Himalaya Express

(testo e foto di Giuseppe Ghiani)
Equipaggio: Giuseppe,
1981
Mezzo: Elnagh Trophy 1 (Ford Transit
B/GPL), 1992 |
|
Mi si permetta il titolo, anche se a causa
delle inondazioni non ho potuto raggiungere il cuore dell’Himalaya
indiano, ma l’ho solo sfiorato, e anche se Express
non c’entra molto con fare Pisa-Kathmandu in ventitré
giorni, guidando comodamente per più di diecimila
chilometri. Mi si permetta Himalaya Express, perché
suona bene.

Intro
Caro simpatico lettore, che guardi affascinato la mappa
qui sopra, che in pochi secondi passi il dito su questo
insolito percorso dall’Italia al sub-continente indiano
e immagini i panorami dell’Anatolia, le maioliche
di Isfahan, le cupole del Taj Mahal e lo splendore del Golden
Temple, che pensi al pollo tandoori e a scenari incantevoli,
a parchi con animali esotici, ai vestiti colorati delle
donne indiane, all’aroma delle spezie.
Tu che mi invidi, che credi di sognare un
viaggio come questo e di averlo come sogno nel cassetto,
non senti l’odore della benzina raffinata male, quella
sotto i 90 ottani, che evapora al sole del Sistan-Beluchistan,
entra nell’abitacolo e ti fa girare la testa. Non
vedi gocce di sudore che lasciano macchie grandi come olive
su quelle carte stradali che dovevano essere professionali,
ma che invece si rivelano sbagliate. Non ti butti fuori
strada per evitare i contrabbandieri iraniani che scappano
dalla polizia.
Non senti il caldo afoso, non vedi i disastri
di un monsone anomalo che ha messo in ginocchio milioni
di persone, case distrutte, cadaveri di animali, profughi
che viaggiano giorno e notte su carretti. Non hai paura
quando la pioggia cade pesante per tutta la notte sul tetto
del camper, su un terreno già sommerso, su strade
già distrutte, e non sai se e come domani potrai
rimetterti in viaggio. Non devi attraversare zone allagate,
che non sai cosa c’è sotto, se sabbia, fango
o pietre, ma devi andare avanti, non puoi fermarti, altrimenti
il tuo dito che passa sulla mappa mica ci arriva in India.
Non gratti il pianale per poi scendere di corsa a vedere
se hai spaccato la coppa dell’olio, e non senti sulla
schiena ogni singola buca, dosso rallentatore, pietra, di
questa strada che sembra non finire mai.
Tu che forse, adesso, cominci a chiedertelo, devi sapere
che me lo sono chiesto anch’io se ne valeva la pena.
Ho cominciato a chiedermelo nel novembre 2009 quando, appena
ottenute le carte stradali, passavo un fine settimana a
calcolare le distanze tra Toscana e India: più di
8.000 km di sola andata, e non tutta autostrada. Me lo sono
chiesto quando il tetto del camper, a causa della temperatura
che sfiorava 50 gradi nel deserto del Beluchistan iraniano,
ha iniziato a dilatarsi e a deformarsi fino a diventare
un arco, e gli agganci dei pensili sono saltati. Ho continuato
a chiedermelo quando mi sono trovato in mezzo alle tragiche
inondazioni che hanno colpito il Pakistan, tra Sindh e Punjab,
e ho dovuto rimettere il mio mandato nelle mani delle piogge
monsoniche, sperando di non rimanere bloccato o di non diventare
anch’io un profugo.
E anche in mezzo al Nepal quando, sulla Mahendra Highway
interrotta, ho visto un furgone travolto dalla corrente
del fiume che avrei dovuto guadare con il camper: insieme
a quel furgone, naufragava la mia speranza di raggiungere
Kathmandu. Me lo sono chiesto alla fine del viaggio, quando
mi sono ammalato e ho dovuto affidare la mia sopravvivenza
alla scorta di farmaci che erano miracolosamente scampati
al caldo del Sistan-Beluchistan, mentre litigavo con agenti/spedizionieri/doganieri
per ottenere il permesso all’imbarco del camper verso
l’Italia.
Non chiedermi cosa penso adesso, ma se tra dettagli tecnici
e aneddoti di una spedizione “fai-da-te” riesci
ad arrivare alla fine di questo resoconto, potrai di chiederti
se, per te, ne varrebbe la pena.
martedì, 27
luglio 2010 
Alle 14:50 rilevo un chilometraggio di 71.661 e anche che
è una giornata stranamente fresca per la fine di
luglio. Poi mi guardo nello specchietto e mi dico addio.
Dico addio a quello che sono, perché credo che alla
fine di questo viaggio, in ogni caso, non sarò più
lo stesso.
La mia tabella di marcia prevede di arrivare il più
vicino possibile a Zagabria entro questa notte. Come tutte
le volte che parto verso la ex-Yugoslavia, mi fermo nell’area
di servizio di Calstorta per cena, acquisto del bollino
autostradale sloveno e rifornimento di GPL.
Viaggio veloce
grazie al poco traffico, merito della mia partenza intelligente.
Sull’intelligenza del partire di martedì il
mio capo non sarebbe molto d’accordo, visto che gli
altri colleghi non andranno in ferie prima di venerdì.
Si ma loro non devono farsi 4 confini in 2 giorni. E siccome
arrivo alla ex-frontiera con la Slovenia completamente da
solo (non c’è neanche una pattuglia di polizia),
mentre l’anno scorso, di venerdì sera, ho fatto
ore di coda… non ho altro da aggiungere.
Sull’autostrada
per Lubiana, deserta, spingo al massimo il camper. Il motore
a benzinza/GPL girache è una meraviglia, veloce e
silenzioso. È stato pesantemente revisionato prima
della partenza. Filtri, distribuzione, candele, cavi candela,
carburatore, spinterogeno, tutte le punterie compreso l’albero
a camme, testata, guarnizioni varie. Il tempo che mi fanno
perdere inutilmente alla frontiera con la Croazia, dove
per la prima volta una funzionaria controlla l’interno
del camper, non mi impedisce di superare Zagabria prima
dell’una di notte. Pernotto nel parcheggio dei TIR
in un’area di servizio qualche chilometro oltre la
capitale croata.
km 712

mercoledì,
28 luglio 2010 
Volendo ambiziosamente portarmi al confine con la Turchia
entro sera, comincio a divorare strada prima delle 7, in
compagnia della musica di Manu Chao.
Ecco i pochi eventi degni di nota di questa noiosa mattinata:
-viaggio quasi sempre tra i 110 e i 120 km/h, vero miracolo
per un camper a GPL -un benzinaio croato attacca discorso
e indaga sul mio viaggio verso l’India, facendo
domande intelligenti sul percorso ma abbandonandosi alle
più banali considerazioni delle quali mi sono già
stancato da mesi: “il tempo che hai è poco;
da solo ti annoierai; il Pakistan è pericoloso”
un signore, presso un’area di servizio in Serbia,
mi chiede di cambiargli 10 euro da monete a banconote. La
stessa cosa mi era capitata tempo fa in Tunisia, solo che
lì mi avevano fregato un 15%.
A proposito di Serbia, stavolta c’è una novità:
la Carta Verde viene stranamente richiesta anche all’uscita.
Mi viene in mente che chi non ha la Carta Verde in regola
(ad esempio chi ha ancora la vecchia sigla YU al posto di
SRB, o qualcosa del genere) tipicamente entra in Serbia
mettendo 50 euro nel passaporto. Senza approfondire cosa
penso di queste strategie, cioè che sono illegali,
poco etiche e anche rischiose (se l’assicurazione
non è valida, in caso d’incidente con responsabilità
sono cavoli amari), mi chiedo quanti automobilisti/camperisti
si mettono in viaggio verso Est senza controllare i propri
documenti e poi si fanno fregare da questi deficienti, ignorando
che con poco più di 50 euro potrebbero acquistare
una polizza temporanea e regolarizzarsi. Il fatto che la
Carta Verde mi sia stata chiesta anche in uscita, visto
che sono per principio malizioso, mi fa pensare che la polizia
serba stia tentando di fregare gli sprovveduti (cioè
quelli che pagano tangenti di 50 euro per rimanere comunque
senza assicurazione) anche all’uscita dal paese.
L’autostrada dal confine a Belgrado e da Belgrado
a Nis costa in tutto 3220 RSD, circa 31 euro, che pago con
carta di credito. Tra Belgrado e Nis diluvia.
Per entrare in Bulgaria ci metto solo mezz’ora, niente
in confronto alle ore di attesa dell’anno scorso.
Alla frontiera cambio 20 euro in LEV, ma poi perdo tempo
a cercare lo sportello per l’acquisto del bollino
autostradale, che è stato chiuso. Devo fermarmi alla
prima stazione di servizio sulla strada principale per trovare
un bollino settimanale (6 euro). Ho appena guadagnato un
giorno d’anticipo sulla tabella di marcia. Poco oltre
Sofia vengo sorpassato da una Peugeot 106 con targa spagnola
che partecipa al Mongol Rally. Si tratta di un raid che
parte ogni anno a luglio da varie città d’Europa;
gli equipaggi, alla guida di auto di piccola cilindrata,
cercano di raggiungere Ulan-Bator, capitale della Mongolia.È
matematico che la Peugeot si fermerà al Mc Donald's
pochi chilometri più avanti, dove io intendo cenare.
E infatti, alla cassa incontro l’equipaggio e attacco
subito discorso, spolverando il mio spagnolo che non parlo
da un paio d’anni.

Kepa e Carlos: da Bilbao a Ulan-Bator con la Peugeot
106
Kepa e Carlos, 32 e 30 anni, entrambi ingegneri,
sono partiti da Bilbao, hanno raggiunto Barcellona per il
lancio ufficiale spagnolo del rally e poi Praga per il primo
check point. Proseguiranno per Turchia, Iran, Turkmenistan,
Uzbekistan, Kazakhstan, Russia e Mongolia. Facciamo domande
tecniche sui nostri mezzi, foto, scambio di biglietti da
visita e di opinioni sulle possibilità di pernottamento
in zona.
Mentre gli spagnoli si vogliono fermare al più
presto in un motel per riposare, io voglio proseguire fino
al Camping Sakar Hills, che si trova ad almeno 2 ore di
strada da qui. Così faccio, continuando a guidare
fino a Biser, a pochi chilometri dal confine turco, dove
sorge questo campeggio molto noto a chi si reca abitualmente
in Turchia via terra. Il gestore, alle 23, mi dà
il benvenuto e mi invita a scegliere la piazzola. Ci sono
solo 3 mezzi oltre al mio: due caravan e un fuoristrada
attrezzato. La sosta costa come sempre 20 LEV (12 euro).
km oggi: 1.033 totali: 1.745

giovedì, 29
luglio 2010 
Al Camping Sakar Hills c’è una coppia di inglesi
di mezza età in sosta con la caravan. Si trovano
in Bulgaria per cercare una casa da acquistare. Ma la vera
sorpresa sono Laura (italiana) e Chris (tedesco), in giro
con un vecchio fuoristrada attrezzato. Chris è in
viaggio dal 1997, e ha visitato vari continenti. Anche se
ho fretta, non posso fare a meno di condividere il mio itinerario
con loro. Chris, da vero esperto di viaggi via terra, tralascia
le banalità e fa subito considerazioni di carattere
tecnico. Entusiasta per la mia idea di visitare il Ladakh,
dice che sono fortunato ad avere un motore a benzina, visto
che i diesel vanno incontro a problemi nei passi oltre i
5000 m. Ma aggiunge che anch’io potrei avere problemi:
per mantenere il rendimento dovrò aumentare l’anticipo
di accensione, ruotando lo spinterogeno fino a 15°.
Non è difficile modificare l’anticipo del mio
motore, basta allentare un dado e ruotare il corpo dello
spinterogeno. Ma i 15° di anticipo mi lasciano perplesso
perché sono tanti (di norma sarebbero 7°8°,
con l'impianto GPL è stato portato a 10°-11°).
Terrò comunque a mente il consiglio, nel caso dovessi
riuscire a raggiungere il Ladakh.
Arrivo di corsa alla frontiera con la Turchia, dove la coda
è bella lunga già sul lato bulgaro. Parlo
con un camperista francese in viaggio con le due figlie:
sta andando all’aeroporto di Istanbul aprendere la
moglie. È diretto in Siria e Giordania, è
abbastanza informato sulle destinazioni ma non sa molto
sulle formalità burocratiche alle frontiere. Essendo
stato l’anno scorso da quelle parti, gli do qualche
informazione sulle varie tasse che dovrà pagare.
Il motivo della coda è che il poliziotto bulgaro
in uscita è un chiacchierone. Cerca di farsi regalare
un CD di musica italiana. Gli faccio vedere le SD card dell’autoradio:
“mi dispiace, ho solo MP3”. Che brutto lavorare
in frontiera: con tutto l’impegno possibile, sai che
ti passano davanti traffici di ogni tipo, e non ci puoi
fare niente.
Sul lato turco le pratiche sono velocissime: solo timbratura
del passaporto e registrazione del veicolo. Il tentativo,
da parte dei funzionari che esaminano la carta di circolazione,
di intavolare un discorso sui mondiali di calcio appena
conclusi, viene da me stroncato sul nascere. Niente controllo
della dogana e neanche della polizia, visto che il gabbiotto
in uscita dall’area di frontiera è vuoto.
Metto l’orologio avanti di un’ora e all’ingresso
dell’autostrada ricarico di circa 5 euro la tessera
prepagata KGS che avevo acquistato l’anno scorso.
Tra Edirne e Selimpasa faccio il primo scarico selvaggio
dell'estate. Prima di pranzo passo il casello di Istanbul,
il Ponte sul Bosforo… ed è subito Asia! Non
nascondo la soddisfazione di aver raggiunto Istanbul via
terra, partendo da Pisa, in meno di 48 ore.
In serata sono
ad Ankara. Percorro tutta la tangenziale prima di arrivare
all’uscita per la statale E88/D200 verso Kirikkale
e Sivas. Avrei detto che c’è una strada più
breve per evitare di girare tutto attorno ad Ankara, ma
secondo i camionisti locali sarebbe meglio fare la tangenziale,
cioè la strada che sto facendo io, seguendo le indicazioni
per Samsun e, appena si presentano, quelle per Sorgun e
Sivas. Ceno in un classico ristorantino turco per viaggiatori
locali, uno di quelli da kebab+insalata+the dove nessuno
parla una parola d’inglese. Proseguo fino a una bella
area di servizio poco oltre Kirikkale, dove chiedo se posso
fermarmi per la notte. Il benzinaio mi suggerisce la sosta
davanti al ristorante, magari dopo aver ordinato un caffè.
Io il caffè prima di andare a dormire non lo prendo
mai, preferisco un gelato o qualcos’altro.
Ma…“Qui abbiamo solo il Nescafè.”
E allora Nescafè. Che schifo, me lo bevo bollente
e me ne vado a dormire con lo stomaco sottosopra.
km oggi: 856 totali: 2.601

Punto sosta nei pressi di un’area di servizio
vicino a Kirikkale

venerdì, 30 luglio 2010 
Partenza presto, con il sogno di superare Erzurum e arrivare
al confine con l’Iran entro oggi. Ma la strada è
difficile, con continue deviazioni e tratti sconnessi da
fare a 10 km/h. Non parliamo del traffico di TIR. Per il
pranzo scelgo un ristorante con parcheggio che si presenta
molto bene. Si trova poco prima dell'ingresso di Sivas,
sul lato destro. Ha un enorme giardino molto ben allestito
con manufatti in legno, tipo carretti e casette sugli alberi.
C'è anche un laghetto artificiale. Gli agnelli prima
gironzolano tra i tavoli e poi vengono fatti arrosto (e
non sono male).

Ristorante all'aperto a Siva
Impossibile andare oltre Erzurum, dove arrivo
in tarda serata. E mi ritengo fortunato a raggiungere senza
danni il centro della città: l’ingresso è
infatti complicato, a causa di lavori in corso con varie
deviazioni non segnalate, mancanza di illuminazione pubblica
e pessimo vizio degli automobilisti di usare gli abbaglianti
non curanti del disagio che creano a chi arriva in senso
inverso. Il fatto di avere un riferimento per la sosta,
cioè il parcheggio della Kale, mi suggerisce di fermarmi
qui. Dopo aver preso uno svincolo contro mano e qualche
parolaccia, chiedo a dei locali se è possibile sostare
per la notte davanti alla Kale: non c’è nessun
problema. Parcheggio quindi sotto il muro della Kale. Doccia
e cena a base di pasta, poi dormo benissimo perché
c’è fresco e silenzio.
km oggi: 787 totali: 3.388

sabato, 31 luglio
2010 

Il parcheggio della Kale a Erzurum
Prima di rimettermi in viaggio verso Est, do una sbirciata
all’esterno della Kale e alla piazza antistante, facendo
qualche foto. Mentre esco da Erzurum, noto un parcheggio
privato custodito. Credo che sia una possibile alternativa
al parcheggio della Kale.
Fortunatamente la strada migliora, il traffico diminuisce
e la guida è più rilassante. Ci sono vari
posti di blocco dell’esercito, in cui però
non vengo mai fermato. A metà mattina, inizio a scorgere
la vetta innevata del Monte Ararat. All’ora di pranzo
attraverso Dogubayazit, che mi da’ l’idea di
un immondezzaio, fino ad arrivare alla strada per Ishak
Pasa, in cui si trova il Lalezar Camping. Il campeggio è
gestito da un olandese immigrato in Turchia da diversi anni,
che mi riserva un posto per il pomeriggio, dato che il camping
è completamente occupato da auto in sosta. Al ristorante
del camping c’è infatti il tutto esaurito.
Ho un gran mal di pancia da ieri sera, e oggi mi è
venuta anche la febbre, ma nonostante ciò riesco
a guidare fino a Ishak Pasa e a fare belle foto al panorama.
Vedo di sfuggita una Fiat Seicento del Mongol Rally che
sale di corsa verso il Parasut Camping, ma non faccio in
tempo a leggerne la targa. Mentre faccio il bucato, al Lalezar
Camping arriva un fuoristrada attrezzato a camper con targa
svizzera. L’equipaggio è formato da due ragazzi
giovanissimi che stanno cercando di raggiungere la Mongolia
(ma non fanno parte del Mongol Rally). Uno di loro, che
si è fatto prestare il fuoristrada da un amico, effettuerà
tutto il viaggio per una durata di 4 mesi circa. Il co-pilota
invece cambierà ogni qualche settimana.
All’ora di cena, con sollievo, noto che non ho più
né mal di pancia né febbre. Vorrei fare una
lunga dormita, ma la musica fortissima che proviene dal
bar/ristorante del campeggio sarebbe in grado di superare
sia i tappi auricolari in gommapiuma, sia le cuffie anti-rumore
(che hanno attenuazione di 22 dB). Visto che mi sento bene,
mi vesto distintamente per fare una passeggiata e vedere
un po’ quello che succede in zona. Nell’aprire
la porta mi accorgo che il parcheggio (cioè il camping)
è completamente pieno di auto in sosta e c’è
un gran movimento di gente. Vado a chiedere informazioni
al gestore del camping, che sta parlando con i ragazzi svizzeri,
mettendola sul tono del “se mi fermo in un campeggio
è perché prima di tutto voglio riposare”.
La spiegazione è semplice: “E’ in programma
un matrimonio curdo e siete tutti invitati”.
Ho un attimo di disorientamento. Dio buono! (anzi, Allah
buono!) Non mi ero accorto di essere in Kurdistan. Questo
spiega i posti di blocco dell’esercito sulla strada.
Dopo essermi ripreso dalla sorpresa, e anche dall’imbarazzo
di non aver saputo di essere nella regione curda, mi lancio
verso l’assembramento di persone in attesa degli sposi.
Senza dare troppo nell’occhio, fingo di aspettare
anch’io con impazienza. In realtà ne approfitto
per dare discretamente un’occhiata e cercare di capire
come si configura un matrimonio curdo. Innanzitutto, le
donne stanno sedute al centro dell’area (direi del
locale, ma siamo all’aperto), lontane dai maschi.
L’unica eccezione in quella zona sono i bambini e
qualche adulto che tiene in braccio un neonato, per dare
il cambio alla moglie.
Gli altri uomini ronzano attorno
alle donne, ma si tengono a distanza di alcuni metri. In
un’auto di grossa cilindrata, bardata col nastro,
eccetera, come si usa fare da noi, arrivano gli sposi. Iniziano
i fuochi d’artificio in più punti, sia da dentro
che dall’esterno del camping. In una collina si scatenano
vari principi d’incendio che vengono prontamente spenti.
Il vento e il fatto che l’aria sia secca (come del
resto la vegetazione), non preoccupa affatto nessuno e anche
i bambini partecipano allegramente allo spegnimento di quello
che potrebbe assumere facilmente le dimensioni di un rogo.
Intanto guardo perplesso la posizione del camper: stretto
tra decine di auto, in caso d’incendio nel camping
sarebbe impossibile salvarlo.
La cerimonia prosegue con danze varie, e io non capisco
se e quando il tutto culminerà con qualche rito che
segna ufficialmente l’unione. Se lo chiedono anche
i due ragazzi svizzeri. Il tempo passa, e finalmente maschi
e femmine partecipano ai balli insieme (senza distanza di
sicurezza), ma del rito del matrimonio come lo intendo io
non c’è traccia. Si noti, inoltre, che non
viene fatto uso di alcool, dimostrazione di come ci si può
divertire senza ubriacarsi. Comunque alla fine mi aspetterei
qualcosa tipo la dichiarazione di marito e moglie. Invece
gli sposi si siedono in una specie altare decorato, qualcuno
si avvicina a parlargli e la gente comincia a tornarsene
a casa. Io torno al camper felice di aver assistito a un
matrimonio curdo (in Kurdistan!) e felice di andare a letto
prima di mezzanotte.
km oggi: 292 totali: 3.680

domenica, 1 agosto
2010 
Sveglia molto presto perché voglio arrivare al più
presto possibile alla frontiera iraniana, e prima di partire
devo pure caricare l’acqua. La sosta al camping è
costata circa 5 euro. Appena esco dal Lalezar Camping, incrocio
una Fiat Bravo con targa italiana che partecipa al Mongol
Rally. I ragazzi sono partiti da Brescia e, dopo una passeggiata
a Ishak Pasa, si dirigeranno anche loro verso la frontiera
iraniana.

Equipaggio italiano del Mongol Rally a Dogubayazit
La frontiera è a qualche decina di
km dal camping e la raggiungo in tre quarti d’ora
perché la strada è buona. Supero la colonna
chilometrica di TIR e mi infilo nel lato turco del confine.
Domande di rito da parte dei militari turchi: motivo del
viaggio, provenienza, itinerario. E anche domande che non
centrano niente: “Quanto costa questo camper?”,
“Mi regali quella torcia a led?”.
In coda c’è una Suzuki del Mongol Rally con
targa inglese. A bordo due inglesi e un italiano, che si
sono appena fatti fregare da uno “squalo” cambiavalute
iraniano che a quanto pare sconfina a suo piacimento tra
i due paesi. Ne approfitto e mi faccio fregare anch’io,
ma cambio solo le 130 lire turche che mi sono avanzate (circa
70 euro) in Rial iraniani. Nonostante le insistenze, evito
di cambiare altri euro o dollari presso questo individuo:
mi fermerò a Bazargan per cercare una banca e avere
un cambio ufficiale.
In uscita dalla Turchia mi prendo un arrabbiatura con un
tizio che dice di lavorare per la dogana e vuole vedere
il mio Carnet. Gli dico che prima di tutto dovrebbe farsi
riconoscere con un distintivo
o almeno una tessera, e poi che il Carnet non l’ho
esibito all’ingresso in Turchia e non ho intenzione
di esibirlo in uscita. Cerco di spiegargli che lui può
anche essere un ufficiale, ma non ha nessuna autorità
per richiedermi un documento che in Turchia non è
mai stato e non è obbligatorio.
Il tizio si
arrabbia più di me e mi ordina di dargli il Carnet,
che naturalmente non ho nessuna intenzione di dargli. Per
uscire da questa situazione che sta per degenerare, suono
il clacson finché non attiro l’attenzione di
un funzionario in divisa che finalmente si degna di darmi
udienza.
Chiedo: “Chi è questo signore e perché
vuole vedere il mio Carnet?”. E il funzionario: “Ah,
sì, dovremmo vedere il Carnet”. Io: “Ma
chi è questo signore?” Funzionario: “Ah,
lui è di qui”. (ma che risposta è?)
Io: “Perché dovete vedere il Carnet?”
Funzionario: “Bisogna che prendiamo nota”. Io:
“Vi rendete conto che il Carnet è un documento
importante e che io non posso darlo alla prima persona che
me lo chiede, vero?” Funzionario: “Sì”.
Io: “E poi, scusate, perché dovete registrare
il Carnet se io a Edirne non ho avuto nessun timbro?”.
Tutto inutile, loro devono vedere il Carnet, altrimenti
non sono contenti e io non passo. Lo guardano, vedono che
è nuovo, e non registrano un bel niente! Lasciando
perdere il Carnet e la registrazione, il problema di fondo
rimane che in Turchia c’è la moda dei funzionari
in borghese: non si capisce che ruolo abbiano e possono
essere scambiati per bagarini. Basterebbe una divisa, o
anche solo una tessera di riconoscimento, per evitare buffonate
come quella in cui mi sono appena trovato.
Il lato iraniano è il “vero collo di bottiglia”
della frontiera, in quanto le formalità qui sono
maggiori, ed è più affollato. Gli iraniani
mi fanno parcheggiare il camper, e dopo aver esaminato il
Carnet mi affidano a unfunzionario dell’immigrazione
che, in pratica, mi interroga. È un vero piacere
dialogare con uno che parla bene l’inglese. Alla fine
della conversazione (che consiste nel raccontare il mio
lavoro in Italia, l’itinerario e il motivo del viaggio),
vengo invitato a fare domande per chiarire qualunque dubbio
possa avere sull’Iran. “Ah, io ne ho due di
dubbi!”, faccio. E il funzionario, sorpreso, chissà
che domande si aspetta. “Il primo è sull’assicurazione
RCA: qui la Carta Verde europea è accettata?”
Risponde “Sì se c’è la sigla dell’Iran”.
“Fantastico, nella mia c’è scritto Repubblica
Islamica dell’Iran.” Ho una rogna in meno. “Il
secondo è sulla benzina: è vero che devo procurarmi
la tessera?”. “No, in uscita dalla frontiera
dovrà mostrare il Carnet e compilare un modulo. Alle
stazioni di servizio le venderanno la benzina a prezzo pieno,
utilizzando una loro tessera. Spero che il suo veicolo non
sia diesel, altrimenti dovrà pagare una pesante tassa”.
Davanti allo sportello “immigration” c’è
una fila di una ventina di persone. Il funzionario mi fa
praticamente saltare la coda (compresi i ragazzi del Mongol
Rally). Alla dogana, un ragazzo si offre di aiutarmi. Praticamente
mi prende i documenti e li passa ai funzionari della dogana
con cui si mette a confabulare.
Ciò che succede nel
quarto d’ora successivo è… assolutamente
niente di rilevante: me ne sto seduto nel camper, ogni tanto
qualcuno in divisa viene a dare un’occhiata (più
che altro per curiosità riguardo al camper) e mi
fa domande generiche sulla tipologia degli oggetti contenuti
a bordo. Parto verso l’uscita dalla frontiera, con
il ragazzo-faccendiere a bordo, il Carnet e il passaporto
già timbrati, e nessuno ha nemmeno guardato l’interno
del camper. Notevole. L’ultima procedura consiste
nel pagare 50 euro di tassa sulla benzina (per i diesel
sarebbe molto più alta) e nel consegnare il biglietto
ottenuto nell’ufficio dei carburanti alla guardia
in uscita.
“Welcome to Iran”. Il faccendiere mi chiede
una mancia per l’aiuto che mi ha dato.
Onestamente, considerato che ho fatto la frontiera Turchia-Iran
(che ho sentito definire come un incubo da altri viaggiatori)
in solo un’ora e mezza e senza perquisizioni del camper,
mi posso definire soddisfatto. Cerco una banconota in euro
di piccolo taglio; trovo 20 euro e glieli do. Metto l’orologio
avanti di un’ora e mezza.
È arrivato il momento di fare il pieno di benzina
a buon prezzo, e di smentire la L. Planet sul costo per
gli stranieri: non è di 6000 Rial al litro, ma bensì
di 4000 (circa 0,36 euro). Per gli iraniani il prezzo è
invece di 1000 Rial al litro, almeno per un certo numero
di litri al mese (o all’anno, non ricordo). Superato
tale limite, si applica anche per loro il prezzo di 4000
Rial al litro.
L’unico problema che ho nel fare il pieno è
legato al prezzo finale: mi viene comunicato non in Rial,
ma in Toman. Avevo letto nella L. Planet qualcosa sull’uso
del “Toman”, ma non ci avevo dato troppo peso.
Mi faccio scrivere il prezzo in Rial su un pezzo di carta
e pago, con estremo piacere, meno di 20 euro. Chiedo indicazioni
per una banca, ma purtroppo a Bazargan non ce ne sono: devo
andare a Maku. Nessun problema, Maku è sulla strada
e in teoria avrebbe anche delle attrazioni turistiche. La
strada statale iraniana è buona; le indicazioni sono
frequenti e sono scritte sia in Farsi che in inglese.
A
Maku però non è facile trovare il centro,
perché non capisco dove inizia e dove finisce la
città, e non ci sono indicazioni esplicite per la
zona commerciale. Trovato con fatica il centro, non devo
fare altro che passare da una banca all’altra alla
ricerca di uno sportello per il cambio di valuta straniera.
Anche la Melli Bank si rifiuta di cambiare gli euro. Il
quinto tentativo va a buon fine, e vengo invitato dalla
impiegata ad accomodarmi presso la sua scrivania. Le procedure
di cambio sono più simili a quelle di richiesta di
un mutuo. Fotocopie di varie pagine del passaporto, compilazione
di moduli e tante firme. Dopo mezz’ora, i miei 250
euro sono diventati un pacco di Rial (o di Toman?) che dovrebbero
bastarmi per alimentare il motore del camper fino al confine
pakistano e ovviamente per alimentare me.
Il tempo che ho perso per cercare la banca e cambiare i
soldi (più di un’ora in tutto), mi suggerisce
stasera di non andare oltre Tabriz, che dista circa 300
km, e di fermarmi lì per la notte. Peraltro so che
si può campeggiare presso il Parco Elgoli, ho la
cartina della città nella L. Planet e dovrei arrivare
prima che faccia buio. All’uscita di Maku incontro
l’equipaggio italo-inglese del Mongol Rally con la
Suzuki. Loro faranno un giro in zona per visitare alcuni
reperti archeologici.
Proseguo sulla strada statale, che
diventa presto una bellissima autostrada, verso Tabriz.
I caselli sono sporadici, si paga in contanti, e talvolta
i casellanti mi fanno passare senza pagare, per simpatia.
Arrivo a Tabriz nel pomeriggio, e necessito di un’ora
buona per trovare la strada fino al Parco Elgoli. Naturalmente
avevo sbagliato: avevo preso l’uscita autostradale
per il centro della città. Dovevo invece proseguire
sull’autostrada verso Teheran per molti chilometri,
in quanto il Parco si trova all’estrema periferia
sud di Tabriz (quasi fuori città).
Le indicazioni
stradali poi fanno ridere:sono delle scritte minuscole collocate
immediatamente sopra agli incroci. È impossibile
leggerle prima di trovarsi al centro dell’incrocio,
quindi è improbabile riuscire a prendere la direzione
giusta.
Fortunatamente posso contare sulla estrema gentilezza
degli iraniani, che mi spiegano la strada verso questo parco,
famosissimo luogo di ritrovo per i locali. Riprendo l’autostrada
verso Sud, e finalmente trovo le indicazioni per il parco.
Nella mia stessa direzione, un flusso di auto stipate di
persone e di bagagli, con tavolini fissati in maniera improbabile
al portapacchi, mi sorpassano di fretta. Sono gli iraniani,
che con le loro utilitarie corrono a campeggiare all’Elgoli
Park. Sembrano gli italiani degli anni ’70. E fanno
degli incidenti da paura.
All’ingresso del Parco Elgoli si paga un biglietto
(anzi, a me ne fanno pagare due, per un totale di 0,80 euro).
Per scrupolo chiedo se è possibile campeggiare, e
mi viene risposto di sì. Non mi rimane che cercare
un posto per sostare, e la cosa è facile visto che
di spazio ce n’è in abbondanza. Ma la gente
arriva in continuazione, e presto sono circondato da auto,
tende montate dappertutto e intere famiglie che si spargono
su ogni metro quadro di prato e di marciapiede.

Sosta-campeggio presso il Parco Elgoli di Tabriz
Prima di cena vorrei trovare un Internet
Point. Non mi connetto dal giorno della partenza. Chiedo
ai miei vicini di piazzola, che chiamano subito il capo
famiglia perché parla inglese. In Iran l’inglese
non è molto diffuso, ma è parlato di più
che in Turchia.
Il gentile signore mi raccomanda di andare
verso il centro del quartiere, dove si trovano vari Internet
Point. Appena esco dal parco chiedo informazioni a dei giovani
che stanno mangiando della roba cotta al barbecue presso
un chiosco. Questi mi guardano incantati come se arrivassi
da un altro mondo.
Dopo le domande che ormai ho imparato
sono assolutamente immancabili in questi casi (“da
dove vieni”, “che lavoro fai”, “perché
ti trovi in Iran”, …) si offrono di darmi un
passaggio. La zona degli Internet Point non è lontana,
sarà a 5 minuti di camminata, ma non c’è
verso di andare a piedi perché sono praticamente
obbligato ad accettare il loro passaggio, dato che continuano
a ripetere che sono un ospite. Arrivato all’Internet
Point ringrazio e saluto, ma questi dicono che mi aspetteranno
e mi daranno un passaggio anche per tornare al parco. Intanto,
mentre navigo in rete, tra siti bloccati dal governo (es.:
Facebook), con una connessione lentissima, i ragazzi mi
stanno alle spalle e mi scrutano. Poi mi danno un passaggio
fino al parco, dove ci scambiamo le email e ci salutiamo.
Uno di questi, Vahid, mi ha effettivamente contattato per
email alcune settimane dopo.
Tornato al Parco Elgoli, mangio la pizza in un fast food.
Il locale è quasi vuoto perché la maggior
parte delle famiglie cucinano per conto proprio e mangiano
per terra davanti alle loro tende.
Al momento di pagare il conto, ecco che mi dicono dinuovo
il prezzo in Toman e non in Rial. Chiedo quanti c...o di
Rial devo pagare, ma non c'è verso di farmelo dire.
Quelli non vogliono pronunciare il prezzo in Rial. Lo scrivono
quindi sulla calcolatrice.
Faccio un bel giro nel Parco Elgoli fino a perdermi. Il
parco è enorme e affollato da famiglie che campeggiano
o che passeggiano mentre i bambini mangiano gelati e altre
schifezze delle bancarelle. Molti sono i ragazzini con la
maglietta azzurra dell'Italia. C'è un'atmosfera di
sobria felicità.
E adesso mi devo togliere un sassolino dalla scarpa. Recentemente
ho visto che in una notatrasmissione dedicata ai viaggi
si parlava di Iran. È venuto fuori un discorso tipo:
“In Iran sembra che ci sia serenità. E' una
tattica del regime per far sembrare a chi arriva dall'esterno
che le cose vanno bene.” Naturalmente il discorso
l'ha iniziato la conduttrice, che secondo me non è
neanche mai stata in Iran. E non mi sarei potuto aspettare
diversamente da una che collabora, suo malgrado, con quelli
che fanno la disinformazione in Italia.
Io di politica iraniana
non ne so niente e non me ne frega niente, e per questo
non mi metto ad argomentare su cose che non so. Una cosa
la so, e cioè che non sono qui per beneficienza ma
sono solo di passaggio e mi limito a descrivere quello che
vedo. Posso permettermi di dire cosa penso (e ci mancherebbe,
questo è il MIO resoconto) su quello che vedo e tocco
con mano, il resto lo lascio alla fantasia del lettore.
Sperando che il lettore non spacci come verità assoluta
quanto possa immaginarsi sull'Iran leggendo questo resoconto.
La differenza tra quello che si legge qui e quello che dicono
in televisione è che io scrivo dopo essermi almeno
degnato di prendere contatto con la popolazione. I cronisti,
invece, cosa fanno?
Rilanciano notizie lette da un'agenzia
italiana, che riprende un'agenzia straniera, la quale riferisce
la dichiarazione di un'associazione di “esuli”
con sede in un paese terzo. Tutto il mio rispetto va a coloro
che, perseguitati nel proprio paese, fuggono all'estero.
Ma non per questo devo bere tutto quello che gli esuli,
dalla Svizzera o da Londra, raccontano sul proprio paese.
Cioè, non è che devo credere a priori a quello
che riferisce un tizio, il quale potrebbe anche essere scappato
dal suo paese perché perseguito dalla giustizia per
reati convenzionali come corruzione o simili. Dall'idea
che mi sono fatto, i veri problemi dell'Iran sono la crisi
economica e l'approvvigionamento energetico.
Uno dei maggiori
motivi per cui il popolo odia il governo è l'enorme
aumento del prezzo della benzina che c'è stato negli
anni precedenti. Non ho raccolto elementi a sufficienza
per poter affermare se in Iran c'è o non c'è
repressione. Da quello che ho visto, direi di no. E non
mi si venga a dire che quello che ho visto è un teatrino
allestito dal governo per incantare i turisti, giacché
di turisti ce ne sono ben pochi.
Continuo a passeggiare per il parco, e da una certa direzione
sento un gran rumore. Forse c'è l'autoscontro...
No, è la fine del parco e c'è la strada. Allora
è giusto, c'è l'autoscontro.
Prima di andare a dormire, voglio scambiare due parole con
i vicini di “piazzola”. Uso la curiosità
sulla differenza tra Rial e Toman come scusa per attaccare
discorso. “Scusa, com'è che ho pagato il rifornimento
in Toman, l'Internet in Rial e la pizza dinuovo in Toman?”
“Il fatto è che ci viene male pronunciare Rial.
Preferiamo dire Toman e in genere diamo il prezzo in Toman.”
Spiegazione chiarissima.
Il Parco Elgoli è frequentato, oltre che dai campeggiatori,
anche da moto e auto che lo attraversano senza particolari
finalità, ma solo perché le persone vogliono
farsi un giro. Ne consegue che il rumore e lo smog sono
elevati fino all'ora in cui la gente inizia a tornarsene
a casa, cioè mezzanotte.
km oggi: 341 totali: 4.021

lunedì, 2 agosto
2010 
Parto presto perché voglio evitare il traffico in
uscita dalla città e perché mi aspetta una
lunga giornata di guida fino a Isfahan. Siccome non riesco
a raggiungere l’autostrada per Teheran, mi fermo per
cercare qualcuno che mi possa dare un suggerimento. Il suggerimento
invece viene dritto da me: un signore in auto si ferma,
scende e mi parla in italiano: “Ho visto l'adesivo
della bandiera italiana! Benvenuto in Iran!”. Si tratta
di un iraniano che ha vissuto in Italia per molto tempo,
e quindi conosce la lingua.
Mi fa strada fino all’uscita
per Teheran, e penso che sarebbe stato molto difficile trovare
da solo il percorso, visto che non ci sono indicazioni.
Al primo distributore mi fermo per fare il pieno. Dopo venti
minuti di attesa nella coda che arriva fino all’autostrada,
chiedo a chi mi sta davanti se si tratta della fila per
la benzina. “No, è la fila per il metano.”,
risponde un tassista. Il CNG (Compressed Natural Gas), a
quanto pare, rappresenta il modo più semplice di
aggirare il razionamento della benzina. Avanzando verso
la pompa della benzina vedo che ci sono addirittura una
decina di pompe di metano.
Pago meno di 25 euro per il pieno. La benzina è economica,
ma mi accorgo presto che è di pessima qualità.
Ha un potere bassissimo, direi che non arriva neanche a
90 ottani. Me accorgo perché l’accelerazione
è scarsa e la messa in moto è difficile. Mi
era capitato in Siria e Giordania di usare benzina a 90
ottani, perché quella a 92 non era sempre disponibile
e quella a 95 assolutamente introvabile, ma questa iraniana
è peggio. Inoltre puzza terribilmente. L’autostrada
è molto buona ed è tenuta sotto controllo
dalle pattuglie di polizia: un autovelox mediamente ogni
20 km, e le multe le fanno davvero.
Un'altra cosa curiosa,
novità assoluta per me, sono i punti di pronto soccorso
dislocati uniformemente lungo l'autostrada. Mi pare siano
della mezzaluna rossa. Il pranzo è velocissimo, perché
devo riprendere al più presto la strada per Isfahan,
dove so già che arriverò a notte fonda. Sulla
strada vengo sorpassato da un fuoristrada carico di giovani
che mi scrutano e mi chiedono preoccupati da che paese vengo.
Avranno scambiato la “I” per la sigla di Israele.
Quando sentono Italia si tranquillizzano: “Bene, benvenuto!”.
L’autostrada passa per la metropoli Teheran, un incubo
che si materializza quando scopro che non riesco ad evitare
l’area urbana. Odio guidare nelle grandi città,
specialmente quando fa caldo. L’aspetto più
odioso è che non vedo indicazioni per l’autostrada
verso Qom e Isfahan. Così, chiedo indicazioni a dei
locali, che dimostrano ancora una volta la loro infinita
disponibilità. Un ragazzo si offre di farmi strada
con la sua auto, dopo avermi garantito che non troverò
neanche un cartello per l’autostrada. Teheran è
trafficata e caotica, ma ho visto di peggio. Seguo l'auto
del gentilissimo ragazzo che mi sta facendo strada, una
delle migliaia di Peugeot 206 bianche di Teheran. Per non
perderla di vista il trucco di leggere la targa non va bene:
la targa è scritta in farsi (che non è arabo,
è peggio). Gli devo stare incollato.
Arrivato all'ingresso dell'autostrada, com'era già
capitato, non mi fanno pagare il casello.
Per la cena mi fermo in un’area di servizio. Anche
se è segnalata la presenza di un ristorante, in realtà
c’è solo un mediocre fast-food, tra l’altro
sprovvisto di insalata. Mangio un cheese-burger e delle
patatine fritte. Proseguo il viaggio, mentre cala la notte.
L’autostrada da Tabriz a Isfahan costa in tutto circa
3 euro. Arrivo a Isfahan intorno alla mezzanotte. La città
è ben illuminata e deserta, ma ho difficoltà
nel trovare il Ghadir Park perché non riesco a individuare
la mia posizione nella mappa della L. Planet.
Dunque chiedo informazioni e mi faccio guidare da un iraniano
con la moto fino al Ghadir Park. Lascio una mancia di quasi
5 euro perché il motociclista mi ha davvero tolto
dai casini.
Il Ghadir Park di Isfahan, a prima vista, è analogo
al Elgoli Park di Tabriz: rappresenta un famosissimo luogo
ritrovo per i campeggiatori della zona. Essendo arrivato
tardi, non trovo posto all’interno del parco, e quindi
mi devo accontentare del parcheggio vicino all’ingresso,
di fronte ai bagni pubblici. Un punto un po’ rumoroso
perché è vicino alla strada principale. All’ingresso
mi viene consegnata una tessera che userò domani
per il pagamento.
km oggi: 1.067 totali: 5.088

martedì, 3 agosto
2010 
Il carico dell’acqua è quasi impossibile perché
non ci sono tubi di gomma e i rubinetti hanno il pulsante.
Mi accontento di riempire una tanica di riserva.
Mentre chiedo informazioni sulla strada verso Imam Square,
che ha reso celebre Isfahan, attiro l’attenzione di
due giovani del posto. Questi, prima di tutto pagano la
mia sosta (quindi non so neanche quanto fosse il prezzo),
poi si offrono di accompagnarmi fino al ponte Si-o-Seh,
che si trova nella zona di piazza Imam. A quel punto non
dovrebbe essere difficile per me raggiungere la piazza.
Ottimo. In pochi minuti si arriva al ponte e si parcheggia
in divieto di sosta come fanno tutti. Fa caldo.
I ragazzi che mi hanno accompagnato al ponte dicono che
devono tornare dalle loro famiglie e se ne vanno, non prima
di avermi sommerso di domande.
Continuo il mio giro nella città che gli iraniani
amano chiamare “la metà del mondo”, nel
senso che vedere Isfahan è come vedere mezzo mondo.
Faccio tappa presso un Internet Point per dare un’occhiata
alle e-mail. Ho ricevuto messaggi di persone che mi chiedono
se per caso ho rinviato la partenza perché vorrebbero
partecipare al viaggio. Ho pubblicato gli annunci 6 mesi
fa! Questi nel frattempo che facevano… dormivano?
Mi reco poi nella piazza Imam, che dista un quarto d’ora
di cammino. Lì faccio foto e compro una maglietta
di Isfahan.

La piazza Imam di Isfahan
L’idea che mi sono fatto di Isfahan
è di una città trafficata e caotica. I ciclomotori
passano veloci nei marciapiedi (stretti e sconnessi), sbattendosene
dei pedoni. L’aria è pesantemente inquinata.
Mentre rientro al camper compro della frutta a un prezzo
sproporzionato (che però poi si rivelerà gustosa)
e poi mi divincolo nel traffico fino all’autostrada
verso Yazd e Kerman.
Le pause di questa sera sono solo per mangiare e per i rifornimenti.
Vengo fermato a un posto di blocco, dove la polizia sta
facendo sfilze di multe per eccesso di velocità.
Non capisco perché mi fanno perdere tempo, dato che
non posso aver superato i 120. Infatti poi si accontentano
di prendermi il numero di patente.
In serata mi fermo in un’area di servizio (con ristorante,
secondo l’insegna), circa 250 km prima di Kerman.
Ci sono vari individui che indossano l’abito arabo.
Mi sto infatti avvicinando al sud dell’Iran, in cui
gli arabi sono più presenti che nel resto del paese,
data la vicinanza con il regno saudita e i paesi limitrofi.
Basti pensare che la città di Bandar-e-Abbas è
collegata da traghetti regolari con gli Emirati Arabi. Vorrei
fare una cena completa, ma l’unica rivendita di cibo
è un fast-food (più squallido di quello di
ieri), che non suggerisce un livello di igiene soddisfacente.
Per essere chiaro, se avessi famiglia non la farei mangiare
qui neanche se mi pagassero. L’unico altro cliente
è un ragazzino arabo che mangia un panino accovacciato
su una specie di branda. Prima ancora di poter ordinare
la cena, l’arabo mi chiede da che paese vengo. Io:
“Italia”. Arabo: “L’Italia ha appoggiato
la guerra in Afghanistan insieme a Stati Uniti e Spagna.”,
e agita il dito indice come fanno gli ayatollah e i mullah
quando predicano con fervore. Io: “Mi dispiace”.
Questo tipo comunque fa un po’ di confusione tra le
guerre. L’Italia infatti ha appoggiato, insieme alla
Spagna (e ad altri), l’attacco all’Iraq. La
guerra all’Afghanistan fu invece appoggiata da decine
di paesi (e l’Italia non partecipò direttamente).
Attualmente in Afghanistan c’è l’ISAF,
che fa capo alla NATO. Comunque non faccio in tempo ad aggiungere
altro perché l’arabo butta in terra mezzo panino,
mi volta le spalle e se ne va’. Pessimo segnale. Il
ristoratore invece non sembra curarsi della scena e mi propone
gentilmente l’unica opzione per la cena: panino con
sottaceti. Spendo 1 euro per panino e aranciata. Visto che
voglio tenere sotto controllo la situazione dell’area,
in particolare la posizione del piccolo Bin Laden e dei
suoi eventuali amici, facciamo che il panino me lo mangio
nel camper. Facciamo anche che mi siedo al posto di guida,
pronto a partire.
Osservo l’area di servizio, che è in condizioni
penose. Spazzatura a parte, per muoversi in sicurezza la
gente deve saltare rivoli di liquami che non si capisce
da dove provengano (e forse è meglio così).
Arrivo a Kerman che è veramente tardi. Mi consola
sapere che l’hotel con parcheggio in cui mi fermerò,
cioè l’Akhavan Hotel, segnalato dalla L. Planet,
si trova nel viale in cui sfocia l’autostrada. Purtroppo
scopro subito, parlando con dei giovani del posto, che l’hotel
è nell’altro lato della strada la quale non
può essere attraversata a causa dello spartitraffico.
Inoltre non è facile individuarlo in quanto non è
ben segnalato. Parcheggio nel cortile davanti all’ingresso.
L’impiegato alla reception mi conferma che l’albergo
offre possibilità di campeggiare in giardino. Il
prezzo verrà concordato domani.
L’area di campeggio si trova nel retro dell’hotel,
vi si accede da un’altra strada, ed è molto
spaziosa. (direi che ci possono stare anche 10 camper).
Inoltre è silenziosa perché è lontana
dalla strada a scorrimento veloce.
km oggi: 690 totali: 5.778

mercoledì, 4
agosto 2010 
Riempio una tanica da un rubinetto malandato da cui esce
solo un filo d’acqua. Ci sarebbe anche un tubo di
gomma per riempire il serbatoio, ma la pressione è
talmente bassa che quando lo sollevo il flusso diminuisce
ulteriormente. Prima di lasciare l’Akhavan Hotel devo
comunicare alla reception quale sarà la mia prossima
destinazione. Dichiaro che sono diretto a Mirjaveh, al confine
con il Pakistan. “Non c’è possibilità
di pernottamento a Mirjaveh”, dice l’impiegato
con poca gentilezza. Ricambio con molta meno gentilezza:
“E invece sì. C’è il Tourist Inn
gestito dal governo, e ha pure il parcheggio interno. In
ogni caso io viaggio in camper, quindi mi posso fermare
dove mi pare.” Quindi parto verso Sud-Est, sperando
di arrivare vicino alla frontiera pakistana entro oggi.
La strada tra Kerman e Bam sarebbe leggermente a rischio
sequestri, secondo la L. Planet. Fuori Kerman le indicazioni
per Bam non sono chiarissime, così do un passaggio
a un signore che trasporta un sacco e ne approfitto per
chiedere informazioni. La direzione che ho preso non è
quella migliore, perché ho saltato l’ultimo
pezzo di autostrada, ma va bene lo stesso perché
porta si ricongiunge con Mahan. Il signore, per ringraziarmi
del passaggio, quando arriva a destinazione va in un bar
e mi compra una bottiglia di cola.
Sono di buon umore, sono in anticipo di un giorno pieno
sulla tabella di marcia. Ma sta iniziando la parte critica
dell’itinerario: Bam è sempre più vicina
e io sono già nel pieno del famigerato Sistan-Beluchistan.
Bam si troverebbe in una zona a rischio, soprattutto per
gli stranieri (fonte: L. Planet, sito della Farnesina).
Prima e dopo l’ingresso in città, mantengo
elevato il livello di attenzione. Cerco di raggiungere l’Akbar
Tourist Guest House, segnalato dalla L. Planet come un tipico
ritrovo di turisti che viaggiano da/per il Pakistan con
i loro veicoli. Vorrei infatti viaggiare in gruppo, e per
1 euro mi faccio guidare da un taxi fino all’ingresso
dell’hotel, allontanandomi dall’assembramento
di persone che si sta formando vicino al camper.
Nell’hotel c’è solo un dipendente, mentre
il proprietario è fuori. Il dipendente non parla
inglese, ma chiama il proprietario al telefono e me lo passa.
Spiego che sono in viaggio verso il Pakistan, e chiedo se
per caso c’è in zona qualche turista diretto
in Pakistan via terra. Il proprietario dice che gli ultimi
turisti sono partiti per Mirjaveh due giorni fa: una famiglia
tedesca in auto e un motociclista inglese. Il motociclista
è Mike, un inglese che sta facendo il giro del mondo
e con cui sono incontatto via email da un mese. È
partito una settimana prima di me e ha seguito lo stesso
itinerario. Sto per raggiungerlo.
Secondo quanto mi dice il proprietario dell’hotel
al telefono, tra Bam e Mirjaveh non sarei obbligato a viaggiare
con la scorta. Rispondo dunque che dopo pranzo partirò,
da solo, per il confine.
Torno nel camper e faccio uno spuntino. Mentre mangio una
mela, sento qualcuno che pronuncia al telefono quella che
sembra la targa del mio camper. Penso subito a un contrabbandiere
che vuole nascondere qualcosa nel camper per passare il
confine. Apro la porta della cellula con mezza mela in mano
e trovo un signore che mi chiede come mi chiamo. Io: “Giuseppe,
piacere.” Signore: “Quando vuoi partire?”.
Io: “Per dove?”. Signore: “Per il Pakistan!”
Boia, che domande faccio, dove si può andare il 4
agosto con mezza mela in mano? In Pakistan, ovviamente.
Io: “Appena finisco di mangiare questa mela, cioè
adesso”.
La situazione è questa: il signore si chiama Akbar,
è il proprietario dell’omonimo albergo ed è
rientrato di fretta per assistermi nella preparazione del
viaggio verso Mirjaveh. Ha chiamato la polizia e ha già
comunicato i dati del camper e le mie intenzioni di raggiungere
Mirjaveh al più presto. Tra mezz’ora la polizia
sarà qui per scortarmi.
Mentre attendo la polizia, faccio una chiacchierata col
sig. Akbar. È un tipo sulla sessantina, insegnante
di scuola primaria in pensione, che ne deve aver visto delle
belle quando ci fu il terremoto del 2003 che distrusse Bam.
Attacco subito discorso in quella direzione, domandando
(retoricamente) se l’albergo abbia subito danni durante
il terremoto. “Eccome, fu raso al suolo! Non c’era
rimasto un muro integro. Tutto quello che vedi è
stato ricostruito”, dice. Osservo che c’è
un parcheggio interno, senza ostacoli rilevanti, che potrebbe
accogliere almeno un camper. Il sig. Akbar mi conferma che
è possibile campeggiare con veicoli ricreazionali.
Poi mi offre una tazza di the e continua: “Qui a Bam
tutti abbiamo avuto dei morti tra parenti e amici. Ma per
fortuna la ricostruzione è iniziata subito e va sempre
avanti”.
Sposto la conversazione sulle condizioni di sicurezza del
Sistan-Beluchistan, in particolare della strada verso il
Pakistan: “La strada per Zahedan e Mirjaveh è
sicura?” “Ma certo, a parte i noti traffici,
non c’è nessun problema neanche per gli stranieri!”
I “noti traffici” sarebbero quelli di droga
e di merce di contrabbando.
Rispondo “Ma allora perché mi viene appioppata
la scorta?”. E lui: “Per eccesso di prudenza,
perché la polizia iraniana desidera supportare gli
stranieri in questa zona. Secondo te, se ci fosse anche
il minimo rischio, ti permetterebbero di accedere al Sistan-Beluchistan?
È solo che ogni volta che capita un piccolo inconveniente
in questa zona, l’Iran finisce sulle prime pagine
della stampa internazionale.”
Chissà se per “piccolo inconveniente”
intende il rapimento di un turista giapponese a Bam nel
2005, oppure quello di due turisti belgi che andavano in
Pakistan in auto nel 2007.
Concludo la piacevole conversazione offrendo una piccola
mancia al sig. Akbar, per l’ospitalità e per
l’aiuto che mi ha dato nel contattare la polizia.
La mancia sarebbe il mio “backsheesh”.
Lui mi dice: “Grazie, accetto, ma ultimamente a Bam
abbiamo avuto molti backsheesh, soprattutto dagli europei.”
Si riferisce agli aiuti per la ricostruzione del dopo-terremoto.
Arriva la polizia, e inizio il viaggio verso Zahedan.
Sulla strada, la pattuglia di scorta si da il cambio mediamente
ogni 20-30 km. Durante una sosta, un camionista si avvicina
e si mette a parlare italiano. Ha visto la targa del camper
e mi chiede se per caso sono di Varese. Racconta che, fino
a qualche anno fa, trasportava
regolarmente tra Italia e Afghanistan: caricava a Milano
e a Roma, si imbarcava a Bari e attraversava Grecia, Turchia,
Iran. Lui è uno di quegli autisti fortunati che sono
sopravvissuti agli attentati e ai bombardamenti in Afghanistan.
Gli chiedo com’è la situazione di sicurezza
da queste parti, ma non fa in tempo a rispondermi perché
la polizia mi ordina di ripartire.
Si arriva nel cuore del deserto. I militari che mi scortano,
adesso, sono giovanissimi. Facciamo delle foto-ricordo e
ascoltiamo musica, in attesa che arrivi la nuova scorta.
Un militare vorrebbe degli MP3, così gli regalo una
scheda di memoria con 1 Giga di musica, sia straniera che
italiana, per la sua gioia. La musica che io ho selezionato
prima del viaggio e che mi ha accompagnato fino a questo
angolo di antica Persia, continuerà a suonare in
mezzo alla polvere del Beluchistan. Suonerà nel cellulare
di questo soldato, che si ricorderà a lungo di uno
che viaggiava da solo con uno strano veicolo, parlava una
lingua diversa, veniva da lontano. Si ricorderà,
spero, che ero italiano.

Io e la mia scorta tra Bam e Zahedan
Dopo una sosta, mi viene dato come scorta
un ragazzino che sembra sotto l’effetto di sostanze
stupefacenti e/o farmacologiche. Non fa altro che masticare
piccoli impacchi un’erbetta che tiene in un sacchetto
trasparente.
Inizia a fare davvero caldo. La guida L. Planet dell’Iran
è appoggiata al cruscotto, al sole. Il caldo ha fatto
raggrinzire la copertina plastificata e si sono formate
le bolle. Il deserto del Beluchistan è sconfinato,
spazzato da un vento fortissimo. Non ho niente contro il
vento, ma quando solleva la sabbia è davvero una
scocciatura, perché non permette di tenere i
finestrini aperti. La sabbia del Beluchistan sembra polvere.
È talmente sottile che se ne sente l’odore,
simile a quello del cloro.
Ci fermiamo presso un edificio-fortezza, da cui esce un
soldato con la testa avvolta in un telo, per proteggersi
dalla sabbia. Un’esagerazione, penso io. Ma appena
scendo vengo investito da un flusso di aria bollente e polvere
che quasi mi acceca. Per arrivare all’ingresso della
fortezza mi proteggo gli occhi con la cartellina porta-documenti
del camper. Dentro l’edificio, solo un giovane militare
e un ufficiale. Sono di istanza nella fortezza in mezzo
al deserto, aspettando non si sa chi, non si sa cosa. Porca
puttana, ma questo è il deserto dei Tartari!
Si prosegue verso Zahedan con una nuova scorta, e poi un’altra.
Il tempo passa. Tra poche ore sarà buio e Mirjaveh
è ancora lontana. Inizio a considerare la possibilità
di non riuscire ad arrivare al confine pakistano entro oggi.
Seguo la mia scorta, un pick-up con 4 militari: 2 in cabina
e 2 all’esterno. Sto ascoltando De Gregori, e mentre
mangio dei cracker mi accorgo che il pick-up frena improvvisamente
e si butta in una piazzola in cui ci sono due auto e alcune
persone. Rallento anch’io, finisco tranquillamente
il cracker che ho in mano e vado verso il parcheggio. Ho
ancora il cracker in bocca quando due auto partono a razzo
in direzione contraria alla mia, mentre la polizia acciuffa
un ragazzo che è rimasto a terra. Trattatasi di auto
di contrabbandieri / trafficanti di droga.
Essendo a circa
25 km in linea d’aria dal confine afgano, questa è
risaputamente una zona di loschi traffici. Tuttavia non
mi aspettavo di vedere scene del genere nella strada principale
e in pieno giorno. Il ragazzo viene arrestato e caricato,
insieme alla sua borsa, nel pick-up della polizia. Mi accosto
e guardo perplesso un militare, il quale si mette a ridere
e mi fa cenno che è tutto sottocontrollo. Si raggiunge
il successivo check point in compagnia del prigioniero.
Qui l’attesa è abbastanza noiosa, in quanto
la nuova pattuglia non arriva prima di mezz’ora. Nel
frattempo noto che un profilo in alluminio del tetto del
camper si è piegato. Una vite è quasi saltata.
All’interno della cellula, sembra che i pensili si
stiano staccando dal tetto. In realtà è il
tetto che si sta staccando dai pensili: si è inarcato,
per la dilatazione a causa del caldo.
La successiva pattuglia di scorta è anch’essa
formata da 4 militari che viaggiano su un pick-up. In un
rettilineo, l’auto dei militari si fionda su una piazzola
sul lato sinistro della strada.È il caos. Due auto
di contrabbandieri scappano, appaiate, in direzione contraria
(verso di me) occupando tutta la carreggiata. Sono costretto
a frenare e ad accostare decisamente a destra, mettendo
2 ruote fuori strada. Nel frattempo, la polizia è
riuscita a bloccare una terza auto, speronandola sul muso
e spingendola all'indietro. Quest’auto cerca di fuggire
in retromarcia, sterzando a zig-zag, forse per poter fare
in qualche modo un’inversione, ma contemporaneamente
in direzione opposta sta arrivando un bus di linea a grande
velocità, che suona il clacson, sfanala, frena fino
a sfiorare l’asfalto con il muso. Il bus non può
fare molto, perché la carreggiata è impegnata
dalla polizia che continua a speronare la Peugeot dei trafficanti.
Qualcuno spara, non so se la polizia o i trafficanti. Piuttosto
che continuare a curiosare, preferisco levarmi accuratamente
dalle balle, scendendo dal camper e posizionandomi in basso,
nel terreno fuori dalla carreggiata. Questo per prudenza,
visto che ignoro gli sviluppi che potrebbe prendere lo scontro
e non voglio trovarmi nella traiettoria di eventuali proiettili
vaganti.
L’auto dei trafficanti riesce a fuggire, e sono certo
che sia meglio così. La polizia mi fa cenno di seguirla.
Ho notato che le auto dei contrabbandieri, tutte Peugeot
406 grigio metallizzato (modello molto diffuso in questa
zona), hanno motori potentissimi, ovviamente eleborati.
Il rombo fa intuire che lo scarico sia lavorato, insieme
a molte altre parti. E certamente non usano quello schifo
di benzina a 90 ottani dei distributori pubblici.
Alla successiva sosta, presso una piccola area di servizio,
mi rivolgo a quello che sembra il più alto in grado
della mia scorta: “Il vostro lavoro è molto
difficile, ma anche stimolante.” “Ah, vero.
Ma non preoccuparti, non c’è pericolo.”,
è la risposta.
Nel mini-market dell’area, dove acquisto delle bottiglie
di acqua minerale, mi viene proposta una busta di erbetta
di colore verde scuro.
“Cos’è”, chiedo, anche se ho già
capito di che si tratta: è quella roba che masticava
il militare strafatto che mi ha scortato in precedenza.
“È per la buona strada!”, mi risponde
il venditore.
Ho fatto una domanda semplice: ho chiesto che cazzo è
quella roba e questo non riesce a darmi una risposta sensata.
Peggio, non riesce ad articolare una frase! È strafatto
anche lui!
“Si ma cos’è? È droga?”,
insisto. “Noooo…. Si usa così.”
E mi fa vedere come si prepara l’impacco da mettere
in bocca.
“Va bene, quanto spendo per l’acqua minerale?”,
pago e me vado.
Situazione: mi trovo nella Repubblica Islamica dell’Iran,
in cui il consumo, la detenzione e lo spaccio di sostanze
alcoliche e stupefacenti sono severamente vietati. Teoricamente,
anche solo per il possesso di una minima quantità
di droga leggera, si può essere condannati a morte.
Tuttavia, per questa strada, passano più stupefacenti
che tra Sud America ed Europa. Surreale. Ma ci pensa l’ufficiale
di scorta a riportarmi alla realtà: “L’Italia
non ha fatto una bella figura ai mondiali quest’anno!”
“E no. Ma comunque io non seguo il calcio, preferisco
la Formula Uno: Alonso, Massa…”, e chiudo definitivamente
il discorso.
L’ufficiale sembra una persona molto colta e informata,
ma anche il successivo tentativo di dibattito: “Questo
veicolo è Ford, quindi è fabbricato negli
Stati Uniti!” (furbacchione!), viene da me prontamente
contrastato: “No, è fatto dalla German Ford,
quindi in Europa” (ed è la verità).
Cambio ancora una volta la scorta e, all’imbrunire,
arrivo a Zahedan. La polizia militare mi affida alla locale
polizia, la quale mi accompagna presso un albergo con parcheggio
interno. Nonostante io abbia spiegato che non intendo dormire
in nessuna stanza e che esigo pernottare dentro il camper
(su questo sono irremovibile fino a diventare antipatico),
sia l’albergatore che la polizia non accettano: dicono
che in questo modo butterei via i soldi (sarebbero circa
15 euro). “Non ci penso nemmeno. Se volete pago la
camera, ma dormo nel camper.”
A me sinceramente non me ne sbatte niente se spendo 15 euro
per dormire nel cortile e non in stanza, ma non c’è
verso: vengo invitato a uscire dal parcheggio, cioè
a rifare in retromarcia le complicate manovre per evitare
ostacoli e cavi elettrici, maledizione.
Poi si va fino alla locale stazione di polizia, perché
sembra che nessuno abbia intenzione di scortarmi con il
buio fino a Mirjaveh. Dormirò davanti all’ingresso
e domattina mi verrà restituito il passaporto per
poter proseguire fino a Mirjaveh. Alla guardia che sta davanti
all’ingresso della stazione, chiedo se la strada per
Mirjaveh è davvero così pericolosa di notte.
E quello, con la faccia seria: “Si, certamente. Questa
è una zona molto pericolosa.” Ma che vada a
cagare.
Mentre inizio la preparazione per la sosta notturna (apertura
bombola, accensione frigo, montaggio oscuranti), arriva
un poliziotto in borghese che mi chiede il passaporto in
un inglese stentato.A questo punto perdo la mia tipica calma.
È incredibile quanto divento intrattabile quando
sono stanco e ho fame: gli rispondo di andarlo a chiedere
ai suoi colleghi il mio passaporto, dato che me lo hanno
sequestrato molte ore fa, e se lo passano di mano in mano.
Quindi arriva un gruppo di otto Basiji, cioè quelli
che dovrebbero essere i guardiani della Rivoluzione. Insomma,
quelli che sparavano ad altezza d’uomo durante le
manifestazioni dell’anno scorso. Tutti a bordo di
moto enduro, si appostano davanti al camper. Ho sentito
brutte storie sull’arroganza dei Basiji, che talvolta
importunano anche gli stranieri. In questo caso, per fortuna,
si limitano a osservare il camper, mentre il poliziotto
in borghese si mette a fare domande riguardo almotore, con
il suo inglese da prima elementare. È interessato
all’alimentazione ed è contento che il camper
va a benzina.
Grazie al cielo la strada in cui sono in sosta non è
trafficata durante la notte, quindi posso dormire in pace.
km oggi: 526 totali: 6.304

giovedì, 5 agosto
2010 
L’appuntamento con la polizia, per la partenza verso
Mirjaveh, sarebbe alle 8. E alle 8 io sono prontissimo a
partire. Ma mi dicono che devo attendere la pattuglia di
scorta: “Ancora 10 minuti”. Poi: “Ancora
mezz’ora.” … “Sì, vedrai
che stanno arrivando…”. E così fino a
mezzogiorno.
Nel frattempo: -controllo i livelli del motore -rabbocco
il detergente lavavetri e pulisco il parabrezza -faccio
uno spuntino -monto sul retro il cartello “Caution
– Left hand drive vehicle”, utile dal Pakistan
in poi per
segnalare a chi sta dietro che il camper ha il volante a
sinistra -verifico i problemi al tetto causati dal caldo
-studio la guida L. Planet del Pakistan.
Aspetto come un deficiente fino a che non arriva –
ma guarda! – il poliziotto in borghese di ieri sera,
quello interessato all’alimentazione del camper. Fa
tutta una serie di discorsi sulla benzina mezzo in inglese
e mezzo in farsi (o in beluchi?). Poi mi passa al telefono
un suo collega, dice che parla inglese. L’unica cosa
che capisco è che mi vogliono vendere della benzina,
anche se non so perché. Non capisco il senso della
conversazione, tutta incentrata sul fatto che il governo
iraniano mi garantisce la benzina solo per un chilometraggio
fino al confine, mentre loro me ne possono procurare quanta
ne voglio. “ E allora? Sono a metà serbatoio
ma ho anche buona autonomia di GPL. Posso arrivare a Dalbandin
senza problemi”. Tutto inutile. Mi devono per forza
vendere la benzina. Sapevo che era possibile fare rifornimento
anche a Mirjaveh (in quantità limitata), per questo
pensavo di rifornire lì, prima di entrare in Pakistan.
Vista l’insistenza, “prenoto” 40 litri
di benzina per telefono. Il poliziotto in borghese mi fa
strada fino al distributore “clandestino” di
fronte a una stazione di benzina ordinaria. Un’orda
di bambini vestiti di stracci mi circonda, mentre due di
loro iniziano a svuotare le taniche nel serbatoio del camper.
Non mi permettono di essere fotografati, purtroppo. E ne
capisco il motivo: mi stanno vendendo benzina al nero, commettendo
un reato. Un reato talmente grave che il poliziotto che
mi accompagna osserva compiaciuto.
Tentano di farmi pagare un prezzo quasi doppio rispetto
a quello che pagherei come straniero. Gli lancio un’occhiata:
“State scherzando, vero?”. Sì, stavano
scherzando, e il prezzo sarà di 40 Rial al litro,
cioè quello ufficiale per gli stranieri. Comunque,
ci avranno guadagnato almeno 30 Rial al litro, dato che
quella che mi hanno venduto è certamente stata acquistata
a quota statale di 10 Rial al litro.
Cambio scorta 2 volte per fare 10 km, finché mi fanno
parcheggiare fuori città, presso un checkpoint sulla
strada per Mirjaveh. Qui attendo alcune ore, socializzando
con un poliziotto che parla l’inglese quanto basta
per farmi capire che ha seguito i mondiali di calcio e ha
notato che l’Italia ha giocato da schifo.
Le ore passano in una noia incredibile. Per fare un esempio,
dopo aver pranzato, passo il tempo bruciando le mosche con
la paletta elettrica.
Un piccolo diversivo è rappresentato dal pezzo grosso
di turno della polizia, dall'ottima parlata in inglese (sicuramente
ha vissuto all'estero), uno di quelli che vuole vederci
chiaro. Cioè, vuole capire perché un italiano,
da solo, sta attraversando l'Iran per andare in Pakistan
e India. Di questi tempi, la rotta che un tempo era frequentata
da turisti itineranti diretti nel sub-continente indiano,
non è molto di moda. Il poliziotto che vuole vederci
chiaro, almeno parte con il piede giusto: non parla dei
mondiali di calcio. Lo prendo in simpatia, come ho fatto
in passato con siriani, israeliani, egiziani, e gli racconto
che sto facendo questo viaggio perché mi andava di
farlo e che mi finanzio lavorando al Consiglio Nazionale
delle Ricerche. Quando mi domanda come trovo la polizia
iraniana, gli dico che non ho avuto nessun problema, e che
anzi mi sono divertito ieri quando la mia scorta inseguiva
i contrabbandieri.
Sapere che è già pomeriggio e che probabilmente
non riuscirò a passare la frontiera con il Pakistan
entro oggi mi fa veramente incazzare. E mi incazzo ancora
di più quando scopro chi stavo aspettando da tre
ore, cioè la mia nuova scorta: un ragazzino che non
avrà 20 anni, disarmato, che probabilmente aveva
solo bisogno di un passaggio a Mirjaveh. Per rendere l’idea
del mio umore, basti sapere che nel viaggio fino a Mirjaveh
(più di un’ora) non ho quasi proferito parola,
nonostante i vari tentativi del soldatino di attaccare discorso.
L’unico evento positivo della giornata è la
sosta al Mirjaveh Tourist Inn, consigliato dalla L. Planet
a chi viaggia col proprio veicolo, dato che ha un ampio
parcheggio. Lo spazio effettivamente non manca, il giardino
è pulito e ordinato, e il personale è cordiale.
Infatti, cordialmente, prende possesso del mio passaporto
(che fino ad ora è stato nelle mani della scorta
e lo sarà fino alla frontiera col Pakistan).
Sono l’unico ospite dell’hotel, così
che il personale può dedicarsi completamente a me.
Anzi, sono io che mi dedico a loro: devo spiegare per l’ennesima
volta da dove vengo, che lavoro faccio, dove sono diretto
e perché, quali sono le funzionalità del camper.
Comunque si tratta di persone abbastanza gradevoli: il responsabile
è sulla trentina, istruito, e ha una Peugeot 406
fiammante (come quelle dei contrabbandieri!). Il cuoco è
di Zabol, una cittadina non lontana da qui, al confine con
l'Afghanistan. Secondo la L. Planet, oltre ad essere un
covo di trafficanti di droga e contrabbandieri, Zabol avrebbe
anche delle attrazioni turistiche, e il cuoco ovviamente
è d’accordo.
L’inserviente non parla molto l’inglese, mi
controlla costantemente, e quando esco dall’albergo
(allontanandomi di ben 2 metri dall’ingresso) mi sta
incollato. Sono uscito solamente per svuotare la roll tank,
visto che non mi andava di scaricare le acque grigie in
giardino. I dipendenti dell’albergo sostengono che
Mirjaveh è pericolosa per gli stranieri. Sono sicuro
che hanno ricevuto dalla polizia l’ordine di non farmi
uscire. Dato che non posso andare in centro a cercare un
internet point, mi accontento di passare la sera a fare
il bucato. Il vento secco del Beluchistan lo farà
asciugare velocemente.
Arrivano due militari giovanissimi che preparano una pipa
ad acqua in giardino, mentre i gestori dell’hotel
sembrano molto seccati, e mi invitano a fumare con loro.
Naturalmente, come faccio sempre, declino l’invito.
Prima di andarsene, completamente stonati (ma cosa ci mettono
nella pipa, oltre all’acqua?), uno mi fa: “Sono
un soldato islamico!” E io: “Complimenti!”
Complimenti davvero: è riuscito a dire due cazzate
in una stessa frase.
La cena a base di riso e pollo presso il ristorante dell'hotel
è accettabile, ma l’insalata non sembra fresca.
km oggi: 92 totali: 6.396

venerdì, 6 agosto
2010 
La scorta arriva prima delle 8 e mi accompagna fino al cancello
della frontiera con il Pakistan, che aprirà intorno
alle 9. La fila di auto, bus e TIR ha già iniziato
a formarsi.
Per ingannare l’attesa posso solo dialogare, o cercare
di farlo, con i pochi che parlano l’inglese. L’esperienza
mi ha insegnato che, anche nei posti più remoti,
è sempre possibile incontrare persone istruite e
realmente informate sull’attualità, le quali
possono fornire utili indicazioni. In questo caso, un ragazzino
di Rawalpindi che viaggia verso casa in autobus, mi informa
sulla sicurezza in Pakistan. Dice che attualmente la situazione
non è tragica come qualche anno fa, ma negli ultimi
mesi si è aggravata. Inoltre le inondazioni degli
scorsi giorni avrebbero fatto morti e distruzione. Le strade,
da Quetta in poi, hanno subito pesanti danni.
“Ma perché, piove anche a Quetta?” Chiedo
con sorpresa. “Sì, e ci sono stati allagamenti
anche lì.” È la risposta.
Non me lo aspettavo. Pensavo che avrei potuto avere problemi
legati alla pioggia solamente a partire dalla zona centrale
del Pakistan.
L’apertura del cancello della frontiera dà
il via, come ci si poteva immaginare, al caos: tutti vogliono
passare, e subito. Visto che mi piace rispettare gli usi
locali, faccio così anch’io, con la scorta
che mi accompagna fino al primo check point della frontiera.
Qui in realtà non vengono svolte particolari formalità
se non quelle di prendere nota dei miei dati e di quelli
del veicolo. L’ufficio immigration, poco più
avanti, è preso d’assalto da gente che entra
o che esce dall’Iran. Si tratta prevalentemente di
passeggeri di autobus. Le donne fanno una fila separata
rispetto agli uomini. C’è anche un ragazzo
occidentale in fila per l’ingresso in Iran. Con tutta
probabilità proviene, via terra, dall’India.
Ci scambiamo un’occhiata complice come a chiederci
quando inizieremo a fare vacanze normali.
Dopo lo sportello immigration e prima dell’ufficio
doganale, c’è da registrare il passaporto e
il Carnet presso un altro sportello, che non so che scopo
abbia. I documenti vengono poi ricontrollati e registrati
all’uscita effettiva dall’Iran (dove viene anche
timbrata l’esportazione nel Carnet). Qui, un militare
da un’occhiata rapidissima all’interno del camper
e poi mi fa uscire.
L’ingresso in Pakistan avviene dal villaggio di Taftan.
Una vecchia bandiera del Pakistan sventola sopra l’edificio
fatiscente che ospiterebbe l’ufficio immigration.
Piccoli roghi di rifiuti affumicano l’aria.
A prima vista direi che Taftan è un emerito cesso.
Dopo uno sguardo più attento, mi rendo conto che
è peggio: è una fogna a cielo aperto. Spazzatura
dappertutto. Strani individui si aggirano intorno all’ufficio
immigration, e la curiosità delle persone verso di
me e il mio veicolo è abbastanza molesta. Il mio
intuito mi dice che prima me ne vado, meglio è. Un
cambiavalute abusivo dice che sono benvenuto in Pakistan,
il quale è un paese molto accogliente con gli stranieri.
Nell’ufficio immigration bisogna compilare un foglio
d’ingresso. Un militare compila i fogli per alcuni
signori con la barba lunga, tipici beluci, che probabilmente
sono analfabeti. Quando torno al camper con il timbro d’ingresso
nel passaporto, noto subito che lo specchietto sinistro
è danneggiato: si è rotto il supporto che
permette di bloccare l’orientamento.
Sento la rabbia che sale e inizio a lanciare occhiate molto
cattive a tutti quelli che mi stanno intorno, chiedendo
che cavolo è successo allo specchietto. Naturalmente,
nessuno ha visto niente. Il cambiavalute mi invita alla
calma e sostiene che lo specchio si è rotto in Iran.
Dopo che gli chiedo come avrei fatto secondo lui a guidare
fin qui con lo specchio in quelle condizioni, gli faccio
notare che in 18 anni è la prima volta che il camper
subisce un danno simile e lo ringrazio per il regalo di
“benvenuto” che mi hanno fatto nei primi 5 minuti
trascorsi in Pakistan. Cambio i Rial iraniani in Rupie pakistane
solo per levarmelo di torno, dato che sta già iniziando
a rompere con “cambiami un po’ di euro”,
“cambiami un po’ di dollari”. Non c’è
dubbio, Taftan è un posto di merda. Ma la famigerata
strada per l’India passa anche di qui. Altrimenti
non sarebbe, appunto, famigerata.
Prima di andare in dogana mi devo registrare presso un ufficio
di polizia, dichiarando il mio itinerario. Ne approfitto
per chiedere informazioni circa la percorribilità
delle strade fino a Lahore e dunque Wagah (da dove entrerò
in India). “Nessun particolare problema, a parte qualche
piccolo disagio dovuto alle piogge.”, risponde. “Quindi
posso partire subito verso Quetta e Lahore?” “Certo,
perché no?”. “Ottimo.” Appena arriva
il poliziotto di scorta, si fa tappa in un ulteriore checkpoint
e poi si va all’ufficio della dogana, che è
al limite dell’area di frontiera. Nella sala, uomini
anziani con la barba e il turbante mi guardano curiosi e
sorridenti. L’ufficiale, anche lui con la sua barba
e il turbante, sembra una specie di enorme folletto: registra
gli estremi di passaporto e Carnet in un libro gigantesco,
sproporzionato.
La cortesia qui è di casa: mi fanno accomodare e
mi dicono “Benvenuto in Pakistan.” E quando
me lo dicono, mi guardano negli occhi compiaciuti. Non come
i poliziotti alla frontiera croata o serba che ti chiedono
se sei solo e dove vai. No, qui è diverso. Forse
rompiamo un po’ perché scomodiamo la polizia
e diamo nell’occhio, creando piccoli assembramenti
ogni volta che ci fermiamo per strada, ma oltre che con
curiosità ci guardano con rispetto. Infatti ai pochi
occidentali che si spingono fino a queste frontiere col
proprio veicolo, tipicamente in transito verso l’India,
di sicuro gli viene riconosciuta per lo meno la buona volontà.
Un inserviente porta enormi bicchieri pieni di un succo
rossastro, con granelli chiari che galleggiano. In questi
casi spero sempre che non mi venga offerto nulla, altrimenti
sarò costretto a rifiutare. Non voglio infatti rischiare
di assumere sostanze che potrebbero essere contaminate da
germi/batteri ai quali non sono abituato. Questa volta non
è possibile rifiutare, anche perché sono curioso
di assaggiare questa bevanda che, secondo l’ufficiale
di dogana, è ricca di fibre perché si ottiene
da un frutto particolare di questa zona. Deliziosa.
Finalmente, insieme al poliziotto di scorta, prendo la statale
n. 40 verso Quetta e, per la prima volta, viaggio sul lato
sinistro della strada. Cosa che non è difficile come
può sembrare. All’inizio la strada è
discreta, e anche la segnaletica. L’unica difficoltà,
nel sorpasso dei TIR, sta nel non vedere il lato posteriore
sinistro alla fine del sorpasso perché lo specchio
penzola è non è regolabile. Dovrò aggiustarlo
al più presto. I primi rallentamenti li ho a causa
dei banchi di sabbia che, in certi punti, invadono tutta
la carreggiata. Hanno altezza dai 10 ai 30 cm, quindi vanno
affrontati lentamente, in prima marcia, accelerando gradualmente.
Sono quasi in riserva di benzina e ho in mente di rifornire
a Nok Kundi. La scorta, però, non è d’accordo:
dice che è meglio fare il pieno a Dalbandin. Per
me un posto vale l’altro, tanto ho almeno 200 km di
autonomia di GPL. Tuttavia, capisco perché la scorta
preferisce Dalbandin: attraversando Nok Kundi noto che in
città non ci sono pompe di benzina, ma solo di gasolio.
All'ingresso di Dalbandin, la scorta mi fa fermare per il
rifornimento. Mi viene venduta benzina in taniche. Anche
qui non mi viene permesso di fotografare perché si
tratta di vendita al nero.
Poco dopo si fa una sosta obbligata presso la polizia di
un villaggio tra Dalbandin e Nushki. È necessario
registrare i miei dati. Penetriamo all'interno del villaggio,
fatto di case di fango e stradine in terra battuta.
Il poliziotto
di guardia alla locale stazione, appena ci vede, indossa
velocemente la divisa e mi porge il registro.Noto subito
la firma di Mike, il motociclista inglese con cui sono in
contatto via email. È passato da qui ieri. Inoltre,
sempre ieri, è transitata una famiglia di tedeschi:
padre, madre e due bambini. Viaggiavano su un'auto targata
“HH...” (Amburgo).
Compilo il foglio con i dati miei e del camper, e faccio
una foto alla folla di bambini che si è nel frattempo
radunata.

Check point di un villaggio tra Dalbandin e Nushki
Si prosegue verso Nushki, sulla strada che
passa a circa 20 km dall'Afghanistan. Chiedo al poliziotto
se il rischio legato ai talebani in questa zona è
concreto. La risposta non lascia dubbi: “Sì.
Quelli vanno e vengono dall'Afghanistan quando vogliono
perché il confine non è controllato. Ed è
per questo che scortiamo gli stranieri”.
Ancora una sosta presso la stazione di polizia di un villaggio,
dove, facendo manovra nel parcheggio, tiro giù il
cavo del telefono per colpa della scaletta di coda che si
è incastrata.
Dentro la stanza che ospita il registro, ci sono varie persone
che stanno banchettando al suolo. Mi invitano tutti a mangiare
e a bere. Come sempre declino, dispiaciutissimo, l'invito.
Il poliziotto che mi ha scortato fin qui da Taftan è
arrivato al suo capolinea. Vorrebbe che gli regalassi qualcosa,
ma non soldi. Gli do una piccola torcia a led con supporto
a molla per lettura, una di quelle che si comprano nel reparto
cianfrusaglie del Carrefour per 2,50 €. ne avevo fatto
scorta pensando, appunto, di regalarle strada facendo come
souvenir. Il poliziotto è contentissimo; dice che
gli sarà molto utile per leggere e scrivere di notte.
Mi domando se dove vive ci sia la corrente elettrica.
Prima di ripartire con il nuovo poliziotto di scorta, i
giovani che mi avevano offerto da mangiare vogliono vedere
come sono fatti i soldi del mio paese. Tiro fuori 5 euro.
“Non sono dollari!”, nello stupore collettivo.
“No cari, in Italia abbiamo l'Euro, la moneta unica
europea che non c'entra nulla né col dollaro né
con gli USA. Bella moneta, vero?”
La banconota piace perché, a differenza dei dollari
che sono dello stesso colore verde da 150 anni, gli euro
hanno i dispositivi anti-falsificazione che brillano alla
luce. Regalo la banconota a questi giovani, che in realtà
volevano solo osservarla. Quando scoprono il valore (circa
6 dollari), rimangono increduli.
Le nuvole cominciano ad addensarsi: sto entrando nella zona
di influenza del monsone. Ancora check point sulla strada,
ancora registrazione dei miei dati, e Quetta che dista ancora
centinaia di chilometri. La strada peggiora. Interi tratti
anche di 10 o 15 km totalmente dissestati. Laddove non ci
sono le buche ci sono le pietre. E che pietre, roba da squarciare
le gomme. Una sosta forzata in un check point mi fa perdere
un'ora. Qui i poliziotti apprendono via radio le notizie
delle inondazioni in altre zone del Pakistan e me le comunicano.
Noto che i tratti di strada sottoposti a lavori, oppure
dove c'è un veicolo in sosta, non sono segnalati
da cartelli o triangoli, ma da grosse pietre prese dai campi
attigui. Quindi, se uno vede le pietre cambia corsia ed
evita l'ostacolo. Altrimenti finisce sopra le pietre, spacca
tutto e anche in questo caso evita l'ostacolo. (nota: questa
tecnica è in uso anche in India e Nepal).
Un'altra sosta, stavolta presso un check-point completamente
al buio. Non c'è corrente elettrica e i poliziotti
fanno luce con torce a led mentre registro i miei dati su
un foglio. Non c'è neanche copertura GSM. Mi chiedono
se preferisco fermarmi qui per la notte oppure continuare
per Quetta. Non ho dubbi: preferisco avvicinarmi il più
possibile a Quetta. Faccio una pausa di qualche minuto e
mangio del pane carasau. Nel frattempo al check-point è
scoppiato un casino perché l'autista di un autobus
è stato fermato, si è incazzato, ha buttato
in terra la chiave dell'autobus e non vuole ripartire. Voglio
capire che cosa succede, ma mi dicono che è normale
routine. Nessuno vuole assaggiare il pane carasau.
A un certo punto mi fanno: “Vai pure.” “Vado
pure dove?” “Vai che tra un paio di chilometri trovi la nuova
scorta.”
Viaggio, senza scorta, per un tratto molto
più lungo di un paio di chilometri. Siccome è
completamente buio e sono vicino al confine con l'Afghanistan,
non vedo l'ora di trovare la prossima scorta. La nuova scorta
sale poco prima di una zona sottopposta a pesanti lavori.
La strada è un intruglio di sabbia e fango. Una ruspa
comprime il manto per eliminare i solchi lasciati dai mezzi
pesanti. Decido di prendere le rincorsa per evitare di impantanarmi,
e salto tra buche e dune. Tutta la struttura del camper
viene messa alla prova, gli sportelli dei pensili si aprono
e gli oggetti cadono. La scorta è terrorizzata dalla
mia guida. Il fatto è che non vorrei passare la notte
a disincagliare il camper su quella che neanche la dominazione
britannica è stata in grado di trasformare in una
strada.
Il pernottamento avviene presso un check-point tra Ahmad
Wal e Nushki. Anche qui non c'è né corrente
elettrica né copertura GSM. Il che ovviamente non
mi impedisce di farmi una doccia e di cucinarmi un minestrone
in polvere.
km oggi: 453 totali: 6.849

sabato, 7 agosto 2010

Quando, verso le 7, esco dal camper, i militari sono già
tutti pronti a partire. Ma prima bisogna fare le foto ricordo:
io con la mia Nikon, loro con i cellulari.
Al primo check point mi devo fermare per più di un'ora:
l'ufficiale continua a ripetere i miei dati al telefono,
e continua a chiedermi dove ho ottenuto il visto d'ingresso:
“All'ambasciata pakistana a Roma.” C'è
scritto chiaramente nel visto. Per fortuna che l'ufficiale
parla l'inglese. Inizia una interessante conversazione che
verte principalmente sulle differenze tra la società
italiana e quella pakistana. E sì che ce n'é
da dire.
Le scorte si alternano a brevi tratti in cui viaggio da
solo. Lo scenario è sempre desertico, ma la strada
si arrampica su delle alture che offrono discreti panorami.
Un autobus è finito di traverso e occupa tutta la
carreggiata. Un camion cerca di rimorchiarlo ma il cavo
d'acciaio cede, e l'autobus rimane fermo. Per proseguire,
si passa fuori dalla strada, sullo sterrato.
Al casello di Quetta arriva la nuova scorta. Poi, all'interno
della città, le scorte si alternano ogni qualche
minuto. Prima poliziotti, poi soldati. In prossimità
del centro le auto dei militari sono equipaggiate con mitragliatrici
pesanti, e i soldati hanno armi da guerra. Quando, per qualche
motivo, siamo costretti a fermarci, i soldati scendono e
circondano il camper per farmi da scudo. Durante una breve
sosta, un militare mi offre del pane tipico locale appena
sfornato. Un ragazzino cerca invece di offirmi del thé,
che come al solito rifiuto. Quetta è caotica, ma
la scorta si fa largo nel traffico e apre la strada pure
a me. Nelle zone più critiche ho due auto di scorta
a sirene spiegate, una che precede e una che segue, le quali
non permettono a nessun altro veicolo di inserirsi tra il
camper e loro. Sembra che Quetta sia divisa in settori caratterizzati
da diversi livelli di allerta. Le zone a basso rischio sono
controllate dalla polizia, quelle ad alto rischio, come
quella che sto attraversando, sono invece affidate all'esercito.
Io, inoltre, rappresento un obiettivo sensibile perché
sono un occidentale e perché do alquanto nell'occhio.
La scorta mi accompagna fino all'ingresso dell'Hotel Bloom
Star. Nella hall ci sono due spagnoli che viaggiano per
conto proprio. Hanno appena fatto una passeggiata per Quetta,
da soli. Rimando la chiacchierata a dopo. Adesso devo risolvere
il problema dell'assicurazione RCA per il camper. Alla reception
dicono che conoscono un assicuratore, lo chiamano e prendono
subito appuntamento. L'assicuratore arriva poco dopo, mentre
faccio la spola tra il rubinetto del giardino interno e
il parcheggio, trainando la roll-tank dell'acqua potabile,
per riempire il serbatoio del camper. Il signor assicuratore
sembra un drogato. Mi vende una polizza “contro terzi”,
ma dice che copre solo i danni alle persone e non ai mezzi.
Non c'è modo di fare una RCA completa, come la intendiamo
noi in Europa. Pazienza.
Cerco di sistemare lo specchietto sinistro, ma non riesco
a ripristinarlo perché si è rotto un supporto
di metallo che tiene una molla. La cosa migliore che posso
fare è fissarlo al meglio per evitare di perderlo
per strada.
I turisti spagnoli ospiti all'hotel sono padre e figlio.
A cena al ristorante dell'hotel si parla del viaggio. La
loro idea è di viaggiare attraverso il Pakistan,
in piena autonomia, come sono abituati a fare. Vogliono
andare a Nord e prendere la Karakorum Highway.
Quando gli
faccio notare che la
Karakorum Highway è interrotta da almeno due mesi,
mi dicono che comunque vogliono provare a raggiungerla.
Chiedo loro se per il ministero degli esteri spagnolo il
Pakistan è una meta a rischio, dato che per la Farnesina
qualunque viaggio in Pakistan sarebbe sconsigliato. Loro,
che peraltro sono arrivati ieri da Karachi (una delle zone
più pericolose e sconsigliate agli occidentali),
rispondono che non gliene frega niente di quello che dichiara
il loro ministero degli esteri o qualunque altro ente. Vogliono
continuare a viaggiare come e dove cavolo gli pare, così
come hanno sempre fatto. Domani partiranno in treno per
Islamabad, e in seguito cercheranno di procedere sulla Karakorum
Highway in ogni modo (a piedi, in autobus o in autostop),
fintanto che sarà possibile avanzare. Direi che il
loro è un atteggiamento molto radicale.
Prima di andare a dormire mi viene chiesto di allontanare
il camper dal cancello, per motivi di sicurezza. Avranno
paura degli attentati. Mentre faccio manovra, la coda si
aggancia allo sportello del contatore elettrico che strappa
il profilo in alluminio dalla cellula. Un disastro: saltano
almeno dieci viti, il profilo si deforma e un piccolo punto
della cellula rimane scoperto. Mi do da fare per riparare
il danno, o almeno per assicurarmi che non ci siano infiltrazioni.
Smonto il profilo ma non riesco a raddrizzarlo: prendo il
seghetto e lo taglio. Copro i punti critici della cellula
con nastro Terostat. Rimonto i pezzi di profilo usando anche
viti più grosse di quelle originali. Per fortuna
che avevo a bordo gli attrezzi e i materiali. Esteticamente
il lavoro non è perfetto, ma almeno la cellula è
sigillata.
km oggi: 194 totali: 7.043

domenica, 8 agosto
2010 
Dopo colazione vado a fare una passeggiata. Voglio recarmi
in un internet café per leggere e scrivere email.
Prima di uscire, ovviamente, avviso il personale dell'hotel.
Ne approfitto anche per “prenotare” la scorta,
visto che vorrei lasciare Quetta prima delle 11. La reception
telefona alla polizia e mi garantisce che prima delle 11
un'auto verrà a prendermi.
Quetta è abbastanza caotica e sporca, ma molto interessante.
Ci sono i bazaar di venditori o riparatori che si vedono
nei documentari in televisione. La gente è tranquillissima
e non molesta. In generale direi che la microcriminalità
non esiste. Qui fanno direttamente attentati con auto-bomba.
Entro in un Internet point e le notizie che leggo non sono
buone. Anzi, sono pessime. Le piogge monsoniche stanno flagellando
tutto il sub-continente indiano e l'Asia del sud in generale.
I paesi più colpiti sono Pakistan e India. In particolare,
il Sud e il Nord del Pakistan sono sott'acqua. Fortunatamente
io dovrei passare per la parte centrale, che forse è
stata risparmiata dalle inondazioni. Invio varie email,
tra cui una a Mike, il motociclista inglese che sta facendo
il giro del mondo e che dovrebbe trovarsi in zona Quetta.
Appena torno all'hotel incontro Mike. Ha appena letto la
mia email e si è fiondato al Bloom Star Hotel per
scambiare 2 parole. Quasi in contemporanea (e in anticipo)
arriva la pattuglia di polizia che mi dovrebbe scortare
verso l'esterno di Quetta. C'è una novità,
e non è buona: il responsabile dell'albergo sostiene
quello a cui mi aveva accennato ieri sera, e cioè
che il tratto Quetta – Loralai per Dera Ghazi Khan
(cioè verso Nord-Est, verso Multan e Lahore) non
è accessibile agli stranieri senza preventiva autorizzazione
governativa. Per fare la statale 50 per Loralai dovrei cioè
chiedere un permesso. I permessi vengono generalmente concessi,
ma la procedura richiede del tempo. Da quanto ne sapevo
io, cioè da quanto leggevo sul sito della Farnesina,
la strada Quetta-Loralai-Dera Ghazi Khan era aperta agli
stranieri e non era richiesto alcun permesso.
Ciò
è in parte vero, in quanto ci sono due strade tra
Quetta e Loralai: la statale 50 e anche una strada secondaria.
La strada intesa dalla Farnesina è dunque quella
secondaria, segnata con una linea gialla sottile. La polizia
sostiene che potrebbe scortarmi verso quella strada, da
dove potrei raggiungere Loralai in sicurezza. L'impiegato
dell'hotel mi consiglia di andare a Sud-Est, verso Sukkur,
ma dice che l'opzione Loralai è praticabile. Mike,
invece, mi fa notare che la strada secondaria per Loralai
non è adatta al mio camper. L'unica soluzione sensata
per me è andare giù sulla statale 65 per Sibi,
Jacobabad e Sukkur. Questa riconfigurazione dell'itinerario,
oltre all'allungamento chilometrico, mi costringerà
a passare nel Sindh, una zona molto colpita dalle inondazioni.
Mike, vista la situazione, preferisce spedire la moto su
un treno merci fino a Lahore (dove lui andrà in aereo).
L'unico problema nell'uscire da Quetta è il traffico
intenso, come sempre, di risciò, biciclette e motorini.
Un pieno di benzina presso la stazione di servizio, sempre
con la polizia attorno, e poi lascio questa strana, zozza,
interessante cittadina del Beluchistan, considerata da molti
come il confine tra Medioriente e sub-continente indiano.
Procedo, senza scorta, attraverso il Bolan Pass. La strada
è terribile: frane, buche e curve cieche. Autobus
stracarichi di passeggeri sia dentro che fuori (sul tetto),
fanno sorpassi da paura.
In tarda mattinata mi fermo accanto a una stazione di polizia
per pranzare. I poliziotti sono stati sicuramente pre-allertati,
dalla centrale di Quetta, riguardo il mio passaggio. Poi
proseguo, sempre in direzione Sud-Est. Il panorama è
bello, diverso tra tutti quelli che ho vistonei miei viaggi.
È pieno deserto, con terra e montagne dello stesso
colore chiaro che caratterizza questa zona del Beluchistan,
ma nelle gole sotto la strada scorrono rivoli d'acqua cristallina.
I rivoli diventano presto torrenti in cui i ragazzini fanno
il bagno, poi fiumi in piena. Si mette a piovere. Comincia
il sub-continente indiano. È iniziato quasi senza
preavviso. Stamattina ero in Medioriente, in mezzo ai turbanti,
a mezz'ora di auto dal confine afghano. Adesso sono già
nel Sindh, immerso nell'acqua delle piogge torrenziali che
stanno facendo danni e morti. I disagi sono evidenti: sia
a sinistra che a destra della strada i campi sono completamente
allagati. Le case di fango sono mezzo distrutte, praticamente
sciolte dalle piogge. Carretti trainati da animali o da
trattori agricoli trasportano centinaia di persone, tavoli,
sedie, in direzione Beluchistan. Scappano dalla zona più
colpita dall'alluvione, in cui io mi sto invece andando
a gettare a capofitto.

Profughi in fuga dalle inondazioni
Finalmente un posto di blocco della polizia.
Mi fermo e segnalo che sono un turista italiano, diretto
a Lahore.
“Lo sappiamo. Segui il pick-up.” dice un poliziotto.
Questo è un bel vantaggio, soprattutto nei centri
urbani che sono intasati dal traffico. La polizia, infatti,
mi apre la strada e cerca di farmi passare nei pochi pezzi
di strada ancora integri e non sommersi dall'acqua. Nei
tratti extraurbani, invece, seguire la polizia diventa stressante
a causa della sua guida spericolata.
Più volte, specialmente nei centri urbani, si attraversano
dei veri e propri laghi, laddove la strada è stata
spazzata via dall'acqua. Nel fondo, invisibili, ci sono
detriti (pietre, pezzi d'asfalto) che sbattono sul pianale.
Più di una volta mi fermo per controllare l'integrità
della coppa dell'olio.
Per qualche ora viaggio senza scorta. A sinistra e a destra
della strada c'è quasi solo acqua. I pochi angoli
di terra ancora asciutta sono occupati da tendopoli di sfollati.
Ci sono anche tende dell'ONU. Quando fa buio comincio a
preoccuparmi. Aumenta il traffico di trattori senza luci
che trasportano profughi. Le cittadine lungo la strada sono
affollate di disperati che probabilmente cercano una sistemazione
per la notte. In un centro urbano di medie dimensioni, mi
sembra si chiami Shikarpur, c'è il caos. La strada
è bloccata. All'altezza di una piazza c'è
folla e la polizia è in assetto anti-sommossa.
Spero
che i poliziotti mi vedano e mi diano una mano, perché
qui non posso muovermi in nessuna direzione. Invece la polizia
mi ignora. Sono circondato da centinaia di persone che,
ovviamente, notano la particolarità del mio veicolo.
Un gruppo di giovani si avvicinano e fanno domande a raffica.
Rispondo solo: “Vado a Sukkur”, cercando di
sorridere e, ovviamente, tenendo il braccio fuori dal finestrino
per evitare di sembrare a disagio. In realtà mi sento
in trappola. Nelle poche ore che ho passato in queste zone
colpite da una calamità naturale enorme, ho notato
che la gente ha una grande serenità. Avranno pure
avuto grossi danni, ma sono tutti molto tranquilli. Cioè,
non si vedono scene di disperazione.
A un posto di blocco della polizia trovo la nuova scorta.
Purtroppo, facendo manovra, urto un trattore senza luci
e rompo il fanale posteriore destro. Il trattore non riporta
danni, quindi anche la polizia è daccordo a non avviare
nessuna procedura. Peraltro, l'autista del trattore e i
passeggeri caricati nel rimorchio hanno ben altri problemi.
La polizia mi guida fino a un'area di servizio, poi mi mostra
la direzione per Sukkur. Lì, a una ventina di chilometri,
troverò il quartier generale della polizia in cui
potrò pernottare. Non mi possono accompagnare fino
a Sukkur perché non è nella loro zona e perché
non hanno benzina. Gli propongo una mancia di circa 10 euro,
se mi accompagnano a Sukkur. Così possono mettere
anche un po' di benzina. Accettano, ma devo aggiungere qualche
bottiglia di Sprite. Con la solita guida spericolata, con
slalom tra veicoli senza fari e buche, mi fanno strada fino
aSukkur. Nel camper sale un poliziotto diretto al quartier
generale della polizia. È una fortuna, perché
così non dovrò chiedere indicazioni. La strada
davanti al quartier generale è un pantano, ma l'interno
è in buono stato anche se ci sono rami d'albero che
costituiscono un pericolo per il camper. Mi parcheggio accanto
a un monumento e mi cucino la cena, pasta con tonno. Non
è stata una felice idea quella di accendere il fornello,
visto che ci sono già 40 gradi e l'umidità
è vicina al 100%. Un caldo così non l'ho mai
affrontato, e rischio di sentirmi male. Bevo litri d'acqua
miscelata con integratori salini (tipo quelli che usano
gli sportivi).
Arrivano dall'Italia, via SMS, pessime notizie sulla situazione
nel Ladakh (Kashmir indiano), cioè da quella che
sarebbe stata la meta finale della mia spedizione. Inizio
a pensare al “piano B”, che in realtà
non è mai stato un piano ma solo un'idea: rinunciare
al Kashmir e trascorrere qualche giorno in Nepal, prima
di ridiscendere verso il confine con il Pakistan. Tuttavia,
visti i tempi stretti, dovrò cercare una nave per
imbarcare il camper mentre io rientrerò in Italia
con l'aereo.
Sono in un bagno di sudore e quando inizia a piovere, temendo
che la strada domani sarà ancora più disastrata,
mi chiedo cosa ci faccio in mezzo a questo pasticcio.
km oggi: 390 totali: 7.433

lunedì, 9 agosto
2010 
Lascio il quartier generale della polizia di Sukkur alle
8, e cerco di allontanarmi rapidamente dalla zona più
alluvionata. Come mi aspettavo, la strada sterrata verso
l'esterno della città è quasi completamente
allagata, a causa della pioggia di questa notte. Mi dirigo,
finalmente, verso Nord-Est. Posso così “invertire”
(o quasi) la rotta obbligata che mi ha portato fin qua giù.
Tratti di autostrada, percorsa prevalentemente da autocarri,
si alternano ad agglomerati urbani che rallentano la marcia.
In questa zona, infatti, non esistono by-pass (circonvallazioni).
Incidenti, deviazioni a causa di allagamenti e carretti
trainati da animali completano il quadro.
Come risultato
ho una media chilometrica sotto i 40 km/h. L'autostrada
per Multan, cioè quella che dovrei percorrere per
proseguire verso Lahore, è chiusa. L'ingresso è
sbarrato e presidiato dalla polizia. In pratica, l'autostrada
è sottacqua.
L'unica opzione per Multan-Lahore è una strada secondaria
che passa per i villaggi. Non ho scelta: seguo il traffico
di TIR, ogni tanto chiedo conferma sulla corretta direzione
per Lahore, e continuo su questa stradina fangosa e sconnessa,
dove si procede a non più di 30 km/h.
Devo fare il possibile per raggiungere entro stasera il
Changa Manga Wildlife Reserve, un parco nazionale a 60 km
da Lahore. Ma purtroppo mancano almeno 300 km a Lahore.
Il traffico si blocca totalmente all'altezza di un tratto
fangoso. Sembra che qualche veicolo sia rimasto bloccato.
Ne approfitto per cercare un camionista che parli inglese
e chiedergli lumi sulla posizione o almeno sulla strada
corrente. Tutto inutile, i camionisti interpellati segnano
la posizione sulla cartina con un cerchio grande quanto
la provincia di Cagliari. Le pietre miliari a bordo strada
hanno sia il chilometraggio che il numero della strada scritti
in Urdu. Ma tutto sommato non mi sarebbe stato utile conoscere
il numero della strada, perché comunque la cartina
della Reise Know How che sto usando non lo riporta. Si attende
un'ora prima di proseguire lungo questo pantano.
L'ingresso dell'autostrada per Lahore sembra un miraggio.
Sono talmente incredulo che chiedo a un posto di blocco
se questa è la strada giusta e quanto manca a Lahore.
Mancano più di 250 km.È buio, la strada non
è illuminata e sono frequenti le buche e gli ostacoli:
persone che camminano sbattendosene degli automobilisti,
ciclisti, carretti trainati da animali, pastori che seguono
animali, animali per conto proprio. Guidando in queste condizioni
non riesco a superare i 40 km/h, e poi è troppo faticoso
e rischioso. Così, mentre faccio il pieno chiedo
al benzinaio se conosce un hotel con parcheggio nelle vicinanze.
Fortunatamente, a una ventina di km in questa direzione,
troverò un hotel con ristorante e parcheggio. Si
tratta del Night Bridge, un posto che a prima vista sembra
molto accogliente: parcheggio sufficientemente ampio per
fare manovra, giardinetto ordinato e gestore che viene subito
a darmi il benvenuto. Chiarisco subito che sto cercando
un posto per pernottare a bordo del camper, e se possibile
vorrei cenare in ristorante. Nessun problema: posso parcheggiare,
cenare e dormire senza pagare extra.
Prendo una zuppa di funghi e un'insalata di frutta. Il cibo
è ottimo. Il proprietario del locale, Muhammad, è
molto contento di ospitare un occidentale. Tuttavia osserva:
“Io e i miei dipendenti siamo increduli che tu viaggi
solo.”
Ma ormai sono abituato a simili osservazioni e rispondo:
“Il percorso che sto seguendo, purtroppo, non ispira
molta sicurezza agli occidentali in questo periodo. Non
è facile trovare compagni di viaggio”.
Muhammad ha due lauree: una in scienze politiche e una in
economia aziendale. Inoltre parla un discreto inglese. L'organizzazione
del suo locale lascia intuire le capacità imprenditoriali.
Gli chiedo se ha intenzione di sfruttare la laurea in scienze
politiche, ma non sembra intenzionato a entrare in politica.
km oggi: 521 totali: 7.954

martedì, 10
agosto 2010 
Quando lascio il Night Bridge, gli inservienti vengono a
salutarmi.
Mi fermo alla prima stazione di servizio, perché
ieri sera ho messo solo pochi litri (la benzina era razionata).
Qui purtroppo non hanno benzina ma solo gasolio. Trovo benzina
solo molti km più avanti.
L'autostrada termina all'ingresso di Lahore. Per ogni corsia
del viale ci sono uno o due poliziotti che controllano tutti
gli automobilisti in ingresso. Mi fermano e chiedono dove
sono diretto. “Wagah... frontiera con l'India”.
“Va bene, sempre dritto”.
Attraverso tutta la città con il suo traffico intenso
e disordinato. Ci sono moltissimi posti di blocco. La famigerata
polizia di Lahore mi osserva ma non mi ferma mai. Procedo
sempre dritto. La strada a volte si biforca: a sinistra
tunnel, a destra sopraelevata, o viceversa. I tunnel sono
alti 3 metri, il tanto minimo per poterci passare sotto
con il camper.
La periferia Est di Lahore, a pochi chilometri dal confine
indiano, è completamente sommersa. Gli automobilisti
sono alle prese con le strade allagate, mentre i giovani
del posto si divertono a tuffarsi nei canali.

Lahore allagata Wagah è poco più che un villaggio
- La frontiera con l'India è appena fuori dal centro
In Occidente c'è la convinzione che, essendo India
e Pakistan in guerra da sempre, la situazione al confine
sia tesa. Anzi, per usare l'espressione che ho sentito più
spesso anche dai cosiddetti viaggiatori esperti, “non
è l'ideale”. Prima di tutto non capisco quale
metrica si possa usare per definire qualcosa come ideale
o meno. Secondariamente, penso che l'ideale sussista solo
nelle nostre menti perverse. Quindi, temo che chi pensa
troppo alla destinazione ideale, rischia di rimanersene
a casa propria.
La cosa più preoccupante è
che molti miei connazionali, comprese persone di cultura
medio-alta in possesso di tutti gli strumenti per accedere
a informazioni fresche e attendibili, sono convinti che
tra India e Pakistan ci siano ancora combattimenti in corso!
La tranquillità della frontiera indo-pakistana è
tale da mettermi noia. Pochi pedoni, compresi degli occidentali,
e qualche autocarro si spostano in entrambe le direzioni.
Un paio di militari pakistani sono appostati davanti all'uscita.
Il timbro sul Carnet viene apposto subito. Nel registro
della dogana vedo che Mike, il motociclista inglese che
ho incontrato a Quetta, è passato di qui ieri. Avrà
sicuramente fatto quello che aveva in mente, e cioè
spedire la moto col treno da Quetta per poi raggiungere
Lahore in aereo. E mi ha dinuovo “sorpassato”.
L'ufficiale pakistano che mi timbra il passaporto vuole
sapere che problemi ha avuto ultimamente la nazionale di
calcio italiana.
La “terra di nessuno” tra i due paesi ha la
forma di una piccola arena. Qui, tra qualche ora, si celebrerà
la famosa cerimonia dell'ammainabandiera, che si ripete
ogni pomeriggio, e che culmina con la stretta di mano tra
gli ufficiali indiani e quelli pakistani. Un militare indiano,
con foulard arancione sul capo e una macchia di inchiostro
rossa nella fronte, mi accoglie nel suo gabbiotto pieno
di mosche. Registra i dati e mi spedisce all'ufficio “immigration”.
Mi trovo ormai prossimo ad Attari, primo centro abitato
indiano. C'è una situazione igienica poco rassicurante,
con pozze di acqua stagnante complete di rane che ci nuotano
dentro.
L'ufficio immigration è enorme, direi sproporzionato,
e ci lavorano almeno 15 persone. Qui mi fanno compilare
il foglio d'ingresso. Poi c'è la dogana, dove mi
è richiesta una dichiarazione scritta sul bagaglio
che trasporto. La cosa più comica è che devo
anche specificare il “numero di valigie”. Mi
rivolgo agli ufficiali: “Guardate, lì fuori
c'è la mia valigia. È bella grande e ha 4
ruote. Cosa scrivo?” “Scrivi quello che vuoi.”
Adoro quando mi rispondono così. Scrivo “3”,
numero perfetto.
Lo sdoganamento del camper, però, non è immediato.
Prima di tutto devo chiedere con insistenza all'ufficiale
di annotare nell'”Exportation Voucher” del Carnet
il punto d'ingresso, cioè Attari. Non mi basta la
compilazione dell'Importation Voucher. Come alcuni sanno,
l'Exportation Voucher, che si trova al centro di ogni foglio
del Carnet, dev'essere compilato alla frontiera di uscita
e trattenuto da quest'ultima. Tuttavia, è alla frontiera
d'ingresso che va specificato nell'Exportation Voucher da
dove cavolo sono entrato. In questo modo, quando consegnerò
l'Exportation Voucher alla frontiera d'uscita, l'ufficiale
che certifica la ri-esportazione saprà dove dovrà
inviare il voucher. Infatti non è detto che io esca
da dove sono entrato. Cioè, se esco dalla frontiera
col Bangladesh, quella frontiera dovrà inviare l'Exportation
Voucher ad Attari, dov'è conservato l'Importation
Voucher. Così, quando Importation ed Exportation
Voucher si ricongiungeranno, la mia obbligazione nei confronti
del ministero delle finanze indiano sarà finalmente
decaduta.
Il controllo del camper è quasi totale: gli ufficiali
aprono tutti gli sportelli dei vani. C'è anche la
verifica dei dati del Carnet: telaio e motore. Il telaio
me lo controllarono in Egitto (presero il calco con carta
e matita). Il motore non l'ha mai verificato nessuno, anche
perché non è facile farlo: la targhetta è
piazzata nel blocco motore e senza adeguata luce non si
legge. Ancora un controllo alla carta di circolazione per
verificare se sono l'effettivo proprietario del camper (cosa
avranno capito delle scritte in italiano lo sanno solo loro).
Poi mostro la targhetta “LEFT HAND DRIVE” che
avevo appiccicato alla coda del camper, e che è obbligatoria
in India per i veicoli col volante a sinistra. Anzi, per
sicurezza ne avevo messe due. Quindi, è tutto in
regola... o quasi. Non ho l'assicurazione RCA, dato che
quella che ho fatto in Pakistan non copre l'India.
“Dove posso ottenere una polizza a breve termine?”.
Chiedo agli ufficiali. E uno di loro mi da il recapito dell'ufficio
della Indian Insurance Company di Amritsar. Di più.
Chiama al telefono l'assicuratore e me lo passa, in modo
che possiamo prendere appuntamento per domani mattina. Dovrò
guidare fino a domani senza assicurazione. Che palle. Tra
l'altro, l'RCA è obbligatoria in India. Non si capisce
com'è che alla frontiera non ci sia uno sportello
di qualche compagnia.
Sono indeciso se attendere un paio d'ore per l'inizio della
cerimonia di chiusura della frontiera, oppure se andare
dritto ad Amritsar, che dista 30 km. Cosiderato che, partendo
da qui dopo la fine della cerimonia e impiegando almeno
un'ora per raggiungere la guest house rischierei di guidare
col buio, penso che sia meglio levarmi di qui alla svelta.
E sarà meglio farlo prima che la folla di gente che
si sta accalcaldo all'ingresso del lato indiano inizi a
entrare. Appena fuori dalla frontiera, c'è il caos.
Centinaia di persone attendono di entrare in frontiera per
prendere posto prima della cerimonia. Il terreno è
un cesso: non bastano fango e rifiuti, ci sono anche animali
che gironzolano e defecano molto democraticamente. Non per
nulla, un cartello dice “Benvenuti in India, la più
grande democrazia del mondo”.
Parto verso Amritsar, su una bellissima strada a quattro
corsie. È la GRAND TRUNK ROAD. Anche se potrei andare
a 100, guido a 30 all'ora perché mi sto godendo questi
momenti. Tra mille difficoltà burocratiche, logistiche
e meteorologiche, sono riuscito a raggiungere l'India via
terra. Mi crogiolo nella soddisfazione.
Sulla Grand Trunk Road c'è un casello in cui dovrei
pagare il pedaggio. Preparo i soldi, ma i casellanti non
mi vogliono far pagare. Fanno un sacco di domande e di commenti,
tra cui: “Sonia Gandhi è italiana!”.
Amritsar si presenta, già dall'ingresso, come una
città molto incasinata. Il traffico è quasi
esclusivamente di motorini e motorisciò, i quali
cambiano corsia continuamente e non smettono mai di suonare
il clacson.
Devo raggiungere la “Mrs. Bhandari Guest House”,
una specie di piccolo villaggio turistico in cui è
possibile campeggiare. Questo luogo mi è stato segnalato
da altri camperisti/overlanders. Anche se non è citato
dalla L. Planet, credo di poter riuscire a raggiungerlo
utilizzando la cartina della guida. Credo male. Nella cartina
non compare “Cantonment”, cioè la strada
della guest house.
Pazienza. Rimango sulla strada principale e continuo dritto
fino ad attraversare quasi tutta la città, cioè
fino a trovare un punto periferico abbastanza tranquillo
da potermi parcheggiare per chiedere
indicazioni. La strada della guest house non è lontana,
ma prima di proseguire devo assolutamente acquistare una
sim card GSM indiana, dato che la mia sembra non funzionare
più. Qui attorno è pieno di negozi di oggettistica
elettronica, quindi non dovrebbe essere difficile trovare
una SIM. Infatti è facilissimo, basta avere la residenza
in India. Quindi niente SIM per gli stranieri. Ho appena
avuto il primo impatto con la famigerata burocrazia indiana.
Mi accontento di fare una telefonata da una postazione pubblica.
Attraversando un incrocio, non essendomi ancora abituato
alla guida a sinistra, faccio una manovra sbagliata e vengo
fermato da un poliziotto che mi contesta l'infrazione. Per
fortuna non mi fa nessuna multa.
Finalmente raggiungo la Mrs. Bhandari Guest House. Appena
il gestore apre il cancello, noto lo splendido giardino.
Specifico che vorrei parcheggiare e dormire nel camper,
con quel vago senso di inferiorità che a volte abbiamo
noi camperisti. Non c'è problema, pagherò
6 euro a notte (prezzo per veicolo + 1 persona) per il parcheggio
e l'uso di bagno e piscina. La corrente elettrica si paga
extra. Dato che vorrei fermarmi due notti, non mi sembra
una cattiva idea allacciarmi alla rete. Ma quando vedo l'accrocchio
di adattatori che il gestore mette su per predispormi una
presa shuko, cambio idea: non c'è la messa a terra.
Il giardino della guest house è enorme e pulitissimo
e i prati sono tenuti in maniera maniacale. Un cartello
vieta di montare le tende sull'erba. Il camper viene parcheggiato
sulla passerella, tra i prati. La guest house offre anche
il servizio lavanderia (esterno). Inoltre, in una saletta,
ci sono due PC fissi con accesso a Internet. A pagamento,
ovviamente. Insomma, dopo tanti giorni di viaggio, questo
posto è proprio quello che ci voleva.

Il giardino della Mrs. Bhandari Guest House ad Amritsar
Alla guest house ci sono delle ragazze italiane che hanno
soggiornato qui per qualche giorno e stanno partendo alla
volta dell'India del Nord. Sono abbastanza soddisfatte del
soggiorno nella guest house ma mi segnalano gli alti costi
dei servizi. C'è anche una famiglia di inglesi, gente
simpaticissima. Mi dicono che, per guidare dall'Italia fin
qui, sono stato coraggioso ma anche stupido.
Prima della cena do una pulita al camper, che è tutto
impolverato di sabbia del Beluchistan. Navigando in Internet
noto che le notizie che arrivano dal Kashmir sono pessime:
ci sono stati morti e dispersi, compreso un ragazzo italiano.
I danni alle infrastrutture sono tali che sia la strada
Srinagar-Leh che la Manali-Leh sono interrotte da frane
e smottamenti. Decido di rinunciare definitivamente a raggiungere
Leh e la Valle di Nubra.
Per cena prendo del riso con vari condimenti, tutti molto
piccanti. L'insalata, invece, me la condisco con dell'olio
extravergine d'oliva che tengo in camper. Dopo cena parlo
con un gruppo di ragazzi tedeschi, sulla ventina, che sono
appena arrivati in India in aereo. Si fermeranno qualche
giorno qui ad Amritsar e poi partiranno per Dharamsala e
Mcleod Ganj. Soggiorneranno a Mcleod Ganj addirittura per
un mese. Per meditare, dicono. Tra l'altro, sono informatissimi
sul calendario delle conferenze del Dalai Lama, che risiede
appunto a Mcleod Ganj. L'idea di visitare Mcleod Ganj mi
sembra ottima. È un posto tranquillo, non molto lontano
da Amritsar, in cui rilassarsi un altro po' prima di proseguire
-probabilmente- per il confine nepalese. La strada per arrivarci,
inoltre, è nota per i suoi interessanti panorami.
Aggiudicato. Mcleod Ganj sarà la prossima tappa del
viaggio.
km oggi: 310 totali: 8.264

mercoledì, 11
agosto 2010 
Oggi sarà una giornata intensa. Inizierò con
le scartoffie dell'assicurazione. Proseguirò con
l'acquisto di una sim per il telefono, e dopo farò
un po' il turista.
Prima di immergermi nel caos di Amritsar, consegno la montagna
di capi da lavare al servizio lavanderia. Appena fuori dal
cancello della guest house, c'è un tassista con il
motorisciò. Monto su, gli do l'indirizzo dell'assicurazione,
e quello ovviamente fa di tutto per portarmi da un assicuratore
di sua conoscenza. Su questo non tollero proposte alternative:
ho già preso accordi teleofonici con l'assicuratore
della United India Insurance Co. LTD, e da lui devo andare.
In ogni caso, non è facile: il tassista non conosce
la strada e deve fare varie telefonate per arrivarci. Mentre
lui chiama all'ufficio dell'assicurazione o chiede indicazioni
per strada, io respiro a fatica in mezzo a nubi di smog.
Noto che molte persone del posto, sia pedoni che motociclisti,
indossano la mascherina. Qui l'inquinamento è roba
seria.
L'ufficio dell'assicurazione si trova in un palazzo fatiscente,
sporco e probabilmente non costruito secondo criteri anti-sismici.
L'assicuratore mi offre prima il té e poi l'acqua.
E naturalmente non prendo né té né
acqua. Ho una certa fretta di concludere perché vorrei
farmi un giro della città. Ma prima bisogna iniziare
il rito delle presentazioni. Il dirigente seduto alla sua
scrivania, aria condizionata a manetta, chiama i suoi dipendenti
che si appostano dietro di lui e rimangono in piedi. A questo
punto posso spiegare quello che mi occorre, e cioè
una polizza (come si potrebbe intuire visto che mi trovo
in un'agenzia di assicurazione).
Da noi in Italia, quando qualcuno ti vuole vendere un servizio,
te lo vende e basta, soprattutto se tu (compratore) sei
già convinto che il servizio ti serve. Se poi vai
di fretta, ancora meglio. Qui in India invece è diverso:
prima ancora di trattare, devi raccontare tutti i tuoi cazzi
a dei perfetti sconosciuti: quanto guadagni, che tipo di
ragazze frequenti e cose del genere. Cioè, si arriva
a un livello di dettaglio che sfiora il pettegolezzo.
Quando sono veramente girato per il tempo che mi stanno
facendo perdere, ecco che arriva la ciliegina sulla torta:
“Tu non parli molto bene l'inglese, vero?” Forse
me lo chiedono perché spesso non capisco quello che
dicono, perché in effetti loro parlano con un accento
incomprensibile.
“Guardate che io parlo in inglese con persone di tutto
il mondo sia dal vivo che in audioconferenza. Normalmente
capisco e mi capiscono.” Sono diventato un'istrice.
“La facciamo questa polizza?” “Dov'è
la tua auto?” “Ho detto che è un autocaravan.”
“È qui fuori?” “No, è parcheggiato
alla guest house.” “Ma noi dovremmo vederlo
di persona.”
Chiedo al tassista, che parla un po' meglio l'inglese: “Cosa
devono accertare?” “Sai, è perché
loro non si fidano.”
Non si fidano? In Italia se tu fai una polizza dichiarando
dati scorretti o falsi sono cavoli tuoi. Cioè, in
caso di sinistro, l'assicurazione potrebbe non coprirti.
Invece questi telefonano a un loro perito e lo inviano,
con la fotocamera, alla guest house per fare le foto al
camper e allegarle al contratto. Pazzesco. Alla fine stipulo
una polizza della durata di un anno (dicono che se la faccio
per sei mesi spendo la stessa cifra), per un costo di 55
euro. La polizza è estesa gratuitamente al Nepal.
Il mio tassista si chiama Krishna, nome molto comune in
India. Mi sta per portare fino a un negozio di cellulari
per reperire una SIM. “Non preoccuparti. Anche se
non hai la residenza, ci penso io a farti avere la SIM”.
Il negozio di cellulari è in realtà una micro-cabina
di 6 metri quadri, dove ci si entra al massimo in 3
o 4 persone. Installo la SIM indiana, ma il mio cellulare
non si registra. Non era dunque un problema di SIM. Perciò
compro anche un cellulare economico, spendendo in tutto
(con SIM e ricarica) una trentina di euro. Non potrò
effettuare chiamate finché il tassista (che ha fornito
i suoi dati perché la scheda è intestata a
lui), non porterà il suo documento d'identità
al negozio. E il documento ce l'ha a casa.
Mi chiedo se
potrò mai usare questa SIM indiana, ma nel frattempo
faccio un salto al famosissimo Golden Temple di Amritsar,
sempre accompagnato dal tassista che mi aiuta a indossare
il copricapo arancione e mi spiega cosa non devo assolutamente
fare dentro al tempio (tipo camminare con scarpe o calze).Il
tempio è spettacolare, insieme alle facciate degli
edifici che gli stanno attorno. È molto affollato
sia di turisti che di locali. Non ne sto a descrivere le
caratteristiche architettoniche perché sto scrivendo
il resoconto del mio raid e non una guida turistica.

Il Golden Temple di Amritsar
Al rientro nella guest house, pago il tassista e gli do
appuntamento al pomeriggio.
Il tassista rispetta l'appuntamento, mi accompagna (gratis)
al negozio di cellulari e consegna il documento per l'attivazione
della SIM che magicamente inizia a funzionare. Il mio numero
indiano comincia per +91... Posso chiamare l'Italia a una
tariffa concorrenziale, ed essere chiamato senza pagare
il roaming entrante.
In serata mi vengono riconsegnati i vestiti da parte del
servizio lavanderia. Solo più tardi mi accorgo che
un asciugamano manca all'appello.
km oggi: 0 totali: 8.264

giovedì, 12
agosto 2010 
A metà mattina parto, con estrema calma, verso Dharamsala.
La distanza è intorno ai 200 km, ma secondo i locali
ci vorrebbero almeno 5 ore per raggiungerla. Già
in uscita da Amritsar, non è facile trovare la direzione
per Pathankot. Le indicazioni non ci sono, oppure sono scritte
solo in indi.
Guidare sulle strade statali è difficile. Gli autocarri
vanno a 30, così come le moto e i motorini. Ci sono
pedoni e animali che camminano a bordo strada. Carretti
trainati da animali procedono lenti, e a volte contro mano.
Una cosa che ho notato subito delle strade indiane è
che sono tappezzate di cartelli con pubblicità di
istituti scolastici. Sembra che gli indiani tengano molto
all'educazione. Inoltre, le frequenti scuole pubbliche (public
schools) sono ospitate in bellissimi edifici lungo la strada.
Ci sono anche cartelli che dicono “Educa i tuoi figli”.
Wow, dovrebbero metterli anche in Italia, e non solo sulle
strade.
Ho una bella sorpresa quando vedo un camper con targa tedesca
in sosta, e dunque mi fermo per indagare. La coppia di camperisti
tedeschi è diretta a Nord, verso lo stato di Jammu
e Kashmir. I signori non sono per nulla preoccupati dell'alluvione
che ha colpito quella zona. Quando segnalo che io ho rinunciato
al Kashmir perché le strade sono impercorribili,
questi cadono dalle nuvole: non avevano idea della gravità
della situazione. Dicono che comunque tenteranno di procedere
verso Nord-Ovest, evitando il cuore del Kashmir. Follia,
perché andranno verso il confine col Pakistan settentrionale,
cioè verso un'altra zona molto colpita dalle piogge.
Non ho tempo di convincerli a non procedere verso Nord.
Ho la mia strada da fare, ed è già abbastanza.
Io andrò ad Est.
C'è un gran traffico di veicoli militari. Si tratta
senza dubbio di mezzi di soccorso per la popolazione colpita
dalle alluvioni. Inizio ad avere motivo per preoccuparmi
davvero. Un altro motivo ce l'ho quando leggo un cartello
che dice “ATTENZIONE, ponte di Chakki crollato, strada
interrotta poco più avanti”. Chakki è
una città sulla strada NH 20 verso Nurpur, cioè
verso dove io sto andando. Sulla mia carta stradale (edizioni
Reise Know How, scala 1:1.300.000) non ci sono alternative
per andare da qui verso quella zona. Per di più sta
iniziando a piovere pesantemente.
Faccio un pranzo veloce a base di pane carasau, parmigiano
e frutta, e poi vado a cercare qualcuno a cui chiedere informazioni
sulla strada. Carta alla mano, chiedo a uno seduto sotto
una tettoia. “Come faccio ad andare a Dharamsala se
il ponte per Chakki è crollato?” “Non
passi per Chakki ma fai l'altra strada fino a Nurpur e Dharamsala.”
“Sulla carta non vedo nessun'altra strada per Nurpur.”
“Torna indietro, gira a sinistra e segui le indicazioni
per Nurpur e Dharamsala.”
Anche se immagino che questo poveraccio non abbia interesse
a prendermi per il culo, onestamente non sono convinto dell'esistenza
di questa strada miracolosa per Nurpur. Torno indietro e
giro a sinistra come suggeriva quel tipo, ma prima di proseguire
chiedo delucidazioni al gestore di un negozietto. Questo
prende la mia carta, la studia e da il suo verdetto: “Questa
carta stradale è vecchia.”
Penso che vecchia è sua sorella. Voglio dire, questa
è una carta della Reise Know How che ho fatto arrivare
dall'estero perché in Italia non la trovavo. Mi sono
sempre vantato delle mie carte stradali. Ho fondato la preparazione
dell'itinerario sulle mie fottute carte stradali.
E continua: “C'è una strada di recente costruzione
per by-passare Chakki, e in questa carta non è indicata.”
Decido di fidarmi dei consigli della popolazione autoctona,
più che della (vecchia) carta stradale della Reise
Know How. Chiedo se la strada per Dharamsala è in
buone condizioni ed è percorribile senza problemi
con il mio mezzo. La risposta è: “La strada
è ottima, ma forse troverai qualche tratto dissestato
a causa delle piogge.” Incoraggiante. Continuo quindi
verso Dharamsala, su una strada che inizialmente sembra
molto buona, e che è frequentata da scimmie che si
spostano indisturbate da un lato all'altro. In questa strada
si paga il pedaggio. Un ponte pericolante a causa delle
piogge è stato chiuso.
Il traffico è deviato
su un ponticello parallelo, troppo stretto per ospitare
due corsie. Si viaggia in senso unico alternato e quindi
c'è una lunga coda. Più avanti, quando il
traffico diminuisce e il panorama inizia a farsi veramente
carino, mi trovo dinuovo in coda. Alcune auto che mi precedono,
fanno inversione e tornano indietro. La causa è il
fiume d'acqua e fango che ha spazzato via la strada. La
gente dei vicini villaggi si è radunata per godersi
lo spettacolo. Le auto non passano, ma autobus e autocarri
sì perché hanno le ruote più alte.
Osservo le ruote dell'autocarro che mi precede per cercare
di intuire la profondità del guado: saranno 30 cm.
Mi preoccupa la corrente, che sembra forte, ma quando vedo
che anche due motociclisti passano senza grossi problemi,
decido di tentare.È stata una buona idea.

Un guado sulla strada per Dharamsala
Poco più avanti, un altro guado. Poi
la strada inizia a salire decisamente di quota. Nei paesini
che attraverso, l'architettura degli edifici è particolare.
Le persone iniziano ad avere i lineamenti dei tibetani:
occhietti a mandorla tipo cinesi, per itenderci. E dopo
una curva, parzialmente nascosta dalla nuvole, chi mi vedo
davanti? L'Himalaya!
Per raggiungere l'inizio della catena Himalayana, partendo
da Pisa, ci sono voluti 16 giorni e 8.450 km.

Strada verso Dharamsala con l'Himalaya sullo sfondo
Mi posso ritenere quasi soddisfatto, anche
se l'idea che alberga nella mia mente ormai da qualche giorno,
cioè quella di fare un salto in Nepal, non mi lascerà
tranquillo finché non avrò raggiunto Kathmandu.
Per il momento mi godo il panorama di questa bellissima
catena montuosa, verso la quale mi sto dirigendo. Dharamsala
e Mcleod Ganj si trovano, rispettivamente, a 1200 e 1800
metri di altidudine.
Mi arrampico, insieme al camper, su
stradine strette e dissestate che quasi sfiorano le tipiche
casette tibetane con tetti a pagoda.
Inizialmente pensavo di fermarmi per la notte a Dharamsala
e poi di visitare Mcleod Ganj. Invece, mentre attraverso
Dharamsala, non trovo neanche un posto in cui parcheggiare.
Nel villaggio c'è un gran casino. Continuo dunque
per Mcleod Ganj, sperando di trovare un parcheggio abbastanza
spazioso. E, soprattutto, sperando di trovare più
tranquillità. Faccio una sosta presso il distributore
di benzina più panoramico che mi sia mai capitato,
cioè con l'Himalaya sullo sfondo. Quattro bambini,
due con la faccia da indiani e due con i lineamenti quasi
da cinesi, si fanno fotografare.
Al tramonto intravedo Mcleod Ganj arroccata sul crinale
della montagna. Lo scenario mi sembra fuoriluogo, perché
stamattina ero quasi ai tropici mentre adesso ho davanti
un paesaggio alpino. Appena entrato nel villaggio, cerco
di spingermi verso il centro. Secondo la L. Planet, ci sarebbero
diversi hotel. Una strettoia mi suggerisce di fermarmi e
di chiedere informazioni a un turista straniero.
Questo
mi spiega che non ho nessuna possibilità di proseguire
col camper nel centro di Mcleod Ganj, perché le strade
sono percorribili solo da piccole auto. Inoltre, gli hotel
sono tutti molto angusti e non hanno il parcheggio. La salvezza
camperistica è il parcheggio multipiano all'ingresso
del villaggio. Si pagano circa 1,20 euro per 24 ore. A prima
vista, Mcleod Ganj mi sembra urbanizzata nella totale ignoranza
del dissesto idrogeologico del territorio in cui sorge.
A cominciare dal parcheggio multipiano, le cui colonne portanti
sembrano sottodimensionate e lasciano dunque intuire l'altrettanta
inadeguatezza delle fondamenta (sempre che ci siano). Si
consideri che il parcheggio è arroccato (come tutto
il villaggio, del resto) su un crinale, sopra centinaia
di metri di strapiombo. Dovesse esserci un cedimento poco
sopra o poco sotto, tutto il parcheggio andrebbe giù,
compresi gli autobus dei turisti.
Mi piazzo all'ultimo piano del parcheggio, all'aperto, lontano
dal lato dello strapiombo. Accendo le utenze, soprattutto
il boiler (visto che c'è un bel fresco), e mi faccio
una doccia. Faccio una passeggiata nella zona centrale,
per farmi un'idea delle dimensioni del centro e della tipologia
di servizi di ristorazione. C'è molta scelta, non
c'è neppure bisogno della L. Planet, e adocchio subito
un hotel-ristorante con servizio Internet. Tutto il personale
è di origine tibetana. Anche il menù è
tibetano. Le cose migliori che prendo sono una specie di
toast al pomodoro e una torta alla banana. Il ristorante
è frequentato da persone un po' strane.
Il primo
esempio è la ragazza affianco a me, che consuma da
sola la sua cena vegetariana, e che non proferisce parola.
Un altro esempio è un signore affetto da qualche
grave patologia, in quanto è privo delle più
elementari facoltà di deambulazione, di locuzione
e di coordinamento. Cerca di dialogare con un gruppo di
ragazzi vestiti da trekkers, sembra parlino di qualche tragedia
avvenuta in montagna. Poi chiama una cameriera, si fa sollevare
di peso, e tenta di ballare rimanendo incredibilmente in
equilibrio.
Ci sarebbe anche un terzo esempio di strana
figura che frequenta questo posto: è un italiano
di 28 anni, ricercatore (di guai), che ha guidato per più
di due settimane attraverso altipiani, deserti, zone quasi
di guerra, montagne, non è ancora arrivato a destinazione
e adesso si chiede se non sia il caso di andare a dormire.
C'è appena il tempo di leggere le email perché
qui a Mcleod Ganj tutte le attività, compreso il
ristorante, chiudono molto presto. Tornando al camper mi
accorgo che ho parcheggiato vicino al punto in cui vengono
scaricati i rifiuti. Si tratta principalmente di rifiuti
dei ristoranti, e c'è un odore nauseante di burro
marcio. Le mucche rovistano tra i rifiuti a pochi metri
dal camper.
km oggi: 232 totali: 8.496

venerdì, 13
agosto 2010 
Le vacche stanno ancora pascolando attorno al camper e sgranocchiando
la spazzatura. Mcleod Ganj è immersa nella foschia.
Mi faccio un giro verso il tempio, dove dovrebbe esserci
anche la residenza del Dalai Lama. Lungo la strada principale
del villaggio si palesa ciò che sospettavo ieri,
cioè la conseguenza del dissesto idrogeologico della
zona: frane e smottamenti stanno mettendo a rischio l'integrità
della strada e minacciano gli edifici. Ma non c'è
da stupirsi visto che mancano totalmente reti e muri di
contenimento. Da questo punto di vista, però, c'è
una cosa buona, cioè la presenza di tanti alberi
che trattengono almeno un po' il terreno.

Veduta di Mcleod Ganj
Il monastero buddista è un mini-villaggio
autonomo. Oltre al tempio ci sono le abitazioni dei monaci,
con varie terrazze in cui i bonzi si lavano incuranti dei
turisti che passeggiano e fotografano.
Per questa mattina sarò un turista, quindi anch'io
faccio foto, compro souvenir e spedisco cartoline. Inoltre,
visto che tra un paio d'ore punterò verso il Nepal,
mi do da fare per procurarmi una guida L. Planet e una carta
stradale. Devo infatti pianificare l'itinerario in base
ai chilometri e ai migliori punti sosta segnalati. A Mcleod
Ganj ci sono varie librerie. Non ho difficoltà a
trovare la L. Planet del Nepal (in inglese), ma la carta
stradale è introvabile. Opto allora per un atlante
di India e Nepal con annessa una piccola carta stradale,
abbastanza approssimativa. Ci sono molti punti di confine
segnalati: uno a Ovest del Nepal, che è il più
vicino, e vari altri punti a Sud. Da informazioni che avevo
raccolto precedentemente, l'attraversamento del Nepal da
Ovest
verso Est sarebbe pericoloso a causa delle instabilità
socio-politiche nella regione del Terai.
Sarebbe invece
più sicuro entrare da Sud. Per me non ha senso entrare
da Sud, perché dovrei allungare il percorso in India,
cioè arrivare quasi fino a Varanasi e poi puntare
a Nord verso il confine e poi verso Kathmandu. Per questo
motivo decido di entrare da Ovest, in barba alle indicazioni
della Farnesina, attraversare il Terai, fermarmi a Kathmandu
e scendere a Sud per poi tornare in India. Se non perdo
troppo tempo, in 3 giorni dovrei essere in Nepal.
Continuo a gironzolare per il villaggio e compro dei souvenir:
un Buddha classico, un Buddha portafortuna, un Buddha fortunato,
un Buddha che ride e una specie di rotellina manuale della
preghiera. I venditori ambulanti impacchettano gli oggetti
per i turisti ma, anziché fare uso di sacchetti di
plastica, costruiscono delle buste con fogli di giornale.
Il mio viaggio continua sulla statale 20 verso Palanpur
e Mandi, attraverso panorami molto belli in una zona dal
clima ideale (almeno d'estate). Vedo templi buddisti, induisti,
pellegrini di ogni tipo, frane e buche enormi. Nel pomeriggio
arrivo vicino a Mandi, dove la strada si divide: a Nord
va verso Manali, dove sarei dovuto andare secondo il piano
originale per proseguire per Leh. A Sud va verso Chandigarh.
Preferisco evitare di andare a Manali, in quanto ritengo
che, essendo il maggiore centro abitato vicino alla zona
disastrata del Ladakh, sarà certamente il punto in
cui si coordinano i soccorsi. Cioè, è da evitare
come la peste.
Per studiare il piano per la serata (cioè per capire
dove andrò a dormire stanotte), prendo la L. Planet
e scopro con piacere che nei “dintorni di Mandi”
c'è il famoso Rewalsar Lake, un posto sacro per indù,
buddisti e sikh. Ci sarebbero strutture ricettive e di ristorazione.
Mi preoccupa la strada: è segnata con una linea gialla
molto più sottile di quella delle strade statali.
Vuol dire che sarà un disastro. E infatti, a parte
qualche piccolo pezzo di asfalto ormai in rovina, la strada
è pessima. È da fare in prima e seconda.
Per
coprire i circa 20 km che separano Mandi da Rewalsar ci
metto più di un'ora. Nell'ultimo tratto carico degli
autostoppisti locali che sono diretti al Rewalsar Lake,
i quali mi confermano che il lago è veramente bello
come si dice. Una cosa bella per me c'è davvero,
e subito: un parcheggio, tranquillo e gratuito, vicino al
centro. Sarebbe riservato ai taxi, ma i tassisti dicono
che posso sostare anche di notte. Un'altro aspetto positivo
è che, sui suoi 1.350 metri di altitudine, Rewalsar
è abbastanza fresca.
Durante la prima passeggiata che faccio abitualmente per
prendere contatto con i luoghi di sosta, mi rendo conto
che si tratta di un posto molto particolare. Da una parte,
la spettacolarità del lago con la passerella che
corre lungo l'acqua, il tempio buddista e la sovrastante
statua gigante di una qualche divinità (a prima vista
direi di Buddha, ma su questo ci sono pareri contrastanti).
Dall'altra, la serenità dell'atmosfera, nonostante
la discreta quantità di turisti. Gli abitanti del
luogo sono tranquillissimi, sempre gentili e mai insistenti.
Nessuno cerca di tirarti dentro il suo negozietto o di venderti
cianfrusaglie per strada. Penso di aver fatto un'ottima
scelta a fermarmi qui per la notte, e mi fermerei anche
più a lungo, se solo non avessi fretta di andare
verso il Nepal.

La statua gigante presso Rewalsar Lake
Per strada incontro un gruppetto di turisti
italiani. Sono stati evacuati dal Ladakh durante la recente
alluvione: hanno preso uno degli ultimi voli prima che l'aeroporto
di Leh chiudesse. Hanno deciso comunque di rimanere in India
e stanno attualmente visitando il Nord. Quando vedono il
camper sono increduli, e mi fanno una marea di domande sulle
difficoltà che ho incontrato lungo la strada.
Per cena scelgo il Topchen Restaurant, consigliato dalla
L. Planet. È un locale molto spartano, praticamente
poco più che un chiosco. La signora che lo gestisce,
con i suoi occhietti a mandorla, mi ispira fiducia. Al tavolo
davanti a me ci sono due ragazze spagnole di Barcellona.
Sono odontoiatre e sono venute in India per fare volontariato.
In pratica avrebbero dovuto curare gratuitamente i denti
ai bambini del Ladakh, ma non sono riuscite ad arrivarci
a causa dell'alluvione. Dialogo con le spagnole mentre mangio
una zuppa di verdure con tortelli di carne.
C'è anche
il dessert: una torta alla banana. Le spagnole se ne vanno
presto a dormire presso il monastero buddista di fronte
al ristorante. Il monastero ospita anche turisti, in teoria
gratuitamente ma in pratica accetta donazioni. Noto che
il monastero ha un cortile interno in cui vengono parcheggiate
alcune auto e furgoni. Penso che un camperista potrebbe
chiedere di sostare lì dentro con il camper, magari
pagando una mancia. Tuttavia, lo spazio sembra limitato
e rimane da verificare la presenza di ostacoli (soprattutto
in altezza).
Prima di andare a dormire, faccio tappa in un internet point
frequentato da giovani tedeschi. Più che in vacanza
mi sembrano al lavoro: stanno scaricando file campioni e
componendo musica. Me ne torno quindi al camper, con la
statua gigante di Budda, o chi per lui, che mi guarda. Durante
la notte mi sveglio per un formicolio. Qualcosa mi sta camminando
in faccia. Se è un ragno dev'essere grande come un
granchio perché, quando lo levo di dosso e accendo
la luce, trovo sul
cuscino una zampa piuttosto grossa. Lo cerco a lungo perché
voglio eliminarlo, ma presto il sonno prevale.
km oggi: 177 totali: 8.673

sabato, 14 agosto 2010

Andare via da una località di sosta non mi è
mai dispiaciuto così tanto, ma purtroppo devo lasciare
Rewalsar, e alla svelta. Infatti mi aspetta una strada di
cui non conosco i tempi di percorrenza. Inoltre devo cercare
un meccanico, per fargli dare un'occhiata al motore e capire
come mai ogni tanto si accende la spia dell'olio. Il livello
dell'olio è apposto, ma sembra che la pressione non
sia sufficiente. Proverò a far cambiare il filtro,
che magari è intasato.
Imbocco la strada che mi è stata consigliata da un
tassista.
È una di quelle che sulla carta sono segnate
in giallo, con linea molto sottile, ma il tassista diceva
che è la strada migliore per andare verso Bilaspur.
La strada si rivela subito molto tosta, la più difficile
che abbia mai fatto. È stretta, corre lungo un precipizio,
e sul bordo alcuni punti hanno franato. Il fondo è
disastrato. Ci sono delle buche profonde in cui il pianale
sbatte. Pozzanghere enormi mi obbligano a prendere un po'
di rincorsa prima di attraversarle, per non rischiare di
rimanere impantanato.
In un piccolo agglomerato trovo un'officina. Ho a bordo
un filtro dell'olio di ricambio, ma il meccanico mi dice
subito che non ha la chiave giusta per sostituirlo. Dice
che comunque più avanti troverò diverse officine
più attrezzate. Inoltre mi fa notare come la mascherina
del muso del camper sia in procinto di staccarsi. Il fissaggio
della povera mascherina aveva resistito alla botta sferrata
da un veicolo nel porto di Ashdod (Israele) la scorsa estate.
Botta tanto violenta da forare, deformare e scardinare il
radiatore. Ma le vibrazioni delle strade pakistane e indiane
stanno facendo di peggio: stanno facendo saltare le viti.
Il meccanico cerca una vite adeguata e la rimonta, mentre
la popolazione del villaggio comincia ad accorrere curiosa.

Un po' di riassetto nell'Himachal Pradesh
Il meccanico non vuole assolutamente essere
pagato per l'intervento. Ma io trovo subito il modo di sdebitarmi
con la popolazione locale: do un passaggio a due signori
che vanno “verso giù”. La stradina è
veramente massacrante. Inoltre, con 150 chili in più
a bordo, devo stare ancora più attento alle buche.
Nei tratti più difficili ho dei momenti di vera disperazione,
e chiedo ai due passeggeri: “Ma come si possono tenere
le strade in queste condizioni? Come fate a spostarvi, come
fate a vivere così?”. Poi ci sono gli autobus
di linea che spuntano all'improvviso da dietro alle curve.
Incrociarli sull'orlo del precipizio è estenuante:
bisogna fermarsi e fare manovre millimetriche, per evitare
di toccare il bordo delle montagna o di mettere una ruota
pericolosamente fuori dalla strada.
Nella cittadina in cui scendono i due autostoppisti, trovo
un'officina meccanica discretamente attrezzata. Appena faccio
presente il problema, il giovane meccanico inizia a studiare
il motore. In questi momenti ringrazio il cielo di avere
un vecchio motore a benzina, senza elettronica, solo con
parti meccaniche e qualche piccolo componente elettrico
(peraltro non essenziale per il funzionamento, ma solo per
l'ottimizzazione dei consumi). In pratica, il mio è
un motore semplicissimo.
Propongo di sostituire il filtro, per migliorare la circolazione
dell'olio. Il meccanico però mi fa notare che l'olio
è pulito e viscoso, dunque anche il filtro dovrebbe
essere ancora buono. Insisto e faccio cambiare il filtro.
Il problema, purtroppo, non si risolve: la spia dell'olio
continua ad accendersi a intervalli, specialmente dopo la
messa in moto. Il meccanico, allora controlla il livello
dell'olio. Per farlo correttamente, rimuove il tappo di
rabbocco, cosa che io non facevo. Il livello è molto
basso, praticamente al minimo. Fortunatamente ho a bordo
diversi litri di olio Repsol, quello che uso solitamente.
Faccio fare il rabbocco e così risolvo definitivamente
il problema. Ho dunque imparato che per leggere correttamente
il livello dell'olio devo togliere il tappo del rabbocco.
Do una piccola mancia al meccanico, anche se lui inizialmente
non vuole accettare. Gli lascio anche il vecchio filtro
dell'olio perché ritinene che sia ancora utilizzabile.
Continuo il viaggio verso Sud-Est. Vado verso Chandigarh
con l'idea di proseguire per Nahan, e magari fermarmi lì
per la notte. Secondo la L. Planet, Nahan sarebbe molto
caratteristica. Chandigarh è nota anche perché
rappresenta un'eccezione nel panorama delle città
indiane: si è sviluppata con un piano regolatore
civile ed è prevalentemente organizzata in settori.
Le strade sono parallele, perpendicolari ed equidistanti.
Effettivamente la circolazione è molto più
semplice che nelle altre città.
Però non riesco
a raggiungere la statale 73, cioè la strada che porta
a Nahan. Chiedo informazioni, mi faccio fare uno schema
del percorso, ma è tutto inutile: senza nessun cartello
stradale è impossibile trovare la direzione. Allora
decido di seguire le indicazioni per Delhi. Mi ritrovo sulla
statale 21, verso Sud, puntando prima su Ambala e poi su
Yamunanagar. Niente da fare per Nahan. Quando è ormai
buio cerco disperatamente un posto per fermarmi. Ciò
che mi fa paura della guida col buio sono le buche, la gente
che cammina sulla strada e gli animali (tipo somari, mucche
e capre). Sulla strada c'è un piccolo motel ristorante,
ma purtroppo manca la corrente e il proprietario non può
offrirmi la cena. Inoltre non è molto daccordo che
io mi fermi a pernottare nel suo parcheggio. Procedendo
qualche chilometro, raggiungo una stazione di servizio.
Chiedo al personale se posso sostare per la notte e se c'è
un ristorante nelle vicinanze.
I dipendenti della stazione di servizio sono un po' perplessi,
ma disponibili. Si presentano: c'è il contabile,
l'addetto al rifornimento, il guardiano e il direttore generale.
Siccome l'esercizio commerciale è molto piccolo,
mi chiedo come fanno queste persone ad avere tutte uno stipendio
per campare. Sono tutti molto gentili e non vogliono essere
pagati per la sosta. Un dipendente si offre addirittura
di accompagnarmi, in moto, fino a un ristorante di un villaggio
vicino. Io non ne voglio sapere di viaggiare in moto, al
buio, su queste strade. Quindi opto per un piccolo chiosco
poco più avanti, che raggiungo a piedi, attraversando
pozze di fango e nuvole di insetti. Il localino è
molto semplice e all'aperto. Anche il menù è
semplice. Prendo una specie di zuppa con verdure e carne,
molto piccante. Poi torno al camper e cerco di dormire.
km oggi: 238 totali: 8.911

domenica, 15 agosto
2010 
La socializzazione prosegue con i dipendenti della stazione
di servizio, che mi fanno prelevare l'acqua per la tanica
del camper.
Continuo verso Haridwar, in una strada che fa assolutamente
schifo. Inoltre c'è il problema che è difficile
rimanerci. Cioè, ogni volta che la strada passa per
i centri abitati si biforca e non c'è modo di sapere
quale ramo prendere (perché mancano le indicazioni).
L'unica speranza è quella di osservare il numero
della strada nelle pietre miliari, e tornare indietro nel
caso il numero non torni.È difficile anche ottenere
precise indicazioni dalla gente locale, perché in
genere le persone non riescono a orientarsi con le mappe.
Cose che per noi sono scontate, come ad esempio saper individuare
sulla carta stradale la propria città, per l'indiano
medio sono assai complicate.
Il punto più difficile della giornata è un
tratto di strada invaso dal fango. Una cinquantina di metri
di lunghezza, su tutta la carreggiata, con una profondità
approssimativa di 30 cm. Gli autocarri passano, le auto
no. Le moto preferiscono tagliare dall'esterno della strada,
dai punti più asciutti. Decido di rischiare, come
ho già fatto più volte, confidando sul fatto
che il Transit è abbastanza alto e che le parti del
motore delicate sono protette. Attraverso il lago di fango
in prima, rischiando più volte di impantanarmi, con
il camper che scodinzola per via della trazione posteriore,
e schizzando fango da tutte le parti. Più tardi mi
accorgo che gli schizzi di fango sono arrivati dentro il
vano motore fino al collettore di aspirazione. Nel pomeriggio
passo per Haridwar, città sacra per gli Indù
perché si trova vicino alle sorgenti del Gange. Ci
sono grandi folle di pellegrini dai vestiti colorati. Alcuni
arrivano con gli autobus, altri in moto, in bici o a piedi.
Si riconoscono perché indossano vestiti arancioni
e hanno le bandierine rosse. Passo sopra il ponte sul fiume
sacro e, per la prima volta, vedo il Gange.
Quando sta per fare buio mi preoccupo di trovare un punto
per la sosta. Nei pressi di una piccola città che
si chiama Nagina, noto il ristorante “Dream Restaurant
– Pure Veg”. Avrei intenzione di mangiare qui
e di pernottare in un prato accanto, ma il gestore insiste
per farmi parcheggiare nel giardinetto davanti al locale.
Il gestore abita con la moglie e due figlie al piano di
sopra. Si tratta di persone abbastanza colte, e che parlano
un buon inglese. Per cena prendo una zuppa di pomodoro,
insalata, patate fritte e pane “chapati”. Il
locale sembra di buon livello (per gli standard locali),
ma la zona attorno è parzialmente acquitrinosa. Le
vacche pascolano attorno a pozze d'acqua piovana piene di
rifuiti. Dovendo smaltire una busta di spazzatura del camper,
chiedo lumi e mi viene detto di buttarla dall'altra parte
della strada. Sul tardi, dopo che ho finito di mangiare,
i gestori del locale mi invitano a rimanere all'interno
perché ci sono meno zanzare.
Mi metto a leggere la
L. Planet del Nepal e a studiare le carte stradali. La famiglia
dei gestori consuma la cena al tavolo, come fanno i clienti,
cioè senza posate. Le bambine fanno un pastrocchio
di riso e condimenti, prendono i bocconi con le mani, e
mi guardano tutte soddisfatte. Un cameriere fa il giro dei
tavoli a intervalli regolari per scacciare gli scarafaggi
che si poggiano a pochi centimetri dalle pietanze.
Quando pensavo all'India, non avevo di certo in mente rifiuti,
fango e scarafaggi. Spero di conservarne un ricordo diverso,
in futuro.
Prima di andare a dormire devo mostrare il camper ad alcuni
clienti del locale che muoiono dalla curiosità. Ho
capito anche perché il gestore mi ha fatto parcheggiare
in giardino: per attirare clienti.
km oggi: 277 totali: 9.188

lunedì, 16 agosto
2010 
Parto con l'obiettivo di arrivare a Banbasa, frontiera col
Nepal, nel pomeriggio. Man mano che mi avvicino al Nepal,
noto che il traffico diminuisce e che le strade sono migliori.
La statale 74 è quasi piacevole da percorrere, finchè
non arrivo a un ponte tra Sitargani e Khatima che è
dichiarato pericolante a causa dell'alluvione. Sono state
installate delle barre che limitano l'accesso sia in larghezza
che altezza.
L'intento è sicuramente quello di bloccare
il transito ai mezzi pesanti. Il mio camper non passa. In
questi momenti vorrei avere un furgone con tetto a soffietto,
e non un ingombrante mansardato. Sono costretto a chiedere
informazioni su una via alternativa verso Khatima e Banbasa.
Si noti che nella mia carta stradale non esiste nessuna
strada alternativa. Un ragazzo mi spiega che c'è
una via alternativa che porta verso Khatima. Si tratta di
un sentiero che passa per alcuni villaggi.
Devo solo seguire
i camion e gli autobus, e non posso sbagliare. La strada
è poco più che una pista in terra battuta.
Passa in mezzo a campi allagati, villaggi con case di fango
e bambini magrissimi vestiti di stracci. Poi, finalmente,
mi riporta sulla strada principale. Banbasa, come tutti
i villaggi di frontiera che si rispettino, è tutta
un traffico di persone, animali e merci. Per non sbagliare
strada, seguo il flusso di moto e auto con targa nepalese,
che certamente stanno rientrando in patria. Un poliziotto
indiano mi ferma e mi dice: “Guarda che forse hai
sbagliato strada. Deve tornare indietro”. Gli dico
“Guarda che sto andando in Nepal”. Rimane sorpreso.
Sono ancora in tempo per passare la frontiera entro stasera.
In questo caso stanotte pernotterò a Mahendranagar,
in Nepal. Che figata.
Un passaggio a livello, una stradina affollata di biciclette
e asinelli che corre lungo il fiume, poi si vede il check
point indiano. Il ponte che separa India e Nepal è
aperto ai veicoli tra le 18 e le 19. Pedoni, ciclisti e
motociclisti possono invece passare ad ogni ora. Parlando
con un poliziotto del check-point vengo a sapere che i visti
multipli indiani sono validi per rientrare in India solo
dopo 3 mesi dall'ultima uscita. Io ho un visto a due ingressi
e l'ambasciata non mi ha detto niente di questa regola,
quindi ritengo di poter rientrare in India quando mi pare.
Il poliziotto è ancora convinto di avere ragione,
ma si ricrede quando gli spiego che, siccome il mio visto
ha validità per due ingressi nell'arco di tre mesi,
sarebbe impossibile utilizzarlo a pieno se fosse vera questa
regola.
Alle 18:30 il ponte è ancora chiuso al transito.
Un signore che si classifica come ufficiale dell'immigrazione
indiana si avvicina e mi illustra la situazione. Da lui
vengo a sapere che il livello del fiume è troppo
elevato e il ponte non può essere aperto ai veicoli
per motivi di sicurezza. Alle 19 l'ufficio immigrazione
indiano che si trova dall'altro lato chiuderà fino
a domani mattina. Porca troia. L'ufficiale mi prega di pernottare
qui e di presentarmi domattina alle 6 nel suo ufficio dall'altra
parte del fiume, per poter avere il timbro di uscita. Naturalmente
a condizione che il livello del fiume cali durante la notte
e che il ponte venga aperto al transito dei veicoli.
Siccome non ci posso credere, chiedo conferma a dei nepalesi
in auto che attendono di passare il confine. Purtroppo è
così: finché il livello dell'acqua non scende,
il ponte non sarà transitabile in auto.
Una simpatica signora nepalese mi dice che la questione
della transitabilità del ponte è storia vecchia.
La legge risale a più di 40 anni fa, e nonostante
le pressioni dei pendolari transfrontalieri e della stampa
locale, i politici indiani non fanno niente per cambiarla.
Siccome la signora ha voglia di chiacchierare, mi racconta
che è venuta in India per far visita alla figlia
che studia in un college e che il figlio si trova in Austria
per vedere il gran premio. Questa dev'essere una famiglia
benestante.
Parcheggio davanti alla postazione di polizia, vicino alla
sponda del fiume, e mi addormento col fruscìo di
questa maledetta acqua che scorre. Ogni tanto sento che
qualche veicolo passa il ponte. Come abbia fatto a convincere
la polizia è un altro dei misteri dell'India.
km oggi: 259 totali: 9.447

martedì,
17 agosto 2010 
Alle 5 del mattino ho già fatto colazione e mi preparo
a passare il confine. Prelevo una tanica d'acqua dalla pompa
manuale che si trova affianco al check point. Far funzionare
queste pompe manuali, molto diffuse in India, è maledettamente
faticoso. Per fortuna devo prendere solo 20 litri. Riparto,
pago il pedaggio e attraverso il ponte. Dall'altra parte
del fiume c'è l'ufficio della Indian Immigration,
dove ottengo il timbro d'uscita. L'ufficiale mi fa notare
che, prima di ritornare in India, dovrò chiedere
un “re-entry permit” all'ambasciata indiana
di Kathmandu. Gli faccio notare che ho un visto a due ingressi,
specificamente richiesto all'ambasciata indiana di Roma
sottoponendo l'itinerario che avrei seguito. Mi chiede scusa
e dice che ho ragione.
Proseguo il disbrigo delle pratiche all'ufficio “Custom”
(dogana). Al mio terzo viaggio fuori dall'Europa, ho acquisito
una certa dimestichezza con le scartoffie. Mi piazzo davanti
all'ufficiale, con i documenti in mano. “Siccome sto
andando in Nepal, devo registrare l'uscita del mio veicolo
sul Carnet.” Mai avessi nominato il Carnet. L'ufficiale
è preso dal panico. Comincia a cercare qualcosa nei
cassetti, cerca di aprire gli sportelli di un mobile, che
sono chiusi a chiave. “Il Carnet. Eh sì.”
Sta prendendo tempo. “Devi sapere che non ho la chiave
del mobile dentro il quale conserviamo il registro dei Carnet.”
Dio buono, questa mi mancava. L'ufficiale della dogana non
ha accesso al registro dei Carnet, che per definizione è
fatto per essere compilato dagli ufficiali di dogana. Ma
io non mi schiodo da qui finché non mi compilano
il Carnet.
Non vorrei sembrare paranoico con questa faccenda del Carnet,
ma mi preme specificare che si tratta di un documento molto
delicato. Il Carnet è in pratica un blocchetto degli
assegni.
Ogni volta che entro in un paese e mi viene preso
l'Importation Voucher, è come se io staccassi un
assegno di
15.570 euro (triplo del valore di mercato del mio camper
che è di 5.190 euro). Se qualcosa va storto (esempio:
furto del veicolo, abbandono o mancata esportazione entro
il tempo limite), il paese che ha preso l'Importation Voucher
può reclamare alla FIA - Federazione Internazionale
dell'Automobile i diritti di importazione (che io ho garantito
tramite fidejussione). Quando esco dal paese e viene timbrata
l'uscita, l'Importation Voucher (cioè l'assegno!)
viene in pratica annullato.
Siccome vedo una vagonata di nepalesi che vanno e vengono
con auto e furgoni, chiedo come fanno a passare in India
senza il Carnet: “Scusi ma i nepalesi che entrano
ed escono dall'India in auto come fanno? Non hanno il Carnet?”
“No, loro hanno solo un foglio di transito dove specificano
gli oggetti trasportati.” “Interessante.”
L'ufficiale prende il telefono e dice: “Blablabla....
Carnet blabla!!”
Inganno il tempo cercando di acquisire informazioni sull'itinerario:
“Quanto tempo ci vuole per arrivare a Kathmandu, all'incirca?”
Risponde l'autista di un autobus nepalese: “Io ci
metto dalle 15 alle 18 ore. Dipende dalle condizioni della
strada”. “A proposito, com'è la strada?”
“È a posto, ma ha riportato dei danni per le
forti piogge.”
“Ma è percorribile? Cioè, è tutta
aperta?” “Sì, certo! Io faccio quella
strada e conto di arrivare a Kathmandu stanotte tardi.”
Incoraggiante. Per sicurezza, comunque, metto in conto almeno
un giorno e mezzo. L'ufficiale invece mi dice che secondo
lui ci metterò 3 giorni. Viva la sincerità.
Un'altra domanda la rivolgo a entrambi:“È vero
che nel Terai ci sono pericoli legati alle attività
dei maoisti?” Si mettono a ridere. “No, no..!
Sono 5 anni che i maoisti non disturbano. Non c'è
pericolo.”
Nel frattempo, un inserviente insiste per offrirmi del té.
Io rifiuto anche perché ho appena fatto colazione.
L'ufficiale: “Tranquillo, noi stiamo molto attenti
all'igiene! Prendi almeno un bicchiere d'acqua. La raccogliamo
noi: sgorga dalle montagne qui vicino.”
Faccio uno sforzo e accetto l'acqua solo per non sembrare
antipatico. Porca miseria, si sente che è acqua di
fonte: fa schifo. Appena arriva la chiave dell'armadio che
contiene il registro, sbrigo la questione del Carnet e mi
dirigo, con il camper, verso il Nepal.
La “terra di nessuno” tra India e Nepal è
un posto molto curioso. A parte le solite bibiclette e la
gente che cammina portando talvolta al guinzaglio asini
e capre, ci sono dei veri e propri centri abitati. Chissà
se chi abita qui afferisce all'India o al Nepal, visto che
questo è territorio “internazionale”.
C'è un primo posto di blocco dell'esercito nepalese.
I militari vogliono controllare l'interno del camper.Più
avanti, sulla sinistra, noto il cartello “Immigration”
appeso alla parete di una casupola. È lì che
devo chiedere il visto d'ingresso.

Terra di nessuno tra India e Nepal
Entro nella casupola, che ha la porta spalancata,
e non trovo nessuno. Dopo che chiamo più volte, arriva
un tipo in pantofole che dovrebbe essere l'ufficiale. C'è
da dire che io sono l'unico straniero che oggi passa di
qui: il resto del traffico è solo di indiani e nepalesi,
che non hanno bisogno del visto per spostarsi tra i due
paesi e che quindi non devono disturbare gli ufficiali di
frontiera. L'ufficiale, probabilmente, dormiva.
È molto semplice ottenere un visto d'ingresso nepalese:
basta pagare una tassa, compilare il modulo e consegnare
una fototessera. Il prezzo per il visto a singola entrata
per 15 giorni equivale a 25 euro. Secondo alcune voci che
girano su Internet, il visto si potrebbe pagare SOLO in
dollari USA. A pensarci bene, anche la guida L. Planet riferisce
qualcosa del genere. Sempre secondo la L. Planet, bisogna
avere i 27 dollari contati perché in frontiera non
danno il resto.... Puttanate: io ho pagato 30 dollari in
banconote e mi hanno dato il resto esatto in rupie nepalesi.
Inoltre, tramite l'ufficiale di frontiera, si possono anche
convertire le rupie indiane in rupie nepalesi.
L'atmosfera di questa frontiera, secondo la guida turistica,
è molto rilassata. Ma secondo me c'è di più:
la tranquillità degli ufficiali, la semplicità
nell'ottenere il visto e l'aria che tira in generale, la
dicono lunga su come il Nepal sia in pace con il resto del
mondo.
Proseguo fino all'ufficio della dogana, che è poco
più avanti. È una casupola ancora più
piccola di quella della Immigration, e fa schifo da quanto
è sporca. Dentro c'è un tavolino dove due
ufficiali scrivono sui loro registri, timbrano, incassano
manciate di banconote da indiani e nepalesi che vanno e
vengono con scatole di prodotti vari. Non si curano della
mia presenza, neanche dopo che mostro i documenti per attirare
l'attenzione. Quando il flusso di gente diminuisce, finalmente
uno di loro mi passa un registro da compilare. È
il registro dei Carnet. Provvedo personalmente a riportare
i dati, mentre loro timbrano il Carnet. Ne approfitto anche
per curiosare nel registro dei Carnet, e vedere chi è
passato di qui recentemente: da aprile ad agosto sono passati
molti europei in auto o in moto. Prevalentemente tedeschi,
olandesi, svizzeri. Ma nessun italiano.
L'ultimo ostacolo è un posto di blocco, dove i militari
vogliono vedere una banconota del mio paese. Mostro i soliti
5 euro, e spiego che sono soldi dell'Unione Europea, di
cui fa parte anche l'Italia. Ma che ne sanno questi di Europa,
di Schengen, ecc. Quindi, entro nel Regno del Nepal.
Per strada ci sono solo ciclisti e pedoni che camminano
per i fatti loro, a zig-zag. Per farmi largo suono il clacson
in continuazione. A Mahendranagar, che dovrebbe essere un
centro urbano abbastanza importante, circola solo qualche
autobus o furgone. Nessun veicolo privato. Sembra un posto
molto povero. Qui mi devo fermare per comprare frutta, acqua
minerale e ovviamente una carta stradale del Nepal.
Vado subito a cercare la carta stradale. Giro per alcuni
negozi di libri che sono sprovvisti di carte stradali, oppure
le hanno, ma con le scritte in nepalese. Trovo una piccola
guida turistica del Nepal, in inglese, con carta stradale
in omaggio. La carta è in scala sufficiente, però
non ha le distanze chilometriche. Compro anche dell'acqua
minerale e un chilo di mele che definire buone è
poco.
Imbocco la Mahendra Highway verso il cuore del Terai e verso
Kathmandu. Sarebbe la strada principale del Nepal ed è
nota come N01. Per essere la prima strada non è molto
trafficata, e questo per me è un bene. Posso infatti
rilassarmi e godermi il paesaggio e le scene di vita locale.
Donnine con la faccia scura e dai vestiti colorati portano
a spasso mucche e capre, vecchietti trasportano legna, bambini
camminano lungo la strada per spostarsi da un villaggio
all'altro. Inizia a piovere pesantemente. Pedoni, ciclisti
e motociclisti di passaggio si rifugiano sotto piccole tettoie
circolari allestite lungo la strada. Chiacchierano, mi osservano,
salutano. Quando, per qualche motivo, mi fermo in un centro
abitato, la curiosità della gente non è mai
molesta (come invece avviene talvolta in India). I nepalesi
si avvicinano sempre con cautela, senza essere invadenti.
La Mahendra Highway è molto meglio delle strade che
ho fatto nell'India del Nord: l'asfalto è tale da
far drenare l'acqua, e ai bordi della strada ci sono dei
grandi canali di scolo per raccoglierla. Anche quando piove
forte, la strada tende a rimanere libera dall'acqua. In
generale, almeno per chi arriva dell'India, direi che guidare
in Nepal è un’esperienza rasserenante. In lontananza,
dietro alle nuvole, scorgo dei rilievi che sembrano la base
di una catena imponente. È l'Himalaya, irraggiungibile,
che mi sta prendendo per il culo.
Per arrivare a un ottimo punto sosta per questa notte mi
mancano pochi chilometri. È appena l'ora di pranzo,
per cui credo che arriverò al Bardia Park molto presto,
e potrò rilassarmi per mezza giornata. Ma come mi
sono permesso di fare una simile assunzione, dato che sono
in Asia nel mezzo della stagione monsonica? Me lo chiedo
quando mi trovo davanti a una coda di mezzi che aspettano
di scavalcare un fiume. E sembra che la coda sia ferma.
Scendo per andare a curiosare sulla causa del blocco, e
vedo che la rampa del ponte (in terra battuta) è
impercorribile a causa di una enorme buca.
C'è un
gruppo di operai al lavoro, ma sembra che non si curino
della buca, dedicandosi piuttosto alla costruzione dei parapetti
del ponte. La ruspa è parcheggiata e inutilizzata.
Un'altra cosa curiosa è che la fila di veicoli termina
proprio davanti al fiume, accanto al ponte, e questo su
entrambe le sponde. Sembra che gli autisti aspettino di
poter attraversare il fiume... Chissà che non arrivi
una qualche zattera miracolosa.
Da solo non riesco a capire cosa succede. Me lo spiegano
dei nepalesi, che peraltro sono rimasti bloccati come me
ieri sera al confine. Stanno rientrando in Nepal dopo un
viaggio in India e sono diretti a Nepalganj, non molto lontano
da qui. Loro sono abituati ai disagi della stagione delle
piogge.

In attesa di attraversare il fiume
La situazione è molto semplice: stanno
tutti aspettando di attraversare il fiume con i mezzi, cioè
di passare nella “crossway”, che sarebbe un
tracciato sul letto del fiume. Auspicabilmente, nel giro
di qualche ora, il livello dell'acqua dovrebbe scendere.
Sempre che non si metta a piovere. Gli chiedo come farei
secondo loro a passare nel fiume con il camper. Rispondono
che, se il livello dell'acqua scenderà, passeranno
con la loro auto come hanno sempre fatto. E la loro auto
non è neanche a trazione integrale. Quindi anch'io
non avrò problemi con il camper. Non ci posso credere.
Rifaccio la stessa domanda altre due volte e ottengo sempre
la stessa risposta: prima o poi passeremo tutti sul fiume.
“E il ponte?” “Il ponte non è ancora
stato inaugurato. Gli operai ci stanno ancora lavorando.
Ci vorranno due settimane per terminarlo.” Non ritengo
possibile attraversare in sicurezza il fiume a bordo del
camper. Tuttavia, per essere pronto ad ogni evenienza, gonfio
le sospensioni posteriori per sollevare la coda di qualche
centimetro e preparo il cavo di traino (nel caso dovessi
rimanere impantanato nel fiume). Kathmandu dista circa 500
km da qui, ma sembra sempre più lontana. Non ho idea
di quando potrò ripartire.
Tra le varie auto in coda c'è un fuoristrada con
una famiglia apparentemente benestante. Una bambina, tutta
incuriosita dal camper, vuole sapere dove sono diretto.
Anche lei va a Kathmandu. “E quando conti di arrivarci
a Kathmandu?” “Domani.” Dice Questo mi
mette di bun umore. Se anch'io riuscissi ad arrivare a Kathmandu
entro domani mi riterrei molto fortunato.
Un ragazzo arriva dal fiume, tutto agitato, e si ferma presso
le persone in coda. Viene anche da me e mi parla in un inglese
abbastanza comprensibile per capire che la situazione sta
degenerando:
“Un furgone ha cercato di attraversare il fiume ma
è stato travolto dall'acqua. L'autista si è
fatto male e stanno cercando di portarlo in salvo.”
Il ragazzo se ne va sconsolato: “Io torno indietro,
tanto nel fiume non si passa... non oggi.” E se un
nepalese dice di lasciar perdere, vuol dire che non c'è
da scherzare. Vado a vedere e a fotografare il furgone bloccato
nel fiume. Mi chiedo con che coraggio l'autista abbia tentato
di attraversare in quelle condizioni di marea
|
|
Un furgone travolto
dalla corrente mentre tentava di attraversare il fiume
|
I passeggeri degli autobus scendono, attraversano
il ponte a piedi e continuano il viaggio andando a cercare
un altro mezzo dall'altra parte del fiume.
Mi avvicino al gruppo di nepalesi con cui ho parlato prima,
cercando di capire che intenzioni hanno. Dicono che probabilmente,
per l'abbassamento dell'acqua, bisognerà aspettare
fino a domani. Loro conoscono un buon albergo in una cittadina
a un paio d'ore da qui. Il posto di chiama Dhangadhi, e
si trova vicino all'India. Gli dico: “Non posso tornare
indietro e perdere tempo! Ho i giorni contati! Se torno
indietro sono costretto a rifare la frontiera per l'India.”
I nepalesi mi dicono di stare tranquillo, che la situazione
prima o poi si risolverà. Ma io non sono per niente
tranquillo. Si rimette a piovere forte, tutti corrono dentro
alle loro auto, e io torno nel camper.
La scappatoia di tornare in India da Mahendranagar-Banbasa
(cioè da dove sono entrato stamattina) non è
una soluzione sicura. Se, infatti, dovesse piovere pesantemente
e il livello del fiume che separa India e Nepal dovesse
salire, il ponte verrebbe chiuso ai veicoli (come è
successo ieri). In quel caso rischierei di perdere altro
tempo, cioè almeno un giorno, in attesa di attraversare
la frontiera. Viceversa, se solo fossi in grado di superare
questo fiume e proseguire verso Kathmandu, potrei contare
su altri 3 punti di confine ufficiali per rientrare in India.
Quindi, nel caso di accumulo di un forte ritardo, potrei
tentare di uscire dal primo punto di confine utile. Sia
chiaro, infatti, che non esiste alcuna strada alternativa
per Kathmandu: me lo dicono i nepalesi, me lo conferma la
carta stradale. Da questa zona partono solo sentieri cosiddetti
“stagionali”, cioè praticabili (con mezzi
attrezzati) solamente nella stagione asciutta.
Dopo uno spuntino che ha in pratica sostituito il pranzo,
vado in bagno per lavarmi le mani e, per caso, mi guardo
allo specchio: sono magrissimo e pallido, e porto i segni
di tre settimane massacranti di viaggio. Un viaggio sicuramente
interessante ma anche caratterizzato da tante difficoltà.
Sono in trappola: chiuso tra due fiumi, con il camper, in
un paese del quarto mondo e in balia del monsone. In più,
sono in mezzo a un branco di pazzi ancora convinti di poter
attraversare il fiume in auto. Devo prendere una decisione
entro un'ora: tornare indietro e lasciar perdere il Nepal
e Kathmandu, oppure continuare verso la capitale, rischiando
di accumulare un forte ritardo. Torno, ancora una volta,
dai miei amici nepalesi per trovare conforto. Loro continuano
a sostenere la necessità di attendere pazientemente,
che la situazione prima o poi si sbloccherà.
Vado
a curiosare nei pressi del ponte “in costruzione”.
Un'auto delle Nazioni Unite si è piazzata all'inizio
della rampa del ponte. Il personale dialoga continuamente
via radio. Dall'altra parte, anche un'ambulanza si è
fermata sulla rampa. Le auto iniziano a mettersi in fila
davanti al ponte, e non più verso la sponda del fiume.
Penso che abbiano tutti intenzione di attraversare il ponte,
in qualche modo. Ma gli operai stanno ancora lavorando,
e l'accesso è bloccato da attrezzi e materiali, nonché
dalla voragine sulla rampa. Nel giro di pochi minuti si
crea un assembramento di persone, per niente di buon umore,
attorno agli operai. Le persone urlano, la tensione sale.
Vedo un operaio che sale sulla ruspa piangendo, mentre qualcuno
gli grida contro. L'operaio sulla ruspa si mette al lavoro
per coprire il buco sulla rampa. Viene sgombrato il ponte,
e le auto iniziano a passare.
Quando arriva il mio turno, capisco subito che il ponte
non è agevole. In particolare, la rampa è
stata rattoppata velocemente. Il camper affonda sul pastrocchio
di fango e pietre, il telaio gratta pesantemente. Una folla
di gente guarda incuriosita, in un'atmosfera incredibilmente
festosa, il collaudo non ufficiale del ponte.
Ho assistito, per caso, a un importante evento della storia
logistica del Nepal: l'ultimo ponte che mancava alla Mahendra
Highway per essere propriamente definita UNA STRADA, è
finalmente inaugurato. Per fortuna per i poveri pendolari
nepalesi, niente più guadi, cioè niente “crossway”.
Per fortuna per me, Kathmandu adesso è più
vicina.
Appena oltre il ponte, al termine della coda di veicoli,
c'è il furgone che si trovava nel fiume: è
stato trainato fuori e l'autista cerca qualcuno che lo possa
rimorchiare per una decina di km verso Kathmandu. Io non
ci penso proprio di rimorchiarlo, anche perché mi
fermerò molto prima. Infatti, a soli un paio di chilometri,
c'è l'ingresso del Bardia National Park dove intendo
pernottare. Davanti al cartello del parco, si raduna un
gruppo di bambini magri e mal vestiti.

L’ingresso del Bardia Royal National Park
Vengo presto avvicinato da un ragazzino che
dice di lavorare come guida turistica nel parco. Sostiene
che non è possibile proseguire fino all'interno del
parco, dove si trovano gli hotel, perché la strada
è allagata. Inizialmente non ci credo, pensando che
mi voglia spacciare chissà quale sistemazione per
la notte. Invece presto scopro che mi è permesso
pernottare gratuitamente in un prato appena dopo l'ingresso
del parco. In pratica, la strada che corre dentro il parco
per circa 12 km fino al villaggio di Bardia, è sotto
un metro e mezzo d'acqua. Cioè, è sotto lo
stesso fiume che ho appena scavalcato dal ponte della statale.
Gli autobus fermi all'ingresso del parco sono in attesa
che la pioggia cessi e il livello dell'acqua si abbassi
per poter portare i passeggeri fino al villaggio. La guida
(il ragazzino) dice che nel giro di qualche ora il livello
si abbasserà e sarà possibile attraversare
il parco. Io, sinceramente, non ci credo e penso che mi
fermerò qui per la notte.
Avviso, per sicurezza, i militari del check point davanti
all'ingresso del parco sulle mie intenzioni di pernottare
qui. Quindi ordino la cena presso il “ristorante”
a conduzione familiare che si trova dentro una baracca e
poi provvedo al carico dell'acqua (da fontana con pompa
manuale!) per non doverlo fare domani mattina. Scopro i
servizi presenti nel piccolo villaggio all'ingresso del
parco. In una baracca c'è il minimarket: vende prodotti
alimentari confezionati tipo biscotti e patatine. In un'altra
c'è il servizio di telefonia da cui chiamo l'Italia
a prezzi concorrenziali. La qualità della linea è
ottima.
Al tramonto nel villaggio cala il buio. Non c'è illuminazione
perché la corrente elettrica viene erogata solo in
tarda serata. Per andare a cena devo munirmi della torcia
a led che tengo per le emergenze. Mi serve perché
il camper è parcheggiato in un prato leggermente
acquitrinoso, e non vorrei finire in una delle pozzanghere
infestate da una quantità imprecisata di insetti.
Anche il ristorante è quasi al buio. L'unica luce
è quella delle piccole torce elettriche dei clienti.
Qui mi stavano aspettando per la cena, che è pronta
da un pezzo. “Ma la corrente elettrica quando arriva?”
Chiedo. “Sì, vedrai che sta per arrivare.”
La mia cena è costituita da una zuppa di lenticchie
o roba simile, riso, condimento a base di asparagi e immancabile
pane indiano “chapati”. La zuppa fa schifo.
Gli asparagi sono buoni ma troppo piccanti. Durante la cena
parlo con il ragazzo-guida, che conosce molto bene l'inglese.
Abita nel villaggio di Bardia (irraggiungibile per via del
fiume grosso), di mattina va al college e di sera fa la
guida per i turisti. Domani mattina presto si recherà
a lezione con l'autobus. Insomma, fa una vita che sembra
normale, in un luogo che di normale per me ha ben poco.
Voglio dire: si cammina nel fango, la corrente elettrica
c'è solo occasionalmente, bisogna aspettare i comodi
di madre natura per guadare un fiume e tornare a casa. Io,
questa cosa dei disagi, la sto prendendo con filosofia perché
sono nel mezzo di una spedizione, vado in cerca di diversità
e non delle comodità di cui godo tutto l'anno. Cioè,
io per pochi giorni ci rido sopra. Questi invece vivono
sempre qui, e non li invidio.
km oggi: 146 totali: 9.593

mercoledì, 18
agosto 2010 
Prima di partire da questo piccolo villaggio voglio lasciare
una mancia alla signora che gestisce il ristorante davanti
al quale ho dormito. “Per il parcheggio e per l'acqua”,
le dico.
Gli autobus che avrebbero dovuto passare il fiume verso
Bardia sono ancora fermi all'ingresso del parco. Gli autisti,
in tutta serenità, attendono che il livello dell'acqua
scenda. Molti dei passeggeri hanno proseguito a piedi. Altri,
forse perché hanno i bagagli, aspettano. Penso che
dovranno aspettare un bel po', visto che ha piovuto tutta
la notte.
La Mahendra Highway corre tra pianure parzialmente allagate
dalle piogge torrenziali e tratti boscosi. Per tutta la
mattina non incrocio neanche un veicolo, e la cosa mi sembra
molto strana. Ai checkpoint la polizia mi accenna a qualcosa
che ha a che fare con “blocco”, ma non ci faccio
troppo caso.

La Mahendra Highway tra Bardia e Kathmandu
La benzina non si trova in tutti i distributori,
mentre il gasolio sì. La qualità del carburante
sembra leggermente migliore rispetto all'India. Direi che
ci sono 92 ottani. Si può pagare, all'occorrenza,
anche in rupie indiane e viene sempre rilasciata una ricevuta.
Ad un posto di blocco mi viene chiesto di dare un passaggio
a un poliziotto fino a un villaggio poco più avanti.
Secondo la L. Planet ci sarebbe un ATM (sportello bancomat)
nel centro di Butawal. Lo sportello c'è, o meglio
ce ne sono 2. Ma non funzionano. Pazienza, cercherò
a Bharatpur. Intanto il camper è stato circondato
da bambini che sniffano colla dai loro sacchetti.
Nel pomeriggio, poco prima di Bharatpur, vengo fermato all'ennesimo
check point per un controllo. Sono convinto di cavarmela
in un minuto, come sempre. Invece stavolta mi ordinano di
parcheggiare e aspettare per un po'. Inizialmente non capisco
il motivo. Ne approffitto comunque per studiare la situazione
di Kathmandu sulla L. Planet, e per individuare sulla carta
il punto sosta in cui vorrei arrivare stasera: il Chobar
Village Resort, poco fuori Kathmandu. La polizia mi spiega
che oggi c'è uno sciopero generale.
Ecco perché
non si vede un veicolo in circolazione: in Nepal prendono
molto sul serio la questione degli scioperi. Un poliziotto
mi suggerisce di provare a proseguire verso Kathmandu, ma
mi mette in guardia: “Attento, dopo Narayangadh potrebbero
bloccarti.” Il senso della frase non mi è molto
chiaro, probabilmente mi bloccheranno a un altro check point.
Comunque avrei una certa fretta, e quindi proseguo.
A Bharatpur
trovo finalmente un bancomat funzionante e prelevo un po'
di soldi. Sempre a Bharatpur, chiedo informazioni sulla
strada migliore per Kathmandu: continuare sulla N01 verso
Hetauda e poi su fino a Kathmandu, oppure fare la N05 per
Narayagadh e poi la N04? Secondo dei ragazzi del posto,
entrambe le strade sono pericolose. Non riesco a capire
cosa ci possa essere di più pericoloso delle strade
che ho attraversato nelle ultime settimane. Ma questi insistono:
la N01 è molto “risky”, anche se è
un po' più rapida. La N05 è più lenta
ma meno “risky”. Decido di fare la N05.
La strada sale di quota. In serata qualche camion si rimette
in viaggio, ma la maggior parte sono ancora fermi sul bordo
della strada con gli autisti che aspettano. Dopo Narayangadh
la N05 è poco più di una stradina di montagna
con curve cieche, frane che occupano parte della carreggiata,
mancanza di parapetto sul lato del precipizio e fiumi d'acqua
e fango che scendono dalla montagna e la attraversano.
Mini-agglomerati sorgono in piccoli spazi sottratti alla
montagna. Sono gruppi di baracche di legno che ospitano
sia abitazioni che esercizi commerciali. Qualcuno cucina
roba da servire in “ristoranti” improvvisati,
qualcuno brucia dei rifiuti, qualcun'altro si lava. Il tutto
avviene all'aperto, in mezzo a un misto di fango, olio e
spazzatura. Nello spiazzo in corrispondenza di un curvone,
i due camion che mi stanno davanti si fermano. C'è
un folto gruppo di giovani vestiti di rosso e con bandiere
rosse. Hanno anche della tinta rossa in faccia. Bloccano
i camion e sembrano incazzati neri.
Mi vengono in mente cose sentite o lette prima e durante
il viaggio: “In Nepal permangono situazioni di tensione
soprattutto in occasione di scioperi e manifestazioni...”.
“Attento, dopo Narayangadh potrebbero bloccarti...”
“La N05 è comunque rischiosa...”
Vari pezzi di informazione, che in principio non erano chiari,
acquistano magicamente significato quando vengono collocati
nel loro contesto: mi trovo in corrispondenza di un blocco
stradale da parte di simpatizzanti maoisti. Quindi in Nepal
ci sono effettivamente attività da parte dei maoisti.
Interessante. Cerco di mantenere la calma, e dico ai maoisti
che sono diretto a Kathmandu. Per fortuna mi fanno cenno
di proseguire, così continuo il viaggio verso la
capitale. Sia per la difficoltà della strada che
per il buio che cala, comincio a pensare che non sarà
possibile arrivare a Kathmandu stasera.
Se guidassi con
il buio, considerando una media di 25 o 30 km/h (perché
più veloce è impossibile), potrei essere a Kathmandu
intorno alla mezzanotte. Sarebbe fattibile, ma troppo pericoloso.
La “provvidenza camperistica”, questa sera,
a circa 90 km da Kathmandu, è un cartello con scritto
River Side Spring Resort. In pratica, indica che alcuni
chilometri più avanti troverò un complesso
turistico. Considerata la bellezza di questa zona, che si
trova all'interno del Chitwan National Park, credo che si
tratterà di un resort di lusso, certamente dotato
anche di ristorante di alto livello. Proprio quello che
mi serve dopo questa dura giornata di viaggio. Inoltre,
dormendo qui, domani potrò ammirare il panorama della
valle di Kathmandu alla luce del giorno. Senza considerare
che potrò spingermi, con calma, fin dentro la città
e magari cercare un buon punto sosta per due giorni.
Il resort si trova sul lato sinistro della strada in direzione
Kathmandu, in pratica stretto tra la montagna e il fiume
che corre in fondo alla gola. Chiedo al guardiano all'ingresso
se posso sostare per la notte, e lui mi suggerisce di chiedere
alla reception. Attraverso il magnifico giardino del resort,
dove incrocio qualche turista occidentale, e chiedo alla
reception se posso parcheggiare il camper e dormirci dentro,
eventualmente pagando un extra. “Certo che puoi, ma
non paghi nessun supplemento.” Questo posto è
il sogno del camperista: scenario da favola, ristorante,
parcheggio custodito 24 ore e gratuito.
La struttura di ristorazione è di ottimo livello,
ma assai cara (almeno per gli standard locali).È
anche possibile utilizzare il telefono a pagamento dell'albergo,
da cui faccio una lunga telefonata ai miei parenti a Cagliari
rassicurandoli sulla mia incolumità. Naturalmente
ometto di raccontare alcuni dettagli, tipo quelli su fiumi/sciopero/maoisti.
km oggi: 463 totali: 10.056

giovedì, 19
agosto 2010 
La lunga, infinita strada per Kathmandu ricomincia di mattina
presto. Meno di 100 chilometri mi separano dalla meta che
ormai mi sono messo in testa e a cui non ho nessuna intenzione
di rinunciare. Panorami incantevoli si alternano a incredibili
difficoltà di transito, tra frane e smottamenti,
ingorghi e incidenti. Finalmente, attraverso i rami degli
alberi a bordo strada, vedo la Valle di Kathmandu alla mia
sinistra.
Ancora pochi chilometri, un posto di blocco, cartelli
di vari sponsor che dicono “Welcome to Kathmandu”,
ed entro nella periferia della città. Il primo impatto
non è esaltante. L'ambiente è sporco, l'aria
è inquinata, la stretta strada che porta verso il
viale di circonvallazione è inadeguata al flusso
del traffico. Inoltre, in un tratto si procede a senso unico
alternato perché una grossa voragine, causata di
sicuro dalle forti piogge, occupa una corsia. Per fortuna
c'è un vigile, equipaggiato con mascherina antismog,
che dirige il traffico.
Intendo spingermi fino al quartiere di Thamel, centro di
Kathmandu, perché una mia amica (grazie Claudia!)
mi ha detto che c'è almeno un parcheggio in cui posso
provare a sostare con il camper. Appena individuo un punto
in cui posso fermarmi, cerco un taxi e mi faccio guidare
fino a un parcheggio nella zona di Thamel. Seguire il taxi
per il centro di Kathmandu è un'impresa pazzesca:
non che il numero di veicoli sia elevatissimo (sicuramente
niente in confronto ai flussi di città come Milano
o Firenze), ma i nepalesi creano un gran casino con le loro
manovre spericolate.
Il parcheggio che mi viene consigliato dal tassista è
davanti a un ristorante. Lo spazio è più che
sufficiente, è recintato e c'è il custode.
Il problema è la tariffa oraria: il camper viene
assimilato al bus, per cui dovrei pagare circa un euro all'ora.
Per due giorni sarebbero più di 40 euro. Ovviamente
tratto pesantemente sul prezzo, pretendendo uno sconto per
la sosta lunga. Riesco a scendere fino a 25 euro per 2 notti.
La tariffa sarebbe normale per un'area di sosta in Italia,
ma è assolutamente esagerata per il Nepal. Tuttavia,
il parcheggio è custodito 24 ore e si trova davanti
a un ristorante che sembra di buon livello. Inoltre, durante
la prima passeggiata esplorativa, scopro che il centro di
Thamel è a soli cinque minuti a piedi. Non potevo
chiedere di meglio, considerato che è la prima volta
che visito Kathmandu e che non avevo studiato preventivamente
i punti sosta.
Pranzo al ristorante davanti al parcheggio. Il cibo è
di buona qualità e il prezzo è onesto (comunque
elevato per gli standard locali). La prima cosa che faccio
dopo pranzo è andare a cercare una lavanderia. A
Thamel ce ne sono diverse. Mi rivolgo a quella più
vicina. Fare il bucato mi costerebbe pochissimo: qualcosa
come 1 euro. Però questa lavanderia si prende 48
ore per riconsegnarlo. Impossibile per me aspettare due
giorni, perché dopodomani mattina riparto per l'India.
Ma il lavandaio: “Noi chiediamo sempre 48 ore”.
“Non hai capito. La roba mi serve per domani sera,
perché dopodomani mattina me ne vado. Fai tu il prezzo.”
Il lavandaio, per consegnarmi la roba in 24 ore, raddoppia
il prezzo: 2 euro in totale. Perfetto.
Gironzolando per Thamel comincio a prendere contatto con
la realtà di Kathmandu, che non c'entra un bel niente
col resto del paese che ho visto: qui è pieno di
gente che cerca di trascinarti nel suo
negozietto perché vuole venderti souvenir a prezzi
osceni. Ci sono spacciatori di droga a ogni angolo. La cosa
più fastidiosa sono i santoni indù che vogliono
metterti l'inchiostro in fronte perché così
ti possono chiedere la mancia. Non mi faccio avvicinare
né toccare da nessuno di questi individui. In pratica
mando tutti affanculo, a costo di sembrare antipatico.
La connessione a Internet è disponibile in più
locali, a prezzi orari che variano tra 0,20 e 1 euro, ma
i PC sono spesso obsoleti, lenti e vanno in “out-of-memory”
facilmente. Comunque sono fortunato perché oggi c'è
la corrente: a Kathmandu infatti ci sono frequenti black
out, e gli esercizi commerciali si arrangiano come possono
per avere un po' di autonomia in caso di black-out. Negli
Internet café, c'è l'angolo batterie: due
o tre batterie di TIR sono collegate a un sistema di inverter
per erogare corrente alternata e alimentare i PC. Tra l'inverter
e i PC ci sono anche gli UPS (gruppi di continuità),
che danno alcuni minuti di autonomia anche dopo lo scarico
delle batterie. Un sistema semplice ed efficace.
Peccato
che le batterie, quando sono in carica, rilasciano vapori
tossici. Andrebbero collocate quantomeno all'esterno, per
non respirarne i veleni. Negli internet café è
anche possibile telefonare all'estero a prezzi accettabili.
Purtroppo però la linea si interrompe frequentemente.
Inoltre non riesco a utilizzare il cellulare: sia la SIM
indiana che quella italiana in teoria vanno in roaming sui
gestori locali, ma non mi permettono di fare niente (neanche
di inviare/ricevere SMS). Continuo a gironzolare e incontro
tanti turisti europei, specialmente francesi e spagnoli.
Pochissimi italiani. Ho necessità di procurarmi del
cibo per la cambusa, quindi cerco un supermercato. Trovo
un piccolo market che vende un po' di tutto e compro crackers,
una montagna di biscotti (il Nepal produce ed esporta biscotti
di ogni tipo) e latte. Inizialmente mi viene proposto latte
in polvere, ma insisto per avere quello liquido in confezione
da un litro.
Tornato al camper, dopo aver dato una bella pulita, mi siedo
in dinette. Sono molto perplesso: dopo aver raggiunto Kathmandu,
non sarà facile trovare una meta della stessa portata.
Infatti qui a Kathmandu c’è la fine della strada,
sia simbolicamente che praticamente. La mitica rotta verso
est, di moda tra gli anni ’60 e ’70, terminava
proprio nel centro della città. Autobus passeggeri
facevano servizio Londra-Kathmandu. Il giro durava alcune
settimane. I servizi non erano di linea, ma erano frequenti.
Famiglie con bambini partivano per il viaggio, che allora
attraversava anche l’Afghanistan. Bei tempi (cosa
mi sono perso!), prima della rivoluzione in Iran e dell’invasione
sovietica dell’Afghanistan. Sul lato pratico, invece,
a Kathmandu la strada finisce fisicamente: proseguendo verso
Sud-Est si ritorna in India (Bengala); a Nord/Nord-Est si
va in Tibet, verso la Cina, ma la strada peggiora molto
prima del confine, e richiede una certa preparazione del
veicolo. Senza considerare le lungaggini burocratiche necessarie
per l’ingresso in Cina dal Tibet.
Ottima cena al ristorante davanti al parcheggio, e poi vado
a letto presto perché domani mi aspetta un bel giro
turistico della città.
km oggi: 102 totali: 10.158

venerdì, 20
agosto 2010 
Nel parcheggio in cui mi trovo c'è anche una specie
di autolavaggio improvvisato. Quindi è possibile
prelevare acqua per il camper
Mi incammino attraverso Thamel per cercare di raggiungere
Durbar Square. Il centro di Kathmandu è un groviglio
di stradine e cavi elettrici. L'inquinamento è notevole.
C'è tanta gente sia a piedi che in bici. Ma per fortuna,
contrariamente a quanto temevo, le vacche sono poche. A
ogni angolo, specialmente presso le numerose piazze con
i tempietti, ci sono giovani che si spacciano per guide
turistiche e rompono abbastanza con la loro insistenza.
L'ingresso a Durbar Square è a pagamento.
Beh, adesso sono soddisfatto. Ora che sono arrivato alla
fine della strada, non mi resta che tornare indietro. Bisogna
però stabilire come, visto che il percorso inverso
su strada presenta le seguenti criticità:
non ho abbastanza tempo: il 30 agosto, cioè tra 10
giorni, devo essere in ufficio a Pisa. Il percorso su strada
mi richiederebbe almeno 2 settimane (correndo come un pazzo)
non ho il visto per il secondo ingresso in Iran. Dovrei
chiederlo all'ambasciata iraniana di Islamabad, in cui non
ho nessuna intenzione di andare perché il nord del
Pakistan è alluvionato ed è anche a rischio
attentati
mi aspetto di trovare, specialmente in Pakistan, una situazione
logistica uguale o peggiore di quella che ho trovato all'andata,
in quanto le piogge monsoniche non sono cessate
Siccome questi aspetti li sto considerando
da tempo, ieri ho provveduto a inviare un'email all'ufficio
di una compagnia di navigazione italiana che fa servizio
regolare tra India e Italia. Le sue navi partono ogni due
settimane da un porto del Gujarat, e imbarcano anche veicoli
in ro-ro. L'ufficio della Messina-Line mi ha risposto subito
fornendomi il recapito della sua agenzia presso il porto
di Mundra, nel sud del Gujarat, e precisamente nella provincia
del Kutch. Quel porto dista più di duemila chilometri
da qui. Ho intenzione di andare al più presto a Mundra,
fare le pratiche per l'imbarco del camper, prendere un volo
per Bombay e da lì per l'Italia.

Kathmandu, Durbar Square
Continuo a passeggiare per Thamel, evitando
i negozietti i cui proprietari insistono per tirarmi dentro.
Do invece un'occiata a un negozio di un signore che non
mi caga, e per questo mi ispira, notando che c'è
una quantità di oggetti artigianali molto interessanti.
Ad esempio, le statuette di Buddha o le teste di Buddha
intagliate a mano, sono ben fatte e non costano troppo.
Ne faccio scorta per regalarle in Italia. Faccio tappa anche
in una rivendita di CD e compro musica nepalese/indiana:
5 CD per 15 euro. Poi è la volta delle magliette
di Kathmandu e Nepal: 10 euro per 3 T-shirt con bandierina
del Nepal in omaggio.
Pranzo nella pizzeria gestita da un nepalese che parla perfettamente
l'italiano e che certamente ha vissuto in Italia.
In serata faccio ancora un giro per Kathmandu. La zona adiacente
a Thamel, verso il viale di circonvallazione, è meno
frequentata dai turisti. Centinaia di bancarelle improvvisate
vendono ogni tipo di oggetti e generi alimentari. Anche
il Ratna Park è affollato di bancarelle e clienti,
e per me è stato un po' una delusione, dato che è
sporchissimo. Inoltre, in questa zona, l'aria è inquinatissima
dagli scarichi dei veicoli. Molti nepalesi hanno la mascherina
anti-smog perché è quasi impossibile respirare.
Ceno al solito ristorante davanti al parcheggio del camper,
e dopo cena parlo con il giovane cuoco che è interessatissimo
all'itinerario del mio viaggio. Noto che i lavoratori del
ristorante dormono nella baracca all'ingresso del parcheggio.
km oggi: 0 totali: 10.158

sabato, 21 agosto 2010

Oggi tornerò in India. È molto semplice: basta
uscire da Kathmandu, andare a Hetauda e da lì fino
alla frontiera di Birganj. Hetauda è una delle principali
città del Nepal, quindi la strada sarà segnalata
in qualche modo. Per non sbagliare, scrivo in un foglio
i passi che devo seguire per raggiungere l'India.

L'itinerario previsto tra Kathmandu e l'India
L'uscita da Kathmandu è abbastanza
semplice, anche perché sono le sei del mattino e
il traffico è ancora minimo. Faccio la stessa strada
dell'andata. Appena fuori Kathmandu c'è un ingorgo.
A causa di un incidente (scontro frontale tra due camion
perché uno andava contromano per evitare una buca),
il traffico è bloccato per mezz'ora. Ma l'evento
che segna la giornata è che sbaglio strada.
Non vedo
il bivio per Hetauda e quindi continuo sulla N01, verso
la Mahendra Highway, verso il Terai. Me ne accorgo solo
molti chilometri dopo. Ormai non mi conviene più
tornare indietro. Preferisco stare sulla N01 e uscire alla
prima frontiera utile con l'India.
Per conoscere le frontiere
ufficiali guardo sulle guide L. Planet. Escludendo Birganj
che ormai ho superato, sia la guida dell'India che quella
del Nepal riportano il punto di confine di Bhairawa. Purtroppo
però non riesco a trovare questa località
nelle carte: la mia carta dell'India della Reise Know How
non copre questa zona, ma solo l'India Nord-Ovest e un piccolo
pezzo di Terai nepalese; l'atlante di India e Nepal è
incomprensibile; la carta del Nepal riporta solo una cittadina
chiamata Siddharthanagar, vicina al confine indiano. Anche
se Siddharthanagar non ha nessuna assonanza con Bhairawa,
decido di andare lì.
Per fortuna che ho i CD di musica
nepalese che mi tengono compagnia. Passo per Butawal, chiedo
informazioni per l'India e a questo punto non posso più
sbagliare. Quando vedo un flusso di gente con carretti e
animali, auto e moto con targa indiana, sono sicuro di aver
fatto bene. Questa frontiera è molto più affollata
di quella da cui sono entrato. Anche le attività
commerciali denotano una certa importanza del centro: basti
pensare che ci sono ben cinque cambiavalute, e li devo girare
tutti prima di trovarne uno che mi converta le rupie nepalesi
in rupie indiane.
L'ufficio dell'immigration è libero, e non mi fa
perdere tempo. Quello della dogana invece è pieno
di gente. L'ufficiale di dogana non è presente: è
a casa perché dicono che oggi qui c'è una
festa locale (boh?). Quindi, accompagnato da un dipendente
della dogana, faccio una bella passeggiata sotto la pioggia
fino alla villetta dell'ufficiale che fortunatamente timbra
e firma subito l'uscita sul Carnet. Si noti che, sia in
ingresso che in uscita dal Nepal, nessuno ha confrontato
i dati del camper con quelli nel Carnet, nessuno mi ha chiesto
carta di circolazione o certificato di proprietà
e neanche patente o assicurazione.
Tornando al camper mi
accorgo che i fari posteriori non funzionano. Si deve essere
interrotto il cavo di massa. Fortunatamente non ho in programma
di guidare col buio.
Il lato indiano della frontiera è molto più
stretto, caotico e fangoso. Piazzo il camper appena trovo
un punto non allagato. Ho superato involontariamente la
sbarra della dogana. Cioè, sono entrato in India
senza che nessuno mi dicesse niente. Il confine è
quasi sguarnito. Tutti i pedoni vanno e vengono tra India
e Nepal senza fermarsi perché non hanno bisogno del
visto. Nessuno li controlla. Comunque non ho intenzione
di entrare illegalmente in India, quindi mi prendo un altro
po' di tempo per le pratiche del passaporto e del Carnet.
L'ufficio immigration è sotto una tettoia: quattro
ufficiali seduti a un tavolo muoiono di noia mentre osservano
il viavai di biciclette, carretti e animali. Presento il
passaporto, specificando che ho un visto a due ingressi
e che ne sto utilizzando il secondo. Compilo il foglio d'ingresso,
scoprendo che la cittadina in cui mi trovo adesso, sul lato
indiano, si chiama Sonauli e non è segnata nelle
mie carte. Uno degli ufficiali da uno sguardo all'interno
del camper, un altro mi dice che il mio visto scade il 21
settembre. Purtroppo me ne andrò molto prima. Non
avendo particolarmente fretta, approfitto dei simpatici
doganieri per chiedere indicazioni sulla strada più
veloce verso il Gujarat. Mi consigliano il seguente percorso:
Gorakhpur, Lucknow, Agra, Jaipur, Udaipur e poi Mundra.
In ogni caso, dubito di arrivare a Gorakhpur entro oggi.
Ancora una tappa burocratica presso l'ufficio della dogana,
mezz'ora per timbrare il Carnet (visto che i funzionari
non sembrano molto pratici). Quindi rientro in India per
l'ultima fase del viaggio. Sempre sotto la pioggia, mi dirigo
verso Gorakhpur, e al tramonto cerco un punto sosta. Chiedendo
informazioni presso una stazione di servizio scopro che
poco più avanti c'è un hotel-ristorante con
parcheggio.
Il posto si chiama Jungle Treat &Tanmay
– Hotel and Restaurant, ed è gestito da un
simpatico signore che non vuole essere pagato per il parcheggio
del camper. Comunque, dopo la doccia, approfitto del suo
ristorantino. La cucina è tipicamente indiana ma
non troppo piccante. Al posto del dessert (che non è
disponibile) prendo un bicchiere bollente di latte di bufala.
Alla televisione c'è una demenziale fiction di Bolliwood.
Mi sa che la televisione indiana è peggio di quella
italiana.
km oggi: 343 totali: 10.501

domenica, 22 agosto
2010 
La lunghissima strada per il Gujarat continua in pianura
per strade semi allagate. Attraversare Lucknow è
un incubo, sia per il traffico che per l'acqua. Fortunatamente,
man mano che procedo verso Sud-Ovest, la strada migliora
e diventa a 4 corsie.
In un rettilineo poco prima di Kanpur, vengo sorpassato
da dei tipi in auto che mi fanno cenno di fermarmi. Sono
quattro giovani che stanno rientrando a Kanpur. Vogliono
sapere da dove vengo, e le solite cose che mi chiedono sempre
gli indiani. Insistono per seguirli fino al loro quartiere,
dove gestiscono un'attività commerciale con un ampio
parcheggio.
Non sono proprio entusiasta all'idea di andare
fino al centro di Kanpur, ma sta per fare buio e temo che
l'unica alternativa sarebbe pernottare lungo l'autostrada
per Jaipur. Quindi decido di seguire questo gruppo di giovani
autoctoni, che mi hanno già regalato un CD di musica
indiana, hanno preso la mia email e hanno cercato il mio
contatto su Facebook utilizzando uno smartphone.
Kanpur
è un macello. Seguo l'auto degli indiani fino al
quartiere di Chakri, dove c'è un'importante base
militare. Il parcheggio in cui dovrei pernottare è
quello dell'azienda di famiglia di due di questi ragazzi,
che sono fratelli (mentre gli altri due sono loro soci o
dipendenti). Mi spiegano la loro attività lavorativa,
ma onestamente non capisco bene di che si tratta, anche
se mi sembra qualcosa legata all'intermediazione nella compravendita
di terreni o lottizzazioni.
Si decide di andare a cena nel centro di Kanpur. Chiarisco
comunque che non ho intenzione di fare tardi, perché
domani voglio partire presto per Jaipur e sono già
in ritardo di alcuni giorni. I miei nuovi amici indiani
sono di classe medio alta: hanno un'elevata cultura, parlano
bene l'inglese e uno di loro ha lavorato a Dubai. Sono molto
interessati alle motivazioni del mio viaggio e alle difficoltà
che ho incontrato lungo la strada, specialmente in Pakistan.
A differenza dei pakistani, che sanno di essere un pochino
in guerra con l'India ma non ci fanno molto caso, gli indiani
mediamente odiano i pakistani. Li considerano dei barbari.
Questo è ancora più vero dopo gli attentati
di Mumbai del 2008, di cui gli indiani ritengono il Pakistan
responsabile. Mentre andiamo verso il Mc Donand's nel centro
di Kanpur, chiamano una loro amica che lavora per un giornale
locale e mi prenotano un'intervista. La giornalista è
accompagnata dal fotografo, che mi scatta varie foto come
se fossi un divo. Mi fa molte domande sul viaggio, specialmente
sul Pakistan e sulle difficoltà che ho incontrato
lì.
Prima di mezzanotte vengo riaccompagnato in auto al parcheggio
del camper. Domattina partirò presto.
km oggi: 407 totali: 10.908

lunedì, 23 agosto
2010 
Uno dei ragazzi di ieri, alle 6 del mattino, mi fa strada
con la sua auto fino all'ingresso dell'autostrada. Devo
ammettere che questa “express highway” è
una vera autostrada. Per la prima volta dopo l'Iran posso
viaggiare in quinta intorno ai 100 all'ora. L'unica cosa
che mi disturba, a parte i pedoni e gli animali che attraversano
la strada, sono dei leggeri sintomi influenzali che ho da
stamattina. Prima di proseguire per Jaipur, entro ad Agra
per visitare il Taj Mahal. Agra è una tipica metropoli
indiana: affollata, trafficata e disordinata. Insomma, un
luogo non proprio piacevole da girare in camper. Specialmente
per chi non è abituato a viaggiare a sinistra.
Dalla mappa della città riportata sulla guida L.
Planet, l'indizio che ottengo per trovare il Taj Mahal è
che il complesso si trova appena fuori dal centro, in zona
Sud-Ovest. Fortunatamente, appena entrato in città,
trovo i cartelli con le indicazioni per il Taj Mahal, chiari
e con la distanza chilometrica. In prossimità del
Taj Mahal c'è un ampio parcheggio, a pagamento, dove
si fermano anche gli autobus turistici. Si prosegue poi
a piedi per qualche minuto fino alla biglietteria. Il biglietto
costa circa 15 euro per gli stranieri, molto meno per gli
indiani. In omaggio viene data una bottiglietta d'acqua.
Vari giovani del posto si offrono di fare da guida. Ma con
me non attacca.

Agra, il Taj Mahal

Agra, il complesso del Taj Mahal
Il complesso è molto esteso. Mi faccio
un giro, più che altro per curiosità, visto
che non sono per niente informato su questa zona. Si immagini
che fino a ieri non sapevo neanche che il Taj Mahal fosse
ad Agra; l'ho scoperto per caso sfogliando la guida in cerca
di possibili punti-sosta nella regione. C'è molta
gente ma non c'è ressa. I turisti sono quasi tutti
indiani, con le donne dai vestiti colorati. Insomma, qui
si vede l'India da cartolina, quella dei depliant turistici.
Peccato che non è tutta così: appena esco
dal Taj Mahal per cercare un ATM, mi ritrovo nella vera
India. Un casino indescrivibile tra esseri umani e animali,
pozzanghere e aria irrespirabile. Trovo un ATM funzionante
solo al quarto tentativo, e c'è la coda. In seguito,
guidando il camper ad Agra in cerca dell'autostrada per
Jaipur, finisco in una strada stretta e affollata, in un
vortice di gente, animali e veicoli. Un risciò che
mi sfiora chiude lo specchio destro, che in India corrisponde
al nostro sinistro perché serve a vedere se qualcuno
ti sta sorpassando. Comunque gli indiani hanno risolto i
problemi degli specchietti a monte: li tengono sempre chiusi
e non li usano. La polizia mi aiuta a uscire dai guai, indicandomi
la giusta direzione.
In pausa pranzo cerco il termometro, mi misuro la temperatura
e scopro che ho la febbre a 38. Entro nella regione del
Rajasthan. Continuo, sull'autostrada per Jaipur, fermandomi
solo ai caselli. Alcune volte i casellanti non mi fanno
pagare il pedaggio. Però diventano insopportabili
con le loro domande (da dove vieni, quanto costa il tuo
veicolo, ecc.). Per chiedere chiarimenti sulla strada da
seguire tra Ajmer e Udaipur (tratto che comunque coprirò
domani) mi servo dell'aiuto dei dipendenti del casello.
Secondo la carta ci sono due possibilità: statale
8 oppure statali 79 e 76. Mi viene detto che la 79 e la
76 sono “express highway”, quindi sono molto
più veloci della 8. Uno dei dipendenti dice che abita
alla periferia di Jaipur, in Ajmer Road, cioè nella
strada che dovrò prendere io per andare verso Udaipur.
Ha bisogno di un passaggio fino a casa, quindi ne approfitta
e sale per farmi da guida. Questo signore mi fa passare
attorno a Jaipur, evitando il centro, lungo stradine sconnesse
ma poco trafficate. Se fossi andato da solo sarei certamente
passato dal centro, perdendoci molto più tempo.
Il signore mi indica la strada fino ad Ajmer Road, cioè
l'inizio dell'express highway verso Ajmer e Udaipur, in
cui si troverebbero anche diversi hotel dotati di parcheggio.
Poi torna a casa, mentre io vado in cerca di un punto sosta.
Gli hotel, sulla strada per Ajmer, sono effettivamente numerosi.
Purtroppo però sono sul lato destro; questo vuol
dire, viaggiando a sinistra, che bisogna attraversare l'autostrada
per arrivarci. C'è anche una specie di complesso
con parco dei divertimenti. Soluzione sicuramente ottima
per famiglie con bambini. Però io voglio un posto
tranquillo. Individuo un hotel che sembra avere un parcheggio
spazioso, lo supero e appena trovo un'interruzione dello
spartitraffico faccio la mia prima inversione in un'autostrada
a 6 corsie. Comunque la manovra non è vietata, e
ci sono le indicazioni orizzontali per farla in sicurezza.
Prenoto la cena presso il ristorante dell'hotel, in cui
mi danno il permesso di sostare per la notte. Il parcheggio
è particolarmente fangoso, ma il ristorante è
accettabile e molto economico. Vado a letto presto ma non
riesco a dormire bene perché ho la febbre alta e
molta tosse.
km oggi: 557 totali: 11.465

martedì, 24
agosto 2010 
Oggi sono a pezzi: non ho dormito quasi niente, ho ancora
la febbre a 39, tosse e mal di gola.
Sono tentato di cercare una clinica privata per farmi visitare,
ma allo stesso tempo voglio arrivare a Udaipur quanto prima.
Inoltre, dato che ho il riferimento di un buon punto sosta
a Udaipur, cioè l'hotel Rang Niwas, penso che appena
arrivato lì potrò far chiamare un medico.
Un'eccellente autostrada a 6 corsie va fino ad Ajmer, poi
si riduce a 4 corsie continuando a essere ottima. Divoro
chilometri con una media elevata e la guida non è
per niente impegnativa. Per cercare di stare meglio prendo
delle aspirine, che sono scampate al caldo del Beluchistan
iraniano in quanto erano state conservate in frigorifero
insieme alle altre medicine. Misurando la mia temperatura,
osservo che è salita (di poco) oltre i 40°. Faccio
notare che non mi ricordo di avere mai avuto la febbre così
alta.
Inoltre, l'ultima volta che ho fatto l'influenza stagionale
era il 1997. Non è che mi ammalo facilmente, quindi
chissà che cazzo mi sono preso. Qualche virus tropicale,
fanculo. L'avrò preso forse in Nepal. Mi consola
aver letto nella guida L. Planet che una buona percentuale
di chi si reca in India contrae qualche forma di infezione
alle vie respiratorie. Ho notato inoltre che molta gente
qui in India tossisce e sembra avere sintomi influenzali,
quindi dev'esserci proprio un'epidemia l'influenza.
La bellissima autostrada arriva fino a Udaipur, dove intendo
pernottare almeno per stanotte. L'Hotel Rang Niwas, segnalato
da fuoristradisti o camperisti come possibile punto sosta,
avrebbe un parcheggio interno. Si trova in Lake Road, strada
che comunque non so come individuare. Chiedo a un indiano
per strada se mi può guidare fino all'hotel. Questo
stronzo mi chiede circa 3 euro di mancia, e mi fa prendere
gli incroci contromano.
Quando mi incazzo per il modo in
cui mi fa guidare per Udaipur, mi risponde che lui è
indiano, sa come si circola in India e che queste cose si
possono fare.
Arrivo all'Hotel Rang Niwas con la febbre
altissima. Il parcheggio è subito dopo l'ingresso,
è molto piccolo e ci sono vari ostacoli sia in larghezza
che in altezza. Riesco incredibilmente a parcheggiare, mi
trascino fuori dal camper verso la reception e chiedo al
direttore dell'Hotel se può chiamare un medico perché
ho una brutta influenza e vorrei un parere. E lui: “O
mio Dio! Chiamo subito il medico.”
Nel frattempo, un signore italiano ospite dell'albergo che
osservava a bocca aperta le mie manovre, mi fa: “Complimenti
per essere arrivato fin qui in camper.” E io: “Grazie,
ma non è stata una passeggiata.” Vorrei interloquire
con il mio connazionale, cosa piacevole visto che ormai
parlo italiano solo al telefono, ma purtroppo non mi reggo
neanche in piedi. Rimando la conversazione a quando starò
meglio.
Il medico arriva dopo mezz'ora, mi visita e mi prescrive:
paracetamolo, antibiotico e uno sciroppo per la tosse. Il
personale dell'hotel si offre molto gentilmente di andare
in farmacia per me, visto che faccio fatica anche a camminare.
Le medicine, a quanto sembra, vengono vendute “sfuse”.
Cioè non in scatole ma in pellicole che contengono
solo il numero di compresse richieste. Naturalmente, il
foglietto illustrativo non è
compreso. Anche lo sciroppo è senza scatola, senza
foglietto illustrativo, e ovviamente senza dosatore.
L'albergo ha anche il servizio lavanderia, a cui consegno
una mole di capi da lavare. Sembrerebbe che saranno pronti
domani, ma su questo ho qualche dubbio. Se così fosse,
domani dopo pranzo, compatibilmente con le mie condizioni,
partirò per il Gujarat.
Per cena decido di rimanere in camper: non voglio espormi
all'aria condizionata nel ristorante dell'albergo. Gentilmente,
il cameriere mi porta zuppa, pane e insalata.
Il paracetamolo mi ha fatto leggermente abbassare la febbre
e quindi riesco a dormire.
km oggi: 401 totali: 11.866

mercoledì, 25
agosto 2010 
Oggi sto un po' meglio e ho poca febbre, ma lo sciroppo
per la tosse non sta facendo effetto. A Udaipur avrei voluto
vedere il bellissimo Lake Palace. Invece, devo approfittare
delle forze per andare in cerca di latte, biscotti, frutta,
un bancomat per prelevare contanti e un internet point per
dare mie notizie.
Mentre giro mezza città per trovare una confezione
di latte, incontro per caso il medico che mi aveva visitato
ieri e che vuole sapere come mi sento. Il latte liquido
confezionato non si trova facilmente in commercio. Generalmente
viene venduto in polvere oppure sfuso. La soluzione migliore
che trovo sono delle bustine (tipo quelle di mozzarella)
di latte liquido “intero”.
Il bucato mi viene consegnato di sera, con mezza giornata
di ritardo.
Ceno al ristorante dell'hotel.
km oggi: 0 totali: 11.866

giovedì, 26
agosto 2010 
Guardando bene l'indirizzo della compagnia di navigazione
del porto di Mundra, noto che non si trova a Mundra ma è
a Gandhidham, cioè 50 km prima di Mundra. In ogni
caso, per andare in quella zona del Gujarat mi hanno consigliato
di prendere la NH 76 e la NH 14 per Palanpur, poi la NH
15 per Gandhidham. Dovendo uscire da Udaipur in direzione
Palanpur, davanti all'albergo c'è un tassista che
si rende disponibile a scrivere su un foglio il percorso
per arrivare alla superstrada.
Nonostante gli abbia spiegato
che devo passare per Palanpur, cioè che devo andare
sulla NH 76, quello mi da le indicazioni per andare verso
Ahmedabad, cioè per fare il percorso più lungo
Me ne accorgo quando, seguendo le sue indicazioni alla lettera,
mi ritrovo sulla NH 8 per Ahmedabad. Incontro il tassista
per strada, mentre giro cercando la direzione per Palanpur,
e sono incazzato nero. Il tassista mi fa: “Ma tu hai
detto che volevi andare nel Gujarat!” Non aveva capito,
o meglio non mi aveva ascoltato quando specificavo Palanpur.
La realtà è che a volte, quando gli si chiedono
informazioni, gli indiani non ascoltano bene quello che
gli viene chiesto.
Tra Rajasthan e Gujarat ci sono zone rurali e collinari
poco trafficate. La strada è abbastanza buona e interessante.
Si vedono persone del posto che trasportano bagagli vari,
e i soliti animali domestici, compresi i cammelli. Alcuni
dettagli sono particolarmente curati, come le facciate dei
tunnel che attraversano le colline.

Tra Rajasthan a Gujarat
Altri, come le frane che minacciano e invadono
le carreggiate, sono assolutamente trascurati.
Gandhidham, dove devo contattare l'agenzia della Messina
Line in India, è una città medio-piccola ma
molto sporca.
L'indirizzo che mi ha inviato per email l'ufficio della
Messina Line non esiste, secondo le persone a cui chiedo.
I pareri, comunque, sono contradditori: alcuni dicono che
quello è un vecchio indirizzo, altri sostengono che
si trovi fuori da Gandhidham. Neanche l'aiuto di un guidatore
di risciò risolve il problema: lui mi porta, a pagamento,
in un posto sbagliato. C'è da dire, comunque, che
tutti quelli a cui chiedo si prodigano per aiutarmi. Alcuni
fanno telefonate coi loro cellulari per chiedere informazioni
ad amici e conoscenti.
Quando riesco finalmente ad arrivare
alla Meridian Shipping Company, un impiegao dice che mi
stavano aspettando. Nell'ufficio di quest'agenzia, peraltro
non indicata neanche da un'insegna, lavorano una decina
di persone. Come spesso accade negli uffici, anche qui l'aria
condizionata è molto forte, e questo non fa bene
alla mia tosse. Mi fanno accomodare e mi chiedono di cosa
ho bisogno. “Devo imbarcare il mio veicolo su una
nave della Messina Line per Genova.” Si guardano e
mi guardano perplessi.
“Ma hai già parlato con la Messina Line?”.
“Sì. E mi ha detto di venire qui”. “Quando
devi spedire questo veicolo?” “Al più
presto.”
“Non è così semplice, perché
bisogna fare <<custom clearance>> (sdoganamento)
e per questo devi trovarti un agente doganale. Ci vogliono
diversi giorni.” “Abbiate pazienza, voi avrete
sicuramente un vostro agente al porto oppure ne conoscerete
uno da consigliarmi.” “Ti mettiamo in contatto
con uno che conosciamo. Per le procedure ci vorranno circa
tre giorni, ma la nave parte tra due giorni, quindi quasi
certamente dovrai aspettare la prossima, fra tre settimane.”
Ci accordiamo per aggiornarci domani mattina, dato che sono
ormai passate le 17 e secondo loro gli agenti hanno già
chiuso gli uffici. La cosa che mi urta è che, nonostante
la mia fretta, questi della Meridian Shipping mi danno appuntamento
comodamente alle 10:30 di domani mattina. Mi consigliano
di pernottare allo “Sharma Resorts”, un complesso
poco fuori Gandhidham con un grosso parcheggio. Effettivamente
il Sharma Resorts è un posto molto lussuoso, e non
proprio alla portata della gente locale. Ci sono alcuni
lavoratori europei. Alla reception mi permettono di parcheggiare
e pernottare senza pagare extra. Approfitto dell'ottimo
ristorante, dove con meno di 10 euro mangio abbondantemente.
Pago con carta di credito.
km oggi: 541 totali: 12.407

venerdì, 27
agosto 2010 
Molto prima delle 10 sono già nel centro di Gandhidham,
parcheggiato davanti alla sede della Meridian Shipping.
Trovo un internet point per leggere/scrivere messaggi, prelevo
contanti da uno sportello ATM della “Bank of India”
e poi vado all'appuntamento. Da ciò che succederà
oggi dipende se riuscirò a partire entro il weekend
o se dovrò aspettare alla prossima settimana. Alla
Meridian Shipping mi danno il numero di un agente doganale,
cioè uno spedizioniere, e mi dicono di andare al
porto di Mundra. Con calma, tanto la dogana apre dopo le
10. Lo spedizioniere sarebbe già stato avvisato.
Per arrivare a Mundra, che dista un po' più di 50
chilometri, ci metto oltre due ore. La strada infatti è
disastrata e molto trafficata di TIR che procedono lenti.Il
porto si trova totalmente fuori dalla cittadina di Mundra,
ed è abbastanza facile raggiungerlo. È in
una “zona speciale” (zona franca o qualcosa
del genere), molto ben segnalato. All'edificio dell'autorità
doganale attendo, per ore, lo spedizioniere. Parlo al telefono
sia con lui che con la Meridian Shipping. Mi viene sempre
detto di aspettare un quarto d'ora o mezz'ora. Quando si
fa sera, lo spedizioniere mi telefona per dirmi che non
può venire e non si può occupare della mia
pratica. Domani è sabato, la dogana (a quanto pare)
non lavorerà fino a lunedì, e io perdo la
nave.
Negli ultimi anni ho letto articoli e libri che parlavano
dell'India. Gli autori, precisando che lo sviluppo di questo
mini-continente non coinvolge ugualmente tutta la popolazione,
sembravano comunque mettere in guardia l'occidente sulla
sua potenzialità.
“L'India che cresce...” “L'India con più
di un miliardo di abitanti, con lo sviluppo...” “L'India
qui, l'India lì...”
L'India un cazzo, scusate. Ecco cosa penso in questo momento.
Un paese sottosviluppato. Con una carenza di infrastrutture
ancora più palese se si rapporta, appunto, al numero
di abitanti (che sembra l'unica cosa che veramente cresce).
Devi fare una manciata di chilometri e ci metti 2 ore. Piove
mezz'ora e ti ritrovi nella merda fino alle orecchie. La
rete cellulare è al collasso. La dogana apre a metà
mattina e sabato/domenica fa festa. L'India dove le cose
semplici diventano complicate, e dove le cose complicate
si fa di tutto per non farle perché sono troppo difficili.
E poi, tipico dei discorsi che pronosticano l'avvento dei
nuovi imperi: “L'India che lì parlano tutti
l'inglese della madrepatria”.
Ma dove? Nove su dieci sbagliano tono, pronuncia, spelling
e grammatica. Si inventano le parole anche nei documenti
scritti.
Ho dinuovo la febbre alta e sarò bloccato qui per
molti giorni... in questo schifo di posto. Telefono alla
Meridian Shipping, in cui si dicono dispiaciuti della fregatura
che mi ha tirato lo spedizioniere e mi suggeriscono di dormire
in qualche albergo a Mundra.
Domani mi telefoneranno per dirmi se hanno trovato uno spedizioniere
che lavora di sabato, per iniziare a studiare la mia pratica.
Andando verso Mundra adocchio il “Galaxy Residency”,
una specie di albergo con ampio parcheggio sterrato. Sperando
in una sistemazione ancora migliore, provo ad infilarmi
nel centro di Mundra, ma lì gli hotel non hanno parcheggio.
Così torno verso il Galaxy Residency. Avendo avuto
il permesso dalla reception, parcheggio davanti all'ingresso
e ceno al ristorante “Galaxy Foods”. La cena
è a base di pizza, insalata e gelato. Totale: circa
4 euro.
Pernotto gratuitamente nel parcheggio del Galaxy Residency
km oggi: 97 totali: 12.504

sabato, 28 agosto 2010

Non avendo fretta e dovendo attendere la telefonata della
Meridian Shipping, faccio una passeggiatina in zona. La
cosa non è molto gradevole perché devo fare
lo slalom in mezzo al fango. Ma ho bisogno di comprare una
ricarica per il cellulare indiano (AirTel) e del latte.
Infatti, il latte che ho comprato a Udaipur l'ho buttato
perché sembrava andato a male. Anche qui a Mundra
vendono il latte in buste tipo mozzarella.
Cerco un Internet
point e non lo trovo: mi viene suggerito di andare alla
periferia di Mundra. Ne trovo uno presso un piccolo centro
commerciale. Siccome manca la corrente, tutte le attività
del centro commerciale sono chiuse, compreso l'Internet
point. Aspetto mezz'ora, un'ora. La corrente non è
ancora stata ripristinata. Vado nel centro di Mundra, col
cellulare sempre in mano in attesa della chiamata della
Meridian Shipping. Nel centro di Mundra, che è un
merdaio, in mezzo al fango e agli animali riesco a trovare
un Internet point dove per un'ora ho l'illusione di trovarmi
in un'altra realtà.
È mezzogiorno e, non avendo ancora ricevuto la chiamata
della Meridian Shipping di Gandhidham, decido di telefonare
io. Mi rispondono che non hanno trovato nessuno disponibile
a lavorare nel fine settimana. “Va bene, ma allora
io cosa ci faccio a Mundra? Me ne vado in giro piuttosto
che stare in questo schifo di posto.”
Quelli della Meridian Shipping mi richiamano poco dopo e
mi danno appuntamento a Gandhidham per lunedì mattina.
Sempre, comodamente, dopo le 10. Cerco di non pensare al
fatto che lunedì dovrò ritornare a Gandhidham
su quella strada pessima, in mezzo ai TIR e alle buche.
Guardo il lato positivo della situazione: ho un weekend
da trascorrere in una zona di mare indiana. Sulla guida
L. Planet è riportata la città balneare di
Mandvì con i suoi dintorni che offrono alcune cose
interessanti. Decido di andarci e di fermarmi lì
per la notte.
Mi servo del distributore della Indian Oil di Mundra per
fare benzina e cercare di prelevare un po' d'acqua. Noto
con sorpresa che c'è anche il GPL per autotrazione.
Faccio il pieno di benzina, acqua e GPL. Gli addetti si
fanno in quattro per predispormi un tubo di gomma per caricare
l'acqua.

Il distributore di GPL a Mundra
Mandvì si trova sulla costa, una trentina
di chilometri a Ovest di Mundra. Ci arrivo senza problemi.
Cerco una sistemazione, tipo hotel con parcheggio, all'interno
dell'abitato. Le strade sono abbastanza strette e gli hotel
non hanno parcheggio. Mentre faccio un giro per il centro,
che si affaccia sul mare, osservo i cantieri delle tipiche
navi in legno del Kutch (cioè la provincia del Gujarat
in cui mi trovo) che vengono costruite proprio qui. Vengono
poi vendute anche in medioriente.
L'unico hotel con parcheggio (peraltro non troppo spazioso)
è il “Kutch Inn”, si trova in periferia
e non gradisce la sosta dei camper. Cioè, alla reception
vorrebbero che prendessi una camera. Pranzo al ristorante
dell'hotel e riprendo il camper per parcheggiarmi sulla
spiaggia principale, ovvero quella a Est del centro. Qui
ci sarebbe, secondo la L. Planet, il Toran Beach Resort.
Purtroppo il resort è chiuso (sembra completamente
abbandonato). Tuttavia lo spazio per il parcheggio abbonda
e ci sono dei tratti erbosi dove si può fare manovra
senza pericolo di insabbiamento. Mi rilasso un po' osservando
l'oceano indiano e qualche famiglia che porta i bambini
a giocare sulla spiaggia. La balneazione in questa zona,
secondo la L. Planet, sarebbe sconsigliata perché
l'acqua è inquinata. In effetti l'acqua non ha un
bel colore, e nessuno dei locali fa il bagno. La spiaggia
inoltre è un po' sporca ed è frequentata da
animali: vacche e branchi di cani randagi.

Le navi in legno del Kutch
Ne approfitto per dare un'occhiata ai cavi
di massa delle luci posteriori del camper.
Grattando via il fango da sotto la coda, scopro che i cavi
di massa erano fissati, con un occhiello, a una piegatura
dell'alluminio sotto la parete di coda. Non so se sia stata
una scelta del costruttore o di qualche imbranato che ci
ha messo mano. Si tratta comunque di una tecnica poco intelligente.
Il contatto è minimo perché, temo, l'alluminio
si è lesionato a causa delle vibrazioni e non trasmette
quasi più la corrente. Si sarà anche ossidato
a causa dell'acqua dei guadi. (Nota: in seguito risolverò
il problema fissando l'occhiello a un longherone del telaio).
Dopo un paio d'ore di relax e avendo letto le pagine della
guida relative a questa zona, decido di spostarmi verso
le spiagge della zona ad Ovest di Mandvì.
La spiaggia
non mi convince sia per la presenza di animali, sia perché
non c'è un ristorante nelle immediate vicinanze.
A una quindicina di chilometri da qui c'è il famoso
Vijay Vilas Palace, il palazzo appartenuto ad un marajà
trasformato in museo. Vicino al palazzo c'è un possibile
punto sosta, cioè il Vijay Vilas Beach Resort, segnalato
dalla guida come una sistemazione di lusso: le tende, complete
di aria condizionata, costerebbero 100 dollari a notte.
Raggiungere il Vijay Vilas Palace è abbastanza semplice.
Anche se lo svincolo non è segnalato, basta chiedere
alla gente per strada per trovarlo. Davanti all'ingresso
del palazzo, che intendo visitare domani, c'è l'indicazione
per il resort.
Nella carta stradale dell'India la regione del Kutch è
segnata come “allagabile”. Nel senso che quando
piove viene parzialmente coperta d'acqua. È assolutamente
vero, e la strada verso il resort ne è la conferma:
all'incirca un chilometro di pista che mette alla prova
il mezzo e il guidatore, una delle parti più difficili
del viaggio. Parte della strada è sott'acqua, su
un fondo di terra e sabbia (quindi instabile). Qualcuno
ha cercato di aumentare la stabilità buttando pietre
e assi di legno, migliorando la trazione ma mettendo a rischio
le gomme e il sottoscocca di chi transita. Inoltre, la presenza
di alberi con rami bassi impone molta cautela. Io i rami
gli ho presi quasi tutti,
specialmente con le pareti laterali. Purtroppo non potevo
fermarmi, perché se lo avessi fatto mi sarei impantanato.
Sconsiglio a chi ha un camper ingombrante/pesante o con
poca altezza da terra di spingersi fin qui. Specialmente
nella stagione monsonica.
Il famoso Vijay Vilas Beach Resort non sembra niente di
che: un parcheggio sterrato e un percorso pedonale in mezzo
alla vegetazione che arriva fino al ristorante sulla spiaggia.
Il proprietario non è entusiasta di ospitare un camperista,
ma non sembra neanche voler rinunciare all'unico cliente.
Il resort è vuoto, e io sono uno dei rari turisti
che si spingono fino a questa zona, che nel periodo monsonico
è scomoda da raggiungere e da girare. Considerando
che il resort è di lusso (l'affitto di una tenda
costa circa 100 dollari a notte), mi accordo per una cifra
poco sotto i 20 euro. Approfitto del ristorante sulla spiaggia
che ha prezzi contenuti rispetto a quelli del resort (si
pensi che pure la spiaggia privata è a pagamento).
Di notte piove pesantemente, e questo non potrà che
rendere ancora più difficile domani la strada di
uscita.
km oggi: 78 totali: 12.582

domenica, 29 agosto
2010 
Prima che io vada via, il proprietario del resort vuole
ovviamente curiosare all'interno del camper.
Percorrere la strada dal resort verso il Vijay Vilas Palace
è un po' più complicato di ieri, perché
stanotte ha piovuto è c'è ancora più
acqua. Ma per fortuna ieri ho sperimentato che i rami sporgenti
sono sottili e non particolarmente pericolosi (almeno per
chi ha un camper vecchio come il mio). Così, per
evitare l'impantanamento, prendo la rincorsa e me ne frego
dei rami che colpiscono tetto e pareti. All'ingresso del
terreno in cui sorge il Vijay Vilas Palace si paga l'ingresso
per il veicolo. Al parcheggio si paga la sosta, sempre per
il veicolo, e il biglietto d'ingresso personale. Per ogni
pagamento viene rilasciata una ricevuta. Gli indiani sono
molto precisi in questo. Ho notato che anche nei distributori
di benzina rilasciano la ricevuta.

Vijay Vilas Palace a Mandvì
Il palazzo è molto bello, sia esternamente
che internamente. Pare che sia appartenuto a uno degli ultimi
marajà. Recentemente qui è stato girato anche
un film internazionale. Per visitare il palazzo bisogna
togliersi le scarpe, ed è pieno di cartelli che minacciano
la multa per chi “sputa”, “grida”,
“fuma”, “apre questa porta”, “cammina
con le scarpe”. C'è anche l'ammontare della
multa (qualche euro).
Decido di ritornare a Gandhidham prima di pranzo, in modo
da avere tutta la sera libera per rilassarmi. Avevo notato
che fuori Gandhidham ci sono, oltre al Sharma Resorts, vari
altri hotel. Stavolta però vorrei dormire in una
camera, visto che ho ancora l'influenza e sono abbastanza
stanco.
Alla periferia di Gandhidham, trovo il “Rajvi Resort”,
un albergo di categoria medio-alta con ampio parcheggio,
giardino e addirittura parco acquatico con gli scivoli.
La camera costa meno di 40 euro a notte, ed è dotata
di tutti i comfort (compresa l'aria condizionata). L'uso
del parco acquatico è gratis, ma vista la mia influenza
preferisco evitare di fare il bagno in piscina. Il ristorante
è accettabile, ma un po' sporco (così come
tutto l'albergo, compresa la camera). Passo il pomeriggio
a guardare la TV: alla BBC si parla dei disastri del monsone
in India e Pakistan. Inizio a scrivere qualche pagina di
questo resoconto.
Di sera approfitto dinuovo del ristorante dell'hotel. I
camerieri hanno apparecchiato all'aperto, sfidando la pioggia
che sicuramente arriverà prima di notte.È
pieno di famiglie indiane (certamente molto benestanti)
con i loro bambini. Sconsiglio di prendere la pizza perché
è veramente pessima.
Vado a dormire prima che posso, così da riposare
il più possibile.
km oggi: 100 totali: 12.682

lunedì, 30 agosto
2010 
Prima che posso mi reco al centro di Gandhidham, dove mi
connetto a Internet per dare mie notizie. Vado, in anticipo,
all'appuntamento con la Meridian Shipping. Un impiegato
mi accompagna presso l'ufficio di uno spedizioniere. Comincio
a pensare che la Meridian Shipping non abbia molta dimestichezza
con le pratiche di export dei veicoli. Prima di tutto, non
sapevano neanche l'indirizzo esatto dello spedizioniere
e abbiamo dovuto chiedere informazioni per individuarlo.
Inoltre, lo spedizioniere mi fa una serie di domande che
non c'entrano niente con i documenti, esamina il Carnet
e poi se ne esce con: “La faccenda te la devi sbrigare
tu con l'ufficiale di dogana.”
Sì, buonanotte! Alziamo i tacchi e torniamo alla
Meridian Shipping, dove mi garantiscono che mi metteranno
in contatto con un loro agente che lavora al porto di Mundra.
Questo non sarebbe proprio uno spedizioniere, ma mi dovrebbe
aiutare.
Riparto per Mundra, raggiungo l'edificio della dogana e
aspetto l'agente che arriva ovviamente in ritardo. Si chiama
Murthy, lavora per la Meridian Shipping e corre da un ufficio
all'altro della dogana con pacchi di documenti in mano.
Appena fa una sosta, mi introduce all'ufficiale di dogana.
Ma prima scrivo il mio nome in un foglietto, che un militare
consegna all'ufficiale. Poi l'ufficiale, che per la gente
di qui dev'essere una specie di oracolo, mi chiama nel suo
ufficio. La situazione è leggermente più complicata
rispetto a una frontiera terrestre. I miei documenti sarebbero
sufficienti per effettuare l'export via mare, ma prima di
avere il lasciapassare per l'area doganale (cioè
per fare il custom-clearance) devo chiedere formalmente
un'autorizzazione. All'autorizzazione devo allegare una
serie di documenti formali.
Il sig. Murthy dice che sa come fare o che comunque conosce
qualcuno che mi aiuterà nella procedura. Sono sempre
tutti pronti ad aiutarmi o a mandarmi qualcuno che mi aiuta,
ma io sono arrivato qui giovedì e ancora non ho iniziato
le pratiche. Poi, ogni tanto, mi chiamano quelli della Meridian
Shipping per chiedermi se ho contattato quelli della Messina
Line di Genova. E io continuo a ripetere che sono loro che
devono contattare Genova (cioè, loro sono un'agenzia
ufficiale della Messina Line in India, negli uffici hanno
anche i calendari in italiano).
Mentre aspetto per l'ennesima volta come un deficiente nei
corridoi dell'edificio, si presenta un certo sig. Sahu di
“Transcontinental Logistics”. Dice che sa come
sbrigare la mia pratica. Il sig. Murthy conferma che mi
devo fidare. Non è che abbia molte alternative. Il
sig. Sahu mi fa accomodare in un ufficio pieno di impiegati
che firmano, timbrano e ordinano fascicoli, mentre comincia
a scrivere i documenti formali al PC. Ha recentemente seguito
la pratica di un indiano residente in Inghilterra che ha
esportato un veicolo privato via mare. Effettivamente, alcune
di queste lettere, ce le ha già pronte nel PC. Deve
solo cambiare i dati della persona e del veicolo.
In pratica, insieme alle fotocopie di tutti i documenti
miei e del veicolo, devo allegare le seguenti dichiarazioni:
una richiesta formale alla dogana in cui chiedo cortesemente
di effettuare l'export
la storia del mio viaggio. Cioè quando è iniziato,
qual'è stato il motivo e l'itinerario
l'elenco degli oggetti personali contenuti all'interno del
veicolo
la quantità di carburante nel serbatoio
Intanto è calata la notte, e mi preoccupa
non poco dover guidare col buio. Sahu mi consiglia di pernottare
a Mundra presso il Shiv Nautica Hotel, che sarebbe l'hotel
tipicamente scelto dagli stranieri. Un dipendente della
sua agenzia, residente a Mundra, monta in camper e mi accompagna
all'hotel. Il posto non è male (per essere a Mundra).
Per gli standard locali è un hotel di lusso. Per
me è poco più di un 3-stelle. Il ristorante
è ottimo, ma il prezzo della camera è abbastanza
alto: più di 60 euro a notte. Fortunatamente si può
pagare con carta di credito. Ormai, avendo finito il viaggio,
preferisco dormire in hotel.
km oggi: 95 totali: 12.777

martedì, 31
agosto 2010 
Colazione in hotel. Anche stamattina, l'appuntamento è
a un orario comodo: dopo le 10. Io alle 9 sono già
al porto, ma l'agente Sahu non arriva prima delle 11. Noto
che la gomma posteriore destra del camper è un po'
bassa, e quindi la gonfio con il compressore.
All'ora di pranzo arriva la notizia che la dogana sta esaminando
la mia richiesta e che entro sera mi faranno sapere. Arriva
la sera e ancora non so niente sull'esito della mia richiesta.
Sahu mi consiglia di andare in albergo e di tornare domattina.
Lui si tratterà al lavoro, come fa sempre, fino all'una.
La dogana, infatti, non chiude mai. In teoria chiudono solo
gli uffici al pubblico, ma in pratica c'è sempre
almeno un ufficiale di turno.
Sahu mi garantisce che domani avrò tutti i documenti
in regola per guidare il camper fino al terminal del porto,
e che qualcuno mi timbrerà l'uscita sul Carnet. Spero
che sia così. Infatti devo prendere un aereo per
l'Europa entro giovedì, altrimenti la mia situazione
al lavoro diventerà complicata: all'inizio di settembre
ho degli impegni improrogabili.
Torno all'Hotel Shiv Nautica, dove ceno ottimamente.
km oggi: 21 totali: 12.798

mercoledì, 1
settembre 2010 
Dopo la colazione fatta all'hotel, vado agli uffici della
dogana. Qui osservo che la gomma del camper si è
sgonfiata ancora un po'. Temo che ci sia un difetto alla
valvola oppure un piccolo foro, così scelgo di gonfiarla
con uno spray di riparazione che ho a bordo. Anzi, per andare
sul sicuro uso due bombolette. Non vorrei che la gomma mi
piantasse proprio prima di affidare il camper al porto,
oppure che si sgonfiasse durante la traversata in mare.
In mattinata Sahu dice che dopo pranzo dovrò portare
il camper nel terminal, dove un ufficiale di dogana lo ispezionerà
e poi mi timbrerà il Carnet. A quel punto potrò
andarmene. Non mi sembra vero. E infatti non è vero:
aspetto tutto il pomeriggio, e in serata due dipendenti
di Sahu mi accompagnano, con una pila di documenti, fino
all'area del terminal. Gli ufficiali di dogana non si fanno
vedere neanche quando fa buio. Per entrare nel terminal
io e i dipendenti dell'agenzia veniamo controllati, insieme
al camper, e dobbiamo mostrare documenti, firmare e dare
un casino di spiegazioni. Effettivamente, nessuno qui è
abituato a vedere un veicolo privato in transito per l'export
(specialmente un camper).
Il camper viene parcheggiato nel terminal veicoli e chiuso
a chiave. I dipendenti del terminal lo terranno in custodia
fino all'imbarco (che dovrebbe avvenire intorno al 10 settembre).
Gli danno anche una lavata veloce, insieme alle altre auto
che vanno e vengono. Si tratta di Tata o Suzuki nuove, in
attesa di essere imbarcate per Europa o Nord America.
All'ora di cena, Sahu viene a prendere me e i suoi dipendenti
in macchina e ci riporta negli uffici della dogana. C'è
un cambio di programma: gli ufficiali sono tutti impegnati
con una delegazione del ministero che è venuta in
visita al porto, e quindi nessuno può timbrarmi il
Carnet. Dovrò aspettare che qualche ufficiale si
renda disponibile. Intorno alle 22, quello di ieri (l'oracolo)
mi riceve nel suo ufficio. Dopo 10 minuti che guarda e riguarda
il Carnet, dice che non può firmarlo. Praticamente,
essendo il camper sdoganato ma non ancora imbarcato, la
dogana non può certificare l'uscita dal paese.
Cerco di spiegargli che, una volta che la dogana ha preso
in carico il mezzo, esso non può più circolare
nel paese, e dunque io ho assolto ai miei obblighi. Cioè,
ho riesportato il veicolo. Quello risponde che, finché
non prenderanno in custodia la chiave del camper, non potranno
firmare niente. E comunque dovranno annotare nel Carnet
che l'imbarco avverrà il 10 settembre. Per me possono
scrivere quello che vogliono sul Carnet, basta che timbrano
e firmano.
In seguito ho un'animata discussione con Sahu, il quale
si sta intascando circa 650 euro per il servizio (comprese
le spese varie). Lui sostiene che gli ufficiali stanno seguendo
alla lettera la normativa indiana. Io invece sostengo che
fanno tutti confusione tra dogana e imbarco, che sono due
concetti diversi. Se io affido il mezzo alla dogana, cioè
glielo do in custodia, non vedo perché mi devono
rompere i coglioni con la data di partenza della nave. Cioè,
il mezzo ce l'hanno loro e lo possono eventualmente confiscarlo
se l'imbarco viene rifiutato.
A mezzanotte prendo contatto con l'ufficiale che fa il turno
di notte. Anche lui non è molto pratico di Carnet.
Prima mi fa un casino di domande, poi prende il manuale
di diritto doganale e si studia il capitolo “Carnet
FIA”.
Per avere un'idea del livello di ridicolo che si può
toccare in questi casi, si immagini che l'ufficiale mi chiede
addirittura la tessera del mio Automobile Club, cioè
l'ACI, perché il manuale della dogana prevede che
il titolare del Carnet sia associato all'Automibile Club
del paese di rilascio. Per fortuna che ce l'ho nel portafogli.
Gliela mostro e faccio presente che l'ACI rilascia il Carnet
solo agli associati (e se uno non ha la tessera se la deve
fare).
L'ufficiale se ne va per il giro di ispezione notturno.
Ho un'altra discussione con Sahu: lo avviso che domattina,
in ogni caso, prenderò un taxi per Bhuj e un volo
per Bombay. Tornerò in Italia con il Carnet non compilato
e lo regolarizzerò quando il camper sbarcherà
a Genova. Lui propone di lasciare qui il Carnet, che tanto
loro me lo spediranno con corriere. La dimensione della
cazzata appena pronunciata lascia intuire come queste persone
ignorano l'importanza e la delicatezza di questo documento.
All'una di notte l'ufficiale torna dal suo giro, e finalmente
timbra e firma il Carnet. Tuttavia, annota in inglese che
“Il veicolo sarà imbarcato il 10 settembre
sulla M/V Jolly Nero per Genova”. Spero che all'ACI
di Pisa non siano così pignoli da farmi storie per
questa scritta aggiuntiva.
Ma prima di lasciare il porto, l'ufficiale vuole ispezionare
il camper. Si va in auto, insieme a Sahu, fino al terminal.
Si arriva velcemente, perché ai check-point l'ufficiale
mostra la sua tessera e nessuno ci blocca. Praticamente,
l'ispezione consiste nel mostrare rapidamente gli oggetti
contenuti all'interno del camper. Alle due di notte e dopo
che ho ripetuto per l'ennesima volta la storia del mio viaggio,
l'ufficiale mi dice: “Ben fatto mister Ghiani.”
Prendo i miei bagagli e mi faccio accompagnare da Sahu fino
all'hotel Shiv Nautica. Sahu insiste perché io mi
trattenga a Mundra anche domani, per finire di compilare
le pratiche. Ma io non ho intenzione di fermarmi neanche
un'ora in più. Non vedo l'ora di essere in Italia.
Tra l'altro, domani in India è festa nazionale. La
dogana sarà chiusa e quindi non vedo che utilità
possa avere la mia presenza qui.
km oggi: 18 totali: 12.816

giovedì, 2 settembre
2010 
Dopo la colazione chiedo alla reception di avere immediatamente
un taxi per l'aeroporto di Bhuj e una prenotazione per il
primo volo Bhuj – Bombay. Apparentemente non c'è
problema: davanti all'hotel c'è più di un
tassista disponibile. Posso anche scegliere l'auto in base
alla categoria e al prezzo. La corsa Mundra-Bhuj (~60 km)
mi costerà una trentina di euro.
Il volo Bhuj-Bombay
costerebbe sui 100 euro, ma c'è un problema: il collegamento
Internet è interrotto e dall'hotel non possono collegarsi
per fare la prenotazione online. Mentre tentano di connettersi,
mi fanno aspettare fino a metà matina. Ho esaurito
la mia pazienza già da alcuni giorni e sono abbastanza
intrattabile. Faccio capire alla reception che ne ho fin
sopra dei problemi dell'India. Gli do dieci minuti di tempo
per prenotarmi il volo, dopodichè partirò
in taxi per Bhuj ed eventualmente farò il biglietto
in aeroporto. Quindi la reception telefona a un'agenzia
di fiducia a cui fa fare la mia prenotazione. Dopo aver
pagato in anticipo sia il taxi sia la prenotazione (sulla
fiducia), parto in taxi per Bhuj, nell'ennesima strada distrutta,
per l'ultimo slalom in mezzo alle buche e al fango.
Poter lasciare finalmente l'India è un sollievo:
non vedo l'ora di arrivare in Italia per riprendere il lavoro
e per curarmi decentemente l'influenza che non mi è
ancora passata. Ricevo il numero di prenotazione via SMS,
e all'aeroporto mi stampano gratuitamente il biglietto della
Kingfisher Red (una compagnia locale). Il volo per Bombay
dura un'ora. Dall'aeroporto nazionale mi sposto a quello
internazionale, in taxi, non prima di aver quasi litigato
con tassisti che fanno prezzi allucinanti per una corsa
di pochi chilometri. Bombay è una grande città,
affollata anche di turisti, dunque non c'è da meravigliarsi
se un guidatore di risciò chiede 20 dollari per 2
chilometri. All'aeroporto internazionale di Bombay vado
subito alla biglietteria di Air India in cerca di un volo
per l'Europa. Ce n'é uno questa notte per Francoforte.
Da Francoforte non riesco a trovare un posto per Pisa né
per Firenze. Ce ne sarebbe uno per Pisa, via Monaco, ma
con arrivo domani sera alle 22. Preferirei arrivare di pomeriggio,
per poter fare un salto in ufficio. La soluzione migliore
mi sembra un volo fino a Malpensa da dove prenderò
un'auto a noleggio.
All'una di notte salgo su un bel Boeing 777 di Air India
che ha un monitor a colori per ogni sedile. In quello davanti
a me seleziono la visualizzazione della rotta. Si vede un
aeroplano che passa sopra a una mappa. Non si vedono le
città affollate dell'India, le strade allagate del
Pakistan, i deserti dell'Iran, le montagne della Turchia,
le frontiere della penisola balcanica. Che noia.
venerdì, 3 settembre 2010

Durante il volo avrò dormito, in tutto, due ore.
All'alba sbarco a Francoforte, in area Schengen, che sollievo.
Sempre in mattinata, un aereo della Lufthansa mi porta a
Malpensa. Gli sportelli degli autonoleggi sono affollati.
Quello della Europcar sembra il più libero, e mi
ci fiondo. “Mi serve un'auto fino a stasera, con restituzione
a Pisa.” “Sono 146,40 compresa l’assicurazione
extra.” Prendo la chiave, vado a recuperare la cara
Panda (cara nel senso che costa uno sproposito) e imbocco
l’autostrada per Milano, Parma, La Spezia,
Pisa.
Intorno alle 17 sono al lavoro, dove incontro
il capo che, un po’ stupito, mi chiede: “E
la prossima estate dove vai?”.

martedì, 5 ottobre 2010
Genova è parzialmente allagata dalle forti piogge
dei giorni scorsi. Sembra che il monsone abbia seguito la
nave. Ritiro il camper presso il molo N. Ronco, terminal
Messina-Line. Spendo 100 euro di commissioni per l'agenzia
Ratti e Laghezza. La cosa buona è che il camper è
immatricolato in Italia, è intestato a me e non contiene
merci ma solo oggetti personali. Quindi lo sdoganamento
è veloce perché fatto come “seguito
passeggero”.
Il camper è sporco, disordinato e ammaccato ma il
motore gira bene.
Dopo vari controlli, appuro che la bombola è aperta
e completamente vuota (mi hanno rubato il gas?). Sono certo
di averla chiusa prima di lasciare il camper a Mundra. Inoltre,
mancano all'appello vari oggetti (tra parentesi il valore
approssimativo in euro):
scarpe Dolomite (80), felpa in pile (20), zainetto Adidas
(10), torcia elettrica grande (50), torcia elettrica piccola
(5), cd di musica nepalese (10), caffè Lavazza (5),
set di chiavi (20), chiave inglese (10), chiave a pappagallo
(5), giravite stanley con kit di punte (20), seghetto multiuso
(5), cavo di traino robusto (10), multimetro digitale (15),
chiave per candele con snodo (10), saldatore a gas butano
+ bomboletta (40), rotolo di stagno (5), pompa acqua a immersione
(10), capicorda e morsetti per cavi elettrici (5), presa
multipla per accendisigari (5), compressore per gomme (40)
giubbotto rifrangente (10), 2 ghiaccioli per borsa frigo
(5), orologio-termometro digitale (15). Per un ammanco totale
di circa 400 euro.
Riepilogo spese principali (in euro, al
cambio dell’estate 2010)
Carburante (1.466 euro)
Nazione |
Totale rifornimenti |
|
Benzina |
GPL |
Italia |
|
50 |
Slovenia |
|
|
Croazia |
|
63 |
Serbia |
|
60 |
Bulgaria |
|
36 |
Turchia |
|
272 |
Iran |
160 |
|
Pakistan |
240 |
|
India |
450 |
27 |
Nepal |
108 |
|
somma |
958 |
508 |
Pedaggi strade/autostrade (~ 160 euro)
Italia |
24,70 |
Slovenia |
15 (vignetta settimanale) |
Croazia |
22,68 |
Serbia |
31 |
Bulgaria |
6 (vignetta settimanale) |
Turchia |
5 (ricarica credito su tessera KGS) |
Iran |
~ 10 |
Pakistan |
~ 15 |
India |
~ 20 |
Nepal |
~ 10 |
Documenti, visti, tasse, ecc. (839,34 euro)
|
Patente Internazionale (mod. Ginevra ’49) |
27,22 (bollettini) + 14,62 (marca da bollo) + |
|
5,00 (fototessera) |
Carnet de Passages en Douane |
120,00 (quota ACI, 160 per i non soci) + 200,00 |
|
(polizza fidejussoria per 4 mesi) |
Lettera d’invito per visto iraniano |
35 + 9,50 (invio denaro con Western Union) |
Visti turistici per Iran (singolo), Pakistan |
280,00 |
(doppio), India (doppio) e quota d’agenzia + |
|
spedizione |
|
Visto turistico singolo per Nepal (in frontiera) |
25,00 |
Assicurazione RCA per Pakistan |
65 |
Assicurazione RCA per India (valida anche in |
58 |
Nepal) |
|
Guide/Carte stradali (160,77 euro)
Carte stradali di Iran, Pakistan, India |
80 |
Guide L. Planet di Iran, Pakistan, India |
40,77 |
Atlante dell’India (acquistato in India) |
10 |
Guida L. Planet del Nepal (acquistata in India) |
24 |
Carta stradale del Nepal (acquistata in India) |
6 |
Spedizione camper Mundra – Genova (4651,49
euro)
Spese di imbarco al porto di Mundra |
650 (spedizioniere, tasse varie) |
|
|
Trasporto ro-ro Mundra-Genova e spese di sbarco |
3901,49 |
|
|
Spedizioniere per sdoganamento a Genova |
100 |
Spese viaggio di rientro (1.159 euro)
Hotel a Gandhidham – 1 notte |
40 |
Hotel a Mundra – 3 notti |
165 |
Taxi Mundra-Bhuj |
28 |
Aereo Bhuj-BombayFrancoforte-Malpensa |
780 |
Autonoleggio con riconsegna a Pisa |
146 |
Telefonate: ~ 400 euro
Totale generale: ~ 8.850 euro (esclusi pernottamenti, parcheggi,
pasti, ingressi a musei, souvenir, spese di preparazione
e di ripristino del camper)
PUNTI SOSTA
BULGARIA
Biser
Camping Sakar Hills, sulla strada per la frontiera con la
Turchia: Gergi Rakovsky Street 2 - Biser, Nr. Harmanli -
+359 885504338
TURCHIA
Erzurum
Parcheggio gratuito davanti alle mura della Kale, nel centro
della città. Sterrato e leggermente sconnesso ma
silenzioso durante la notte. Durante il giorno è
usato da automobilisti locali, meglio dunque arrivare di
sera tardi.
Dogubayazit
Lalezar camping (sulla strada per Ishak Pasha). Uscendo
da Dogubayazit, verso Ishak Pasha, procedere per qualche
chilometro. Il camping si trova sulla destra, poco prima
che inizi la salita per Ishak Pasha. Spazioso, fondo in
ghiaia e terra battuta, possibilità di carico acqua
con tubo in gomma. Bar-ristorante interno, parco giochi
per bambini. Personale molto disponibile.
IRAN
Tabriz
Elgoli Park. Grande parco pubblico con attrazioni, giardini,
ristoranti. Tipico luogo di ritrovo delle famiglie locali,
che d’estate amano campeggiare con le tende nei prati
del parco. L’ingresso è a pagamento, ed è
possibile parcheggiare il camper e sostare per la notte.
Meglio arrivare di pomeriggio, perché alla sera non
si trova posto. Si trova alla periferia Sud della città.
Conviene arrivarci dall’autostrada per Teheran, seguendo
le indicazioni per Elgoli (oppure El Goli).
Isfahan
Ghadir Park. Parco pubblico che in estate è tipicamente
utilizzato dalle famiglie locali come campeggio. All’ingresso
si riceve una tessera che servirà per pagare il prezzo
della sosta in uscita. Cercare di arrivare entro il pomeriggio,
perché alla sera si riempie completamente. Possibilità
di prelevare acqua dai bagni pubblici, ma è meglio
attrezzarsi con un tubo di gomma.
Kerman
Akhavan Hotel. Arrivando dall’autostrada, cioè
da Isfahan-Yazd, ci si immette direttamente nel viale in
cui sorge l’hotel, cioè Ayatollah Saduqi Street.
Bisogna fare inversione di marcia alla prima grande rotatoria
che si incontra nel centro urbano e quindi tornare indietro
per un paio di centinaia di metri. L’ingresso principale
dell’hotel si trova nel lato destro, un po’
nascosto. Si può parcheggiare davanti alla reception
per chiedere informazioni, ma il pernottamento è
consentito nel piazzale sul retro, che è molto più
ampio. Pulito e silenzioso. Carico d’acqua da rubinetto
con tubo di gomma (flusso minimo).
Zahedan
Davanti alla stazione di polizia. Strada trafficata di giorno
ma abbastanza silenziosa di notte. Avvicinatevi il più
possibile al marciapiede. Su richiesta è possibile
prelevare acqua dal cortile della stazione di polizia.
Mirjaveh
Tourist Inn. Parcheggio e pernottamento consentiti nel giardino.
Spazio per almeno 3 mezzi. Possibilità di carico
acqua da rubinetto con tubo di gomma. All’interno
dell’hotel c’è un ristorante di qualità
accettabile.
PAKISTAN
Quetta
Bloom Star Hotel. Si trova in Stewart Rd., 8. In teoria
è possibile campeggiare nel giardino interno, ma
non è possibile accederci con il camper. Il camper
si può invece parcheggiare solo nel piazzale d’ingresso.
Spazio limitato e presenza di ostacoli (anche in altezza)
impongono la massima cautela nella manovre. Per motivi di
sicurezza non si può sostare vicino al cancello.
Possibilità di riempire la tanica d’acqua portatile
da un rubinetto del giardino interno. Su richiesta, la reception
può contattare un’agenzia di assicurazione
per stipulare polizza RCA temporanea per il camper. Il ristorante
non è male.
Mian Channu (tra Multan e Lahore) Night Bridge - Hotel &
Restaurant. Motel con ottimo ristorante, giardino e parco
giochi per bambini. Il pernottamento è consentito
gratuitamente nel parcheggio davanti all’ingresso
(chiedere il permesso). Fondo in ghiaia. Un po’ rumoroso
per via della vicina autostrada, ma durante la notte il
traffico è scarso. Si trova sull’autostrada
Multan-Lahore, nel by-pass di Mian Channu (circa 220 km
prima di Lahore) nel lato sinistro. Tel.: 065 2005536
Sukkur
Quartier generale della polizia (Police Headquarter). Su
richiesta, è possibile pernottare nel parcheggio
interno. Presenza di rami e altri ingombri. Spazio limitato.
INDIA
Amritsar
Mrs. Bhandari’s Guest House. È un mini-villaggio
turistico che comprende camere interne, spazi per campeggiare
e una piscina all’aperto. Nei giardini ci sono gli
scoiattoli. Il camper può essere parcheggiato tra
i prati interni (ma non sull’erba). Direi che 4 o
5 camper ci possono stare senza problemi. Per il rifornimento
d’acqua ci si può arrangiare con i rubinetti
del bagno esterno. Il parcheggio del camper costa 2 euro
a notte, da sommare ai 4 euro a notte per persona. Possibilità
di corrente elettrica (shuko 2 poli, ma senza messa a terra!!)
pagando il sovrapprezzo. La guest house ha il ristorante
interno, buono ma con prezzi un po’ eccessivi. C’è
una sala per l’accesso a internet, a pagamento, con
2 PC fissi. Indirizzo:
Cantonment n. 10, Amritsar-143 001 Tel.: 183 2228509 Email:
bgha108@gmail.com
Gandhidham
Sharma Resorts, sulla strada verso Mundra, lato destro (ben
segnalato). Complesso alberghiero con ampi spazi di parcheggio.È
possibile sostare gratuitamente (chiedere il permesso) nei
giardini. Fondo in terra battuta, alberi che ostacolano
le manovre ma fanno comodo per l’ombra. Ottimo ristorante
all’interno dell’edificio. Indirizzo completo:
Nr. Airport Crossing, Galpadar;O.O. Box No. 255, GANDHIDHAM
Tel.: (02836) 257823/24/25
Mundra
Galaxy Residency, albergo con ampio parcheggio. È
consentito il pernottamento nel parcheggio (chiedere il
permesso alla Reception). Fondo sterrato, fangoso quando
piove.Si trova sulla strada tra Mundra e il porto, un paio
di chilometri dopo Mundra, sulla sinistra. È di fronte
al distributore della “Indian Oil” (uno dei
pochi che ha anche il GPL). In questo distributore è
possibile fare rifornimento di acqua e di GPL (attacco italiano).
Accanto al Galaxy Residency c’è il ristorante
Galaxy Foods che serve anche la pizza e gelato buonissimo
a prezzi onesti. Indirizzo esatto:
Adani Port Road (Opposite to Shubham Petroleum), Nana Kapaya
Mundra 370415. Tel.: 02838-223970
Mandvì
Beach Resort, vicino al Vijay Vilas Palace, a Ovest di Mandvì.
Per arrivare, uscire da Mandvì sulla strada costiera
verso Est, in direzione del Vijay Vilas Palace (chiedere
indicazioni). Poco prima dell’ingresso del Vijay Vilas
Palace, girare a sinistra sulla strada sterrata e procedere
per un chilometro circa. Attenzione ai rami degli alberi,
sia in larghezza che in altezza. Nella stagione monsonica
la strada è un pantano. Normalmente la sosta dei
camper non è consentita, ma insistendo (come ho fatto
io) potrebbe essere concessa per una cifra che si aggira
sui 20 euro a notte. Direi che il parcheggio può
accogliere comodamente almeno 3 camper. Il ristorante è
buono ed economico, e c’è una spiaggia privata
(ingresso a pagamento).
NOTA: secondo alcune persone del posto, sarebbe possibile
sostare anche sulla spiaggia a Est di Mandvì, vicino
al Toran Beach Resort (che peraltro nell’agosto 2010
era chiuso). Sulla spiaggia ci sono effettivamente molti
punti erbosi adeguati al parcheggio. Non ho sperimentato
questo punto sosta perché non avevo individuato ristoranti
nelle vicinanze e anche per la presenza di vacche e branchi
di cani randagi.
Mcleod Ganj
Parcheggio multipiano di taxi / bus turistici. Si trova
all’ingresso del paese. Arrivando da Dharamsala, sul
lato destro, prima del restringimento della strada. Il costo
è di circa 1,20 euro per 24 ore. Cercate di sistemarvi
all’ultimo piano che è all’aperto. Parcheggiate
lontano dai cassonetti della spazzatura perché sono
frequentati dalle vacche.
NOTA: è impossibile procedere
per il centro di Mcleod Ganj con un camper standard, sia
perché le strade sono strette, sia per la presenza
di ingombri in altezza. Il parcheggio dei bus è quindi
una scelta obbligata.
Rewalsar Lake
Parcheggio dei taxi/minibus. Gratuito.È bene occupare
il minor spazio possibile (dato che il parcheggio dovrebbe
essere per i taxi). Rampa d’accesso un po’ ripida:
attenzione allo sbalzo. Per arrivarci, dalla zona di Mandi,
seguire le indicazioni per Rewalsar Lake ed eventualmente
chiedere indicazioni.
NOTA 1: ci sarebbe un monastero buddista che offre le camere
ai turisti. Non chiede soldi in cambio, ma accetta donazioni.
Il monastero ha un cortile con parcheggio recintato in cui
ho osservato che, di notte, vengono ricoverati alcuni veicoli.
Si potrebbe domandare se è possibile sostare con
il camper nel parcheggio, magari dietro pagamento di piccola
offerta. Non molto spazioso, direi sconsigliabile a mezzi
ingombranti. Da verificare eventuale presenza di ostacoli
in altezza. L’ingresso del monastero si trova esattamente
di fronte al Topchen Restaurant.
NOTA 2: le strade che collegano Rewalsar Lake al resto del
mondo sono pessime, quasi totalmente sterrate. Nella stagione
delle piogge si riescono a malapena a percorrere, in certi
tratti, a 5 km/h. I mezzi troppo bassi potrebbero avere
degli inconvenienti, sia per la profondità delle
buche che per la presenza di pietre nella carreggiata.
Udaipur
Rangniwas Palace Hotel
Possibilità di campeggiare a pagamento nel parcheggio
davanti alla reception. Allaccio elettrico (shuko 2 poli,
ma senza messa a terra!!) pagando un extra. Possibilità
di rifornimento d’acqua dalla toilette davanti al
giardino (procurarsi un tubo di gomma). Spazio limitato,
presenza di rami e altri ostacoli, manovre complicate e
rischiose. Capienza al massimo per due mezzi. Sconsigliabile
per veicoli oltre 7 metri. Il ristorante è discreto
e ha moltissima scelta. Personale gentilissimo. Si trova
in Lake Road. Tel.: 0294 2523890 / 2523891. Email: rangniwas75@hotmail.com
Jaipur
Su Ajmer Road (l’autostrada che da Jaipur va verso
Ajmer), appena fuori Jaipur, ci sono vari hotel con ristorante
e parcheggio. Si trovano tutti sul lato destro in direzione
Ajmer (quindi, uscendo da Jaipur, bisogna fare inversione
sull’autostrada). Uno di questi è il Hotel
Raj Chidiya & Bar Restaurant, Narsinghpura, NH 8. Il
ristorante è accettabile e molto economico. Il pernottamento
è consentito nel parcheggio sterrato, sconnesso e
fangoso. Oltre al prezzo della cena, viene richiesto un
extra per il parcheggio, direi abbastanza esagerato. Consiglio
quindi di tenersi questa come ultima possibilità.
Nagina
Pure Veg Restaurant. Pernottamento consentito nel prato
antistante (chiedere il permesso). Spazio limitato, rumoroso
per la vicinanza della strada. Si trova nei pressi di Nagina,
sulla NH 74 lato destro in direzione Kashipur (cioè
verso il Nepal). Ristorante discreto ed economico. I proprietari,
marito e moglie, abitano al piano di sopra e parlano bene
l’inglese.
Banbasa (frontiera con Nepal)È possibile pernottare
accanto al posto di polizia di frontiera. Si trova davanti
all’ingresso del ponte per l’accesso alla zona
di frontiera col Nepal (verso Mahendranagar). Ottima soluzione
in caso si arrivi alla frontiera dopo l’orario di
chiusura. Vicino al posto di polizia c’è una
fontana con pompa manuale, da cui si può prelevare
l’acqua.
Gorakhpur [vicinanze]
Jungle Treat &Tanmay – Hotel and Restaurant
È un piccolo motel sulla strada tra Sonauli e Gorakhpur.
È consentito il pernottamento nel parcheggio antistante
il ristorante (chedere il permesso). Fondo in terra battuta,
rumoroso per via del traffico. Indirizzo esatto:
Campierganj-Gorakhpur (Near Van Nigam Dipo, Nepal Road)
Tel.: 05522-211883 Mobile.: 9621824567
NEPAL
Bardia National Park
In corrispondenza dell’ingresso del parco, (strada
N01 verso Kathmandu, lato destro), c’è un piccolo
villaggio. Appena dopo l’ingresso, cioè oltre
l’arco con l’insegna “Bardia National
Park”, sul sentiero verso il centro del parco, ci
sono delle baracche. Tra le varie attività c’è
un piccolo ristorante a gestione famigliare, molto spartano.
Chiedendo il permesso è possibile pernottare nel
prato davanti al ristorante. C’è anche un telefono
pubblico per chiamare l’Italia a prezzi convenienti
e un mini-market.È possibile prelevare acqua dalla
fontana (pompa manuale). Necessario dotarsi di torce elettriche
per mancanza TOTALE di illuminazione.
Chitwan (zona parco nazionale)
River Side Spring Resort. Complesso turistico di lusso con
ristorante e ampio parcheggio alberato (custodito 24 ore).
Fondo in terra ed erba. Chiedendo il permesso alla reception,
è consentito pernottare nel parcheggio esterno, specialmente
se si cena al ristorante del resort. Il ristorante è
decisamente caro, ma ottimo. Si trova sulla strada N01,
presso Kurintar, circa 90 km prima di Kathmandu, sul lato
sinistro. Qualche chilometro prima ci sono le indicazioni
con la distanza, ma l’ingresso NON è ben segnalato.
Kathmandu
The Place – Garden Restaurant & Lounge Bar. Si
trova in Tridevi Marg, Tel.: 01-6218676È possibile
sostare, anche per più giorni, nel parcheggio a pagamento
davanti all’ingresso. Attenzione, il parcheggio non
è del ristorante ma è gestito da un privato.
Di norma si paga in base alle ore di sosta (i veicoli grandi
pagano quasi 1 euro all’ora), ma dovendo rimanere
più giorni è possibile trattare il prezzo:
con un po’ di fortuna si sta sotto i 15 euro al giorno.
Il parcheggio è custodito 24 ore ed è in una
posizione comodissima: 5 minuti a piedi dal centro di Thamel,
25 minuti da Durbar Square. Il fondo è leggermente
sconnesso e con qualche dislivello. Meglio arrivare nel
tardo pomeriggio, quando inizia a svuotarsi, in modo da
occupare il posto migliore. Per raggiungerlo, arrivando
dalla strada N04, andare verso il viale di circonvallazione.
Procedere su Kantipath in direzione Nord. All’incrocio
di Thamel girare a sinistra in Tridevi Marg (verso il centro
di Thamel). Appena imboccata Tridevi Marg, il primo cancello
grande sulla sinistra è l’ingresso del parcheggio.
Trattate subito il prezzo con il guardiano e fatevi fare
una ricevuta. C'è un rubinetto per il rifornimento
d'acqua. Il ristorante è ottimo e ha prezzi stracciati,
ma i tavoli sono scomodi perché troppo bassi.
NOTA: evitare assolutamente di guidare il camper in Tridevi
Marg oltre questo punto. Si finirebbe in una zona in cui
non è più possibile procedere a causa di ingombri
in altezza (cavi elettrici, balconi) e in cui è difficile
fare inversione.