono italiano
si rallegrano. Dopo l’immancabile controllo del passaporto
e dell’interno del camper mi indicano come raggiungere
la Basilica della Natività. La strada è piena
di tornanti, salite e discese attraverso le colline su cui
sorge Betlemme e il suo hinterland. Buche, dossi artificiali
non segnalati e carenza di segnaletica rendono la guida
un incubo. L’accesso alla piazza della Basilica della
Natività è interdetto ai veicoli perché
oggi è festa. Parcheggio nell’area dei taxi,
di fronte al park multipiano (dove sostano i bus turistici)
e pranzo velocemente. Mi incammino verso la Basilica e passo
attraverso molti posti di blocco della polizia palestinese,
che sfoggia divise e fuoristrada nuovissime. La piazza della
Basilica è come me la ricordavo dai i vari servizi
televisivi dell’occupazione israeliana del 2002. In
particolare, ricordo la vicenda dei giornalisti italiani
bloccati all’interno del complesso per più
giorni, a causa dell’assedio israeliano.
Visito la Basilica e la cripta insieme ai molti turisti
dell’est europeo.
Betlemme, piazza della Basilica della Natività
Vicino alla Basilica, i proprietari delle
botteghe si prodigano per accaparrarsi i turisti frettolosi
di tornare ai loro autobus con aria condizionata. Io, che
non ho fretta di andarmene e che non ho pagato né
l’ingresso alla Basilica né il parcheggio,
decido di entrare in una bottega per spendere qualche euro
(o meglio qualche shekel).
Questa zona ha conosciuto una crisi nerissima, iniziata
nel settembre del 2000 contemporaneamente alla seconda intifada.
Fortunatamente la ripresa è già cominciata,
ma il fatto che sono l’unico cliente di un grande
negozio dimostra che i tempi sono ancora poco rosei per
i commercianti locali. Per la felicità del venditore
faccio acquisti per circa 40 euro: una maglietta di Betlemme,
una piccola croce d’argento e 3 presepi scolpiti a
mano nel legno di olivo (di cui uno con carillon incorporato).
Ritorno al parcheggio per riprendere il camper.
Lì un tassista mi propone di vendergli il camper:
in realtà è interessato solo al furgone perché
dice che ha un’ottima meccanica.
Inizialmente avevo intenzione di raggiungere la Galilea
e quindi Nazareth (in Israele) attraversando la Cisgiordania.
Adesso però sono preoccupato per il rientro in Israele
perché non so come la prenderanno i militari, visto
che sono entrato da un punto non presidiato. Quindi decido
di lasciare al più presto la Cisgiordania e di arrivare
a Nazareth seguendo l’autostrada israeliana. Mi perdo
per circa una mezz’ora lungo le stradine di Betlemme.
Poi seguo l’indicazione per Gerusalemme, passo accanto
al muro e mi ritrovo davanti a quello che mi sembra essere
il valico da cui sono entrato.
Ooops… quando mi accorgo che non è il punto
da cui sono entrato qualche ora fa è troppo tardi:
sono ormai davanti al checkpoint israeliano da cui mi avevano
cacciato la prima volta che avevo cercato di entrare in
Cisgiordania. Faccio finta di niente, sperando che ci sia
stato un cambio di turno dei militari. Intanto evito di
guardare a sinistra (dove c’è la guardia per
l’ingresso) e mi concentro sul lato destro, in cui
una poliziotta mi fa cenno di scendere. Vuole controllare
il passaporto. Non ne sono sicuro ma mi sembra che scriva
i miei dati da qualche parte. Poco più avanti, una
soldatessa e un soldato danno un’occhiata al camper.
La ragazza guarda all’interno (piuttosto disordinato)
e ride. Mentre io le spiego che il fantastico mezzo che
vede è il mio camper (si chiama “caravan”,
da queste parti) annuisce compiaciuta. Praticamente passo
dai Territori Palestinesi a Israele senza che mi venga controllato
il contenuto del camper. Incredibile.
È un bel sollievo rimettermi in strada,
verso Nazareth, in anticipo sulla tabella di marcia. Grazie
alla bellissima autostrada non ci metto molto ad arrivare
in Galilea. Entro a Nazareth nel tardo pomeriggio e cerco
subito il parcheggio dei bus turistici segnalato dalla guida.
Purtroppo il parcheggio è chiuso (non si capisce
per quale motivo). Chiedo alla polizia e mi viene detto
che tutti i parcheggi per bus di Nazareth sono chiusi, per
cui mi conviene sostare in uno dei tanti parcheggi con tassametro,
che dalla sera alla mattina sono gratuiti. Non ci sono problemi
a pernottare a bordo. Scelgo il parcheggio più riparato
dal rumore del traffico e mi accampo. Faccio una passeggiata
per il centro di Nazareth. La Chiesa Ortodossa dell’Annunciazione
e la Moschea Bianca (a pochi passi l’una dall’altra)
sono già chiuse. Mi accontento di fare qualche foto
dall’esterno.
Nazareth, basilica ortodossa dell’Annunciazione.
In realtà Nazareth offre vari altri
punti d’interesse, ma sta facendo buio e quindi ripiego
verso una pizzeria per cenare.
Mentre mangio una discreta pizza, osservo il viavai di nazareni
lungo la strada. In linea di massima direi che i giovani
sono molto casinisti: si lanciano in auto lungo la via principale
e fanno a gara a chi ha l’autoradio più potente.
Nazareth mi sembra un paesotto non troppo interessante per
passarci la sera, per cui decido di tornare al camper per
una doccia e una dormita. Dopo la doccia dormire è
impossibile per via del rumore del traffico, quindi passo
un po’ di tempo a leggere. In seguito decido comunque
di uscire perché sono curioso di vedere Nazareth
di notte, così mi vesto decentemente e mi incammino
verso il centro. Per le vie c’è molto movimento
di gente di ogni età. Si incontrano comitive di decine
di turisti italiani e non mancano le occasioni di dialogo.
La maggior parte dei turisti fanno parte di gruppi organizzati
da associazioni religiose o cose simili. Si tratta di persone
che vanno cercando la spiritualità dei luoghi della
Terra Santa. Vado a letto un po’ tardi, ma dormo tranquillamente.
km oggi: 203 totali: 6606
sabato, 15 agosto 2009
Oggi, da buon ferragostano, andrò al mare. Mi sposterò
in una qualche spiaggia di Ashdod e passerò la giornata
al sole. Dormirò ad Ashdod e domani mattina presto
andrò al porto, dove mi aspetta la nave cargo per
l’Italia. Direzione Tel Aviv, così prima delle
9 sono già parcheggiato nel lungomare di Ashdod,
davanti al Mediterraneo. La spiaggia si affolla di gente
e fa un caldo insopportabile. A mezzogiorno mi rifugio nel
camper per poter stare qualche ora all’ombra. Di pomeriggio
il caldo è minore, ma non è tanto divertente
essere circondati da persone poco socievoli che fanno casino
solo tra di loro. In serata, prima di parcheggiare per la
notte, cerco un fast-food per cenare.
Mi dicono che i centri commerciali con i fast-food sono
tutti chiusi perché è sabato sera (come ho
fatto a non pensarci!). C’è molta gente per
strada, tantissime giovani coppie con bambini, ma le attività
commerciali sono chiuse. Per fortuna trovo un bar per mangiare
almeno un panino e un’insalata. La tristezza dell’atmosfera
del locale è qualcosa di unico. Per non parlare di
come mi guardano quando entro: forse hanno paura che il
mio marsupio nasconda una bomba. So bene che i locali israeliani
sono stati oggetto di vari attentati terroristici, e che
a pochi km da qui c’è Ashkelon (al confine
con la Striscia di Gaza), dove piovono spesso razzi lanciati
da miliziani palestinesi… Ad ogni modo un po’
di allegria non farebbe certo male.
Con un po’ di sollievo, trovo parcheggio nei pressi
del porto di Ashdod, davanti agli uffici dell’agenzia
di spedizione che domani mattina prenderà in carico
me e il camper e ci spedirà a Salerno. A un’ora
decente sto già dormendo. Anzi, no: alle 23 vengo
svegliato da un rumore sordo e dal camper che oscilla. Qualche
veicolo mi ha dato una botta al camper, e ce la deve aver
messa tutta visto che nel parcheggio non ci sono altri veicoli.
Accendo la luce e scendo, e chi mi trovo davanti? Un pick-up
e un agente della Security che mi chiede il passaporto.
Mi domanda che cosa ci faccio davanti al porto, e non si
convince neanche quando gli mostro il biglietto della nave.
Controlla via radio i miei dati, indaga sulla nave che devo
prendere, ecc. Poi mi chiede se per caso sono stato già
“controllato” (checked) qualche ora fa oppure
ieri. Rispondo di no. Ripensandoci, probabilmente i miei
dati sono stati registrati quando ho cercato di entrare
in Cisgiordania e mi hanno respinto, oppure quando ne sono
uscito (o in entrambi i casi). Comunque quando si da una
botta a un veicolo, prima di tutto si chiede scusa. Oppure
qui è d’uso fare così per chiedere i
documenti. In ogni caso, complimenti per la delicatezza.
km oggi: 166 totali: 6772
domenica, 16 agosto
2009
Scendo dal camper per andare all’ufficio dell’agenzia
di spedizione e noto subito un altro camper con targa francese.
L’equipaggio è formato da padre, madre e figlia.
Hanno fatto un giro in Medioriente, compreso un lungo tour
in Israele, e si apprestano a imbarcarsi nella mia stessa
nave per Salerno. Di fatto, la Grande Ellade della Grimaldi
è l’unica “via di fuga” per chi,
come noi, ha deciso di spingersi in Israele. Chi entra nel
paese a piedi o in aereo può farsi apporre il timbro
in un foglio a parte, ma chi porta il suo veicolo viene
“omaggiato” di un timbro triangolare che riporta
un numero di serie (che appunto identifica l’importazione
del veicolo). Tale “ricordino” impedisce il
reingresso in molti paesi arabi (di fatto ancora in guerra
con Israele), tra cui la Siria. In pratica non c’è
un modo affidabile per ritornare in Europa su strada. Non
si può neanche andare dall’Egitto in Tunisia
e prendere il traghetto, perché anche la Libia è
off-limits per chi ha traccia di un passaggio per Israele.
Le lungaggini burocratiche per poter lasciare
questo paese cominciano di buon mattino. La spedizioniera,
Sandra, sbriga un po’ di pratiche e ci accompagna
presso la dogana. Prima di “uscire” dal paese,
è necessario essere sottoposti a dei controlli. Già
immagino di che si tratta: nell’ultima settimana mi
sono fatto le frontiere di Arava e di Eilat, cosa sarà
mai il porto di Ashdod. Inoltre sono in uscita dal paese,
quindi non dovrebbero essere così pignoli come le
altre volte… E invece no! Il Medioriente mi riserva,
al termine del mio soggiorno, un’ultima sorpresa:
tutti i passeggeri che si accingono a lasciare il paese
dal porto di Ashdod saranno interrogati, e i loro mezzi
perquisiti. Sandra ci lascia nelle mani degli agenti della
Security del porto, che a quanto pare svolgono anche le
veci di doganieri.
Il mio interrogatorio dura circa un’ora
e mezza, durante la quale una ragazzina (per niente carina)
mi fa le più assurde domande. Riporto quelle più
strane insieme alle mie risposte:
Perché sei venuto in Israele?
Dovevo andare in Egitto su strada e non avevo molte alternative.
Perché sei venuto da solo?
Perché i miei amici erano spaventati a morte dall’idea
di venire qui.
Perché non hai con te la tessera della tua azienda?
Perché non me ne facevo niente a portarmela appresso.
Perché a Pisa abiti da solo?
Perché non sono molto socievole.
Come hai fatto a pagarti il soggiorno in Israele?
Contanti, carte di credito.
Sei sicuro che la tua carta di credito si possa usare
in Israele?
Ti ho appena detto che l’ho usata, quindi funziona.
Sei sicuro che con la tua patente puoi guidare il tuo
camper?
Guarda, questa è la patente italiana, quest’altra
è la patente internazionale. Leggiamo insieme le
caratteristiche del veicoli che posso guidare: sono scritte
in 9 lingue. Adesso guardiamo le caratteristiche del camper
dalla carta di circolazione… Ops, scusa, me l’avete
appena sequestrata.
Nel frattempo, un agente grasso da scoppiare ci osserva,
impassibile, da dietro gli occhiali da sole. Non c’è
modo di scherzare.
Il camper dei francesi viene completamente
svuotato, e gli oggetti passati ai raggi X. Chiedo se per
caso devono fare lo stesso con il mio camper. lo vorrei
sapere per iniziare a preparare la roba e velocizzare la
procedura. Mi viene risposto di aspettare.
Alla terza domanda, un agente mi risponde che anche se io
penso di parlare con un americano, lui è israeliano,
quindi devo sedermi, rilassarmi e aspettare.
Quando è il turno della perquisizione del mio camper,
l’ennesima sorpresa mi attende: mi fanno scaricare
solo i bagagli più ingombranti. Gli oggetti nei vari
pensili vengono controllati da una giovane agente che ha
la stessa delicatezza di un elefante. Infatti, la perquisizione
consiste in:
- aprire gli sportelli dei pensili
- rovistarne l’interno
- buttare sul tavolo della dinette il contenuto
dei pensili
Nell’espletare le sue funzioni, la tipa
causa i seguenti danni:
- rottura del braccetto di uno sportello
- rottura di due ferma-tovaglia nel tavolo
della dinette
-graffi e rigature nelle pareti in PVC del
bagno e sul perlinato del tetto (mentre strofina il rilevatore
chimico alla ricerca di tracce di esplosivo).
La tipa ci si mette di impegno a rendere ancora più
ridicola la situazione, perché ogni 2 minuti mi guarda
e dice “sorry for the mess” (che vuol dire letteralmente
“scusa per il casino”).
Sono passate più di 3 ore da quando ho iniziato la
trafila burocratica.
È mezzogiorno e fa caldo. Sono perplesso perché
il mio camper emette uno strano odore: non vorrei che ci
fosse una perdita dal serbatoio delle acque nere.
Dopo la restituzione dei documenti, io e i francesi veniamo
“riaffidati” a Sandra, la spedizioniera.
È qui che mi accorgo che il camper
ha una grossa perdita di liquido dal radiatore. Ecco spiegata
la causa dello strano odore. Qui rischio l’ebollizione,
ma per fortuna ho percorso solo poche centinaia di metri
e temperatura non ha fatto in tempo a salire. Apro il cofano
e controllo la situazione: il radiatore è saltato
dalla sua sede, è pesantemente scalfito ed è
deformato. Come se non bastasse, anche un longherone di
supporto in lamiera è deformato.
Esternamente non c’è nessun danno:
la mascherina è integra e anche il paraurti. Solo
la targa ha un piccolo graffio.
La causa del danno è con tutta probabilità
da ricercare nella botta che ho ricevuto ieri sera da parte
del pick up della Security. Inizialmente non avevo dato
molto peso alla cosa, dato che il colpo non mi era sembrato
così forte da aver causato danni. Adesso però
mi viene in mente che il camper aveva le ruote posteriori
appoggiate al marciapiede, dunque non poteva oscillare più
di tanto. Il colpo è stato avvertito prevalentemente
dal pick up e, a maggior ragione, l’agente avrebbe
dovuto avvisarmi. Quando le racconto l’accaduto, Sandra
diventa isterica e dice che non è possibile. La sfido
a procurarsi i video delle telecamere di sicurezza. Lei
risponde che “Non ci sono telecamere di sicurezza
nel porto”.
Non si è resa conto della stronzata
che ha appena detto: nel porto di Ashdod, scalo merci di
Tel Aviv, a uno sputo dalla Striscia di Gaza, nel paese
più controllato del mondo… non c’è
una telecamera. A questo punto capisco che non ha molto
senso andare avanti con la discussione. I motivi sono molteplici:
1) Mi è andata fin troppo bene: se ieri notte, anziché
un pick up, ci fosse stato un carroarmato, mi sarebbe potuto
passare sopra, per non parlare di un bulldozer 2) Vorrei
starmene buono ed evitare di creare ulteriori problemi 3)
Non vedo l’ora di andarmene Inoltre non mi sembra
neanche il caso di incanalare alcuna protesta attraverso
le rappresentanze diplomatiche italiane: l’Italia
continua ad avere rapporti diplomatici con questo paese
nonostante le numerose rimostranze dei miei concittadini
circa i modi delle autorità. Bene, vuol dire che
l’Italia ha delle motivazioni la cui importanza va
ben’oltre quella del radiatore di un camper.
La Sandra però si rende conto della
gravità del fatto, delle conseguenze che potrebbe
avere anche per la sua attività, e si da una calmata.
In pratica capisce che se pago 250$ per compilare due scartoffie
e farmi dare poi del bugiardo, non faccio certo buona pubblicità.
Ci accompagna quindi agli uffici della dogana in cui dovremmo
restituire le carte di circolazione israeliane. Per questa
procedura perdiamo quasi un’ora. Durante l’attesa
parlo con Gerard delle condizioni del mio camper: il radiatore
è in pessimo stato. Lui pensa che sia possibile rimediare
al danno, rattoppando la falla principale con dello stucco
plastico e riducendo in questo modo la perdita. In seguito,
aggiungendo del turafalle nel liquido, si potrebbe anche
risolvere definitivamente il problema. Gerard ha una profonda
esperienza di viaggi intercontinentali, conosce bene i motori
e le meccaniche dei camper, e penso che potrà darmi
una mano nella riparazione.
Quando Sandra esce dall’ufficio della
dogana e ci viene incontro sorridente, intuiamo la buona
notizia: abbiamo ottenuto il lasciapassare per portare i
camper fuori dal paese. La cattiva notizia è che
all’ufficio della polizia non possiamo avere il timbro
d’uscita perché la nave non ha ancora attraccato.
Ci parcheggiamo dunque in banchina, in attesa della nave.
Apro subito la cassetta degli attrezzi, smonto la mascherina
del Transit e cerco di raddrizzare il radiatore che è
andato fuori sede. Non posso lasciarlo così com’è
perché rischia di bloccare il movimento della ventola.
Rimetterlo nella sua sede richiede lo sforzo di due persone.
La perdita di liquido, localizzata tra la plastica laterale
e il metallo, è notevole. Cercare di salire sulla
nave in queste condizioni è una pazzia: potrei andare
in ebollizione in pochi minuti.
Gerard prepara l’impasto per lo stucco plastico, la
figlia va a riempire delle taniche per l’acqua di
riserva e io procedo con il drenaggio del radiatore, recuperando
il liquido con una bacinella.
Gerard, camperista francese, mi aiuta nel tentativo di riparare
il radiatore del camper
Sono amareggiato ma allo stesso tempo divertito
per quanto sta accadendo: sotto il sole delle 13, dopo un
meraviglioso viaggio intercontinentale in cui è andato
quasi tutto liscio, cerco di rimettere il mio camper in
condizioni di viaggiare per… imbarcarmi su una nave
mercantile! L’imprevisto del radiatore sembra completare
il viaggio aggiungendo una specie di colpo di scena. Adesso
penso che, dopotutto, l’avventura continuerà
fino all’ultimo chilometro di strada che mi separerà
da Pisa, e sono euforico anche se forse dovrò rabboccare
l’acqua del radiatore ogni 10 minuti. Nella peggiore
delle ipotesi sarò costretto a farmi trasportare
su un carro attrezzi dal porto di Salerno a Pisa. La situazione
è quindi critica e va sbloccata al più presto.
Gerard rattoppa una parte del radiatore utilizzando
vari tubetti di uno stucco plastico multiuso (Pattex). Mentre
lo stucco solidifica al sole, l’equipaggio francese
accenna ai viaggi che ha effettuato in camper: Marocco,
Mauritania, Algeria, Uzbekistan “in senso antiorario”
(via Iran, Turkmenistan, con rientro da Kazakhstan e Russia),
roba tosta insomma. Il loro camper sembra portare tutti
segni di migliaia di km di piste: botte in più punti
della cellula, crepe, fascioni laterali distaccati. Un problema
a una sospensione, nato durante il viaggio in Iran verso
l’Uzbekistan, si è ripresentato in Giordania:
non ho ben capito di che si tratta, ma Gerard dice che tenterà
di ripararlo all’interno della nave, altrimenti sarà
costretto a cercare un’officina a Salerno. Non vorrebbe
infatti viaggiare fino a Bordeaux in quelle condizioni.
Quando la nave finalmente attracca (nel tardo
pomeriggio), possiamo andare presso l’ufficio della
polizia a chiedere il visto d’uscita. Le poliziotte
sono di pessimo umore perché è tardi, devono
smontare, e noi siamo ancora lì a rompere le scatole.
A dire le verità, neanche a noi fa molto piacere
passare mezza giornata a
sdoganare e un’altra mezza sotto il sole senza alcun
servizio, in quello che dovrebbe essere “un pezzo
di Occidente in Medioriente”. Ad ogni modo, una poliziotta,
prima di darmi il visto d’uscita, ha la pessima idea
di chiedermi il motivo del viaggio in Israele. Rispondo
scandendo le sillabe: “tu-ris-mo”, che per lei
sembra un concetto sconosciuto. “Ah, certo, la Terra
Santa”, dice. Le è venuto in mente che la maggior
parte dei turisti normali vengono qui solo per vedere pochi
luoghi che si contano sulle dita. Finalmente il timbro d’uscita
da Israele viene stampato sul mio passaporto, ma…
Sorpresa! Il passaporto se lo tiene la polizia e ce lo consegnerà
solo quando la nave otterrà il nulla osta per salpare
(“sailing permit” o qualcosa di simile).
Verso il liquido nel radiatore e metto in moto. Purtroppo
la perdita, sebbene ridotta, è ancora grossa. Devo
portarmi verso la nave molto rapidamente, per evitare di
rimanere senz’acqua.
Ashdod, verso l’imbarco sulla nave per l’Italia.
Non è possibile imbarcarsi prima che
termini lo scarico della nave, che trasporta autoveicoli
prevalentemente nuovi. Nuovi ancora per poco: i ragazzini
addetti allo sbarco guidano ogni mezzo come se fosse un
go-kart. Mercedes fiammanti da 80 mila euro portate fuorigiri
in prima e seconda nel rettilineo della banchina, a motore
freddo. Lo stesso capita ai furgoni e ai minibus. Questo
pietoso spettacolo che va avanti per ore, mi insegna che
prima di spedire il mio veicolo “come merce”
via mare, ci penserò bene.
Gli agenti della Security, in assetto da guerra, vigilano
per controllare che dietro agli autisti dell’agenzia
di spedizione non si nascondano in realtà dei piloti-kamikaze.
Per fortuna che alcuni ufficiali della Grimaldi, notando
la targa italiana del camper, si presentano e iniziano a
dialogare.
Poter parlare italiano è un sollievo. Spiego il problema
del radiatore del camper. Il nostromo mi rassicura dicendo
che in sala macchine hanno degli ottimi prodotti per la
saldatura plastica. Inoltre, per un cambio di programma,
sembra che la nave non andrà direttamente a Salerno
ma farà scalo prima a Cipro e poi ad Alessandria
d’Egitto, per cui ci sarà tempo per lavorare.
Dato che le operazioni di sbarco dureranno a lungo, il comandante
della nave ci fa una grossa cortesia: ci fa imbarcare senza
i mezzi, assegnandoci le cabine per farci una doccia. Dopo
l’ottima cena, con tutta calma, possiamo andare a
recuperare i mezzi in banchina per imbarcarli. Il mio camper,
nel tragitto dalla banchina al ponte numero 6 della nave,
perde litri d’acqua dal radiatore.
La mia cabina è molto spaziosa (più di quella
di un traghetto). Ha tre comodi letti, scrivania con poltrona,
ampio guardaroba, frigorifero e un vero bagno.
Il cameriere che si occupa delle cabine, un giovane filippino,
è gentilissimo. Ci spiega le regole principali: il
pranzo è servito alle 11 e la cena alle 18, senza
eccezioni; si può usare la lavanderia solo nel pomeriggio
(durante la mattina è usata dagli ufficiali). Viene
confermato il cambio di itinerario della nave: prima di
Salerno farà tappa a Limassol (Cipro) e ad Alessandria
(Egitto).
Sulla scrivania della mia cabina inizio a scrivere questo
diario e ben presto sento la necessità di andare
a letto.
lunedì, 17
agosto 2009
- navigazione
Ho dormito per dieci ore. Vado a fare colazione il prima
possibile perché non vorrei arrivare all’ora
di pranzo con lo stomaco ancora pieno. Il pranzo è
effettivamente servito alle 11. Non sono abituato a mangiare
così presto, ma dopo le prime forchettate delle pietanze
di bordo l’appetito aumenta. Pasta, carne e contorni
vari sono degni dei migliori ristoranti.
Nel pomeriggio faccio il bucato, prendo il sole nell’open
deck e inizio un mega sudoku 16x16. La cena è servita,
rigorosamente, alle 18.
Inizio a socializzare con gli altri passeggeri della nave.
Direi che sembrano tutti personaggi di un film d’avventura,
se non fosse che scegliere di traghettare in mezzo al Mediterraneo
per andare dal Medioriente all’Europa, nel 2009, è
quantomeno grottesco. Ma ogni passeggero ha la sua “storia”
da raccontare, il suo personale motivo per trovarsi in questa
nave. A parte i francesi, che come me non avevano un altro
modo normale per riportare il loro camper in Europa, ci
sono una coppia italo-israeliana con bimba piccola e grosso
cane, un pensionato inglese con veicolo al seguito e una
coppia inglese di mezza età. La famiglia italo-israeliana
comprende una bambina di poche settimane, la mamma italiana
e il papà israeliano (trasferitosi in Italia). Dovendo
trascorrere le ferie estive in Israele con il cane e non
volendolo imbarcare nella stiva di un aereo, hanno deciso
di prendere la nave. L’andata è stata fatta
in giugno dal papà con il cane, che ha potuto verificare
il comfort della nave e ha quindi permesso anche alla moglie
e alla bambina di effettuare il viaggio di ritorno verso
Salerno.Il signore inglese, neo-pensionato, è diretto
a Cipro (dove la nave farà scalo tra un paio di giorni).
È stato varie volte in vacanza nell’isola e
ha deciso di trasferirsi definitivamente lì. Ha affittato
una casa via Internet, si è imbarcato con la sua
BMW a Southampton e non vede l’ora di iniziare la
sua nuova vita nel luogo che definisce “dal clima
perfetto” e “in cui si viaggia nel lato giusto
della strada” (si riferisce al fatto che nella Repubblica
di Cipro si viaggia a sinistra, come in Inghilterra). La
coppia inglese è formata da una signora che si occupa
di grafica pubblicitaria e da un funzionario di qualche
ambasciata in pensione. I signori si sono imbarcati a Southampton,
hanno fatto la costa iberica e stanno attraversando il Mediterraneo.
La loro idea era di visitare le città di scalo, ma
non hanno avuto molta fortuna perché l’itinerario
è stato modificato e alcune soste ridotte
o annullate. Non nascondono il loro disappunto per non aver
potuto visitare Gerusalemme (come gli era stato promesso),
però scherzano sull’eccitazione per la gita
al Duty-Free del porto di Ashdod. In giornata lasciamo Israele
alla volta di Cipro.
martedì, 18
agosto 2009 - navigazione
Nella prima mattinata la nave attracca a Limassol (Cipro)
e il comandante dà ai passeggeri il permesso di sbarcare
per qualche ora. La maggior parte dei passeggeri non si
lascia scappare l’occasione di visitare la cittadina.
Confesso che non so niente né di Limassol né
di Cipro in generale. Però considero questa tappa
un interessante e inaspettato diversivo, che andrà
ad aggiungersi al mio insolito itinerario. In uscita dall’area
portuale nessuno mi controlla i documenti, forse perché
Cipro è ormai nell’Unione Europea. Mi incammino
verso il centro e noto con sorpresa che i prezzi sono espressi
in Euro: bene, per comprare i souvenir non dovrò
cambiare moneta. Fa caldo, ma le strade pedonali di Limassol
sono piene di turisti (prevalentemente russi), per niente
spaventati dalla temperatura.
Visito il museo medioevale dove incontro gli altri passeggeri
della nave.
Il centro di Limassol (Cipro)
Passeggio ancora un po’ per le bancarelle
e i negozi, spedisco una cartolina e mi collego a Internet
per aggiornare il mio stato su Facebook e sul forum di Camper
On Line.
Torno al porto in taxi, insieme ad altri passeggeri, e reimbarco
sulla Grande Ellade che comincia presto la navigazione verso
il porto di Alessandria d’Egitto.
mercoledì, 19 agosto 2009
(navigazione) In mattinata raggiungiamo Alessandria.
Incredibile, sono di nuovo in Egitto. Purtroppo però
non è possibile sbarcare: motivi burocratici. La
sosta ad Alessandria dura per tutto il giorno. I passeggeri
inglesi e francesi sono molto contrariati perché
avrebbero voluto visitare la città. Possono solo
ammirare da lontano la Corniche, che si trova in prossimità
del porto.
giovedì, 20
agosto 2009 (navigazione)
Oggi ho guardato un DVD di un film in sardo (sottotitolato
in italiano), trovato nella videoteca della nave. Ho tradotto
il TG italiano in inglese per i passeggeri stranieri. Mi
sono un po’ vergognato perché, mentre da altri
canali giungevano gravi e importanti notizie di politica
internazionale, il TG italiano dedicava la maggior parte
del tempo ad argomenti che spaziavano tra il gossip e i
consigli per la cura degli animali domestici.
venerdì, 21
agosto 2009 (navigazione)
L’evento del giorno è il passaggio al largo
dell’isola di Creta. Intanto attendo con impazienza
(e preoccupazione) l’autorizzazione per poter scendere
nel garage della nave e lavorare alla riparazione del radiatore
del camper. Non sono ancora riuscito a terminare il sudoku
16x16.
sabato, 22 agosto
2009 - (navigazione)
In mattinata mi viene detto che il personale
non ha molto lavoro: un tecnico della sala macchine mi aiuterà
quindi nella riparazione del radiatore del camper.
Prima di pranzo, vengo contattato da un marinaio filippino
che lavora in sala macchine. Mi aiuta a smontare il radiatore,
lo porta nell’officina della nave e lo esamina. Con
l’aiuto di un compressore riesce a individuare la
perdita. Quindi crea una toppa con uno speciale stucco plastico.
Il radiatore viene messo vicino al motore della nave, che
è caldo e accelera la solidificazione dello stucco.
Gerard, che nel frattempo si era infilato sotto la scocca
del suo camper, è riuscito a riparare la sospensione
sinistra. Nel pomeriggio torniamo in sala macchine e testiamo
il radiatore con l’aria compressa: c’è
ancora una piccola perdita. Il marinaio rifinisce con dell’altro
stucco e poi mi aiuta a rimontare il radiatore sul camper.È
meglio non mettere acqua fino a domani, quando sbarcherò.
Chiedo al marinaio se posso avere dell’acqua di riserva
per domani. Lui, gentilissimo, mi riempie delle taniche.
Prima di salutarlo gli do 25$ di mancia (circa 20 euro),
che per aver fatto un lavoro extra di 2 ore mi sembra sufficiente.
A questo punto non rimane che sperare nella buona riuscita
della riparazione. L’ultima speranza sarà il
liquido turafalle che mi ha regalato Gerard, che potrebbe
risolvere le rimanenti piccole perdite.
Marinaio filippino della Grimaldi che tenta di aggiustare
il radiatore del camper
In serata, i passeggeri e tutto l’equipaggio
sono invitati alla festa di compleanno del signore inglese,
che si tiene nel sun-deck. Il cuoco ha preparato spuntini,
pizze, insalate, che si possono gustare mentre si ammira
lo stretto di Messina che è ormai prossimo.
Festa di compleanno di un passeggero organizzata dall’equipaggio
della nave
In tarda serata si attraversa lo stretto di
Messina. Il pilota del porto, appena sale a bordo, ci informa
che è stato centrato il Jackpot del super-Enalotto.
E’ iniziata l’ultima notte del viaggio.
domenica, 23 agosto 2009 navigazione
La nave attracca a Salerno a metà mattina. Qui farà
sosta per alcuni giorni. La coppia inglese è entusiasta
di poter trascorrere qualche giorno in Campania, e progetta
di visitare Napoli, Ischia, Pompei. La signora beve litri
d’acqua temendo una disidratazione da calore una volta
scesa a terra. Le garantisco che non troverà un caldo
eccessivo, ma lei continua a bere procurandosi anche delle
lattine di Pepsi (dice che contengono potassio). Le formalità
di sbarco durano più del previsto: la Polizia sale
a bordo e controlla i nostri documenti.
C’è dunque tempo per pranzare, prima di scendere
nel garage e riprendere possesso dei camper. Riempio l’impianto
di raffreddamento con una tanica e noto subito una piccolissima
perdita. Quando il motore inizia a riscaldarsi, la perdita
aumenta. Non c’è tempo da perdere: dopo lo
sbarco mi fermo solo davanti alla dogana, dove i finanzieri
osservano la gravità delle condizioni del camper
e mi sconsigliano di proseguire il viaggio. Effettivamente,
con il motore in temperatura, l’acqua zampilla fuori
dal radiatore attraverso un buchino. Ma io ho ancora una
carta da giocare: un flacone di prezioso liquido turafalle.
Lo verso nel liquido di raffreddamento (praticamente acqua),
rimonto la mascherina del muso e mi metto in viaggio sull’autostrada
verso Nord. Ho un occhio sulla strada e uno sul termometro
del motore. Mi fermo alla prima area di servizio per verificare
il livello, notando con sorpresa che la perdita è
minima.
Vorrei acquistare dell’altro liquido
turafalle di riserva, ma l’area di servizio ne è
sprovvista. Rabbocco mezzo litro d’acqua e riparto.
Mi fermo alle successive 3 aree di servizio per verificare
il livello: la perdita è cessata completamente. Posso
continuare in tutta tranquillità fino Pisa: l’avventura
è davvero finita. In tarda serata parcheggio davanti
a casa e scarico i bagagli. Domani mattina, prima di rientrare
al lavoro, andrò all’ACI per riconsegnare il
Carnet de Passages, vera “patata bollente”,
e cercare di risolvere il contratto di polizza fidejussoria.
Farò il camper-service presso l’area gestita
dai Camperisti Pisani (di cui sono socio), non prima di
essere passato davanti alla Torre di Pisa sulle “mie
ruote”, come quando sono partito il 31 luglio.
Il contachilometri del camper segna 63911. Il vecchio Elnagh
Trophy ha bisogno di una pulita e di una riassettata, a
cominciare dal radiatore nuovo, in quanto non mi fido della
riparazione fatta a colpi di stucco e turafalle.
Nei mesi invernali mi dedicherò alla manutenzione
del camper e progetterò il prossimo viaggio. Sfoglierò
il passaporto che è pieno di timbri e annotazioni
in tante lingue, ma ha ancora tante pagine bianche da riempire,
così come il mio diario di bordo che spero sia solo
all’inizio.
km oggi: 603 totali: 7375