Viaggiare - Diari di Viaggio


Himalaya Express


(testo e foto di Giuseppe Ghiani)

Equipaggio: Giuseppe, 1981

 

Mezzo: Elnagh Trophy 1 (Ford Transit B/GPL), 1992

Mi si permetta il titolo, anche se a causa delle inondazioni non ho potuto raggiungere il cuore dell’Himalaya indiano, ma l’ho solo sfiorato, e anche se Express non c’entra molto con fare Pisa-Kathmandu in ventitré giorni, guidando comodamente per più di diecimila chilometri. Mi si permetta Himalaya Express, perché suona bene.


Intro
Caro simpatico lettore, che guardi affascinato la mappa qui sopra, che in pochi secondi passi il dito su questo insolito percorso dall’Italia al sub-continente indiano e immagini i panorami dell’Anatolia, le maioliche di Isfahan, le cupole del Taj Mahal e lo splendore del Golden Temple, che pensi al pollo tandoori e a scenari incantevoli, a parchi con animali esotici, ai vestiti colorati delle donne indiane, all’aroma delle spezie.

Tu che mi invidi, che credi di sognare un viaggio come questo e di averlo come sogno nel cassetto, non senti l’odore della benzina raffinata male, quella sotto i 90 ottani, che evapora al sole del Sistan-Beluchistan, entra nell’abitacolo e ti fa girare la testa. Non vedi gocce di sudore che lasciano macchie grandi come olive su quelle carte stradali che dovevano essere professionali, ma che invece si rivelano sbagliate. Non ti butti fuori strada per evitare i contrabbandieri iraniani che scappano dalla polizia.

Non senti il caldo afoso, non vedi i disastri di un monsone anomalo che ha messo in ginocchio milioni di persone, case distrutte, cadaveri di animali, profughi che viaggiano giorno e notte su carretti. Non hai paura quando la pioggia cade pesante per tutta la notte sul tetto del camper, su un terreno già sommerso, su strade già distrutte, e non sai se e come domani potrai rimetterti in viaggio. Non devi attraversare zone allagate, che non sai cosa c’è sotto, se sabbia, fango o pietre, ma devi andare avanti, non puoi fermarti, altrimenti il tuo dito che passa sulla mappa mica ci arriva in India. Non gratti il pianale per poi scendere di corsa a vedere se hai spaccato la coppa dell’olio, e non senti sulla schiena ogni singola buca, dosso rallentatore, pietra, di questa strada che sembra non finire mai.

Tu che forse, adesso, cominci a chiedertelo, devi sapere che me lo sono chiesto anch’io se ne valeva la pena. Ho cominciato a chiedermelo nel novembre 2009 quando, appena ottenute le carte stradali, passavo un fine settimana a calcolare le distanze tra Toscana e India: più di 8.000 km di sola andata, e non tutta autostrada. Me lo sono chiesto quando il tetto del camper, a causa della temperatura che sfiorava 50 gradi nel deserto del Beluchistan iraniano, ha iniziato a dilatarsi e a deformarsi fino a diventare un arco, e gli agganci dei pensili sono saltati. Ho continuato a chiedermelo quando mi sono trovato in mezzo alle tragiche inondazioni che hanno colpito il Pakistan, tra Sindh e Punjab, e ho dovuto rimettere il mio mandato nelle mani delle piogge monsoniche, sperando di non rimanere bloccato o di non diventare anch’io un profugo.

E anche in mezzo al Nepal quando, sulla Mahendra Highway interrotta, ho visto un furgone travolto dalla corrente del fiume che avrei dovuto guadare con il camper: insieme a quel furgone, naufragava la mia speranza di raggiungere Kathmandu. Me lo sono chiesto alla fine del viaggio, quando mi sono ammalato e ho dovuto affidare la mia sopravvivenza alla scorta di farmaci che erano miracolosamente scampati al caldo del Sistan-Beluchistan, mentre litigavo con agenti/spedizionieri/doganieri per ottenere il permesso all’imbarco del camper verso l’Italia.
Non chiedermi cosa penso adesso, ma se tra dettagli tecnici e aneddoti di una spedizione “fai-da-te” riesci ad arrivare alla fine di questo resoconto, potrai di chiederti se, per te, ne varrebbe la pena.

martedì, 27 luglio 2010

Alle 14:50 rilevo un chilometraggio di 71.661 e anche che è una giornata stranamente fresca per la fine di luglio. Poi mi guardo nello specchietto e mi dico addio. Dico addio a quello che sono, perché credo che alla fine di questo viaggio, in ogni caso, non sarò più lo stesso.

La mia tabella di marcia prevede di arrivare il più vicino possibile a Zagabria entro questa notte. Come tutte le volte che parto verso la ex-Yugoslavia, mi fermo nell’area di servizio di Calstorta per cena, acquisto del bollino autostradale sloveno e rifornimento di GPL.
Viaggio veloce grazie al poco traffico, merito della mia partenza intelligente.

Sull’intelligenza del partire di martedì il mio capo non sarebbe molto d’accordo, visto che gli altri colleghi non andranno in ferie prima di venerdì. Si ma loro non devono farsi 4 confini in 2 giorni. E siccome arrivo alla ex-frontiera con la Slovenia completamente da solo (non c’è neanche una pattuglia di polizia), mentre l’anno scorso, di venerdì sera, ho fatto ore di coda… non ho altro da aggiungere.
Sull’autostrada per Lubiana, deserta, spingo al massimo il camper. Il motore a benzinza/GPL girache è una meraviglia, veloce e silenzioso. È stato pesantemente revisionato prima della partenza. Filtri, distribuzione, candele, cavi candela, carburatore, spinterogeno, tutte le punterie compreso l’albero a camme, testata, guarnizioni varie. Il tempo che mi fanno perdere inutilmente alla frontiera con la Croazia, dove per la prima volta una funzionaria controlla l’interno del camper, non mi impedisce di superare Zagabria prima dell’una di notte. Pernotto nel parcheggio dei TIR in un’area di servizio qualche chilometro oltre la capitale croata.
km 712

mercoledì, 28 luglio 2010

Volendo ambiziosamente portarmi al confine con la Turchia entro sera, comincio a divorare strada prima delle 7, in compagnia della musica di Manu Chao.
Ecco i pochi eventi degni di nota di questa noiosa mattinata: -viaggio quasi sempre tra i 110 e i 120 km/h, vero miracolo per un camper a GPL -un benzinaio croato attacca discorso e indaga sul mio viaggio verso l’India, facendo
domande intelligenti sul percorso ma abbandonandosi alle più banali considerazioni delle quali mi sono già stancato da mesi: “il tempo che hai è poco; da solo ti annoierai; il Pakistan è pericoloso” un signore, presso un’area di servizio in Serbia, mi chiede di cambiargli 10 euro da monete a banconote. La stessa cosa mi era capitata tempo fa in Tunisia, solo che lì mi avevano fregato un 15%.

A proposito di Serbia, stavolta c’è una novità: la Carta Verde viene stranamente richiesta anche all’uscita. Mi viene in mente che chi non ha la Carta Verde in regola (ad esempio chi ha ancora la vecchia sigla YU al posto di SRB, o qualcosa del genere) tipicamente entra in Serbia mettendo 50 euro nel passaporto. Senza approfondire cosa penso di queste strategie, cioè che sono illegali, poco etiche e anche rischiose (se l’assicurazione non è valida, in caso d’incidente con responsabilità sono cavoli amari), mi chiedo quanti automobilisti/camperisti si mettono in viaggio verso Est senza controllare i propri documenti e poi si fanno fregare da questi deficienti, ignorando che con poco più di 50 euro potrebbero acquistare una polizza temporanea e regolarizzarsi. Il fatto che la Carta Verde mi sia stata chiesta anche in uscita, visto che sono per principio malizioso, mi fa pensare che la polizia serba stia tentando di fregare gli sprovveduti (cioè quelli che pagano tangenti di 50 euro per rimanere comunque senza assicurazione) anche all’uscita dal paese.

L’autostrada dal confine a Belgrado e da Belgrado a Nis costa in tutto 3220 RSD, circa 31 euro, che pago con carta di credito. Tra Belgrado e Nis diluvia.
Per entrare in Bulgaria ci metto solo mezz’ora, niente in confronto alle ore di attesa dell’anno scorso. Alla frontiera cambio 20 euro in LEV, ma poi perdo tempo a cercare lo sportello per l’acquisto del bollino autostradale, che è stato chiuso. Devo fermarmi alla prima stazione di servizio sulla strada principale per trovare un bollino settimanale (6 euro). Ho appena guadagnato un giorno d’anticipo sulla tabella di marcia. Poco oltre Sofia vengo sorpassato da una Peugeot 106 con targa spagnola che partecipa al Mongol Rally. Si tratta di un raid che parte ogni anno a luglio da varie città d’Europa; gli equipaggi, alla guida di auto di piccola cilindrata, cercano di raggiungere Ulan-Bator, capitale della Mongolia.È matematico che la Peugeot si fermerà al Mc Donald's pochi chilometri più avanti, dove io intendo cenare. E infatti, alla cassa incontro l’equipaggio e attacco subito discorso, spolverando il mio spagnolo che non parlo da un paio d’anni.


Kepa e Carlos: da Bilbao a Ulan-Bator con la Peugeot 106

Kepa e Carlos, 32 e 30 anni, entrambi ingegneri, sono partiti da Bilbao, hanno raggiunto Barcellona per il lancio ufficiale spagnolo del rally e poi Praga per il primo check point. Proseguiranno per Turchia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, Russia e Mongolia. Facciamo domande tecniche sui nostri mezzi, foto, scambio di biglietti da visita e di opinioni sulle possibilità di pernottamento in zona.
Mentre gli spagnoli si vogliono fermare al più presto in un motel per riposare, io voglio proseguire fino al Camping Sakar Hills, che si trova ad almeno 2 ore di strada da qui. Così faccio, continuando a guidare fino a Biser, a pochi chilometri dal confine turco, dove sorge questo campeggio molto noto a chi si reca abitualmente in Turchia via terra. Il gestore, alle 23, mi dà il benvenuto e mi invita a scegliere la piazzola. Ci sono solo 3 mezzi oltre al mio: due caravan e un fuoristrada attrezzato. La sosta costa come sempre 20 LEV (12 euro).
km oggi: 1.033 totali: 1.745

giovedì, 29 luglio 2010


Al Camping Sakar Hills c’è una coppia di inglesi di mezza età in sosta con la caravan. Si trovano in Bulgaria per cercare una casa da acquistare. Ma la vera sorpresa sono Laura (italiana) e Chris (tedesco), in giro con un vecchio fuoristrada attrezzato. Chris è in viaggio dal 1997, e ha visitato vari continenti. Anche se ho fretta, non posso fare a meno di condividere il mio itinerario con loro. Chris, da vero esperto di viaggi via terra, tralascia le banalità e fa subito considerazioni di carattere tecnico. Entusiasta per la mia idea di visitare il Ladakh, dice che sono fortunato ad avere un motore a benzina, visto che i diesel vanno incontro a problemi nei passi oltre i 5000 m. Ma aggiunge che anch’io potrei avere problemi: per mantenere il rendimento dovrò aumentare l’anticipo di accensione, ruotando lo spinterogeno fino a 15°. Non è difficile modificare l’anticipo del mio motore, basta allentare un dado e ruotare il corpo dello spinterogeno. Ma i 15° di anticipo mi lasciano perplesso perché sono tanti (di norma sarebbero 7°8°, con l'impianto GPL è stato portato a 10°-11°). Terrò comunque a mente il consiglio, nel caso dovessi riuscire a raggiungere il Ladakh.

Arrivo di corsa alla frontiera con la Turchia, dove la coda è bella lunga già sul lato bulgaro. Parlo con un camperista francese in viaggio con le due figlie: sta andando all’aeroporto di Istanbul aprendere la moglie. È diretto in Siria e Giordania, è abbastanza informato sulle destinazioni ma non sa molto sulle formalità burocratiche alle frontiere. Essendo stato l’anno scorso da quelle parti, gli do qualche informazione sulle varie tasse che dovrà pagare. Il motivo della coda è che il poliziotto bulgaro in uscita è un chiacchierone. Cerca di farsi regalare un CD di musica italiana. Gli faccio vedere le SD card dell’autoradio: “mi dispiace, ho solo MP3”. Che brutto lavorare in frontiera: con tutto l’impegno possibile, sai che ti passano davanti traffici di ogni tipo, e non ci puoi fare niente.

Sul lato turco le pratiche sono velocissime: solo timbratura del passaporto e registrazione del veicolo. Il tentativo, da parte dei funzionari che esaminano la carta di circolazione, di intavolare un discorso sui mondiali di calcio appena conclusi, viene da me stroncato sul nascere. Niente controllo della dogana e neanche della polizia, visto che il gabbiotto in uscita dall’area di frontiera è vuoto.

Metto l’orologio avanti di un’ora e all’ingresso dell’autostrada ricarico di circa 5 euro la tessera prepagata KGS che avevo acquistato l’anno scorso. Tra Edirne e Selimpasa faccio il primo scarico selvaggio dell'estate. Prima di pranzo passo il casello di Istanbul, il Ponte sul Bosforo… ed è subito Asia! Non nascondo la soddisfazione di aver raggiunto Istanbul via terra, partendo da Pisa, in meno di 48 ore.

In serata sono ad Ankara. Percorro tutta la tangenziale prima di arrivare all’uscita per la statale E88/D200 verso Kirikkale e Sivas. Avrei detto che c’è una strada più breve per evitare di girare tutto attorno ad Ankara, ma secondo i camionisti locali sarebbe meglio fare la tangenziale, cioè la strada che sto facendo io, seguendo le indicazioni per Samsun e, appena si presentano, quelle per Sorgun e Sivas. Ceno in un classico ristorantino turco per viaggiatori locali, uno di quelli da kebab+insalata+the dove nessuno parla una parola d’inglese. Proseguo fino a una bella area di servizio poco oltre Kirikkale, dove chiedo se posso fermarmi per la notte. Il benzinaio mi suggerisce la sosta davanti al ristorante, magari dopo aver ordinato un caffè. Io il caffè prima di andare a dormire non lo prendo mai, preferisco un gelato o qualcos’altro.
Ma…“Qui abbiamo solo il Nescafè.” E allora Nescafè. Che schifo, me lo bevo bollente e me ne vado a dormire con lo stomaco sottosopra.
km oggi: 856 totali: 2.601


Punto sosta nei pressi di un’area di servizio vicino a Kirikkale



venerdì, 30 luglio 2010

Partenza presto, con il sogno di superare Erzurum e arrivare al confine con l’Iran entro oggi. Ma la strada è difficile, con continue deviazioni e tratti sconnessi da fare a 10 km/h. Non parliamo del traffico di TIR. Per il pranzo scelgo un ristorante con parcheggio che si presenta molto bene. Si trova poco prima dell'ingresso di Sivas, sul lato destro. Ha un enorme giardino molto ben allestito con manufatti in legno, tipo carretti e casette sugli alberi. C'è anche un laghetto artificiale. Gli agnelli prima gironzolano tra i tavoli e poi vengono fatti arrosto (e non sono male).


Ristorante all'aperto a Siva

Impossibile andare oltre Erzurum, dove arrivo in tarda serata. E mi ritengo fortunato a raggiungere senza danni il centro della città: l’ingresso è infatti complicato, a causa di lavori in corso con varie deviazioni non segnalate, mancanza di illuminazione pubblica e pessimo vizio degli automobilisti di usare gli abbaglianti non curanti del disagio che creano a chi arriva in senso inverso. Il fatto di avere un riferimento per la sosta, cioè il parcheggio della Kale, mi suggerisce di fermarmi qui. Dopo aver preso uno svincolo contro mano e qualche parolaccia, chiedo a dei locali se è possibile sostare per la notte davanti alla Kale: non c’è nessun problema. Parcheggio quindi sotto il muro della Kale. Doccia e cena a base di pasta, poi dormo benissimo perché c’è fresco e silenzio.
km oggi: 787 totali: 3.388

sabato, 31 luglio 2010


Il parcheggio della Kale a Erzurum


Prima di rimettermi in viaggio verso Est, do una sbirciata all’esterno della Kale e alla piazza antistante, facendo qualche foto. Mentre esco da Erzurum, noto un parcheggio privato custodito. Credo che sia una possibile alternativa al parcheggio della Kale.

Fortunatamente la strada migliora, il traffico diminuisce e la guida è più rilassante. Ci sono vari posti di blocco dell’esercito, in cui però non vengo mai fermato. A metà mattina, inizio a scorgere la vetta innevata del Monte Ararat. All’ora di pranzo attraverso Dogubayazit, che mi da’ l’idea di un immondezzaio, fino ad arrivare alla strada per Ishak Pasa, in cui si trova il Lalezar Camping. Il campeggio è gestito da un olandese immigrato in Turchia da diversi anni, che mi riserva un posto per il pomeriggio, dato che il camping è completamente occupato da auto in sosta. Al ristorante del camping c’è infatti il tutto esaurito.

Ho un gran mal di pancia da ieri sera, e oggi mi è venuta anche la febbre, ma nonostante ciò riesco a guidare fino a Ishak Pasa e a fare belle foto al panorama. Vedo di sfuggita una Fiat Seicento del Mongol Rally che sale di corsa verso il Parasut Camping, ma non faccio in tempo a leggerne la targa. Mentre faccio il bucato, al Lalezar Camping arriva un fuoristrada attrezzato a camper con targa svizzera. L’equipaggio è formato da due ragazzi giovanissimi che stanno cercando di raggiungere la Mongolia (ma non fanno parte del Mongol Rally). Uno di loro, che si è fatto prestare il fuoristrada da un amico, effettuerà tutto il viaggio per una durata di 4 mesi circa. Il co-pilota invece cambierà ogni qualche settimana.

All’ora di cena, con sollievo, noto che non ho più né mal di pancia né febbre. Vorrei fare una lunga dormita, ma la musica fortissima che proviene dal bar/ristorante del campeggio sarebbe in grado di superare sia i tappi auricolari in gommapiuma, sia le cuffie anti-rumore (che hanno attenuazione di 22 dB). Visto che mi sento bene, mi vesto distintamente per fare una passeggiata e vedere un po’ quello che succede in zona. Nell’aprire la porta mi accorgo che il parcheggio (cioè il camping) è completamente pieno di auto in sosta e c’è un gran movimento di gente. Vado a chiedere informazioni al gestore del camping, che sta parlando con i ragazzi svizzeri, mettendola sul tono del “se mi fermo in un campeggio è perché prima di tutto voglio riposare”. La spiegazione è semplice: “E’ in programma un matrimonio curdo e siete tutti invitati”.

Ho un attimo di disorientamento. Dio buono! (anzi, Allah buono!) Non mi ero accorto di essere in Kurdistan. Questo spiega i posti di blocco dell’esercito sulla strada. Dopo essermi ripreso dalla sorpresa, e anche dall’imbarazzo di non aver saputo di essere nella regione curda, mi lancio verso l’assembramento di persone in attesa degli sposi. Senza dare troppo nell’occhio, fingo di aspettare anch’io con impazienza. In realtà ne approfitto per dare discretamente un’occhiata e cercare di capire come si configura un matrimonio curdo. Innanzitutto, le donne stanno sedute al centro dell’area (direi del locale, ma siamo all’aperto), lontane dai maschi. L’unica eccezione in quella zona sono i bambini e qualche adulto che tiene in braccio un neonato, per dare il cambio alla moglie.

Gli altri uomini ronzano attorno alle donne, ma si tengono a distanza di alcuni metri. In un’auto di grossa cilindrata, bardata col nastro, eccetera, come si usa fare da noi, arrivano gli sposi. Iniziano i fuochi d’artificio in più punti, sia da dentro che dall’esterno del camping. In una collina si scatenano vari principi d’incendio che vengono prontamente spenti. Il vento e il fatto che l’aria sia secca (come del resto la vegetazione), non preoccupa affatto nessuno e anche i bambini partecipano allegramente allo spegnimento di quello che potrebbe assumere facilmente le dimensioni di un rogo. Intanto guardo perplesso la posizione del camper: stretto tra decine di auto, in caso d’incendio nel camping sarebbe impossibile salvarlo.

La cerimonia prosegue con danze varie, e io non capisco se e quando il tutto culminerà con qualche rito che segna ufficialmente l’unione. Se lo chiedono anche i due ragazzi svizzeri. Il tempo passa, e finalmente maschi e femmine partecipano ai balli insieme (senza distanza di sicurezza), ma del rito del matrimonio come lo intendo io non c’è traccia. Si noti, inoltre, che non viene fatto uso di alcool, dimostrazione di come ci si può divertire senza ubriacarsi. Comunque alla fine mi aspetterei qualcosa tipo la dichiarazione di marito e moglie. Invece gli sposi si siedono in una specie altare decorato, qualcuno si avvicina a parlargli e la gente comincia a tornarsene a casa. Io torno al camper felice di aver assistito a un matrimonio curdo (in Kurdistan!) e felice di andare a letto prima di mezzanotte.
km oggi: 292 totali: 3.680

domenica, 1 agosto 2010

Sveglia molto presto perché voglio arrivare al più presto possibile alla frontiera iraniana, e prima di partire devo pure caricare l’acqua. La sosta al camping è costata circa 5 euro. Appena esco dal Lalezar Camping, incrocio una Fiat Bravo con targa italiana che partecipa al Mongol Rally. I ragazzi sono partiti da Brescia e, dopo una passeggiata a Ishak Pasa, si dirigeranno anche loro verso la frontiera iraniana.


Equipaggio italiano del Mongol Rally a Dogubayazit

La frontiera è a qualche decina di km dal camping e la raggiungo in tre quarti d’ora perché la strada è buona. Supero la colonna chilometrica di TIR e mi infilo nel lato turco del confine. Domande di rito da parte dei militari turchi: motivo del viaggio, provenienza, itinerario. E anche domande che non centrano niente: “Quanto costa questo camper?”, “Mi regali quella torcia a led?”.

In coda c’è una Suzuki del Mongol Rally con targa inglese. A bordo due inglesi e un italiano, che si sono appena fatti fregare da uno “squalo” cambiavalute iraniano che a quanto pare sconfina a suo piacimento tra i due paesi. Ne approfitto e mi faccio fregare anch’io, ma cambio solo le 130 lire turche che mi sono avanzate (circa 70 euro) in Rial iraniani. Nonostante le insistenze, evito di cambiare altri euro o dollari presso questo individuo: mi fermerò a Bazargan per cercare una banca e avere un cambio ufficiale.

In uscita dalla Turchia mi prendo un arrabbiatura con un tizio che dice di lavorare per la dogana e vuole vedere il mio Carnet. Gli dico che prima di tutto dovrebbe farsi riconoscere con un distintivo o almeno una tessera, e poi che il Carnet non l’ho esibito all’ingresso in Turchia e non ho intenzione di esibirlo in uscita. Cerco di spiegargli che lui può anche essere un ufficiale, ma non ha nessuna autorità per richiedermi un documento che in Turchia non è mai stato e non è obbligatorio.
Il tizio si arrabbia più di me e mi ordina di dargli il Carnet, che naturalmente non ho nessuna intenzione di dargli. Per uscire da questa situazione che sta per degenerare, suono il clacson finché non attiro l’attenzione di un funzionario in divisa che finalmente si degna di darmi udienza.

Chiedo: “Chi è questo signore e perché vuole vedere il mio Carnet?”. E il funzionario: “Ah, sì, dovremmo vedere il Carnet”. Io: “Ma chi è questo signore?” Funzionario: “Ah, lui è di qui”. (ma che risposta è?) Io: “Perché dovete vedere il Carnet?” Funzionario: “Bisogna che prendiamo nota”. Io: “Vi rendete conto che il Carnet è un documento importante e che io non posso darlo alla prima persona che me lo chiede, vero?” Funzionario: “Sì”. Io: “E poi, scusate, perché dovete registrare il Carnet se io a Edirne non ho avuto nessun timbro?”. Tutto inutile, loro devono vedere il Carnet, altrimenti non sono contenti e io non passo. Lo guardano, vedono che è nuovo, e non registrano un bel niente! Lasciando perdere il Carnet e la registrazione, il problema di fondo rimane che in Turchia c’è la moda dei funzionari in borghese: non si capisce che ruolo abbiano e possono essere scambiati per bagarini. Basterebbe una divisa, o anche solo una tessera di riconoscimento, per evitare buffonate come quella in cui mi sono appena trovato.

Il lato iraniano è il “vero collo di bottiglia” della frontiera, in quanto le formalità qui sono maggiori, ed è più affollato. Gli iraniani mi fanno parcheggiare il camper, e dopo aver esaminato il Carnet mi affidano a unfunzionario dell’immigrazione che, in pratica, mi interroga. È un vero piacere dialogare con uno che parla bene l’inglese. Alla fine della conversazione (che consiste nel raccontare il mio lavoro in Italia, l’itinerario e il motivo del viaggio), vengo invitato a fare domande per chiarire qualunque dubbio possa avere sull’Iran. “Ah, io ne ho due di dubbi!”, faccio. E il funzionario, sorpreso, chissà che domande si aspetta. “Il primo è sull’assicurazione RCA: qui la Carta Verde europea è accettata?” Risponde “Sì se c’è la sigla dell’Iran”. “Fantastico, nella mia c’è scritto Repubblica Islamica dell’Iran.” Ho una rogna in meno. “Il secondo è sulla benzina: è vero che devo procurarmi la tessera?”. “No, in uscita dalla frontiera dovrà mostrare il Carnet e compilare un modulo. Alle stazioni di servizio le venderanno la benzina a prezzo pieno, utilizzando una loro tessera. Spero che il suo veicolo non sia diesel, altrimenti dovrà pagare una pesante tassa”.

Davanti allo sportello “immigration” c’è una fila di una ventina di persone. Il funzionario mi fa praticamente saltare la coda (compresi i ragazzi del Mongol Rally). Alla dogana, un ragazzo si offre di aiutarmi. Praticamente mi prende i documenti e li passa ai funzionari della dogana con cui si mette a confabulare.
Ciò che succede nel quarto d’ora successivo è… assolutamente niente di rilevante: me ne sto seduto nel camper, ogni tanto qualcuno in divisa viene a dare un’occhiata (più che altro per curiosità riguardo al camper) e mi fa domande generiche sulla tipologia degli oggetti contenuti a bordo. Parto verso l’uscita dalla frontiera, con il ragazzo-faccendiere a bordo, il Carnet e il passaporto già timbrati, e nessuno ha nemmeno guardato l’interno del camper. Notevole. L’ultima procedura consiste nel pagare 50 euro di tassa sulla benzina (per i diesel sarebbe molto più alta) e nel consegnare il biglietto ottenuto nell’ufficio dei carburanti alla guardia in uscita.

“Welcome to Iran”. Il faccendiere mi chiede una mancia per l’aiuto che mi ha dato.
Onestamente, considerato che ho fatto la frontiera Turchia-Iran (che ho sentito definire come un incubo da altri viaggiatori) in solo un’ora e mezza e senza perquisizioni del camper, mi posso definire soddisfatto. Cerco una banconota in euro di piccolo taglio; trovo 20 euro e glieli do. Metto l’orologio avanti di un’ora e mezza.
È arrivato il momento di fare il pieno di benzina a buon prezzo, e di smentire la L. Planet sul costo per gli stranieri: non è di 6000 Rial al litro, ma bensì di 4000 (circa 0,36 euro). Per gli iraniani il prezzo è invece di 1000 Rial al litro, almeno per un certo numero di litri al mese (o all’anno, non ricordo). Superato tale limite, si applica anche per loro il prezzo di 4000 Rial al litro.

L’unico problema che ho nel fare il pieno è legato al prezzo finale: mi viene comunicato non in Rial, ma in Toman. Avevo letto nella L. Planet qualcosa sull’uso del “Toman”, ma non ci avevo dato troppo peso. Mi faccio scrivere il prezzo in Rial su un pezzo di carta e pago, con estremo piacere, meno di 20 euro. Chiedo indicazioni per una banca, ma purtroppo a Bazargan non ce ne sono: devo andare a Maku. Nessun problema, Maku è sulla strada e in teoria avrebbe anche delle attrazioni turistiche. La strada statale iraniana è buona; le indicazioni sono frequenti e sono scritte sia in Farsi che in inglese.

A Maku però non è facile trovare il centro, perché non capisco dove inizia e dove finisce la città, e non ci sono indicazioni esplicite per la zona commerciale. Trovato con fatica il centro, non devo fare altro che passare da una banca all’altra alla ricerca di uno sportello per il cambio di valuta straniera. Anche la Melli Bank si rifiuta di cambiare gli euro. Il quinto tentativo va a buon fine, e vengo invitato dalla impiegata ad accomodarmi presso la sua scrivania. Le procedure di cambio sono più simili a quelle di richiesta di un mutuo. Fotocopie di varie pagine del passaporto, compilazione di moduli e tante firme. Dopo mezz’ora, i miei 250 euro sono diventati un pacco di Rial (o di Toman?) che dovrebbero bastarmi per alimentare il motore del camper fino al confine pakistano e ovviamente per alimentare me.

Il tempo che ho perso per cercare la banca e cambiare i soldi (più di un’ora in tutto), mi suggerisce stasera di non andare oltre Tabriz, che dista circa 300 km, e di fermarmi lì per la notte. Peraltro so che si può campeggiare presso il Parco Elgoli, ho la cartina della città nella L. Planet e dovrei arrivare prima che faccia buio. All’uscita di Maku incontro l’equipaggio italo-inglese del Mongol Rally con la Suzuki. Loro faranno un giro in zona per visitare alcuni reperti archeologici.

Proseguo sulla strada statale, che diventa presto una bellissima autostrada, verso Tabriz. I caselli sono sporadici, si paga in contanti, e talvolta i casellanti mi fanno passare senza pagare, per simpatia. Arrivo a Tabriz nel pomeriggio, e necessito di un’ora buona per trovare la strada fino al Parco Elgoli. Naturalmente avevo sbagliato: avevo preso l’uscita autostradale per il centro della città. Dovevo invece proseguire sull’autostrada verso Teheran per molti chilometri, in quanto il Parco si trova all’estrema periferia sud di Tabriz (quasi fuori città).
Le indicazioni stradali poi fanno ridere:sono delle scritte minuscole collocate immediatamente sopra agli incroci. È impossibile leggerle prima di trovarsi al centro dell’incrocio, quindi è improbabile riuscire a prendere la direzione giusta.

Fortunatamente posso contare sulla estrema gentilezza degli iraniani, che mi spiegano la strada verso questo parco, famosissimo luogo di ritrovo per i locali. Riprendo l’autostrada verso Sud, e finalmente trovo le indicazioni per il parco. Nella mia stessa direzione, un flusso di auto stipate di persone e di bagagli, con tavolini fissati in maniera improbabile al portapacchi, mi sorpassano di fretta. Sono gli iraniani, che con le loro utilitarie corrono a campeggiare all’Elgoli Park. Sembrano gli italiani degli anni ’70. E fanno degli incidenti da paura.
All’ingresso del Parco Elgoli si paga un biglietto (anzi, a me ne fanno pagare due, per un totale di 0,80 euro). Per scrupolo chiedo se è possibile campeggiare, e mi viene risposto di sì. Non mi rimane che cercare un posto per sostare, e la cosa è facile visto che di spazio ce n’è in abbondanza. Ma la gente arriva in continuazione, e presto sono circondato da auto, tende montate dappertutto e intere famiglie che si spargono su ogni metro quadro di prato e di marciapiede.


Sosta-campeggio presso il Parco Elgoli di Tabriz

Prima di cena vorrei trovare un Internet Point. Non mi connetto dal giorno della partenza. Chiedo ai miei vicini di piazzola, che chiamano subito il capo famiglia perché parla inglese. In Iran l’inglese non è molto diffuso, ma è parlato di più che in Turchia.
Il gentile signore mi raccomanda di andare verso il centro del quartiere, dove si trovano vari Internet Point. Appena esco dal parco chiedo informazioni a dei giovani che stanno mangiando della roba cotta al barbecue presso un chiosco. Questi mi guardano incantati come se arrivassi da un altro mondo.

Dopo le domande che ormai ho imparato sono assolutamente immancabili in questi casi (“da dove vieni”, “che lavoro fai”, “perché ti trovi in Iran”, …) si offrono di darmi un passaggio. La zona degli Internet Point non è lontana, sarà a 5 minuti di camminata, ma non c’è verso di andare a piedi perché sono praticamente obbligato ad accettare il loro passaggio, dato che continuano a ripetere che sono un ospite. Arrivato all’Internet Point ringrazio e saluto, ma questi dicono che mi aspetteranno e mi daranno un passaggio anche per tornare al parco. Intanto, mentre navigo in rete, tra siti bloccati dal governo (es.: Facebook), con una connessione lentissima, i ragazzi mi stanno alle spalle e mi scrutano. Poi mi danno un passaggio fino al parco, dove ci scambiamo le email e ci salutiamo. Uno di questi, Vahid, mi ha effettivamente contattato per email alcune settimane dopo.

Tornato al Parco Elgoli, mangio la pizza in un fast food. Il locale è quasi vuoto perché la maggior parte delle famiglie cucinano per conto proprio e mangiano per terra davanti alle loro tende.
Al momento di pagare il conto, ecco che mi dicono dinuovo il prezzo in Toman e non in Rial. Chiedo quanti c...o di Rial devo pagare, ma non c'è verso di farmelo dire. Quelli non vogliono pronunciare il prezzo in Rial. Lo scrivono quindi sulla calcolatrice.
Faccio un bel giro nel Parco Elgoli fino a perdermi. Il parco è enorme e affollato da famiglie che campeggiano o che passeggiano mentre i bambini mangiano gelati e altre schifezze delle bancarelle. Molti sono i ragazzini con la maglietta azzurra dell'Italia. C'è un'atmosfera di sobria felicità.

E adesso mi devo togliere un sassolino dalla scarpa. Recentemente ho visto che in una notatrasmissione dedicata ai viaggi si parlava di Iran. È venuto fuori un discorso tipo: “In Iran sembra che ci sia serenità. E' una tattica del regime per far sembrare a chi arriva dall'esterno che le cose vanno bene.” Naturalmente il discorso l'ha iniziato la conduttrice, che secondo me non è neanche mai stata in Iran. E non mi sarei potuto aspettare diversamente da una che collabora, suo malgrado, con quelli che fanno la disinformazione in Italia.

Io di politica iraniana non ne so niente e non me ne frega niente, e per questo non mi metto ad argomentare su cose che non so. Una cosa la so, e cioè che non sono qui per beneficienza ma sono solo di passaggio e mi limito a descrivere quello che vedo. Posso permettermi di dire cosa penso (e ci mancherebbe, questo è il MIO resoconto) su quello che vedo e tocco con mano, il resto lo lascio alla fantasia del lettore. Sperando che il lettore non spacci come verità assoluta quanto possa immaginarsi sull'Iran leggendo questo resoconto. La differenza tra quello che si legge qui e quello che dicono in televisione è che io scrivo dopo essermi almeno degnato di prendere contatto con la popolazione. I cronisti, invece, cosa fanno?

Rilanciano notizie lette da un'agenzia italiana, che riprende un'agenzia straniera, la quale riferisce la dichiarazione di un'associazione di “esuli” con sede in un paese terzo. Tutto il mio rispetto va a coloro che, perseguitati nel proprio paese, fuggono all'estero. Ma non per questo devo bere tutto quello che gli esuli, dalla Svizzera o da Londra, raccontano sul proprio paese. Cioè, non è che devo credere a priori a quello che riferisce un tizio, il quale potrebbe anche essere scappato dal suo paese perché perseguito dalla giustizia per reati convenzionali come corruzione o simili. Dall'idea che mi sono fatto, i veri problemi dell'Iran sono la crisi economica e l'approvvigionamento energetico.

Uno dei maggiori motivi per cui il popolo odia il governo è l'enorme aumento del prezzo della benzina che c'è stato negli anni precedenti. Non ho raccolto elementi a sufficienza per poter affermare se in Iran c'è o non c'è repressione. Da quello che ho visto, direi di no. E non mi si venga a dire che quello che ho visto è un teatrino allestito dal governo per incantare i turisti, giacché di turisti ce ne sono ben pochi.
Continuo a passeggiare per il parco, e da una certa direzione sento un gran rumore. Forse c'è l'autoscontro... No, è la fine del parco e c'è la strada. Allora è giusto, c'è l'autoscontro.

Prima di andare a dormire, voglio scambiare due parole con i vicini di “piazzola”. Uso la curiosità sulla differenza tra Rial e Toman come scusa per attaccare discorso. “Scusa, com'è che ho pagato il rifornimento in Toman, l'Internet in Rial e la pizza dinuovo in Toman?” “Il fatto è che ci viene male pronunciare Rial. Preferiamo dire Toman e in genere diamo il prezzo in Toman.” Spiegazione chiarissima.
Il Parco Elgoli è frequentato, oltre che dai campeggiatori, anche da moto e auto che lo attraversano senza particolari finalità, ma solo perché le persone vogliono farsi un giro. Ne consegue che il rumore e lo smog sono elevati fino all'ora in cui la gente inizia a tornarsene a casa, cioè mezzanotte.
km oggi: 341 totali: 4.021

lunedì, 2 agosto 2010

Parto presto perché voglio evitare il traffico in uscita dalla città e perché mi aspetta una lunga giornata di guida fino a Isfahan. Siccome non riesco a raggiungere l’autostrada per Teheran, mi fermo per cercare qualcuno che mi possa dare un suggerimento. Il suggerimento invece viene dritto da me: un signore in auto si ferma, scende e mi parla in italiano: “Ho visto l'adesivo della bandiera italiana! Benvenuto in Iran!”. Si tratta di un iraniano che ha vissuto in Italia per molto tempo, e quindi conosce la lingua.

Mi fa strada fino all’uscita per Teheran, e penso che sarebbe stato molto difficile trovare da solo il percorso, visto che non ci sono indicazioni. Al primo distributore mi fermo per fare il pieno. Dopo venti minuti di attesa nella coda che arriva fino all’autostrada, chiedo a chi mi sta davanti se si tratta della fila per la benzina. “No, è la fila per il metano.”, risponde un tassista. Il CNG (Compressed Natural Gas), a quanto pare, rappresenta il modo più semplice di aggirare il razionamento della benzina. Avanzando verso la pompa della benzina vedo che ci sono addirittura una decina di pompe di metano.

Pago meno di 25 euro per il pieno. La benzina è economica, ma mi accorgo presto che è di pessima qualità. Ha un potere bassissimo, direi che non arriva neanche a 90 ottani. Me accorgo perché l’accelerazione è scarsa e la messa in moto è difficile. Mi era capitato in Siria e Giordania di usare benzina a 90 ottani, perché quella a 92 non era sempre disponibile e quella a 95 assolutamente introvabile, ma questa iraniana è peggio. Inoltre puzza terribilmente. L’autostrada è molto buona ed è tenuta sotto controllo dalle pattuglie di polizia: un autovelox mediamente ogni 20 km, e le multe le fanno davvero.
Un'altra cosa curiosa, novità assoluta per me, sono i punti di pronto soccorso dislocati uniformemente lungo l'autostrada. Mi pare siano della mezzaluna rossa. Il pranzo è velocissimo, perché devo riprendere al più presto la strada per Isfahan, dove so già che arriverò a notte fonda. Sulla strada vengo sorpassato da un fuoristrada carico di giovani che mi scrutano e mi chiedono preoccupati da che paese vengo. Avranno scambiato la “I” per la sigla di Israele. Quando sentono Italia si tranquillizzano: “Bene, benvenuto!”.

L’autostrada passa per la metropoli Teheran, un incubo che si materializza quando scopro che non riesco ad evitare l’area urbana. Odio guidare nelle grandi città, specialmente quando fa caldo. L’aspetto più odioso è che non vedo indicazioni per l’autostrada verso Qom e Isfahan. Così, chiedo indicazioni a dei locali, che dimostrano ancora una volta la loro infinita disponibilità. Un ragazzo si offre di farmi strada con la sua auto, dopo avermi garantito che non troverò neanche un cartello per l’autostrada. Teheran è trafficata e caotica, ma ho visto di peggio. Seguo l'auto del gentilissimo ragazzo che mi sta facendo strada, una delle migliaia di Peugeot 206 bianche di Teheran. Per non perderla di vista il trucco di leggere la targa non va bene: la targa è scritta in farsi (che non è arabo, è peggio). Gli devo stare incollato.

Arrivato all'ingresso dell'autostrada, com'era già capitato, non mi fanno pagare il casello.
Per la cena mi fermo in un’area di servizio. Anche se è segnalata la presenza di un ristorante, in realtà c’è solo un mediocre fast-food, tra l’altro sprovvisto di insalata. Mangio un cheese-burger e delle patatine fritte. Proseguo il viaggio, mentre cala la notte. L’autostrada da Tabriz a Isfahan costa in tutto circa 3 euro. Arrivo a Isfahan intorno alla mezzanotte. La città è ben illuminata e deserta, ma ho difficoltà nel trovare il Ghadir Park perché non riesco a individuare la mia posizione nella mappa della L. Planet.

Dunque chiedo informazioni e mi faccio guidare da un iraniano con la moto fino al Ghadir Park. Lascio una mancia di quasi 5 euro perché il motociclista mi ha davvero tolto dai casini.
Il Ghadir Park di Isfahan, a prima vista, è analogo al Elgoli Park di Tabriz: rappresenta un famosissimo luogo ritrovo per i campeggiatori della zona. Essendo arrivato tardi, non trovo posto all’interno del parco, e quindi mi devo accontentare del parcheggio vicino all’ingresso, di fronte ai bagni pubblici. Un punto un po’ rumoroso perché è vicino alla strada principale. All’ingresso mi viene consegnata una tessera che userò domani per il pagamento.
km oggi: 1.067 totali: 5.088

martedì, 3 agosto 2010

Il carico dell’acqua è quasi impossibile perché non ci sono tubi di gomma e i rubinetti hanno il pulsante. Mi accontento di riempire una tanica di riserva.
Mentre chiedo informazioni sulla strada verso Imam Square, che ha reso celebre Isfahan, attiro l’attenzione di due giovani del posto. Questi, prima di tutto pagano la mia sosta (quindi non so neanche quanto fosse il prezzo), poi si offrono di accompagnarmi fino al ponte Si-o-Seh, che si trova nella zona di piazza Imam. A quel punto non dovrebbe essere difficile per me raggiungere la piazza. Ottimo. In pochi minuti si arriva al ponte e si parcheggia in divieto di sosta come fanno tutti. Fa caldo.

I ragazzi che mi hanno accompagnato al ponte dicono che devono tornare dalle loro famiglie e se ne vanno, non prima di avermi sommerso di domande.
Continuo il mio giro nella città che gli iraniani amano chiamare “la metà del mondo”, nel senso che vedere Isfahan è come vedere mezzo mondo. Faccio tappa presso un Internet Point per dare un’occhiata alle e-mail. Ho ricevuto messaggi di persone che mi chiedono se per caso ho rinviato la partenza perché vorrebbero partecipare al viaggio. Ho pubblicato gli annunci 6 mesi fa! Questi nel frattempo che facevano… dormivano?
Mi reco poi nella piazza Imam, che dista un quarto d’ora di cammino. Lì faccio foto e compro una maglietta di Isfahan.


La piazza Imam di Isfahan

L’idea che mi sono fatto di Isfahan è di una città trafficata e caotica. I ciclomotori passano veloci nei marciapiedi (stretti e sconnessi), sbattendosene dei pedoni. L’aria è pesantemente inquinata.
Mentre rientro al camper compro della frutta a un prezzo sproporzionato (che però poi si rivelerà gustosa) e poi mi divincolo nel traffico fino all’autostrada verso Yazd e Kerman.
Le pause di questa sera sono solo per mangiare e per i rifornimenti. Vengo fermato a un posto di blocco, dove la polizia sta facendo sfilze di multe per eccesso di velocità. Non capisco perché mi fanno perdere tempo, dato che non posso aver superato i 120. Infatti poi si accontentano di prendermi il numero di patente.

In serata mi fermo in un’area di servizio (con ristorante, secondo l’insegna), circa 250 km prima di Kerman. Ci sono vari individui che indossano l’abito arabo. Mi sto infatti avvicinando al sud dell’Iran, in cui gli arabi sono più presenti che nel resto del paese, data la vicinanza con il regno saudita e i paesi limitrofi. Basti pensare che la città di Bandar-e-Abbas è collegata da traghetti regolari con gli Emirati Arabi. Vorrei fare una cena completa, ma l’unica rivendita di cibo è un fast-food (più squallido di quello di ieri), che non suggerisce un livello di igiene soddisfacente. Per essere chiaro, se avessi famiglia non la farei mangiare qui neanche se mi pagassero. L’unico altro cliente è un ragazzino arabo che mangia un panino accovacciato su una specie di branda. Prima ancora di poter ordinare la cena, l’arabo mi chiede da che paese vengo. Io: “Italia”. Arabo: “L’Italia ha appoggiato la guerra in Afghanistan insieme a Stati Uniti e Spagna.”, e agita il dito indice come fanno gli ayatollah e i mullah quando predicano con fervore. Io: “Mi dispiace”.

Questo tipo comunque fa un po’ di confusione tra le guerre. L’Italia infatti ha appoggiato, insieme alla Spagna (e ad altri), l’attacco all’Iraq. La guerra all’Afghanistan fu invece appoggiata da decine di paesi (e l’Italia non partecipò direttamente). Attualmente in Afghanistan c’è l’ISAF, che fa capo alla NATO. Comunque non faccio in tempo ad aggiungere altro perché l’arabo butta in terra mezzo panino, mi volta le spalle e se ne va’. Pessimo segnale. Il ristoratore invece non sembra curarsi della scena e mi propone gentilmente l’unica opzione per la cena: panino con sottaceti. Spendo 1 euro per panino e aranciata. Visto che voglio tenere sotto controllo la situazione dell’area, in particolare la posizione del piccolo Bin Laden e dei suoi eventuali amici, facciamo che il panino me lo mangio nel camper. Facciamo anche che mi siedo al posto di guida, pronto a partire.

Osservo l’area di servizio, che è in condizioni penose. Spazzatura a parte, per muoversi in sicurezza la gente deve saltare rivoli di liquami che non si capisce da dove provengano (e forse è meglio così). Arrivo a Kerman che è veramente tardi. Mi consola sapere che l’hotel con parcheggio in cui mi fermerò, cioè l’Akhavan Hotel, segnalato dalla L. Planet, si trova nel viale in cui sfocia l’autostrada. Purtroppo scopro subito, parlando con dei giovani del posto, che l’hotel è nell’altro lato della strada la quale non può essere attraversata a causa dello spartitraffico. Inoltre non è facile individuarlo in quanto non è ben segnalato. Parcheggio nel cortile davanti all’ingresso. L’impiegato alla reception mi conferma che l’albergo offre possibilità di campeggiare in giardino. Il prezzo verrà concordato domani.

L’area di campeggio si trova nel retro dell’hotel, vi si accede da un’altra strada, ed è molto spaziosa. (direi che ci possono stare anche 10 camper). Inoltre è silenziosa perché è lontana dalla strada a scorrimento veloce.
km oggi: 690 totali: 5.778

mercoledì, 4 agosto 2010

Riempio una tanica da un rubinetto malandato da cui esce solo un filo d’acqua. Ci sarebbe anche un tubo di gomma per riempire il serbatoio, ma la pressione è talmente bassa che quando lo sollevo il flusso diminuisce ulteriormente. Prima di lasciare l’Akhavan Hotel devo comunicare alla reception quale sarà la mia prossima destinazione. Dichiaro che sono diretto a Mirjaveh, al confine con il Pakistan. “Non c’è possibilità di pernottamento a Mirjaveh”, dice l’impiegato con poca gentilezza. Ricambio con molta meno gentilezza: “E invece sì. C’è il Tourist Inn gestito dal governo, e ha pure il parcheggio interno. In ogni caso io viaggio in camper, quindi mi posso fermare dove mi pare.” Quindi parto verso Sud-Est, sperando di arrivare vicino alla frontiera pakistana entro oggi.

La strada tra Kerman e Bam sarebbe leggermente a rischio sequestri, secondo la L. Planet. Fuori Kerman le indicazioni per Bam non sono chiarissime, così do un passaggio a un signore che trasporta un sacco e ne approfitto per chiedere informazioni. La direzione che ho preso non è quella migliore, perché ho saltato l’ultimo pezzo di autostrada, ma va bene lo stesso perché porta si ricongiunge con Mahan. Il signore, per ringraziarmi del passaggio, quando arriva a destinazione va in un bar e mi compra una bottiglia di cola.

Sono di buon umore, sono in anticipo di un giorno pieno sulla tabella di marcia. Ma sta iniziando la parte critica dell’itinerario: Bam è sempre più vicina e io sono già nel pieno del famigerato Sistan-Beluchistan. Bam si troverebbe in una zona a rischio, soprattutto per gli stranieri (fonte: L. Planet, sito della Farnesina). Prima e dopo l’ingresso in città, mantengo elevato il livello di attenzione. Cerco di raggiungere l’Akbar Tourist Guest House, segnalato dalla L. Planet come un tipico ritrovo di turisti che viaggiano da/per il Pakistan con i loro veicoli. Vorrei infatti viaggiare in gruppo, e per 1 euro mi faccio guidare da un taxi fino all’ingresso dell’hotel, allontanandomi dall’assembramento di persone che si sta formando vicino al camper.

Nell’hotel c’è solo un dipendente, mentre il proprietario è fuori. Il dipendente non parla inglese, ma chiama il proprietario al telefono e me lo passa. Spiego che sono in viaggio verso il Pakistan, e chiedo se per caso c’è in zona qualche turista diretto in Pakistan via terra. Il proprietario dice che gli ultimi turisti sono partiti per Mirjaveh due giorni fa: una famiglia tedesca in auto e un motociclista inglese. Il motociclista è Mike, un inglese che sta facendo il giro del mondo e con cui sono incontatto via email da un mese. È partito una settimana prima di me e ha seguito lo stesso itinerario. Sto per raggiungerlo.

Secondo quanto mi dice il proprietario dell’hotel al telefono, tra Bam e Mirjaveh non sarei obbligato a viaggiare con la scorta. Rispondo dunque che dopo pranzo partirò, da solo, per il confine.
Torno nel camper e faccio uno spuntino. Mentre mangio una mela, sento qualcuno che pronuncia al telefono quella che sembra la targa del mio camper. Penso subito a un contrabbandiere che vuole nascondere qualcosa nel camper per passare il confine. Apro la porta della cellula con mezza mela in mano e trovo un signore che mi chiede come mi chiamo. Io: “Giuseppe, piacere.” Signore: “Quando vuoi partire?”. Io: “Per dove?”. Signore: “Per il Pakistan!”
Boia, che domande faccio, dove si può andare il 4 agosto con mezza mela in mano? In Pakistan, ovviamente.
Io: “Appena finisco di mangiare questa mela, cioè adesso”.

La situazione è questa: il signore si chiama Akbar, è il proprietario dell’omonimo albergo ed è rientrato di fretta per assistermi nella preparazione del viaggio verso Mirjaveh. Ha chiamato la polizia e ha già comunicato i dati del camper e le mie intenzioni di raggiungere Mirjaveh al più presto. Tra mezz’ora la polizia sarà qui per scortarmi.
Mentre attendo la polizia, faccio una chiacchierata col sig. Akbar. È un tipo sulla sessantina, insegnante di scuola primaria in pensione, che ne deve aver visto delle belle quando ci fu il terremoto del 2003 che distrusse Bam. Attacco subito discorso in quella direzione, domandando (retoricamente) se l’albergo abbia subito danni durante il terremoto. “Eccome, fu raso al suolo! Non c’era rimasto un muro integro. Tutto quello che vedi è stato ricostruito”, dice. Osservo che c’è un parcheggio interno, senza ostacoli rilevanti, che potrebbe accogliere almeno un camper. Il sig. Akbar mi conferma che è possibile campeggiare con veicoli ricreazionali. Poi mi offre una tazza di the e continua: “Qui a Bam tutti abbiamo avuto dei morti tra parenti e amici. Ma per fortuna la ricostruzione è iniziata subito e va sempre avanti”.

Sposto la conversazione sulle condizioni di sicurezza del Sistan-Beluchistan, in particolare della strada verso il Pakistan: “La strada per Zahedan e Mirjaveh è sicura?” “Ma certo, a parte i noti traffici, non c’è nessun problema neanche per gli stranieri!”
I “noti traffici” sarebbero quelli di droga e di merce di contrabbando.
Rispondo “Ma allora perché mi viene appioppata la scorta?”. E lui: “Per eccesso di prudenza, perché la polizia iraniana desidera supportare gli stranieri in questa zona. Secondo te, se ci fosse anche il minimo rischio, ti permetterebbero di accedere al Sistan-Beluchistan? È solo che ogni volta che capita un piccolo inconveniente in questa zona, l’Iran finisce sulle prime pagine della stampa internazionale.”

Chissà se per “piccolo inconveniente” intende il rapimento di un turista giapponese a Bam nel 2005, oppure quello di due turisti belgi che andavano in Pakistan in auto nel 2007.
Concludo la piacevole conversazione offrendo una piccola mancia al sig. Akbar, per l’ospitalità e per l’aiuto che mi ha dato nel contattare la polizia. La mancia sarebbe il mio “backsheesh”.
Lui mi dice: “Grazie, accetto, ma ultimamente a Bam abbiamo avuto molti backsheesh, soprattutto dagli europei.” Si riferisce agli aiuti per la ricostruzione del dopo-terremoto.

Arriva la polizia, e inizio il viaggio verso Zahedan.
Sulla strada, la pattuglia di scorta si da il cambio mediamente ogni 20-30 km. Durante una sosta, un camionista si avvicina e si mette a parlare italiano. Ha visto la targa del camper e mi chiede se per caso sono di Varese. Racconta che, fino a qualche anno fa, trasportava regolarmente tra Italia e Afghanistan: caricava a Milano e a Roma, si imbarcava a Bari e attraversava Grecia, Turchia, Iran. Lui è uno di quegli autisti fortunati che sono sopravvissuti agli attentati e ai bombardamenti in Afghanistan. Gli chiedo com’è la situazione di sicurezza da queste parti, ma non fa in tempo a rispondermi perché la polizia mi ordina di ripartire.

Si arriva nel cuore del deserto. I militari che mi scortano, adesso, sono giovanissimi. Facciamo delle foto-ricordo e ascoltiamo musica, in attesa che arrivi la nuova scorta. Un militare vorrebbe degli MP3, così gli regalo una scheda di memoria con 1 Giga di musica, sia straniera che italiana, per la sua gioia. La musica che io ho selezionato prima del viaggio e che mi ha accompagnato fino a questo angolo di antica Persia, continuerà a suonare in mezzo alla polvere del Beluchistan. Suonerà nel cellulare di questo soldato, che si ricorderà a lungo di uno che viaggiava da solo con uno strano veicolo, parlava una lingua diversa, veniva da lontano. Si ricorderà, spero, che ero italiano.


Io e la mia scorta tra Bam e Zahedan

Dopo una sosta, mi viene dato come scorta un ragazzino che sembra sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e/o farmacologiche. Non fa altro che masticare piccoli impacchi un’erbetta che tiene in un sacchetto trasparente.
Inizia a fare davvero caldo. La guida L. Planet dell’Iran è appoggiata al cruscotto, al sole. Il caldo ha fatto raggrinzire la copertina plastificata e si sono formate le bolle. Il deserto del Beluchistan è sconfinato, spazzato da un vento fortissimo. Non ho niente contro il vento, ma quando solleva la sabbia è davvero una scocciatura, perché non permette di tenere i finestrini aperti. La sabbia del Beluchistan sembra polvere. È talmente sottile che se ne sente l’odore, simile a quello del cloro.

Ci fermiamo presso un edificio-fortezza, da cui esce un soldato con la testa avvolta in un telo, per proteggersi dalla sabbia. Un’esagerazione, penso io. Ma appena scendo vengo investito da un flusso di aria bollente e polvere che quasi mi acceca. Per arrivare all’ingresso della fortezza mi proteggo gli occhi con la cartellina porta-documenti del camper. Dentro l’edificio, solo un giovane militare e un ufficiale. Sono di istanza nella fortezza in mezzo al deserto, aspettando non si sa chi, non si sa cosa. Porca puttana, ma questo è il deserto dei Tartari!

Si prosegue verso Zahedan con una nuova scorta, e poi un’altra. Il tempo passa. Tra poche ore sarà buio e Mirjaveh è ancora lontana. Inizio a considerare la possibilità di non riuscire ad arrivare al confine pakistano entro oggi. Seguo la mia scorta, un pick-up con 4 militari: 2 in cabina e 2 all’esterno. Sto ascoltando De Gregori, e mentre mangio dei cracker mi accorgo che il pick-up frena improvvisamente e si butta in una piazzola in cui ci sono due auto e alcune persone. Rallento anch’io, finisco tranquillamente il cracker che ho in mano e vado verso il parcheggio. Ho ancora il cracker in bocca quando due auto partono a razzo in direzione contraria alla mia, mentre la polizia acciuffa un ragazzo che è rimasto a terra. Trattatasi di auto di contrabbandieri / trafficanti di droga.

Essendo a circa 25 km in linea d’aria dal confine afgano, questa è risaputamente una zona di loschi traffici. Tuttavia non mi aspettavo di vedere scene del genere nella strada principale e in pieno giorno. Il ragazzo viene arrestato e caricato, insieme alla sua borsa, nel pick-up della polizia. Mi accosto e guardo perplesso un militare, il quale si mette a ridere e mi fa cenno che è tutto sottocontrollo. Si raggiunge il successivo check point in compagnia del prigioniero. Qui l’attesa è abbastanza noiosa, in quanto la nuova pattuglia non arriva prima di mezz’ora. Nel frattempo noto che un profilo in alluminio del tetto del camper si è piegato. Una vite è quasi saltata. All’interno della cellula, sembra che i pensili si stiano staccando dal tetto. In realtà è il tetto che si sta staccando dai pensili: si è inarcato, per la dilatazione a causa del caldo.

La successiva pattuglia di scorta è anch’essa formata da 4 militari che viaggiano su un pick-up. In un rettilineo, l’auto dei militari si fionda su una piazzola sul lato sinistro della strada.È il caos. Due auto di contrabbandieri scappano, appaiate, in direzione contraria (verso di me) occupando tutta la carreggiata. Sono costretto a frenare e ad accostare decisamente a destra, mettendo 2 ruote fuori strada. Nel frattempo, la polizia è riuscita a bloccare una terza auto, speronandola sul muso e spingendola all'indietro. Quest’auto cerca di fuggire in retromarcia, sterzando a zig-zag, forse per poter fare in qualche modo un’inversione, ma contemporaneamente in direzione opposta sta arrivando un bus di linea a grande velocità, che suona il clacson, sfanala, frena fino a sfiorare l’asfalto con il muso. Il bus non può fare molto, perché la carreggiata è impegnata dalla polizia che continua a speronare la Peugeot dei trafficanti.

Qualcuno spara, non so se la polizia o i trafficanti. Piuttosto che continuare a curiosare, preferisco levarmi accuratamente dalle balle, scendendo dal camper e posizionandomi in basso, nel terreno fuori dalla carreggiata. Questo per prudenza, visto che ignoro gli sviluppi che potrebbe prendere lo scontro e non voglio trovarmi nella traiettoria di eventuali proiettili vaganti.

L’auto dei trafficanti riesce a fuggire, e sono certo che sia meglio così. La polizia mi fa cenno di seguirla. Ho notato che le auto dei contrabbandieri, tutte Peugeot 406 grigio metallizzato (modello molto diffuso in questa zona), hanno motori potentissimi, ovviamente eleborati. Il rombo fa intuire che lo scarico sia lavorato, insieme a molte altre parti. E certamente non usano quello schifo di benzina a 90 ottani dei distributori pubblici.
Alla successiva sosta, presso una piccola area di servizio, mi rivolgo a quello che sembra il più alto in grado della mia scorta: “Il vostro lavoro è molto difficile, ma anche stimolante.” “Ah, vero. Ma non preoccuparti, non c’è pericolo.”, è la risposta.

Nel mini-market dell’area, dove acquisto delle bottiglie di acqua minerale, mi viene proposta una busta di erbetta di colore verde scuro.
“Cos’è”, chiedo, anche se ho già capito di che si tratta: è quella roba che masticava il militare strafatto che mi ha scortato in precedenza. “È per la buona strada!”, mi risponde il venditore.
Ho fatto una domanda semplice: ho chiesto che cazzo è quella roba e questo non riesce a darmi una risposta sensata. Peggio, non riesce ad articolare una frase! È strafatto anche lui!
“Si ma cos’è? È droga?”, insisto. “Noooo…. Si usa così.” E mi fa vedere come si prepara l’impacco da mettere in bocca.

“Va bene, quanto spendo per l’acqua minerale?”, pago e me vado.
Situazione: mi trovo nella Repubblica Islamica dell’Iran, in cui il consumo, la detenzione e lo spaccio di sostanze alcoliche e stupefacenti sono severamente vietati. Teoricamente, anche solo per il possesso di una minima quantità di droga leggera, si può essere condannati a morte. Tuttavia, per questa strada, passano più stupefacenti che tra Sud America ed Europa. Surreale. Ma ci pensa l’ufficiale di scorta a riportarmi alla realtà: “L’Italia non ha fatto una bella figura ai mondiali quest’anno!” “E no. Ma comunque io non seguo il calcio, preferisco la Formula Uno: Alonso, Massa…”, e chiudo definitivamente il discorso.

L’ufficiale sembra una persona molto colta e informata, ma anche il successivo tentativo di dibattito: “Questo veicolo è Ford, quindi è fabbricato negli Stati Uniti!” (furbacchione!), viene da me prontamente contrastato: “No, è fatto dalla German Ford, quindi in Europa” (ed è la verità).
Cambio ancora una volta la scorta e, all’imbrunire, arrivo a Zahedan. La polizia militare mi affida alla locale polizia, la quale mi accompagna presso un albergo con parcheggio interno. Nonostante io abbia spiegato che non intendo dormire in nessuna stanza e che esigo pernottare dentro il camper (su questo sono irremovibile fino a diventare antipatico), sia l’albergatore che la polizia non accettano: dicono che in questo modo butterei via i soldi (sarebbero circa 15 euro). “Non ci penso nemmeno. Se volete pago la camera, ma dormo nel camper.”

A me sinceramente non me ne sbatte niente se spendo 15 euro per dormire nel cortile e non in stanza, ma non c’è verso: vengo invitato a uscire dal parcheggio, cioè a rifare in retromarcia le complicate manovre per evitare ostacoli e cavi elettrici, maledizione.
Poi si va fino alla locale stazione di polizia, perché sembra che nessuno abbia intenzione di scortarmi con il buio fino a Mirjaveh. Dormirò davanti all’ingresso e domattina mi verrà restituito il passaporto per poter proseguire fino a Mirjaveh. Alla guardia che sta davanti all’ingresso della stazione, chiedo se la strada per Mirjaveh è davvero così pericolosa di notte. E quello, con la faccia seria: “Si, certamente. Questa è una zona molto pericolosa.” Ma che vada a cagare.

Mentre inizio la preparazione per la sosta notturna (apertura bombola, accensione frigo, montaggio oscuranti), arriva un poliziotto in borghese che mi chiede il passaporto in un inglese stentato.A questo punto perdo la mia tipica calma. È incredibile quanto divento intrattabile quando sono stanco e ho fame: gli rispondo di andarlo a chiedere ai suoi colleghi il mio passaporto, dato che me lo hanno sequestrato molte ore fa, e se lo passano di mano in mano. Quindi arriva un gruppo di otto Basiji, cioè quelli che dovrebbero essere i guardiani della Rivoluzione. Insomma, quelli che sparavano ad altezza d’uomo durante le manifestazioni dell’anno scorso. Tutti a bordo di moto enduro, si appostano davanti al camper. Ho sentito brutte storie sull’arroganza dei Basiji, che talvolta importunano anche gli stranieri. In questo caso, per fortuna, si limitano a osservare il camper, mentre il poliziotto in borghese si mette a fare domande riguardo almotore, con il suo inglese da prima elementare. È interessato all’alimentazione ed è contento che il camper va a benzina.

Grazie al cielo la strada in cui sono in sosta non è trafficata durante la notte, quindi posso dormire in pace.
km oggi: 526 totali: 6.304

giovedì, 5 agosto 2010

L’appuntamento con la polizia, per la partenza verso Mirjaveh, sarebbe alle 8. E alle 8 io sono prontissimo a partire. Ma mi dicono che devo attendere la pattuglia di scorta: “Ancora 10 minuti”. Poi: “Ancora mezz’ora.” … “Sì, vedrai che stanno arrivando…”. E così fino a mezzogiorno.
Nel frattempo: -controllo i livelli del motore -rabbocco il detergente lavavetri e pulisco il parabrezza -faccio uno spuntino -monto sul retro il cartello “Caution – Left hand drive vehicle”, utile dal Pakistan in poi per
segnalare a chi sta dietro che il camper ha il volante a sinistra -verifico i problemi al tetto causati dal caldo -studio la guida L. Planet del Pakistan.

Aspetto come un deficiente fino a che non arriva – ma guarda! – il poliziotto in borghese di ieri sera, quello interessato all’alimentazione del camper. Fa tutta una serie di discorsi sulla benzina mezzo in inglese e mezzo in farsi (o in beluchi?). Poi mi passa al telefono un suo collega, dice che parla inglese. L’unica cosa che capisco è che mi vogliono vendere della benzina, anche se non so perché. Non capisco il senso della conversazione, tutta incentrata sul fatto che il governo iraniano mi garantisce la benzina solo per un chilometraggio fino al confine, mentre loro me ne possono procurare quanta ne voglio. “ E allora? Sono a metà serbatoio ma ho anche buona autonomia di GPL. Posso arrivare a Dalbandin senza problemi”. Tutto inutile. Mi devono per forza vendere la benzina. Sapevo che era possibile fare rifornimento anche a Mirjaveh (in quantità limitata), per questo pensavo di rifornire lì, prima di entrare in Pakistan.

Vista l’insistenza, “prenoto” 40 litri di benzina per telefono. Il poliziotto in borghese mi fa strada fino al distributore “clandestino” di fronte a una stazione di benzina ordinaria. Un’orda di bambini vestiti di stracci mi circonda, mentre due di loro iniziano a svuotare le taniche nel serbatoio del camper. Non mi permettono di essere fotografati, purtroppo. E ne capisco il motivo: mi stanno vendendo benzina al nero, commettendo un reato. Un reato talmente grave che il poliziotto che mi accompagna osserva compiaciuto.

Tentano di farmi pagare un prezzo quasi doppio rispetto a quello che pagherei come straniero. Gli lancio un’occhiata: “State scherzando, vero?”. Sì, stavano scherzando, e il prezzo sarà di 40 Rial al litro, cioè quello ufficiale per gli stranieri. Comunque, ci avranno guadagnato almeno 30 Rial al litro, dato che quella che mi hanno venduto è certamente stata acquistata a quota statale di 10 Rial al litro.
Cambio scorta 2 volte per fare 10 km, finché mi fanno parcheggiare fuori città, presso un checkpoint sulla strada per Mirjaveh. Qui attendo alcune ore, socializzando con un poliziotto che parla l’inglese quanto basta per farmi capire che ha seguito i mondiali di calcio e ha notato che l’Italia ha giocato da schifo.
Le ore passano in una noia incredibile. Per fare un esempio, dopo aver pranzato, passo il tempo bruciando le mosche con la paletta elettrica.

Un piccolo diversivo è rappresentato dal pezzo grosso di turno della polizia, dall'ottima parlata in inglese (sicuramente ha vissuto all'estero), uno di quelli che vuole vederci chiaro. Cioè, vuole capire perché un italiano, da solo, sta attraversando l'Iran per andare in Pakistan e India. Di questi tempi, la rotta che un tempo era frequentata da turisti itineranti diretti nel sub-continente indiano, non è molto di moda. Il poliziotto che vuole vederci chiaro, almeno parte con il piede giusto: non parla dei mondiali di calcio. Lo prendo in simpatia, come ho fatto in passato con siriani, israeliani, egiziani, e gli racconto che sto facendo questo viaggio perché mi andava di farlo e che mi finanzio lavorando al Consiglio Nazionale delle Ricerche. Quando mi domanda come trovo la polizia iraniana, gli dico che non ho avuto nessun problema, e che anzi mi sono divertito ieri quando la mia scorta inseguiva i contrabbandieri.

Sapere che è già pomeriggio e che probabilmente non riuscirò a passare la frontiera con il Pakistan entro oggi mi fa veramente incazzare. E mi incazzo ancora di più quando scopro chi stavo aspettando da tre ore, cioè la mia nuova scorta: un ragazzino che non avrà 20 anni, disarmato, che probabilmente aveva solo bisogno di un passaggio a Mirjaveh. Per rendere l’idea del mio umore, basti sapere che nel viaggio fino a Mirjaveh (più di un’ora) non ho quasi proferito parola, nonostante i vari tentativi del soldatino di attaccare discorso.
L’unico evento positivo della giornata è la sosta al Mirjaveh Tourist Inn, consigliato dalla L. Planet a chi viaggia col proprio veicolo, dato che ha un ampio parcheggio. Lo spazio effettivamente non manca, il giardino è pulito e ordinato, e il personale è cordiale. Infatti, cordialmente, prende possesso del mio passaporto (che fino ad ora è stato nelle mani della scorta e lo sarà fino alla frontiera col Pakistan).

Sono l’unico ospite dell’hotel, così che il personale può dedicarsi completamente a me. Anzi, sono io che mi dedico a loro: devo spiegare per l’ennesima volta da dove vengo, che lavoro faccio, dove sono diretto e perché, quali sono le funzionalità del camper. Comunque si tratta di persone abbastanza gradevoli: il responsabile è sulla trentina, istruito, e ha una Peugeot 406 fiammante (come quelle dei contrabbandieri!). Il cuoco è di Zabol, una cittadina non lontana da qui, al confine con l'Afghanistan. Secondo la L. Planet, oltre ad essere un covo di trafficanti di droga e contrabbandieri, Zabol avrebbe anche delle attrazioni turistiche, e il cuoco ovviamente è d’accordo.

L’inserviente non parla molto l’inglese, mi controlla costantemente, e quando esco dall’albergo (allontanandomi di ben 2 metri dall’ingresso) mi sta incollato. Sono uscito solamente per svuotare la roll tank, visto che non mi andava di scaricare le acque grigie in giardino. I dipendenti dell’albergo sostengono che Mirjaveh è pericolosa per gli stranieri. Sono sicuro che hanno ricevuto dalla polizia l’ordine di non farmi uscire. Dato che non posso andare in centro a cercare un internet point, mi accontento di passare la sera a fare il bucato. Il vento secco del Beluchistan lo farà asciugare velocemente.

Arrivano due militari giovanissimi che preparano una pipa ad acqua in giardino, mentre i gestori dell’hotel sembrano molto seccati, e mi invitano a fumare con loro. Naturalmente, come faccio sempre, declino l’invito. Prima di andarsene, completamente stonati (ma cosa ci mettono nella pipa, oltre all’acqua?), uno mi fa: “Sono un soldato islamico!” E io: “Complimenti!” Complimenti davvero: è riuscito a dire due cazzate in una stessa frase.
La cena a base di riso e pollo presso il ristorante dell'hotel è accettabile, ma l’insalata non sembra fresca.
km oggi: 92 totali: 6.396

venerdì, 6 agosto 2010

La scorta arriva prima delle 8 e mi accompagna fino al cancello della frontiera con il Pakistan, che aprirà intorno alle 9. La fila di auto, bus e TIR ha già iniziato a formarsi.
Per ingannare l’attesa posso solo dialogare, o cercare di farlo, con i pochi che parlano l’inglese. L’esperienza mi ha insegnato che, anche nei posti più remoti, è sempre possibile incontrare persone istruite e realmente informate sull’attualità, le quali possono fornire utili indicazioni. In questo caso, un ragazzino di Rawalpindi che viaggia verso casa in autobus, mi informa sulla sicurezza in Pakistan. Dice che attualmente la situazione non è tragica come qualche anno fa, ma negli ultimi mesi si è aggravata. Inoltre le inondazioni degli scorsi giorni avrebbero fatto morti e distruzione. Le strade, da Quetta in poi, hanno subito pesanti danni.

“Ma perché, piove anche a Quetta?” Chiedo con sorpresa. “Sì, e ci sono stati allagamenti anche lì.” È la risposta.
Non me lo aspettavo. Pensavo che avrei potuto avere problemi legati alla pioggia solamente a partire dalla zona centrale del Pakistan.
L’apertura del cancello della frontiera dà il via, come ci si poteva immaginare, al caos: tutti vogliono passare, e subito. Visto che mi piace rispettare gli usi locali, faccio così anch’io, con la scorta che mi accompagna fino al primo check point della frontiera. Qui in realtà non vengono svolte particolari formalità se non quelle di prendere nota dei miei dati e di quelli del veicolo. L’ufficio immigration, poco più avanti, è preso d’assalto da gente che entra o che esce dall’Iran. Si tratta prevalentemente di passeggeri di autobus. Le donne fanno una fila separata rispetto agli uomini. C’è anche un ragazzo occidentale in fila per l’ingresso in Iran. Con tutta probabilità proviene, via terra, dall’India. Ci scambiamo un’occhiata complice come a chiederci quando inizieremo a fare vacanze normali.
Dopo lo sportello immigration e prima dell’ufficio doganale, c’è da registrare il passaporto e il Carnet presso un altro sportello, che non so che scopo abbia. I documenti vengono poi ricontrollati e registrati all’uscita effettiva dall’Iran (dove viene anche timbrata l’esportazione nel Carnet). Qui, un militare da un’occhiata rapidissima all’interno del camper e poi mi fa uscire.

L’ingresso in Pakistan avviene dal villaggio di Taftan. Una vecchia bandiera del Pakistan sventola sopra l’edificio fatiscente che ospiterebbe l’ufficio immigration. Piccoli roghi di rifiuti affumicano l’aria.
A prima vista direi che Taftan è un emerito cesso. Dopo uno sguardo più attento, mi rendo conto che è peggio: è una fogna a cielo aperto. Spazzatura dappertutto. Strani individui si aggirano intorno all’ufficio immigration, e la curiosità delle persone verso di me e il mio veicolo è abbastanza molesta. Il mio intuito mi dice che prima me ne vado, meglio è. Un cambiavalute abusivo dice che sono benvenuto in Pakistan, il quale è un paese molto accogliente con gli stranieri.

Nell’ufficio immigration bisogna compilare un foglio d’ingresso. Un militare compila i fogli per alcuni signori con la barba lunga, tipici beluci, che probabilmente sono analfabeti. Quando torno al camper con il timbro d’ingresso nel passaporto, noto subito che lo specchietto sinistro è danneggiato: si è rotto il supporto che permette di bloccare l’orientamento.
Sento la rabbia che sale e inizio a lanciare occhiate molto cattive a tutti quelli che mi stanno intorno, chiedendo che cavolo è successo allo specchietto. Naturalmente, nessuno ha visto niente. Il cambiavalute mi invita alla calma e sostiene che lo specchio si è rotto in Iran. Dopo che gli chiedo come avrei fatto secondo lui a guidare fin qui con lo specchio in quelle condizioni, gli faccio notare che in 18 anni è la prima volta che il camper subisce un danno simile e lo ringrazio per il regalo di “benvenuto” che mi hanno fatto nei primi 5 minuti trascorsi in Pakistan. Cambio i Rial iraniani in Rupie pakistane solo per levarmelo di torno, dato che sta già iniziando a rompere con “cambiami un po’ di euro”, “cambiami un po’ di dollari”. Non c’è dubbio, Taftan è un posto di merda. Ma la famigerata strada per l’India passa anche di qui. Altrimenti non sarebbe, appunto, famigerata.

Prima di andare in dogana mi devo registrare presso un ufficio di polizia, dichiarando il mio itinerario. Ne approfitto per chiedere informazioni circa la percorribilità delle strade fino a Lahore e dunque Wagah (da dove entrerò in India). “Nessun particolare problema, a parte qualche piccolo disagio dovuto alle piogge.”, risponde. “Quindi posso partire subito verso Quetta e Lahore?” “Certo, perché no?”. “Ottimo.” Appena arriva il poliziotto di scorta, si fa tappa in un ulteriore checkpoint e poi si va all’ufficio della dogana, che è al limite dell’area di frontiera. Nella sala, uomini anziani con la barba e il turbante mi guardano curiosi e sorridenti. L’ufficiale, anche lui con la sua barba e il turbante, sembra una specie di enorme folletto: registra gli estremi di passaporto e Carnet in un libro gigantesco, sproporzionato.

La cortesia qui è di casa: mi fanno accomodare e mi dicono “Benvenuto in Pakistan.” E quando me lo dicono, mi guardano negli occhi compiaciuti. Non come i poliziotti alla frontiera croata o serba che ti chiedono se sei solo e dove vai. No, qui è diverso. Forse rompiamo un po’ perché scomodiamo la polizia e diamo nell’occhio, creando piccoli assembramenti ogni volta che ci fermiamo per strada, ma oltre che con curiosità ci guardano con rispetto. Infatti ai pochi occidentali che si spingono fino a queste frontiere col proprio veicolo, tipicamente in transito verso l’India, di sicuro gli viene riconosciuta per lo meno la buona volontà.

Un inserviente porta enormi bicchieri pieni di un succo rossastro, con granelli chiari che galleggiano. In questi casi spero sempre che non mi venga offerto nulla, altrimenti sarò costretto a rifiutare. Non voglio infatti rischiare di assumere sostanze che potrebbero essere contaminate da germi/batteri ai quali non sono abituato. Questa volta non è possibile rifiutare, anche perché sono curioso di assaggiare questa bevanda che, secondo l’ufficiale di dogana, è ricca di fibre perché si ottiene da un frutto particolare di questa zona. Deliziosa.

Finalmente, insieme al poliziotto di scorta, prendo la statale n. 40 verso Quetta e, per la prima volta, viaggio sul lato sinistro della strada. Cosa che non è difficile come può sembrare. All’inizio la strada è discreta, e anche la segnaletica. L’unica difficoltà, nel sorpasso dei TIR, sta nel non vedere il lato posteriore sinistro alla fine del sorpasso perché lo specchio penzola è non è regolabile. Dovrò aggiustarlo al più presto. I primi rallentamenti li ho a causa dei banchi di sabbia che, in certi punti, invadono tutta la carreggiata. Hanno altezza dai 10 ai 30 cm, quindi vanno affrontati lentamente, in prima marcia, accelerando gradualmente.

Sono quasi in riserva di benzina e ho in mente di rifornire a Nok Kundi. La scorta, però, non è d’accordo: dice che è meglio fare il pieno a Dalbandin. Per me un posto vale l’altro, tanto ho almeno 200 km di autonomia di GPL. Tuttavia, capisco perché la scorta preferisce Dalbandin: attraversando Nok Kundi noto che in città non ci sono pompe di benzina, ma solo di gasolio.
All'ingresso di Dalbandin, la scorta mi fa fermare per il rifornimento. Mi viene venduta benzina in taniche. Anche qui non mi viene permesso di fotografare perché si tratta di vendita al nero.
Poco dopo si fa una sosta obbligata presso la polizia di un villaggio tra Dalbandin e Nushki. È necessario registrare i miei dati. Penetriamo all'interno del villaggio, fatto di case di fango e stradine in terra battuta.
Il poliziotto di guardia alla locale stazione, appena ci vede, indossa velocemente la divisa e mi porge il registro.Noto subito la firma di Mike, il motociclista inglese con cui sono in contatto via email. È passato da qui ieri. Inoltre, sempre ieri, è transitata una famiglia di tedeschi: padre, madre e due bambini. Viaggiavano su un'auto targata “HH...” (Amburgo).
Compilo il foglio con i dati miei e del camper, e faccio una foto alla folla di bambini che si è nel frattempo radunata.


Check point di un villaggio tra Dalbandin e Nushki

Si prosegue verso Nushki, sulla strada che passa a circa 20 km dall'Afghanistan. Chiedo al poliziotto se il rischio legato ai talebani in questa zona è concreto. La risposta non lascia dubbi: “Sì. Quelli vanno e vengono dall'Afghanistan quando vogliono perché il confine non è controllato. Ed è per questo che scortiamo gli stranieri”.
Ancora una sosta presso la stazione di polizia di un villaggio, dove, facendo manovra nel parcheggio, tiro giù il cavo del telefono per colpa della scaletta di coda che si è incastrata.

Dentro la stanza che ospita il registro, ci sono varie persone che stanno banchettando al suolo. Mi invitano tutti a mangiare e a bere. Come sempre declino, dispiaciutissimo, l'invito. Il poliziotto che mi ha scortato fin qui da Taftan è arrivato al suo capolinea. Vorrebbe che gli regalassi qualcosa, ma non soldi. Gli do una piccola torcia a led con supporto a molla per lettura, una di quelle che si comprano nel reparto cianfrusaglie del Carrefour per 2,50 €. ne avevo fatto scorta pensando, appunto, di regalarle strada facendo come souvenir. Il poliziotto è contentissimo; dice che gli sarà molto utile per leggere e scrivere di notte. Mi domando se dove vive ci sia la corrente elettrica.

Prima di ripartire con il nuovo poliziotto di scorta, i giovani che mi avevano offerto da mangiare vogliono vedere come sono fatti i soldi del mio paese. Tiro fuori 5 euro. “Non sono dollari!”, nello stupore collettivo. “No cari, in Italia abbiamo l'Euro, la moneta unica europea che non c'entra nulla né col dollaro né con gli USA. Bella moneta, vero?”
La banconota piace perché, a differenza dei dollari che sono dello stesso colore verde da 150 anni, gli euro hanno i dispositivi anti-falsificazione che brillano alla luce. Regalo la banconota a questi giovani, che in realtà volevano solo osservarla. Quando scoprono il valore (circa 6 dollari), rimangono increduli.

Le nuvole cominciano ad addensarsi: sto entrando nella zona di influenza del monsone. Ancora check point sulla strada, ancora registrazione dei miei dati, e Quetta che dista ancora centinaia di chilometri. La strada peggiora. Interi tratti anche di 10 o 15 km totalmente dissestati. Laddove non ci sono le buche ci sono le pietre. E che pietre, roba da squarciare le gomme. Una sosta forzata in un check point mi fa perdere un'ora. Qui i poliziotti apprendono via radio le notizie delle inondazioni in altre zone del Pakistan e me le comunicano.

Noto che i tratti di strada sottoposti a lavori, oppure dove c'è un veicolo in sosta, non sono segnalati da cartelli o triangoli, ma da grosse pietre prese dai campi attigui. Quindi, se uno vede le pietre cambia corsia ed evita l'ostacolo. Altrimenti finisce sopra le pietre, spacca tutto e anche in questo caso evita l'ostacolo. (nota: questa tecnica è in uso anche in India e Nepal).

Un'altra sosta, stavolta presso un check-point completamente al buio. Non c'è corrente elettrica e i poliziotti fanno luce con torce a led mentre registro i miei dati su un foglio. Non c'è neanche copertura GSM. Mi chiedono se preferisco fermarmi qui per la notte oppure continuare per Quetta. Non ho dubbi: preferisco avvicinarmi il più possibile a Quetta. Faccio una pausa di qualche minuto e mangio del pane carasau. Nel frattempo al check-point è scoppiato un casino perché l'autista di un autobus è stato fermato, si è incazzato, ha buttato in terra la chiave dell'autobus e non vuole ripartire. Voglio capire che cosa succede, ma mi dicono che è normale routine. Nessuno vuole assaggiare il pane carasau. A un certo punto mi fanno: “Vai pure.” “Vado pure dove?” “Vai che tra un paio di chilometri trovi la nuova scorta.”

Viaggio, senza scorta, per un tratto molto più lungo di un paio di chilometri. Siccome è completamente buio e sono vicino al confine con l'Afghanistan, non vedo l'ora di trovare la prossima scorta. La nuova scorta sale poco prima di una zona sottopposta a pesanti lavori. La strada è un intruglio di sabbia e fango. Una ruspa comprime il manto per eliminare i solchi lasciati dai mezzi pesanti. Decido di prendere le rincorsa per evitare di impantanarmi, e salto tra buche e dune. Tutta la struttura del camper viene messa alla prova, gli sportelli dei pensili si aprono e gli oggetti cadono. La scorta è terrorizzata dalla mia guida. Il fatto è che non vorrei passare la notte a disincagliare il camper su quella che neanche la dominazione britannica è stata in grado di trasformare in una strada.

Il pernottamento avviene presso un check-point tra Ahmad Wal e Nushki. Anche qui non c'è né corrente elettrica né copertura GSM. Il che ovviamente non mi impedisce di farmi una doccia e di cucinarmi un minestrone in polvere.
km oggi: 453 totali: 6.849

sabato, 7 agosto 2010

Quando, verso le 7, esco dal camper, i militari sono già tutti pronti a partire. Ma prima bisogna fare le foto ricordo: io con la mia Nikon, loro con i cellulari.
Al primo check point mi devo fermare per più di un'ora: l'ufficiale continua a ripetere i miei dati al telefono, e continua a chiedermi dove ho ottenuto il visto d'ingresso: “All'ambasciata pakistana a Roma.” C'è scritto chiaramente nel visto. Per fortuna che l'ufficiale parla l'inglese. Inizia una interessante conversazione che verte principalmente sulle differenze tra la società italiana e quella pakistana. E sì che ce n'é da dire.
Le scorte si alternano a brevi tratti in cui viaggio da solo. Lo scenario è sempre desertico, ma la strada si arrampica su delle alture che offrono discreti panorami. Un autobus è finito di traverso e occupa tutta la carreggiata. Un camion cerca di rimorchiarlo ma il cavo d'acciaio cede, e l'autobus rimane fermo. Per proseguire, si passa fuori dalla strada, sullo sterrato.

Al casello di Quetta arriva la nuova scorta. Poi, all'interno della città, le scorte si alternano ogni qualche minuto. Prima poliziotti, poi soldati. In prossimità del centro le auto dei militari sono equipaggiate con mitragliatrici pesanti, e i soldati hanno armi da guerra. Quando, per qualche motivo, siamo costretti a fermarci, i soldati scendono e circondano il camper per farmi da scudo. Durante una breve sosta, un militare mi offre del pane tipico locale appena sfornato. Un ragazzino cerca invece di offirmi del thé, che come al solito rifiuto. Quetta è caotica, ma la scorta si fa largo nel traffico e apre la strada pure a me. Nelle zone più critiche ho due auto di scorta a sirene spiegate, una che precede e una che segue, le quali non permettono a nessun altro veicolo di inserirsi tra il camper e loro. Sembra che Quetta sia divisa in settori caratterizzati da diversi livelli di allerta. Le zone a basso rischio sono controllate dalla polizia, quelle ad alto rischio, come quella che sto attraversando, sono invece affidate all'esercito. Io, inoltre, rappresento un obiettivo sensibile perché sono un occidentale e perché do alquanto nell'occhio.

La scorta mi accompagna fino all'ingresso dell'Hotel Bloom Star. Nella hall ci sono due spagnoli che viaggiano per conto proprio. Hanno appena fatto una passeggiata per Quetta, da soli. Rimando la chiacchierata a dopo. Adesso devo risolvere il problema dell'assicurazione RCA per il camper. Alla reception dicono che conoscono un assicuratore, lo chiamano e prendono subito appuntamento. L'assicuratore arriva poco dopo, mentre faccio la spola tra il rubinetto del giardino interno e il parcheggio, trainando la roll-tank dell'acqua potabile, per riempire il serbatoio del camper. Il signor assicuratore sembra un drogato. Mi vende una polizza “contro terzi”, ma dice che copre solo i danni alle persone e non ai mezzi. Non c'è modo di fare una RCA completa, come la intendiamo noi in Europa. Pazienza.

Cerco di sistemare lo specchietto sinistro, ma non riesco a ripristinarlo perché si è rotto un supporto di metallo che tiene una molla. La cosa migliore che posso fare è fissarlo al meglio per evitare di perderlo per strada.
I turisti spagnoli ospiti all'hotel sono padre e figlio. A cena al ristorante dell'hotel si parla del viaggio. La loro idea è di viaggiare attraverso il Pakistan, in piena autonomia, come sono abituati a fare. Vogliono andare a Nord e prendere la Karakorum Highway.

Quando gli faccio notare che la Karakorum Highway è interrotta da almeno due mesi, mi dicono che comunque vogliono provare a raggiungerla. Chiedo loro se per il ministero degli esteri spagnolo il Pakistan è una meta a rischio, dato che per la Farnesina qualunque viaggio in Pakistan sarebbe sconsigliato. Loro, che peraltro sono arrivati ieri da Karachi (una delle zone più pericolose e sconsigliate agli occidentali), rispondono che non gliene frega niente di quello che dichiara il loro ministero degli esteri o qualunque altro ente. Vogliono continuare a viaggiare come e dove cavolo gli pare, così come hanno sempre fatto. Domani partiranno in treno per Islamabad, e in seguito cercheranno di procedere sulla Karakorum Highway in ogni modo (a piedi, in autobus o in autostop), fintanto che sarà possibile avanzare. Direi che il loro è un atteggiamento molto radicale.

Prima di andare a dormire mi viene chiesto di allontanare il camper dal cancello, per motivi di sicurezza. Avranno paura degli attentati. Mentre faccio manovra, la coda si aggancia allo sportello del contatore elettrico che strappa il profilo in alluminio dalla cellula. Un disastro: saltano almeno dieci viti, il profilo si deforma e un piccolo punto della cellula rimane scoperto. Mi do da fare per riparare il danno, o almeno per assicurarmi che non ci siano infiltrazioni. Smonto il profilo ma non riesco a raddrizzarlo: prendo il seghetto e lo taglio. Copro i punti critici della cellula con nastro Terostat. Rimonto i pezzi di profilo usando anche viti più grosse di quelle originali. Per fortuna che avevo a bordo gli attrezzi e i materiali. Esteticamente il lavoro non è perfetto, ma almeno la cellula è sigillata.
km oggi: 194 totali: 7.043

domenica, 8 agosto 2010

Dopo colazione vado a fare una passeggiata. Voglio recarmi in un internet café per leggere e scrivere email. Prima di uscire, ovviamente, avviso il personale dell'hotel. Ne approfitto anche per “prenotare” la scorta, visto che vorrei lasciare Quetta prima delle 11. La reception telefona alla polizia e mi garantisce che prima delle 11 un'auto verrà a prendermi.

Quetta è abbastanza caotica e sporca, ma molto interessante. Ci sono i bazaar di venditori o riparatori che si vedono nei documentari in televisione. La gente è tranquillissima e non molesta. In generale direi che la microcriminalità non esiste. Qui fanno direttamente attentati con auto-bomba.
Entro in un Internet point e le notizie che leggo non sono buone. Anzi, sono pessime. Le piogge monsoniche stanno flagellando tutto il sub-continente indiano e l'Asia del sud in generale. I paesi più colpiti sono Pakistan e India. In particolare, il Sud e il Nord del Pakistan sono sott'acqua. Fortunatamente io dovrei passare per la parte centrale, che forse è stata risparmiata dalle inondazioni. Invio varie email, tra cui una a Mike, il motociclista inglese che sta facendo il giro del mondo e che dovrebbe trovarsi in zona Quetta.

Appena torno all'hotel incontro Mike. Ha appena letto la mia email e si è fiondato al Bloom Star Hotel per scambiare 2 parole. Quasi in contemporanea (e in anticipo) arriva la pattuglia di polizia che mi dovrebbe scortare verso l'esterno di Quetta. C'è una novità, e non è buona: il responsabile dell'albergo sostiene quello a cui mi aveva accennato ieri sera, e cioè che il tratto Quetta – Loralai per Dera Ghazi Khan (cioè verso Nord-Est, verso Multan e Lahore) non è accessibile agli stranieri senza preventiva autorizzazione governativa. Per fare la statale 50 per Loralai dovrei cioè chiedere un permesso. I permessi vengono generalmente concessi, ma la procedura richiede del tempo. Da quanto ne sapevo io, cioè da quanto leggevo sul sito della Farnesina, la strada Quetta-Loralai-Dera Ghazi Khan era aperta agli stranieri e non era richiesto alcun permesso.

Ciò è in parte vero, in quanto ci sono due strade tra Quetta e Loralai: la statale 50 e anche una strada secondaria. La strada intesa dalla Farnesina è dunque quella secondaria, segnata con una linea gialla sottile. La polizia sostiene che potrebbe scortarmi verso quella strada, da dove potrei raggiungere Loralai in sicurezza. L'impiegato dell'hotel mi consiglia di andare a Sud-Est, verso Sukkur, ma dice che l'opzione Loralai è praticabile. Mike, invece, mi fa notare che la strada secondaria per Loralai non è adatta al mio camper. L'unica soluzione sensata per me è andare giù sulla statale 65 per Sibi, Jacobabad e Sukkur. Questa riconfigurazione dell'itinerario, oltre all'allungamento chilometrico, mi costringerà a passare nel Sindh, una zona molto colpita dalle inondazioni. Mike, vista la situazione, preferisce spedire la moto su un treno merci fino a Lahore (dove lui andrà in aereo).

L'unico problema nell'uscire da Quetta è il traffico intenso, come sempre, di risciò, biciclette e motorini. Un pieno di benzina presso la stazione di servizio, sempre con la polizia attorno, e poi lascio questa strana, zozza, interessante cittadina del Beluchistan, considerata da molti come il confine tra Medioriente e sub-continente indiano.
Procedo, senza scorta, attraverso il Bolan Pass. La strada è terribile: frane, buche e curve cieche. Autobus stracarichi di passeggeri sia dentro che fuori (sul tetto), fanno sorpassi da paura.

In tarda mattinata mi fermo accanto a una stazione di polizia per pranzare. I poliziotti sono stati sicuramente pre-allertati, dalla centrale di Quetta, riguardo il mio passaggio. Poi proseguo, sempre in direzione Sud-Est. Il panorama è bello, diverso tra tutti quelli che ho vistonei miei viaggi. È pieno deserto, con terra e montagne dello stesso colore chiaro che caratterizza questa zona del Beluchistan, ma nelle gole sotto la strada scorrono rivoli d'acqua cristallina. I rivoli diventano presto torrenti in cui i ragazzini fanno il bagno, poi fiumi in piena. Si mette a piovere. Comincia il sub-continente indiano. È iniziato quasi senza preavviso. Stamattina ero in Medioriente, in mezzo ai turbanti, a mezz'ora di auto dal confine afghano. Adesso sono già nel Sindh, immerso nell'acqua delle piogge torrenziali che stanno facendo danni e morti. I disagi sono evidenti: sia a sinistra che a destra della strada i campi sono completamente allagati. Le case di fango sono mezzo distrutte, praticamente sciolte dalle piogge. Carretti trainati da animali o da trattori agricoli trasportano centinaia di persone, tavoli, sedie, in direzione Beluchistan. Scappano dalla zona più colpita dall'alluvione, in cui io mi sto invece andando a gettare a capofitto.


Profughi in fuga dalle inondazioni

Finalmente un posto di blocco della polizia. Mi fermo e segnalo che sono un turista italiano, diretto a Lahore.
“Lo sappiamo. Segui il pick-up.” dice un poliziotto. Questo è un bel vantaggio, soprattutto nei centri urbani che sono intasati dal traffico. La polizia, infatti, mi apre la strada e cerca di farmi passare nei pochi pezzi di strada ancora integri e non sommersi dall'acqua. Nei tratti extraurbani, invece, seguire la polizia diventa stressante a causa della sua guida spericolata.

Più volte, specialmente nei centri urbani, si attraversano dei veri e propri laghi, laddove la strada è stata spazzata via dall'acqua. Nel fondo, invisibili, ci sono detriti (pietre, pezzi d'asfalto) che sbattono sul pianale. Più di una volta mi fermo per controllare l'integrità della coppa dell'olio.

Per qualche ora viaggio senza scorta. A sinistra e a destra della strada c'è quasi solo acqua. I pochi angoli di terra ancora asciutta sono occupati da tendopoli di sfollati. Ci sono anche tende dell'ONU. Quando fa buio comincio a preoccuparmi. Aumenta il traffico di trattori senza luci che trasportano profughi. Le cittadine lungo la strada sono affollate di disperati che probabilmente cercano una sistemazione per la notte. In un centro urbano di medie dimensioni, mi sembra si chiami Shikarpur, c'è il caos. La strada è bloccata. All'altezza di una piazza c'è folla e la polizia è in assetto anti-sommossa.
Spero che i poliziotti mi vedano e mi diano una mano, perché qui non posso muovermi in nessuna direzione. Invece la polizia mi ignora. Sono circondato da centinaia di persone che, ovviamente, notano la particolarità del mio veicolo. Un gruppo di giovani si avvicinano e fanno domande a raffica. Rispondo solo: “Vado a Sukkur”, cercando di sorridere e, ovviamente, tenendo il braccio fuori dal finestrino per evitare di sembrare a disagio. In realtà mi sento in trappola. Nelle poche ore che ho passato in queste zone colpite da una calamità naturale enorme, ho notato che la gente ha una grande serenità. Avranno pure avuto grossi danni, ma sono tutti molto tranquilli. Cioè, non si vedono scene di disperazione.

A un posto di blocco della polizia trovo la nuova scorta. Purtroppo, facendo manovra, urto un trattore senza luci e rompo il fanale posteriore destro. Il trattore non riporta danni, quindi anche la polizia è daccordo a non avviare nessuna procedura. Peraltro, l'autista del trattore e i passeggeri caricati nel rimorchio hanno ben altri problemi.
La polizia mi guida fino a un'area di servizio, poi mi mostra la direzione per Sukkur. Lì, a una ventina di chilometri, troverò il quartier generale della polizia in cui potrò pernottare. Non mi possono accompagnare fino a Sukkur perché non è nella loro zona e perché non hanno benzina. Gli propongo una mancia di circa 10 euro, se mi accompagnano a Sukkur. Così possono mettere anche un po' di benzina. Accettano, ma devo aggiungere qualche bottiglia di Sprite. Con la solita guida spericolata, con slalom tra veicoli senza fari e buche, mi fanno strada fino aSukkur. Nel camper sale un poliziotto diretto al quartier generale della polizia. È una fortuna, perché così non dovrò chiedere indicazioni. La strada davanti al quartier generale è un pantano, ma l'interno è in buono stato anche se ci sono rami d'albero che costituiscono un pericolo per il camper. Mi parcheggio accanto a un monumento e mi cucino la cena, pasta con tonno. Non è stata una felice idea quella di accendere il fornello, visto che ci sono già 40 gradi e l'umidità è vicina al 100%. Un caldo così non l'ho mai affrontato, e rischio di sentirmi male. Bevo litri d'acqua miscelata con integratori salini (tipo quelli che usano gli sportivi).

Arrivano dall'Italia, via SMS, pessime notizie sulla situazione nel Ladakh (Kashmir indiano), cioè da quella che sarebbe stata la meta finale della mia spedizione. Inizio a pensare al “piano B”, che in realtà non è mai stato un piano ma solo un'idea: rinunciare al Kashmir e trascorrere qualche giorno in Nepal, prima di ridiscendere verso il confine con il Pakistan. Tuttavia, visti i tempi stretti, dovrò cercare una nave per imbarcare il camper mentre io rientrerò in Italia con l'aereo.

Sono in un bagno di sudore e quando inizia a piovere, temendo che la strada domani sarà ancora più disastrata, mi chiedo cosa ci faccio in mezzo a questo pasticcio.
km oggi: 390 totali: 7.433

lunedì, 9 agosto 2010

Lascio il quartier generale della polizia di Sukkur alle 8, e cerco di allontanarmi rapidamente dalla zona più alluvionata. Come mi aspettavo, la strada sterrata verso l'esterno della città è quasi completamente allagata, a causa della pioggia di questa notte. Mi dirigo, finalmente, verso Nord-Est. Posso così “invertire” (o quasi) la rotta obbligata che mi ha portato fin qua giù. Tratti di autostrada, percorsa prevalentemente da autocarri, si alternano ad agglomerati urbani che rallentano la marcia. In questa zona, infatti, non esistono by-pass (circonvallazioni). Incidenti, deviazioni a causa di allagamenti e carretti trainati da animali completano il quadro.
Come risultato ho una media chilometrica sotto i 40 km/h. L'autostrada per Multan, cioè quella che dovrei percorrere per proseguire verso Lahore, è chiusa. L'ingresso è sbarrato e presidiato dalla polizia. In pratica, l'autostrada è sottacqua.
L'unica opzione per Multan-Lahore è una strada secondaria che passa per i villaggi. Non ho scelta: seguo il traffico di TIR, ogni tanto chiedo conferma sulla corretta direzione per Lahore, e continuo su questa stradina fangosa e sconnessa, dove si procede a non più di 30 km/h.

Devo fare il possibile per raggiungere entro stasera il Changa Manga Wildlife Reserve, un parco nazionale a 60 km da Lahore. Ma purtroppo mancano almeno 300 km a Lahore. Il traffico si blocca totalmente all'altezza di un tratto fangoso. Sembra che qualche veicolo sia rimasto bloccato. Ne approfitto per cercare un camionista che parli inglese e chiedergli lumi sulla posizione o almeno sulla strada corrente. Tutto inutile, i camionisti interpellati segnano la posizione sulla cartina con un cerchio grande quanto la provincia di Cagliari. Le pietre miliari a bordo strada hanno sia il chilometraggio che il numero della strada scritti in Urdu. Ma tutto sommato non mi sarebbe stato utile conoscere il numero della strada, perché comunque la cartina della Reise Know How che sto usando non lo riporta. Si attende un'ora prima di proseguire lungo questo pantano.

L'ingresso dell'autostrada per Lahore sembra un miraggio. Sono talmente incredulo che chiedo a un posto di blocco se questa è la strada giusta e quanto manca a Lahore. Mancano più di 250 km.È buio, la strada non è illuminata e sono frequenti le buche e gli ostacoli: persone che camminano sbattendosene degli automobilisti, ciclisti, carretti trainati da animali, pastori che seguono animali, animali per conto proprio. Guidando in queste condizioni non riesco a superare i 40 km/h, e poi è troppo faticoso e rischioso. Così, mentre faccio il pieno chiedo al benzinaio se conosce un hotel con parcheggio nelle vicinanze. Fortunatamente, a una ventina di km in questa direzione, troverò un hotel con ristorante e parcheggio. Si tratta del Night Bridge, un posto che a prima vista sembra molto accogliente: parcheggio sufficientemente ampio per fare manovra, giardinetto ordinato e gestore che viene subito a darmi il benvenuto. Chiarisco subito che sto cercando un posto per pernottare a bordo del camper, e se possibile vorrei cenare in ristorante. Nessun problema: posso parcheggiare, cenare e dormire senza pagare extra.

Prendo una zuppa di funghi e un'insalata di frutta. Il cibo è ottimo. Il proprietario del locale, Muhammad, è molto contento di ospitare un occidentale. Tuttavia osserva: “Io e i miei dipendenti siamo increduli che tu viaggi solo.”
Ma ormai sono abituato a simili osservazioni e rispondo: “Il percorso che sto seguendo, purtroppo, non ispira molta sicurezza agli occidentali in questo periodo. Non è facile trovare compagni di viaggio”.
Muhammad ha due lauree: una in scienze politiche e una in economia aziendale. Inoltre parla un discreto inglese. L'organizzazione del suo locale lascia intuire le capacità imprenditoriali. Gli chiedo se ha intenzione di sfruttare la laurea in scienze politiche, ma non sembra intenzionato a entrare in politica.
km oggi: 521 totali: 7.954

martedì, 10 agosto 2010

Quando lascio il Night Bridge, gli inservienti vengono a salutarmi.
Mi fermo alla prima stazione di servizio, perché ieri sera ho messo solo pochi litri (la benzina era razionata). Qui purtroppo non hanno benzina ma solo gasolio. Trovo benzina solo molti km più avanti.
L'autostrada termina all'ingresso di Lahore. Per ogni corsia del viale ci sono uno o due poliziotti che controllano tutti gli automobilisti in ingresso. Mi fermano e chiedono dove sono diretto. “Wagah... frontiera con l'India”. “Va bene, sempre dritto”.

Attraverso tutta la città con il suo traffico intenso e disordinato. Ci sono moltissimi posti di blocco. La famigerata polizia di Lahore mi osserva ma non mi ferma mai. Procedo sempre dritto. La strada a volte si biforca: a sinistra tunnel, a destra sopraelevata, o viceversa. I tunnel sono alti 3 metri, il tanto minimo per poterci passare sotto con il camper.
La periferia Est di Lahore, a pochi chilometri dal confine indiano, è completamente sommersa. Gli automobilisti sono alle prese con le strade allagate, mentre i giovani del posto si divertono a tuffarsi nei canali.


Lahore allagata Wagah è poco più che un villaggio - La frontiera con l'India è appena fuori dal centro


In Occidente c'è la convinzione che, essendo India e Pakistan in guerra da sempre, la situazione al confine sia tesa. Anzi, per usare l'espressione che ho sentito più spesso anche dai cosiddetti viaggiatori esperti, “non è l'ideale”. Prima di tutto non capisco quale metrica si possa usare per definire qualcosa come ideale o meno. Secondariamente, penso che l'ideale sussista solo nelle nostre menti perverse. Quindi, temo che chi pensa troppo alla destinazione ideale, rischia di rimanersene a casa propria.
La cosa più preoccupante è che molti miei connazionali, comprese persone di cultura medio-alta in possesso di tutti gli strumenti per accedere a informazioni fresche e attendibili, sono convinti che tra India e Pakistan ci siano ancora combattimenti in corso!

La tranquillità della frontiera indo-pakistana è tale da mettermi noia. Pochi pedoni, compresi degli occidentali, e qualche autocarro si spostano in entrambe le direzioni. Un paio di militari pakistani sono appostati davanti all'uscita. Il timbro sul Carnet viene apposto subito. Nel registro della dogana vedo che Mike, il motociclista inglese che ho incontrato a Quetta, è passato di qui ieri. Avrà sicuramente fatto quello che aveva in mente, e cioè spedire la moto col treno da Quetta per poi raggiungere Lahore in aereo. E mi ha dinuovo “sorpassato”. L'ufficiale pakistano che mi timbra il passaporto vuole sapere che problemi ha avuto ultimamente la nazionale di calcio italiana.
La “terra di nessuno” tra i due paesi ha la forma di una piccola arena. Qui, tra qualche ora, si celebrerà la famosa cerimonia dell'ammainabandiera, che si ripete ogni pomeriggio, e che culmina con la stretta di mano tra gli ufficiali indiani e quelli pakistani. Un militare indiano, con foulard arancione sul capo e una macchia di inchiostro rossa nella fronte, mi accoglie nel suo gabbiotto pieno di mosche. Registra i dati e mi spedisce all'ufficio “immigration”. Mi trovo ormai prossimo ad Attari, primo centro abitato indiano. C'è una situazione igienica poco rassicurante, con pozze di acqua stagnante complete di rane che ci nuotano dentro.

L'ufficio immigration è enorme, direi sproporzionato, e ci lavorano almeno 15 persone. Qui mi fanno compilare il foglio d'ingresso. Poi c'è la dogana, dove mi è richiesta una dichiarazione scritta sul bagaglio che trasporto. La cosa più comica è che devo anche specificare il “numero di valigie”. Mi rivolgo agli ufficiali: “Guardate, lì fuori c'è la mia valigia. È bella grande e ha 4 ruote. Cosa scrivo?” “Scrivi quello che vuoi.” Adoro quando mi rispondono così. Scrivo “3”, numero perfetto.

Lo sdoganamento del camper, però, non è immediato. Prima di tutto devo chiedere con insistenza all'ufficiale di annotare nell'”Exportation Voucher” del Carnet il punto d'ingresso, cioè Attari. Non mi basta la compilazione dell'Importation Voucher. Come alcuni sanno, l'Exportation Voucher, che si trova al centro di ogni foglio del Carnet, dev'essere compilato alla frontiera di uscita e trattenuto da quest'ultima. Tuttavia, è alla frontiera d'ingresso che va specificato nell'Exportation Voucher da dove cavolo sono entrato. In questo modo, quando consegnerò l'Exportation Voucher alla frontiera d'uscita, l'ufficiale che certifica la ri-esportazione saprà dove dovrà inviare il voucher. Infatti non è detto che io esca da dove sono entrato. Cioè, se esco dalla frontiera col Bangladesh, quella frontiera dovrà inviare l'Exportation Voucher ad Attari, dov'è conservato l'Importation Voucher. Così, quando Importation ed Exportation Voucher si ricongiungeranno, la mia obbligazione nei confronti del ministero delle finanze indiano sarà finalmente decaduta.

Il controllo del camper è quasi totale: gli ufficiali aprono tutti gli sportelli dei vani. C'è anche la verifica dei dati del Carnet: telaio e motore. Il telaio me lo controllarono in Egitto (presero il calco con carta e matita). Il motore non l'ha mai verificato nessuno, anche perché non è facile farlo: la targhetta è piazzata nel blocco motore e senza adeguata luce non si legge. Ancora un controllo alla carta di circolazione per verificare se sono l'effettivo proprietario del camper (cosa avranno capito delle scritte in italiano lo sanno solo loro). Poi mostro la targhetta “LEFT HAND DRIVE” che avevo appiccicato alla coda del camper, e che è obbligatoria in India per i veicoli col volante a sinistra. Anzi, per sicurezza ne avevo messe due. Quindi, è tutto in regola... o quasi. Non ho l'assicurazione RCA, dato che quella che ho fatto in Pakistan non copre l'India.

“Dove posso ottenere una polizza a breve termine?”. Chiedo agli ufficiali. E uno di loro mi da il recapito dell'ufficio della Indian Insurance Company di Amritsar. Di più. Chiama al telefono l'assicuratore e me lo passa, in modo che possiamo prendere appuntamento per domani mattina. Dovrò guidare fino a domani senza assicurazione. Che palle. Tra l'altro, l'RCA è obbligatoria in India. Non si capisce com'è che alla frontiera non ci sia uno sportello di qualche compagnia.

Sono indeciso se attendere un paio d'ore per l'inizio della cerimonia di chiusura della frontiera, oppure se andare dritto ad Amritsar, che dista 30 km. Cosiderato che, partendo da qui dopo la fine della cerimonia e impiegando almeno un'ora per raggiungere la guest house rischierei di guidare col buio, penso che sia meglio levarmi di qui alla svelta. E sarà meglio farlo prima che la folla di gente che si sta accalcaldo all'ingresso del lato indiano inizi a entrare. Appena fuori dalla frontiera, c'è il caos. Centinaia di persone attendono di entrare in frontiera per prendere posto prima della cerimonia. Il terreno è un cesso: non bastano fango e rifiuti, ci sono anche animali che gironzolano e defecano molto democraticamente. Non per nulla, un cartello dice “Benvenuti in India, la più grande democrazia del mondo”.

Parto verso Amritsar, su una bellissima strada a quattro corsie. È la GRAND TRUNK ROAD. Anche se potrei andare a 100, guido a 30 all'ora perché mi sto godendo questi momenti. Tra mille difficoltà burocratiche, logistiche e meteorologiche, sono riuscito a raggiungere l'India via terra. Mi crogiolo nella soddisfazione.
Sulla Grand Trunk Road c'è un casello in cui dovrei pagare il pedaggio. Preparo i soldi, ma i casellanti non mi vogliono far pagare. Fanno un sacco di domande e di commenti, tra cui: “Sonia Gandhi è italiana!”.
Amritsar si presenta, già dall'ingresso, come una città molto incasinata. Il traffico è quasi esclusivamente di motorini e motorisciò, i quali cambiano corsia continuamente e non smettono mai di suonare il clacson.
Devo raggiungere la “Mrs. Bhandari Guest House”, una specie di piccolo villaggio turistico in cui è possibile campeggiare. Questo luogo mi è stato segnalato da altri camperisti/overlanders. Anche se non è citato dalla L. Planet, credo di poter riuscire a raggiungerlo utilizzando la cartina della guida. Credo male. Nella cartina non compare “Cantonment”, cioè la strada della guest house.

Pazienza. Rimango sulla strada principale e continuo dritto fino ad attraversare quasi tutta la città, cioè fino a trovare un punto periferico abbastanza tranquillo da potermi parcheggiare per chiedere
indicazioni. La strada della guest house non è lontana, ma prima di proseguire devo assolutamente acquistare una sim card GSM indiana, dato che la mia sembra non funzionare più. Qui attorno è pieno di negozi di oggettistica elettronica, quindi non dovrebbe essere difficile trovare una SIM. Infatti è facilissimo, basta avere la residenza in India. Quindi niente SIM per gli stranieri. Ho appena avuto il primo impatto con la famigerata burocrazia indiana. Mi accontento di fare una telefonata da una postazione pubblica.

Attraversando un incrocio, non essendomi ancora abituato alla guida a sinistra, faccio una manovra sbagliata e vengo fermato da un poliziotto che mi contesta l'infrazione. Per fortuna non mi fa nessuna multa.
Finalmente raggiungo la Mrs. Bhandari Guest House. Appena il gestore apre il cancello, noto lo splendido giardino. Specifico che vorrei parcheggiare e dormire nel camper, con quel vago senso di inferiorità che a volte abbiamo noi camperisti. Non c'è problema, pagherò 6 euro a notte (prezzo per veicolo + 1 persona) per il parcheggio e l'uso di bagno e piscina. La corrente elettrica si paga extra. Dato che vorrei fermarmi due notti, non mi sembra una cattiva idea allacciarmi alla rete. Ma quando vedo l'accrocchio di adattatori che il gestore mette su per predispormi una presa shuko, cambio idea: non c'è la messa a terra.

Il giardino della guest house è enorme e pulitissimo e i prati sono tenuti in maniera maniacale. Un cartello vieta di montare le tende sull'erba. Il camper viene parcheggiato sulla passerella, tra i prati. La guest house offre anche il servizio lavanderia (esterno). Inoltre, in una saletta, ci sono due PC fissi con accesso a Internet. A pagamento, ovviamente. Insomma, dopo tanti giorni di viaggio, questo posto è proprio quello che ci voleva.


Il giardino della Mrs. Bhandari Guest House ad Amritsar


Alla guest house ci sono delle ragazze italiane che hanno soggiornato qui per qualche giorno e stanno partendo alla volta dell'India del Nord. Sono abbastanza soddisfatte del soggiorno nella guest house ma mi segnalano gli alti costi dei servizi. C'è anche una famiglia di inglesi, gente simpaticissima. Mi dicono che, per guidare dall'Italia fin qui, sono stato coraggioso ma anche stupido.

Prima della cena do una pulita al camper, che è tutto impolverato di sabbia del Beluchistan. Navigando in Internet noto che le notizie che arrivano dal Kashmir sono pessime: ci sono stati morti e dispersi, compreso un ragazzo italiano. I danni alle infrastrutture sono tali che sia la strada Srinagar-Leh che la Manali-Leh sono interrotte da frane e smottamenti. Decido di rinunciare definitivamente a raggiungere Leh e la Valle di Nubra.

Per cena prendo del riso con vari condimenti, tutti molto piccanti. L'insalata, invece, me la condisco con dell'olio extravergine d'oliva che tengo in camper. Dopo cena parlo con un gruppo di ragazzi tedeschi, sulla ventina, che sono appena arrivati in India in aereo. Si fermeranno qualche giorno qui ad Amritsar e poi partiranno per Dharamsala e Mcleod Ganj. Soggiorneranno a Mcleod Ganj addirittura per un mese. Per meditare, dicono. Tra l'altro, sono informatissimi sul calendario delle conferenze del Dalai Lama, che risiede appunto a Mcleod Ganj. L'idea di visitare Mcleod Ganj mi sembra ottima. È un posto tranquillo, non molto lontano da Amritsar, in cui rilassarsi un altro po' prima di proseguire -probabilmente- per il confine nepalese. La strada per arrivarci, inoltre, è nota per i suoi interessanti panorami. Aggiudicato. Mcleod Ganj sarà la prossima tappa del viaggio.
km oggi: 310 totali: 8.264

mercoledì, 11 agosto 2010

Oggi sarà una giornata intensa. Inizierò con le scartoffie dell'assicurazione. Proseguirò con l'acquisto di una sim per il telefono, e dopo farò un po' il turista.
Prima di immergermi nel caos di Amritsar, consegno la montagna di capi da lavare al servizio lavanderia. Appena fuori dal cancello della guest house, c'è un tassista con il motorisciò. Monto su, gli do l'indirizzo dell'assicurazione, e quello ovviamente fa di tutto per portarmi da un assicuratore di sua conoscenza. Su questo non tollero proposte alternative: ho già preso accordi teleofonici con l'assicuratore della United India Insurance Co. LTD, e da lui devo andare. In ogni caso, non è facile: il tassista non conosce la strada e deve fare varie telefonate per arrivarci. Mentre lui chiama all'ufficio dell'assicurazione o chiede indicazioni per strada, io respiro a fatica in mezzo a nubi di smog. Noto che molte persone del posto, sia pedoni che motociclisti, indossano la mascherina. Qui l'inquinamento è roba seria.

L'ufficio dell'assicurazione si trova in un palazzo fatiscente, sporco e probabilmente non costruito secondo criteri anti-sismici. L'assicuratore mi offre prima il té e poi l'acqua. E naturalmente non prendo né té né acqua. Ho una certa fretta di concludere perché vorrei farmi un giro della città. Ma prima bisogna iniziare il rito delle presentazioni. Il dirigente seduto alla sua scrivania, aria condizionata a manetta, chiama i suoi dipendenti che si appostano dietro di lui e rimangono in piedi. A questo punto posso spiegare quello che mi occorre, e cioè una polizza (come si potrebbe intuire visto che mi trovo in un'agenzia di assicurazione).

Da noi in Italia, quando qualcuno ti vuole vendere un servizio, te lo vende e basta, soprattutto se tu (compratore) sei già convinto che il servizio ti serve. Se poi vai di fretta, ancora meglio. Qui in India invece è diverso: prima ancora di trattare, devi raccontare tutti i tuoi cazzi a dei perfetti sconosciuti: quanto guadagni, che tipo di ragazze frequenti e cose del genere. Cioè, si arriva a un livello di dettaglio che sfiora il pettegolezzo.
Quando sono veramente girato per il tempo che mi stanno facendo perdere, ecco che arriva la ciliegina sulla torta: “Tu non parli molto bene l'inglese, vero?” Forse me lo chiedono perché spesso non capisco quello che dicono, perché in effetti loro parlano con un accento incomprensibile.

“Guardate che io parlo in inglese con persone di tutto il mondo sia dal vivo che in audioconferenza. Normalmente capisco e mi capiscono.” Sono diventato un'istrice.
“La facciamo questa polizza?” “Dov'è la tua auto?” “Ho detto che è un autocaravan.” “È qui fuori?” “No, è parcheggiato alla guest house.” “Ma noi dovremmo vederlo di persona.”
Chiedo al tassista, che parla un po' meglio l'inglese: “Cosa devono accertare?” “Sai, è perché loro non si fidano.”
Non si fidano? In Italia se tu fai una polizza dichiarando dati scorretti o falsi sono cavoli tuoi. Cioè, in caso di sinistro, l'assicurazione potrebbe non coprirti. Invece questi telefonano a un loro perito e lo inviano, con la fotocamera, alla guest house per fare le foto al camper e allegarle al contratto. Pazzesco. Alla fine stipulo una polizza della durata di un anno (dicono che se la faccio per sei mesi spendo la stessa cifra), per un costo di 55 euro. La polizza è estesa gratuitamente al Nepal.

Il mio tassista si chiama Krishna, nome molto comune in India. Mi sta per portare fino a un negozio di cellulari per reperire una SIM. “Non preoccuparti. Anche se non hai la residenza, ci penso io a farti avere la SIM”.
Il negozio di cellulari è in realtà una micro-cabina di 6 metri quadri, dove ci si entra al massimo in 3
o 4 persone. Installo la SIM indiana, ma il mio cellulare non si registra. Non era dunque un problema di SIM. Perciò compro anche un cellulare economico, spendendo in tutto (con SIM e ricarica) una trentina di euro. Non potrò effettuare chiamate finché il tassista (che ha fornito i suoi dati perché la scheda è intestata a lui), non porterà il suo documento d'identità al negozio. E il documento ce l'ha a casa.
Mi chiedo se potrò mai usare questa SIM indiana, ma nel frattempo faccio un salto al famosissimo Golden Temple di Amritsar, sempre accompagnato dal tassista che mi aiuta a indossare il copricapo arancione e mi spiega cosa non devo assolutamente fare dentro al tempio (tipo camminare con scarpe o calze).Il tempio è spettacolare, insieme alle facciate degli edifici che gli stanno attorno. È molto affollato sia di turisti che di locali. Non ne sto a descrivere le caratteristiche architettoniche perché sto scrivendo il resoconto del mio raid e non una guida turistica.


Il Golden Temple di Amritsar


Al rientro nella guest house, pago il tassista e gli do appuntamento al pomeriggio.
Il tassista rispetta l'appuntamento, mi accompagna (gratis) al negozio di cellulari e consegna il documento per l'attivazione della SIM che magicamente inizia a funzionare. Il mio numero indiano comincia per +91... Posso chiamare l'Italia a una tariffa concorrenziale, ed essere chiamato senza pagare il roaming entrante.
In serata mi vengono riconsegnati i vestiti da parte del servizio lavanderia. Solo più tardi mi accorgo che un asciugamano manca all'appello.
km oggi: 0 totali: 8.264

giovedì, 12 agosto 2010

A metà mattina parto, con estrema calma, verso Dharamsala. La distanza è intorno ai 200 km, ma secondo i locali ci vorrebbero almeno 5 ore per raggiungerla. Già in uscita da Amritsar, non è facile trovare la direzione per Pathankot. Le indicazioni non ci sono, oppure sono scritte solo in indi.
Guidare sulle strade statali è difficile. Gli autocarri vanno a 30, così come le moto e i motorini. Ci sono pedoni e animali che camminano a bordo strada. Carretti trainati da animali procedono lenti, e a volte contro mano. Una cosa che ho notato subito delle strade indiane è che sono tappezzate di cartelli con pubblicità di istituti scolastici. Sembra che gli indiani tengano molto all'educazione. Inoltre, le frequenti scuole pubbliche (public schools) sono ospitate in bellissimi edifici lungo la strada. Ci sono anche cartelli che dicono “Educa i tuoi figli”. Wow, dovrebbero metterli anche in Italia, e non solo sulle strade.

Ho una bella sorpresa quando vedo un camper con targa tedesca in sosta, e dunque mi fermo per indagare. La coppia di camperisti tedeschi è diretta a Nord, verso lo stato di Jammu e Kashmir. I signori non sono per nulla preoccupati dell'alluvione che ha colpito quella zona. Quando segnalo che io ho rinunciato al Kashmir perché le strade sono impercorribili, questi cadono dalle nuvole: non avevano idea della gravità della situazione. Dicono che comunque tenteranno di procedere verso Nord-Ovest, evitando il cuore del Kashmir. Follia, perché andranno verso il confine col Pakistan settentrionale, cioè verso un'altra zona molto colpita dalle piogge. Non ho tempo di convincerli a non procedere verso Nord. Ho la mia strada da fare, ed è già abbastanza. Io andrò ad Est.

C'è un gran traffico di veicoli militari. Si tratta senza dubbio di mezzi di soccorso per la popolazione colpita dalle alluvioni. Inizio ad avere motivo per preoccuparmi davvero. Un altro motivo ce l'ho quando leggo un cartello che dice “ATTENZIONE, ponte di Chakki crollato, strada interrotta poco più avanti”. Chakki è una città sulla strada NH 20 verso Nurpur, cioè verso dove io sto andando. Sulla mia carta stradale (edizioni Reise Know How, scala 1:1.300.000) non ci sono alternative per andare da qui verso quella zona. Per di più sta iniziando a piovere pesantemente.
Faccio un pranzo veloce a base di pane carasau, parmigiano e frutta, e poi vado a cercare qualcuno a cui chiedere informazioni sulla strada. Carta alla mano, chiedo a uno seduto sotto una tettoia. “Come faccio ad andare a Dharamsala se il ponte per Chakki è crollato?” “Non passi per Chakki ma fai l'altra strada fino a Nurpur e Dharamsala.” “Sulla carta non vedo nessun'altra strada per Nurpur.” “Torna indietro, gira a sinistra e segui le indicazioni per Nurpur e Dharamsala.”

Anche se immagino che questo poveraccio non abbia interesse a prendermi per il culo, onestamente non sono convinto dell'esistenza di questa strada miracolosa per Nurpur. Torno indietro e giro a sinistra come suggeriva quel tipo, ma prima di proseguire chiedo delucidazioni al gestore di un negozietto. Questo prende la mia carta, la studia e da il suo verdetto: “Questa carta stradale è vecchia.”
Penso che vecchia è sua sorella. Voglio dire, questa è una carta della Reise Know How che ho fatto arrivare dall'estero perché in Italia non la trovavo. Mi sono sempre vantato delle mie carte stradali. Ho fondato la preparazione dell'itinerario sulle mie fottute carte stradali.

E continua: “C'è una strada di recente costruzione per by-passare Chakki, e in questa carta non è indicata.”
Decido di fidarmi dei consigli della popolazione autoctona, più che della (vecchia) carta stradale della Reise Know How. Chiedo se la strada per Dharamsala è in buone condizioni ed è percorribile senza problemi con il mio mezzo. La risposta è: “La strada è ottima, ma forse troverai qualche tratto dissestato a causa delle piogge.” Incoraggiante. Continuo quindi verso Dharamsala, su una strada che inizialmente sembra molto buona, e che è frequentata da scimmie che si spostano indisturbate da un lato all'altro. In questa strada si paga il pedaggio. Un ponte pericolante a causa delle piogge è stato chiuso.
Il traffico è deviato su un ponticello parallelo, troppo stretto per ospitare due corsie. Si viaggia in senso unico alternato e quindi c'è una lunga coda. Più avanti, quando il traffico diminuisce e il panorama inizia a farsi veramente carino, mi trovo dinuovo in coda. Alcune auto che mi precedono, fanno inversione e tornano indietro. La causa è il fiume d'acqua e fango che ha spazzato via la strada. La gente dei vicini villaggi si è radunata per godersi lo spettacolo. Le auto non passano, ma autobus e autocarri sì perché hanno le ruote più alte. Osservo le ruote dell'autocarro che mi precede per cercare di intuire la profondità del guado: saranno 30 cm. Mi preoccupa la corrente, che sembra forte, ma quando vedo che anche due motociclisti passano senza grossi problemi, decido di tentare.È stata una buona idea.


Un guado sulla strada per Dharamsala

Poco più avanti, un altro guado. Poi la strada inizia a salire decisamente di quota. Nei paesini che attraverso, l'architettura degli edifici è particolare. Le persone iniziano ad avere i lineamenti dei tibetani: occhietti a mandorla tipo cinesi, per itenderci. E dopo una curva, parzialmente nascosta dalla nuvole, chi mi vedo davanti? L'Himalaya!
Per raggiungere l'inizio della catena Himalayana, partendo da Pisa, ci sono voluti 16 giorni e 8.450 km.


Strada verso Dharamsala con l'Himalaya sullo sfondo

Mi posso ritenere quasi soddisfatto, anche se l'idea che alberga nella mia mente ormai da qualche giorno, cioè quella di fare un salto in Nepal, non mi lascerà tranquillo finché non avrò raggiunto Kathmandu.
Per il momento mi godo il panorama di questa bellissima catena montuosa, verso la quale mi sto dirigendo. Dharamsala e Mcleod Ganj si trovano, rispettivamente, a 1200 e 1800 metri di altidudine.
Mi arrampico, insieme al camper, su stradine strette e dissestate che quasi sfiorano le tipiche casette tibetane con tetti a pagoda.

Inizialmente pensavo di fermarmi per la notte a Dharamsala e poi di visitare Mcleod Ganj. Invece, mentre attraverso Dharamsala, non trovo neanche un posto in cui parcheggiare. Nel villaggio c'è un gran casino. Continuo dunque per Mcleod Ganj, sperando di trovare un parcheggio abbastanza spazioso. E, soprattutto, sperando di trovare più tranquillità. Faccio una sosta presso il distributore di benzina più panoramico che mi sia mai capitato, cioè con l'Himalaya sullo sfondo. Quattro bambini, due con la faccia da indiani e due con i lineamenti quasi da cinesi, si fanno fotografare.

Al tramonto intravedo Mcleod Ganj arroccata sul crinale della montagna. Lo scenario mi sembra fuoriluogo, perché stamattina ero quasi ai tropici mentre adesso ho davanti un paesaggio alpino. Appena entrato nel villaggio, cerco di spingermi verso il centro. Secondo la L. Planet, ci sarebbero diversi hotel. Una strettoia mi suggerisce di fermarmi e di chiedere informazioni a un turista straniero.
Questo mi spiega che non ho nessuna possibilità di proseguire col camper nel centro di Mcleod Ganj, perché le strade sono percorribili solo da piccole auto. Inoltre, gli hotel sono tutti molto angusti e non hanno il parcheggio. La salvezza camperistica è il parcheggio multipiano all'ingresso del villaggio. Si pagano circa 1,20 euro per 24 ore. A prima vista, Mcleod Ganj mi sembra urbanizzata nella totale ignoranza del dissesto idrogeologico del territorio in cui sorge. A cominciare dal parcheggio multipiano, le cui colonne portanti sembrano sottodimensionate e lasciano dunque intuire l'altrettanta inadeguatezza delle fondamenta (sempre che ci siano). Si consideri che il parcheggio è arroccato (come tutto il villaggio, del resto) su un crinale, sopra centinaia di metri di strapiombo. Dovesse esserci un cedimento poco sopra o poco sotto, tutto il parcheggio andrebbe giù, compresi gli autobus dei turisti.

Mi piazzo all'ultimo piano del parcheggio, all'aperto, lontano dal lato dello strapiombo. Accendo le utenze, soprattutto il boiler (visto che c'è un bel fresco), e mi faccio una doccia. Faccio una passeggiata nella zona centrale, per farmi un'idea delle dimensioni del centro e della tipologia di servizi di ristorazione. C'è molta scelta, non c'è neppure bisogno della L. Planet, e adocchio subito un hotel-ristorante con servizio Internet. Tutto il personale è di origine tibetana. Anche il menù è tibetano. Le cose migliori che prendo sono una specie di toast al pomodoro e una torta alla banana. Il ristorante è frequentato da persone un po' strane.

Il primo esempio è la ragazza affianco a me, che consuma da sola la sua cena vegetariana, e che non proferisce parola. Un altro esempio è un signore affetto da qualche grave patologia, in quanto è privo delle più elementari facoltà di deambulazione, di locuzione e di coordinamento. Cerca di dialogare con un gruppo di ragazzi vestiti da trekkers, sembra parlino di qualche tragedia avvenuta in montagna. Poi chiama una cameriera, si fa sollevare di peso, e tenta di ballare rimanendo incredibilmente in equilibrio.
Ci sarebbe anche un terzo esempio di strana figura che frequenta questo posto: è un italiano di 28 anni, ricercatore (di guai), che ha guidato per più di due settimane attraverso altipiani, deserti, zone quasi di guerra, montagne, non è ancora arrivato a destinazione e adesso si chiede se non sia il caso di andare a dormire. C'è appena il tempo di leggere le email perché qui a Mcleod Ganj tutte le attività, compreso il ristorante, chiudono molto presto. Tornando al camper mi accorgo che ho parcheggiato vicino al punto in cui vengono scaricati i rifiuti. Si tratta principalmente di rifiuti dei ristoranti, e c'è un odore nauseante di burro marcio. Le mucche rovistano tra i rifiuti a pochi metri dal camper.
km oggi: 232 totali: 8.496

venerdì, 13 agosto 2010

Le vacche stanno ancora pascolando attorno al camper e sgranocchiando la spazzatura. Mcleod Ganj è immersa nella foschia. Mi faccio un giro verso il tempio, dove dovrebbe esserci anche la residenza del Dalai Lama. Lungo la strada principale del villaggio si palesa ciò che sospettavo ieri, cioè la conseguenza del dissesto idrogeologico della zona: frane e smottamenti stanno mettendo a rischio l'integrità della strada e minacciano gli edifici. Ma non c'è da stupirsi visto che mancano totalmente reti e muri di contenimento. Da questo punto di vista, però, c'è una cosa buona, cioè la presenza di tanti alberi che trattengono almeno un po' il terreno.


Veduta di Mcleod Ganj

Il monastero buddista è un mini-villaggio autonomo. Oltre al tempio ci sono le abitazioni dei monaci, con varie terrazze in cui i bonzi si lavano incuranti dei turisti che passeggiano e fotografano.
Per questa mattina sarò un turista, quindi anch'io faccio foto, compro souvenir e spedisco cartoline. Inoltre, visto che tra un paio d'ore punterò verso il Nepal, mi do da fare per procurarmi una guida L. Planet e una carta stradale. Devo infatti pianificare l'itinerario in base ai chilometri e ai migliori punti sosta segnalati. A Mcleod Ganj ci sono varie librerie. Non ho difficoltà a trovare la L. Planet del Nepal (in inglese), ma la carta stradale è introvabile. Opto allora per un atlante di India e Nepal con annessa una piccola carta stradale, abbastanza approssimativa. Ci sono molti punti di confine segnalati: uno a Ovest del Nepal, che è il più vicino, e vari altri punti a Sud. Da informazioni che avevo raccolto precedentemente, l'attraversamento del Nepal da Ovest verso Est sarebbe pericoloso a causa delle instabilità socio-politiche nella regione del Terai.

Sarebbe invece più sicuro entrare da Sud. Per me non ha senso entrare da Sud, perché dovrei allungare il percorso in India, cioè arrivare quasi fino a Varanasi e poi puntare a Nord verso il confine e poi verso Kathmandu. Per questo motivo decido di entrare da Ovest, in barba alle indicazioni della Farnesina, attraversare il Terai, fermarmi a Kathmandu e scendere a Sud per poi tornare in India. Se non perdo troppo tempo, in 3 giorni dovrei essere in Nepal.

Continuo a gironzolare per il villaggio e compro dei souvenir: un Buddha classico, un Buddha portafortuna, un Buddha fortunato, un Buddha che ride e una specie di rotellina manuale della preghiera. I venditori ambulanti impacchettano gli oggetti per i turisti ma, anziché fare uso di sacchetti di plastica, costruiscono delle buste con fogli di giornale.

Il mio viaggio continua sulla statale 20 verso Palanpur e Mandi, attraverso panorami molto belli in una zona dal clima ideale (almeno d'estate). Vedo templi buddisti, induisti, pellegrini di ogni tipo, frane e buche enormi. Nel pomeriggio arrivo vicino a Mandi, dove la strada si divide: a Nord va verso Manali, dove sarei dovuto andare secondo il piano originale per proseguire per Leh. A Sud va verso Chandigarh. Preferisco evitare di andare a Manali, in quanto ritengo che, essendo il maggiore centro abitato vicino alla zona disastrata del Ladakh, sarà certamente il punto in cui si coordinano i soccorsi. Cioè, è da evitare come la peste.

Per studiare il piano per la serata (cioè per capire dove andrò a dormire stanotte), prendo la L. Planet e scopro con piacere che nei “dintorni di Mandi” c'è il famoso Rewalsar Lake, un posto sacro per indù, buddisti e sikh. Ci sarebbero strutture ricettive e di ristorazione. Mi preoccupa la strada: è segnata con una linea gialla molto più sottile di quella delle strade statali. Vuol dire che sarà un disastro. E infatti, a parte qualche piccolo pezzo di asfalto ormai in rovina, la strada è pessima. È da fare in prima e seconda.
Per coprire i circa 20 km che separano Mandi da Rewalsar ci metto più di un'ora. Nell'ultimo tratto carico degli autostoppisti locali che sono diretti al Rewalsar Lake, i quali mi confermano che il lago è veramente bello come si dice. Una cosa bella per me c'è davvero, e subito: un parcheggio, tranquillo e gratuito, vicino al centro. Sarebbe riservato ai taxi, ma i tassisti dicono che posso sostare anche di notte. Un'altro aspetto positivo è che, sui suoi 1.350 metri di altitudine, Rewalsar è abbastanza fresca.

Durante la prima passeggiata che faccio abitualmente per prendere contatto con i luoghi di sosta, mi rendo conto che si tratta di un posto molto particolare. Da una parte, la spettacolarità del lago con la passerella che corre lungo l'acqua, il tempio buddista e la sovrastante statua gigante di una qualche divinità (a prima vista direi di Buddha, ma su questo ci sono pareri contrastanti). Dall'altra, la serenità dell'atmosfera, nonostante la discreta quantità di turisti. Gli abitanti del luogo sono tranquillissimi, sempre gentili e mai insistenti. Nessuno cerca di tirarti dentro il suo negozietto o di venderti cianfrusaglie per strada. Penso di aver fatto un'ottima scelta a fermarmi qui per la notte, e mi fermerei anche più a lungo, se solo non avessi fretta di andare verso il Nepal.


La statua gigante presso Rewalsar Lake

Per strada incontro un gruppetto di turisti italiani. Sono stati evacuati dal Ladakh durante la recente alluvione: hanno preso uno degli ultimi voli prima che l'aeroporto di Leh chiudesse. Hanno deciso comunque di rimanere in India e stanno attualmente visitando il Nord. Quando vedono il camper sono increduli, e mi fanno una marea di domande sulle difficoltà che ho incontrato lungo la strada.

Per cena scelgo il Topchen Restaurant, consigliato dalla L. Planet. È un locale molto spartano, praticamente poco più che un chiosco. La signora che lo gestisce, con i suoi occhietti a mandorla, mi ispira fiducia. Al tavolo davanti a me ci sono due ragazze spagnole di Barcellona. Sono odontoiatre e sono venute in India per fare volontariato. In pratica avrebbero dovuto curare gratuitamente i denti ai bambini del Ladakh, ma non sono riuscite ad arrivarci a causa dell'alluvione. Dialogo con le spagnole mentre mangio una zuppa di verdure con tortelli di carne.
C'è anche il dessert: una torta alla banana. Le spagnole se ne vanno presto a dormire presso il monastero buddista di fronte al ristorante. Il monastero ospita anche turisti, in teoria gratuitamente ma in pratica accetta donazioni. Noto che il monastero ha un cortile interno in cui vengono parcheggiate alcune auto e furgoni. Penso che un camperista potrebbe chiedere di sostare lì dentro con il camper, magari pagando una mancia. Tuttavia, lo spazio sembra limitato e rimane da verificare la presenza di ostacoli (soprattutto in altezza).

Prima di andare a dormire, faccio tappa in un internet point frequentato da giovani tedeschi. Più che in vacanza mi sembrano al lavoro: stanno scaricando file campioni e componendo musica. Me ne torno quindi al camper, con la statua gigante di Budda, o chi per lui, che mi guarda. Durante la notte mi sveglio per un formicolio. Qualcosa mi sta camminando in faccia. Se è un ragno dev'essere grande come un granchio perché, quando lo levo di dosso e accendo la luce, trovo sul
cuscino una zampa piuttosto grossa. Lo cerco a lungo perché voglio eliminarlo, ma presto il sonno prevale.
km oggi: 177 totali: 8.673

sabato, 14 agosto 2010

Andare via da una località di sosta non mi è mai dispiaciuto così tanto, ma purtroppo devo lasciare Rewalsar, e alla svelta. Infatti mi aspetta una strada di cui non conosco i tempi di percorrenza. Inoltre devo cercare un meccanico, per fargli dare un'occhiata al motore e capire come mai ogni tanto si accende la spia dell'olio. Il livello dell'olio è apposto, ma sembra che la pressione non sia sufficiente. Proverò a far cambiare il filtro, che magari è intasato.
Imbocco la strada che mi è stata consigliata da un tassista.

È una di quelle che sulla carta sono segnate in giallo, con linea molto sottile, ma il tassista diceva che è la strada migliore per andare verso Bilaspur. La strada si rivela subito molto tosta, la più difficile che abbia mai fatto. È stretta, corre lungo un precipizio, e sul bordo alcuni punti hanno franato. Il fondo è disastrato. Ci sono delle buche profonde in cui il pianale sbatte. Pozzanghere enormi mi obbligano a prendere un po' di rincorsa prima di attraversarle, per non rischiare di rimanere impantanato.

In un piccolo agglomerato trovo un'officina. Ho a bordo un filtro dell'olio di ricambio, ma il meccanico mi dice subito che non ha la chiave giusta per sostituirlo. Dice che comunque più avanti troverò diverse officine più attrezzate. Inoltre mi fa notare come la mascherina del muso del camper sia in procinto di staccarsi. Il fissaggio della povera mascherina aveva resistito alla botta sferrata da un veicolo nel porto di Ashdod (Israele) la scorsa estate. Botta tanto violenta da forare, deformare e scardinare il radiatore. Ma le vibrazioni delle strade pakistane e indiane stanno facendo di peggio: stanno facendo saltare le viti. Il meccanico cerca una vite adeguata e la rimonta, mentre la popolazione del villaggio comincia ad accorrere curiosa.


Un po' di riassetto nell'Himachal Pradesh

Il meccanico non vuole assolutamente essere pagato per l'intervento. Ma io trovo subito il modo di sdebitarmi con la popolazione locale: do un passaggio a due signori che vanno “verso giù”. La stradina è veramente massacrante. Inoltre, con 150 chili in più a bordo, devo stare ancora più attento alle buche. Nei tratti più difficili ho dei momenti di vera disperazione, e chiedo ai due passeggeri: “Ma come si possono tenere le strade in queste condizioni? Come fate a spostarvi, come fate a vivere così?”. Poi ci sono gli autobus di linea che spuntano all'improvviso da dietro alle curve. Incrociarli sull'orlo del precipizio è estenuante: bisogna fermarsi e fare manovre millimetriche, per evitare di toccare il bordo delle montagna o di mettere una ruota pericolosamente fuori dalla strada.

Nella cittadina in cui scendono i due autostoppisti, trovo un'officina meccanica discretamente attrezzata. Appena faccio presente il problema, il giovane meccanico inizia a studiare il motore. In questi momenti ringrazio il cielo di avere un vecchio motore a benzina, senza elettronica, solo con parti meccaniche e qualche piccolo componente elettrico (peraltro non essenziale per il funzionamento, ma solo per l'ottimizzazione dei consumi). In pratica, il mio è un motore semplicissimo.

Propongo di sostituire il filtro, per migliorare la circolazione dell'olio. Il meccanico però mi fa notare che l'olio è pulito e viscoso, dunque anche il filtro dovrebbe essere ancora buono. Insisto e faccio cambiare il filtro. Il problema, purtroppo, non si risolve: la spia dell'olio continua ad accendersi a intervalli, specialmente dopo la messa in moto. Il meccanico, allora controlla il livello dell'olio. Per farlo correttamente, rimuove il tappo di rabbocco, cosa che io non facevo. Il livello è molto basso, praticamente al minimo. Fortunatamente ho a bordo diversi litri di olio Repsol, quello che uso solitamente. Faccio fare il rabbocco e così risolvo definitivamente il problema. Ho dunque imparato che per leggere correttamente il livello dell'olio devo togliere il tappo del rabbocco. Do una piccola mancia al meccanico, anche se lui inizialmente non vuole accettare. Gli lascio anche il vecchio filtro dell'olio perché ritinene che sia ancora utilizzabile.

Continuo il viaggio verso Sud-Est. Vado verso Chandigarh con l'idea di proseguire per Nahan, e magari fermarmi lì per la notte. Secondo la L. Planet, Nahan sarebbe molto caratteristica. Chandigarh è nota anche perché rappresenta un'eccezione nel panorama delle città indiane: si è sviluppata con un piano regolatore civile ed è prevalentemente organizzata in settori. Le strade sono parallele, perpendicolari ed equidistanti. Effettivamente la circolazione è molto più semplice che nelle altre città.
Però non riesco a raggiungere la statale 73, cioè la strada che porta a Nahan. Chiedo informazioni, mi faccio fare uno schema del percorso, ma è tutto inutile: senza nessun cartello stradale è impossibile trovare la direzione. Allora decido di seguire le indicazioni per Delhi. Mi ritrovo sulla statale 21, verso Sud, puntando prima su Ambala e poi su Yamunanagar. Niente da fare per Nahan. Quando è ormai buio cerco disperatamente un posto per fermarmi. Ciò che mi fa paura della guida col buio sono le buche, la gente che cammina sulla strada e gli animali (tipo somari, mucche e capre). Sulla strada c'è un piccolo motel ristorante, ma purtroppo manca la corrente e il proprietario non può offrirmi la cena. Inoltre non è molto daccordo che io mi fermi a pernottare nel suo parcheggio. Procedendo qualche chilometro, raggiungo una stazione di servizio. Chiedo al personale se posso sostare per la notte e se c'è un ristorante nelle vicinanze.

I dipendenti della stazione di servizio sono un po' perplessi, ma disponibili. Si presentano: c'è il contabile, l'addetto al rifornimento, il guardiano e il direttore generale. Siccome l'esercizio commerciale è molto piccolo, mi chiedo come fanno queste persone ad avere tutte uno stipendio per campare. Sono tutti molto gentili e non vogliono essere pagati per la sosta. Un dipendente si offre addirittura di accompagnarmi, in moto, fino a un ristorante di un villaggio vicino. Io non ne voglio sapere di viaggiare in moto, al buio, su queste strade. Quindi opto per un piccolo chiosco poco più avanti, che raggiungo a piedi, attraversando pozze di fango e nuvole di insetti. Il localino è molto semplice e all'aperto. Anche il menù è semplice. Prendo una specie di zuppa con verdure e carne, molto piccante. Poi torno al camper e cerco di dormire.
km oggi: 238 totali: 8.911

domenica, 15 agosto 2010

La socializzazione prosegue con i dipendenti della stazione di servizio, che mi fanno prelevare l'acqua per la tanica del camper.
Continuo verso Haridwar, in una strada che fa assolutamente schifo. Inoltre c'è il problema che è difficile rimanerci. Cioè, ogni volta che la strada passa per i centri abitati si biforca e non c'è modo di sapere quale ramo prendere (perché mancano le indicazioni). L'unica speranza è quella di osservare il numero della strada nelle pietre miliari, e tornare indietro nel caso il numero non torni.È difficile anche ottenere precise indicazioni dalla gente locale, perché in genere le persone non riescono a orientarsi con le mappe. Cose che per noi sono scontate, come ad esempio saper individuare sulla carta stradale la propria città, per l'indiano medio sono assai complicate.

Il punto più difficile della giornata è un tratto di strada invaso dal fango. Una cinquantina di metri di lunghezza, su tutta la carreggiata, con una profondità approssimativa di 30 cm. Gli autocarri passano, le auto no. Le moto preferiscono tagliare dall'esterno della strada, dai punti più asciutti. Decido di rischiare, come ho già fatto più volte, confidando sul fatto che il Transit è abbastanza alto e che le parti del motore delicate sono protette. Attraverso il lago di fango in prima, rischiando più volte di impantanarmi, con il camper che scodinzola per via della trazione posteriore, e schizzando fango da tutte le parti. Più tardi mi accorgo che gli schizzi di fango sono arrivati dentro il vano motore fino al collettore di aspirazione. Nel pomeriggio passo per Haridwar, città sacra per gli Indù perché si trova vicino alle sorgenti del Gange. Ci sono grandi folle di pellegrini dai vestiti colorati. Alcuni arrivano con gli autobus, altri in moto, in bici o a piedi. Si riconoscono perché indossano vestiti arancioni e hanno le bandierine rosse. Passo sopra il ponte sul fiume sacro e, per la prima volta, vedo il Gange.

Quando sta per fare buio mi preoccupo di trovare un punto per la sosta. Nei pressi di una piccola città che si chiama Nagina, noto il ristorante “Dream Restaurant – Pure Veg”. Avrei intenzione di mangiare qui e di pernottare in un prato accanto, ma il gestore insiste per farmi parcheggiare nel giardinetto davanti al locale. Il gestore abita con la moglie e due figlie al piano di sopra. Si tratta di persone abbastanza colte, e che parlano un buon inglese. Per cena prendo una zuppa di pomodoro, insalata, patate fritte e pane “chapati”. Il locale sembra di buon livello (per gli standard locali), ma la zona attorno è parzialmente acquitrinosa. Le vacche pascolano attorno a pozze d'acqua piovana piene di rifuiti. Dovendo smaltire una busta di spazzatura del camper, chiedo lumi e mi viene detto di buttarla dall'altra parte della strada. Sul tardi, dopo che ho finito di mangiare, i gestori del locale mi invitano a rimanere all'interno perché ci sono meno zanzare.
Mi metto a leggere la L. Planet del Nepal e a studiare le carte stradali. La famiglia dei gestori consuma la cena al tavolo, come fanno i clienti, cioè senza posate. Le bambine fanno un pastrocchio di riso e condimenti, prendono i bocconi con le mani, e mi guardano tutte soddisfatte. Un cameriere fa il giro dei tavoli a intervalli regolari per scacciare gli scarafaggi che si poggiano a pochi centimetri dalle pietanze.

Quando pensavo all'India, non avevo di certo in mente rifiuti, fango e scarafaggi. Spero di conservarne un ricordo diverso, in futuro.
Prima di andare a dormire devo mostrare il camper ad alcuni clienti del locale che muoiono dalla curiosità. Ho capito anche perché il gestore mi ha fatto parcheggiare in giardino: per attirare clienti.
km oggi: 277 totali: 9.188

lunedì, 16 agosto 2010

Parto con l'obiettivo di arrivare a Banbasa, frontiera col Nepal, nel pomeriggio. Man mano che mi avvicino al Nepal, noto che il traffico diminuisce e che le strade sono migliori. La statale 74 è quasi piacevole da percorrere, finchè non arrivo a un ponte tra Sitargani e Khatima che è dichiarato pericolante a causa dell'alluvione. Sono state installate delle barre che limitano l'accesso sia in larghezza che altezza.
L'intento è sicuramente quello di bloccare il transito ai mezzi pesanti. Il mio camper non passa. In questi momenti vorrei avere un furgone con tetto a soffietto, e non un ingombrante mansardato. Sono costretto a chiedere informazioni su una via alternativa verso Khatima e Banbasa. Si noti che nella mia carta stradale non esiste nessuna strada alternativa. Un ragazzo mi spiega che c'è una via alternativa che porta verso Khatima. Si tratta di un sentiero che passa per alcuni villaggi.

Devo solo seguire i camion e gli autobus, e non posso sbagliare. La strada è poco più che una pista in terra battuta. Passa in mezzo a campi allagati, villaggi con case di fango e bambini magrissimi vestiti di stracci. Poi, finalmente, mi riporta sulla strada principale. Banbasa, come tutti i villaggi di frontiera che si rispettino, è tutta un traffico di persone, animali e merci. Per non sbagliare strada, seguo il flusso di moto e auto con targa nepalese, che certamente stanno rientrando in patria. Un poliziotto indiano mi ferma e mi dice: “Guarda che forse hai sbagliato strada. Deve tornare indietro”. Gli dico “Guarda che sto andando in Nepal”. Rimane sorpreso. Sono ancora in tempo per passare la frontiera entro stasera. In questo caso stanotte pernotterò a Mahendranagar, in Nepal. Che figata.

Un passaggio a livello, una stradina affollata di biciclette e asinelli che corre lungo il fiume, poi si vede il check point indiano. Il ponte che separa India e Nepal è aperto ai veicoli tra le 18 e le 19. Pedoni, ciclisti e motociclisti possono invece passare ad ogni ora. Parlando con un poliziotto del check-point vengo a sapere che i visti multipli indiani sono validi per rientrare in India solo dopo 3 mesi dall'ultima uscita. Io ho un visto a due ingressi e l'ambasciata non mi ha detto niente di questa regola, quindi ritengo di poter rientrare in India quando mi pare. Il poliziotto è ancora convinto di avere ragione, ma si ricrede quando gli spiego che, siccome il mio visto ha validità per due ingressi nell'arco di tre mesi, sarebbe impossibile utilizzarlo a pieno se fosse vera questa regola.

Alle 18:30 il ponte è ancora chiuso al transito. Un signore che si classifica come ufficiale dell'immigrazione indiana si avvicina e mi illustra la situazione. Da lui vengo a sapere che il livello del fiume è troppo elevato e il ponte non può essere aperto ai veicoli per motivi di sicurezza. Alle 19 l'ufficio immigrazione indiano che si trova dall'altro lato chiuderà fino a domani mattina. Porca troia. L'ufficiale mi prega di pernottare qui e di presentarmi domattina alle 6 nel suo ufficio dall'altra parte del fiume, per poter avere il timbro di uscita. Naturalmente a condizione che il livello del fiume cali durante la notte e che il ponte venga aperto al transito dei veicoli.

Siccome non ci posso credere, chiedo conferma a dei nepalesi in auto che attendono di passare il confine. Purtroppo è così: finché il livello dell'acqua non scende, il ponte non sarà transitabile in auto.
Una simpatica signora nepalese mi dice che la questione della transitabilità del ponte è storia vecchia. La legge risale a più di 40 anni fa, e nonostante le pressioni dei pendolari transfrontalieri e della stampa locale, i politici indiani non fanno niente per cambiarla. Siccome la signora ha voglia di chiacchierare, mi racconta che è venuta in India per far visita alla figlia che studia in un college e che il figlio si trova in Austria per vedere il gran premio. Questa dev'essere una famiglia benestante.

Parcheggio davanti alla postazione di polizia, vicino alla sponda del fiume, e mi addormento col fruscìo di questa maledetta acqua che scorre. Ogni tanto sento che qualche veicolo passa il ponte. Come abbia fatto a convincere la polizia è un altro dei misteri dell'India.
km oggi: 259 totali: 9.447

martedì, 17 agosto 2010

Alle 5 del mattino ho già fatto colazione e mi preparo a passare il confine. Prelevo una tanica d'acqua dalla pompa manuale che si trova affianco al check point. Far funzionare queste pompe manuali, molto diffuse in India, è maledettamente faticoso. Per fortuna devo prendere solo 20 litri. Riparto, pago il pedaggio e attraverso il ponte. Dall'altra parte del fiume c'è l'ufficio della Indian Immigration, dove ottengo il timbro d'uscita. L'ufficiale mi fa notare che, prima di ritornare in India, dovrò chiedere un “re-entry permit” all'ambasciata indiana di Kathmandu. Gli faccio notare che ho un visto a due ingressi, specificamente richiesto all'ambasciata indiana di Roma sottoponendo l'itinerario che avrei seguito. Mi chiede scusa e dice che ho ragione.

Proseguo il disbrigo delle pratiche all'ufficio “Custom” (dogana). Al mio terzo viaggio fuori dall'Europa, ho acquisito una certa dimestichezza con le scartoffie. Mi piazzo davanti all'ufficiale, con i documenti in mano. “Siccome sto andando in Nepal, devo registrare l'uscita del mio veicolo sul Carnet.” Mai avessi nominato il Carnet. L'ufficiale è preso dal panico. Comincia a cercare qualcosa nei cassetti, cerca di aprire gli sportelli di un mobile, che sono chiusi a chiave. “Il Carnet. Eh sì.” Sta prendendo tempo. “Devi sapere che non ho la chiave del mobile dentro il quale conserviamo il registro dei Carnet.”

Dio buono, questa mi mancava. L'ufficiale della dogana non ha accesso al registro dei Carnet, che per definizione è fatto per essere compilato dagli ufficiali di dogana. Ma io non mi schiodo da qui finché non mi compilano il Carnet.
Non vorrei sembrare paranoico con questa faccenda del Carnet, ma mi preme specificare che si tratta di un documento molto delicato. Il Carnet è in pratica un blocchetto degli assegni.
Ogni volta che entro in un paese e mi viene preso l'Importation Voucher, è come se io staccassi un assegno di 15.570 euro (triplo del valore di mercato del mio camper che è di 5.190 euro). Se qualcosa va storto (esempio: furto del veicolo, abbandono o mancata esportazione entro il tempo limite), il paese che ha preso l'Importation Voucher può reclamare alla FIA - Federazione Internazionale dell'Automobile i diritti di importazione (che io ho garantito tramite fidejussione). Quando esco dal paese e viene timbrata l'uscita, l'Importation Voucher (cioè l'assegno!) viene in pratica annullato.

Siccome vedo una vagonata di nepalesi che vanno e vengono con auto e furgoni, chiedo come fanno a passare in India senza il Carnet: “Scusi ma i nepalesi che entrano ed escono dall'India in auto come fanno? Non hanno il Carnet?”
“No, loro hanno solo un foglio di transito dove specificano gli oggetti trasportati.” “Interessante.”
L'ufficiale prende il telefono e dice: “Blablabla.... Carnet blabla!!”
Inganno il tempo cercando di acquisire informazioni sull'itinerario: “Quanto tempo ci vuole per arrivare a Kathmandu, all'incirca?” Risponde l'autista di un autobus nepalese: “Io ci metto dalle 15 alle 18 ore. Dipende dalle condizioni della strada”. “A proposito, com'è la strada?” “È a posto, ma ha riportato dei danni per le forti piogge.”
“Ma è percorribile? Cioè, è tutta aperta?” “Sì, certo! Io faccio quella strada e conto di arrivare a Kathmandu stanotte tardi.”

Incoraggiante. Per sicurezza, comunque, metto in conto almeno un giorno e mezzo. L'ufficiale invece mi dice che secondo lui ci metterò 3 giorni. Viva la sincerità. Un'altra domanda la rivolgo a entrambi:“È vero che nel Terai ci sono pericoli legati alle attività dei maoisti?” Si mettono a ridere. “No, no..! Sono 5 anni che i maoisti non disturbano. Non c'è pericolo.”
Nel frattempo, un inserviente insiste per offrirmi del té. Io rifiuto anche perché ho appena fatto colazione. L'ufficiale: “Tranquillo, noi stiamo molto attenti all'igiene! Prendi almeno un bicchiere d'acqua. La raccogliamo noi: sgorga dalle montagne qui vicino.”

Faccio uno sforzo e accetto l'acqua solo per non sembrare antipatico. Porca miseria, si sente che è acqua di fonte: fa schifo. Appena arriva la chiave dell'armadio che contiene il registro, sbrigo la questione del Carnet e mi dirigo, con il camper, verso il Nepal.
La “terra di nessuno” tra India e Nepal è un posto molto curioso. A parte le solite bibiclette e la gente che cammina portando talvolta al guinzaglio asini e capre, ci sono dei veri e propri centri abitati. Chissà se chi abita qui afferisce all'India o al Nepal, visto che questo è territorio “internazionale”. C'è un primo posto di blocco dell'esercito nepalese. I militari vogliono controllare l'interno del camper.Più avanti, sulla sinistra, noto il cartello “Immigration” appeso alla parete di una casupola. È lì che devo chiedere il visto d'ingresso.


Terra di nessuno tra India e Nepal

Entro nella casupola, che ha la porta spalancata, e non trovo nessuno. Dopo che chiamo più volte, arriva un tipo in pantofole che dovrebbe essere l'ufficiale. C'è da dire che io sono l'unico straniero che oggi passa di qui: il resto del traffico è solo di indiani e nepalesi, che non hanno bisogno del visto per spostarsi tra i due paesi e che quindi non devono disturbare gli ufficiali di frontiera. L'ufficiale, probabilmente, dormiva.

È molto semplice ottenere un visto d'ingresso nepalese: basta pagare una tassa, compilare il modulo e consegnare una fototessera. Il prezzo per il visto a singola entrata per 15 giorni equivale a 25 euro. Secondo alcune voci che girano su Internet, il visto si potrebbe pagare SOLO in dollari USA. A pensarci bene, anche la guida L. Planet riferisce qualcosa del genere. Sempre secondo la L. Planet, bisogna avere i 27 dollari contati perché in frontiera non danno il resto.... Puttanate: io ho pagato 30 dollari in banconote e mi hanno dato il resto esatto in rupie nepalesi. Inoltre, tramite l'ufficiale di frontiera, si possono anche convertire le rupie indiane in rupie nepalesi.
L'atmosfera di questa frontiera, secondo la guida turistica, è molto rilassata. Ma secondo me c'è di più: la tranquillità degli ufficiali, la semplicità nell'ottenere il visto e l'aria che tira in generale, la dicono lunga su come il Nepal sia in pace con il resto del mondo.

Proseguo fino all'ufficio della dogana, che è poco più avanti. È una casupola ancora più piccola di quella della Immigration, e fa schifo da quanto è sporca. Dentro c'è un tavolino dove due ufficiali scrivono sui loro registri, timbrano, incassano manciate di banconote da indiani e nepalesi che vanno e vengono con scatole di prodotti vari. Non si curano della mia presenza, neanche dopo che mostro i documenti per attirare l'attenzione. Quando il flusso di gente diminuisce, finalmente uno di loro mi passa un registro da compilare. È il registro dei Carnet. Provvedo personalmente a riportare i dati, mentre loro timbrano il Carnet. Ne approfitto anche per curiosare nel registro dei Carnet, e vedere chi è passato di qui recentemente: da aprile ad agosto sono passati molti europei in auto o in moto. Prevalentemente tedeschi, olandesi, svizzeri. Ma nessun italiano.

L'ultimo ostacolo è un posto di blocco, dove i militari vogliono vedere una banconota del mio paese. Mostro i soliti 5 euro, e spiego che sono soldi dell'Unione Europea, di cui fa parte anche l'Italia. Ma che ne sanno questi di Europa, di Schengen, ecc. Quindi, entro nel Regno del Nepal.
Per strada ci sono solo ciclisti e pedoni che camminano per i fatti loro, a zig-zag. Per farmi largo suono il clacson in continuazione. A Mahendranagar, che dovrebbe essere un centro urbano abbastanza importante, circola solo qualche autobus o furgone. Nessun veicolo privato. Sembra un posto molto povero. Qui mi devo fermare per comprare frutta, acqua minerale e ovviamente una carta stradale del Nepal.

Vado subito a cercare la carta stradale. Giro per alcuni negozi di libri che sono sprovvisti di carte stradali, oppure le hanno, ma con le scritte in nepalese. Trovo una piccola guida turistica del Nepal, in inglese, con carta stradale in omaggio. La carta è in scala sufficiente, però non ha le distanze chilometriche. Compro anche dell'acqua minerale e un chilo di mele che definire buone è poco.

Imbocco la Mahendra Highway verso il cuore del Terai e verso Kathmandu. Sarebbe la strada principale del Nepal ed è nota come N01. Per essere la prima strada non è molto trafficata, e questo per me è un bene. Posso infatti rilassarmi e godermi il paesaggio e le scene di vita locale. Donnine con la faccia scura e dai vestiti colorati portano a spasso mucche e capre, vecchietti trasportano legna, bambini camminano lungo la strada per spostarsi da un villaggio all'altro. Inizia a piovere pesantemente. Pedoni, ciclisti e motociclisti di passaggio si rifugiano sotto piccole tettoie circolari allestite lungo la strada. Chiacchierano, mi osservano, salutano. Quando, per qualche motivo, mi fermo in un centro abitato, la curiosità della gente non è mai molesta (come invece avviene talvolta in India). I nepalesi si avvicinano sempre con cautela, senza essere invadenti.

La Mahendra Highway è molto meglio delle strade che ho fatto nell'India del Nord: l'asfalto è tale da far drenare l'acqua, e ai bordi della strada ci sono dei grandi canali di scolo per raccoglierla. Anche quando piove forte, la strada tende a rimanere libera dall'acqua. In generale, almeno per chi arriva dell'India, direi che guidare in Nepal è un’esperienza rasserenante. In lontananza, dietro alle nuvole, scorgo dei rilievi che sembrano la base di una catena imponente. È l'Himalaya, irraggiungibile, che mi sta prendendo per il culo.

Per arrivare a un ottimo punto sosta per questa notte mi mancano pochi chilometri. È appena l'ora di pranzo, per cui credo che arriverò al Bardia Park molto presto, e potrò rilassarmi per mezza giornata. Ma come mi sono permesso di fare una simile assunzione, dato che sono in Asia nel mezzo della stagione monsonica? Me lo chiedo quando mi trovo davanti a una coda di mezzi che aspettano di scavalcare un fiume. E sembra che la coda sia ferma. Scendo per andare a curiosare sulla causa del blocco, e vedo che la rampa del ponte (in terra battuta) è impercorribile a causa di una enorme buca.
C'è un gruppo di operai al lavoro, ma sembra che non si curino della buca, dedicandosi piuttosto alla costruzione dei parapetti del ponte. La ruspa è parcheggiata e inutilizzata. Un'altra cosa curiosa è che la fila di veicoli termina proprio davanti al fiume, accanto al ponte, e questo su entrambe le sponde. Sembra che gli autisti aspettino di poter attraversare il fiume... Chissà che non arrivi una qualche zattera miracolosa.

Da solo non riesco a capire cosa succede. Me lo spiegano dei nepalesi, che peraltro sono rimasti bloccati come me ieri sera al confine. Stanno rientrando in Nepal dopo un viaggio in India e sono diretti a Nepalganj, non molto lontano da qui. Loro sono abituati ai disagi della stagione delle piogge.


In attesa di attraversare il fiume

La situazione è molto semplice: stanno tutti aspettando di attraversare il fiume con i mezzi, cioè di passare nella “crossway”, che sarebbe un tracciato sul letto del fiume. Auspicabilmente, nel giro di qualche ora, il livello dell'acqua dovrebbe scendere. Sempre che non si metta a piovere. Gli chiedo come farei secondo loro a passare nel fiume con il camper. Rispondono che, se il livello dell'acqua scenderà, passeranno con la loro auto come hanno sempre fatto. E la loro auto non è neanche a trazione integrale. Quindi anch'io non avrò problemi con il camper. Non ci posso credere. Rifaccio la stessa domanda altre due volte e ottengo sempre la stessa risposta: prima o poi passeremo tutti sul fiume.

“E il ponte?” “Il ponte non è ancora stato inaugurato. Gli operai ci stanno ancora lavorando. Ci vorranno due settimane per terminarlo.” Non ritengo possibile attraversare in sicurezza il fiume a bordo del camper. Tuttavia, per essere pronto ad ogni evenienza, gonfio le sospensioni posteriori per sollevare la coda di qualche centimetro e preparo il cavo di traino (nel caso dovessi rimanere impantanato nel fiume). Kathmandu dista circa 500 km da qui, ma sembra sempre più lontana. Non ho idea di quando potrò ripartire.

Tra le varie auto in coda c'è un fuoristrada con una famiglia apparentemente benestante. Una bambina, tutta incuriosita dal camper, vuole sapere dove sono diretto. Anche lei va a Kathmandu. “E quando conti di arrivarci a Kathmandu?” “Domani.” Dice Questo mi mette di bun umore. Se anch'io riuscissi ad arrivare a Kathmandu entro domani mi riterrei molto fortunato.

Un ragazzo arriva dal fiume, tutto agitato, e si ferma presso le persone in coda. Viene anche da me e mi parla in un inglese abbastanza comprensibile per capire che la situazione sta degenerando:
“Un furgone ha cercato di attraversare il fiume ma è stato travolto dall'acqua. L'autista si è fatto male e stanno cercando di portarlo in salvo.” Il ragazzo se ne va sconsolato: “Io torno indietro, tanto nel fiume non si passa... non oggi.” E se un nepalese dice di lasciar perdere, vuol dire che non c'è da scherzare. Vado a vedere e a fotografare il furgone bloccato nel fiume. Mi chiedo con che coraggio l'autista abbia tentato di attraversare in quelle condizioni di marea

Un furgone travolto dalla corrente mentre tentava di attraversare il fiume

I passeggeri degli autobus scendono, attraversano il ponte a piedi e continuano il viaggio andando a cercare un altro mezzo dall'altra parte del fiume.
Mi avvicino al gruppo di nepalesi con cui ho parlato prima, cercando di capire che intenzioni hanno. Dicono che probabilmente, per l'abbassamento dell'acqua, bisognerà aspettare fino a domani. Loro conoscono un buon albergo in una cittadina a un paio d'ore da qui. Il posto di chiama Dhangadhi, e si trova vicino all'India. Gli dico: “Non posso tornare indietro e perdere tempo! Ho i giorni contati! Se torno indietro sono costretto a rifare la frontiera per l'India.” I nepalesi mi dicono di stare tranquillo, che la situazione prima o poi si risolverà. Ma io non sono per niente tranquillo. Si rimette a piovere forte, tutti corrono dentro alle loro auto, e io torno nel camper.

La scappatoia di tornare in India da Mahendranagar-Banbasa (cioè da dove sono entrato stamattina) non è una soluzione sicura. Se, infatti, dovesse piovere pesantemente e il livello del fiume che separa India e Nepal dovesse salire, il ponte verrebbe chiuso ai veicoli (come è successo ieri). In quel caso rischierei di perdere altro tempo, cioè almeno un giorno, in attesa di attraversare la frontiera. Viceversa, se solo fossi in grado di superare questo fiume e proseguire verso Kathmandu, potrei contare su altri 3 punti di confine ufficiali per rientrare in India. Quindi, nel caso di accumulo di un forte ritardo, potrei tentare di uscire dal primo punto di confine utile. Sia chiaro, infatti, che non esiste alcuna strada alternativa per Kathmandu: me lo dicono i nepalesi, me lo conferma la carta stradale. Da questa zona partono solo sentieri cosiddetti “stagionali”, cioè praticabili (con mezzi attrezzati) solamente nella stagione asciutta.

Dopo uno spuntino che ha in pratica sostituito il pranzo, vado in bagno per lavarmi le mani e, per caso, mi guardo allo specchio: sono magrissimo e pallido, e porto i segni di tre settimane massacranti di viaggio. Un viaggio sicuramente interessante ma anche caratterizzato da tante difficoltà. Sono in trappola: chiuso tra due fiumi, con il camper, in un paese del quarto mondo e in balia del monsone. In più, sono in mezzo a un branco di pazzi ancora convinti di poter attraversare il fiume in auto. Devo prendere una decisione entro un'ora: tornare indietro e lasciar perdere il Nepal e Kathmandu, oppure continuare verso la capitale, rischiando di accumulare un forte ritardo. Torno, ancora una volta, dai miei amici nepalesi per trovare conforto. Loro continuano a sostenere la necessità di attendere pazientemente, che la situazione prima o poi si sbloccherà.

Vado a curiosare nei pressi del ponte “in costruzione”. Un'auto delle Nazioni Unite si è piazzata all'inizio della rampa del ponte. Il personale dialoga continuamente via radio. Dall'altra parte, anche un'ambulanza si è fermata sulla rampa. Le auto iniziano a mettersi in fila davanti al ponte, e non più verso la sponda del fiume. Penso che abbiano tutti intenzione di attraversare il ponte, in qualche modo. Ma gli operai stanno ancora lavorando, e l'accesso è bloccato da attrezzi e materiali, nonché dalla voragine sulla rampa. Nel giro di pochi minuti si crea un assembramento di persone, per niente di buon umore, attorno agli operai. Le persone urlano, la tensione sale. Vedo un operaio che sale sulla ruspa piangendo, mentre qualcuno gli grida contro. L'operaio sulla ruspa si mette al lavoro per coprire il buco sulla rampa. Viene sgombrato il ponte, e le auto iniziano a passare.

Quando arriva il mio turno, capisco subito che il ponte non è agevole. In particolare, la rampa è stata rattoppata velocemente. Il camper affonda sul pastrocchio di fango e pietre, il telaio gratta pesantemente. Una folla di gente guarda incuriosita, in un'atmosfera incredibilmente festosa, il collaudo non ufficiale del ponte.
Ho assistito, per caso, a un importante evento della storia logistica del Nepal: l'ultimo ponte che mancava alla Mahendra Highway per essere propriamente definita UNA STRADA, è finalmente inaugurato. Per fortuna per i poveri pendolari nepalesi, niente più guadi, cioè niente “crossway”. Per fortuna per me, Kathmandu adesso è più vicina.
Appena oltre il ponte, al termine della coda di veicoli, c'è il furgone che si trovava nel fiume: è stato trainato fuori e l'autista cerca qualcuno che lo possa rimorchiare per una decina di km verso Kathmandu. Io non ci penso proprio di rimorchiarlo, anche perché mi fermerò molto prima. Infatti, a soli un paio di chilometri, c'è l'ingresso del Bardia National Park dove intendo pernottare. Davanti al cartello del parco, si raduna un gruppo di bambini magri e mal vestiti.


L’ingresso del Bardia Royal National Park

Vengo presto avvicinato da un ragazzino che dice di lavorare come guida turistica nel parco. Sostiene che non è possibile proseguire fino all'interno del parco, dove si trovano gli hotel, perché la strada è allagata. Inizialmente non ci credo, pensando che mi voglia spacciare chissà quale sistemazione per la notte. Invece presto scopro che mi è permesso pernottare gratuitamente in un prato appena dopo l'ingresso del parco. In pratica, la strada che corre dentro il parco per circa 12 km fino al villaggio di Bardia, è sotto un metro e mezzo d'acqua. Cioè, è sotto lo stesso fiume che ho appena scavalcato dal ponte della statale.

Gli autobus fermi all'ingresso del parco sono in attesa che la pioggia cessi e il livello dell'acqua si abbassi per poter portare i passeggeri fino al villaggio. La guida (il ragazzino) dice che nel giro di qualche ora il livello si abbasserà e sarà possibile attraversare il parco. Io, sinceramente, non ci credo e penso che mi fermerò qui per la notte.
Avviso, per sicurezza, i militari del check point davanti all'ingresso del parco sulle mie intenzioni di pernottare qui. Quindi ordino la cena presso il “ristorante” a conduzione familiare che si trova dentro una baracca e poi provvedo al carico dell'acqua (da fontana con pompa manuale!) per non doverlo fare domani mattina. Scopro i servizi presenti nel piccolo villaggio all'ingresso del parco. In una baracca c'è il minimarket: vende prodotti alimentari confezionati tipo biscotti e patatine. In un'altra c'è il servizio di telefonia da cui chiamo l'Italia a prezzi concorrenziali. La qualità della linea è ottima.

Al tramonto nel villaggio cala il buio. Non c'è illuminazione perché la corrente elettrica viene erogata solo in tarda serata. Per andare a cena devo munirmi della torcia a led che tengo per le emergenze. Mi serve perché il camper è parcheggiato in un prato leggermente acquitrinoso, e non vorrei finire in una delle pozzanghere infestate da una quantità imprecisata di insetti. Anche il ristorante è quasi al buio. L'unica luce è quella delle piccole torce elettriche dei clienti. Qui mi stavano aspettando per la cena, che è pronta da un pezzo. “Ma la corrente elettrica quando arriva?” Chiedo. “Sì, vedrai che sta per arrivare.”

La mia cena è costituita da una zuppa di lenticchie o roba simile, riso, condimento a base di asparagi e immancabile pane indiano “chapati”. La zuppa fa schifo. Gli asparagi sono buoni ma troppo piccanti. Durante la cena parlo con il ragazzo-guida, che conosce molto bene l'inglese. Abita nel villaggio di Bardia (irraggiungibile per via del fiume grosso), di mattina va al college e di sera fa la guida per i turisti. Domani mattina presto si recherà a lezione con l'autobus. Insomma, fa una vita che sembra normale, in un luogo che di normale per me ha ben poco. Voglio dire: si cammina nel fango, la corrente elettrica c'è solo occasionalmente, bisogna aspettare i comodi di madre natura per guadare un fiume e tornare a casa. Io, questa cosa dei disagi, la sto prendendo con filosofia perché sono nel mezzo di una spedizione, vado in cerca di diversità e non delle comodità di cui godo tutto l'anno. Cioè, io per pochi giorni ci rido sopra. Questi invece vivono sempre qui, e non li invidio.
km oggi: 146 totali: 9.593

mercoledì, 18 agosto 2010

Prima di partire da questo piccolo villaggio voglio lasciare una mancia alla signora che gestisce il ristorante davanti al quale ho dormito. “Per il parcheggio e per l'acqua”, le dico.
Gli autobus che avrebbero dovuto passare il fiume verso Bardia sono ancora fermi all'ingresso del parco. Gli autisti, in tutta serenità, attendono che il livello dell'acqua scenda. Molti dei passeggeri hanno proseguito a piedi. Altri, forse perché hanno i bagagli, aspettano. Penso che dovranno aspettare un bel po', visto che ha piovuto tutta la notte.
La Mahendra Highway corre tra pianure parzialmente allagate dalle piogge torrenziali e tratti boscosi. Per tutta la mattina non incrocio neanche un veicolo, e la cosa mi sembra molto strana. Ai checkpoint la polizia mi accenna a qualcosa che ha a che fare con “blocco”, ma non ci faccio troppo caso.


La Mahendra Highway tra Bardia e Kathmandu

La benzina non si trova in tutti i distributori, mentre il gasolio sì. La qualità del carburante sembra leggermente migliore rispetto all'India. Direi che ci sono 92 ottani. Si può pagare, all'occorrenza, anche in rupie indiane e viene sempre rilasciata una ricevuta. Ad un posto di blocco mi viene chiesto di dare un passaggio a un poliziotto fino a un villaggio poco più avanti.
Secondo la L. Planet ci sarebbe un ATM (sportello bancomat) nel centro di Butawal. Lo sportello c'è, o meglio ce ne sono 2. Ma non funzionano. Pazienza, cercherò a Bharatpur. Intanto il camper è stato circondato da bambini che sniffano colla dai loro sacchetti.

Nel pomeriggio, poco prima di Bharatpur, vengo fermato all'ennesimo check point per un controllo. Sono convinto di cavarmela in un minuto, come sempre. Invece stavolta mi ordinano di parcheggiare e aspettare per un po'. Inizialmente non capisco il motivo. Ne approffitto comunque per studiare la situazione di Kathmandu sulla L. Planet, e per individuare sulla carta il punto sosta in cui vorrei arrivare stasera: il Chobar Village Resort, poco fuori Kathmandu. La polizia mi spiega che oggi c'è uno sciopero generale.

Ecco perché non si vede un veicolo in circolazione: in Nepal prendono molto sul serio la questione degli scioperi. Un poliziotto mi suggerisce di provare a proseguire verso Kathmandu, ma mi mette in guardia: “Attento, dopo Narayangadh potrebbero bloccarti.” Il senso della frase non mi è molto chiaro, probabilmente mi bloccheranno a un altro check point. Comunque avrei una certa fretta, e quindi proseguo.
A Bharatpur trovo finalmente un bancomat funzionante e prelevo un po' di soldi. Sempre a Bharatpur, chiedo informazioni sulla strada migliore per Kathmandu: continuare sulla N01 verso Hetauda e poi su fino a Kathmandu, oppure fare la N05 per Narayagadh e poi la N04? Secondo dei ragazzi del posto, entrambe le strade sono pericolose. Non riesco a capire cosa ci possa essere di più pericoloso delle strade che ho attraversato nelle ultime settimane. Ma questi insistono: la N01 è molto “risky”, anche se è un po' più rapida. La N05 è più lenta ma meno “risky”. Decido di fare la N05.

La strada sale di quota. In serata qualche camion si rimette in viaggio, ma la maggior parte sono ancora fermi sul bordo della strada con gli autisti che aspettano. Dopo Narayangadh la N05 è poco più di una stradina di montagna con curve cieche, frane che occupano parte della carreggiata, mancanza di parapetto sul lato del precipizio e fiumi d'acqua e fango che scendono dalla montagna e la attraversano.
Mini-agglomerati sorgono in piccoli spazi sottratti alla montagna. Sono gruppi di baracche di legno che ospitano sia abitazioni che esercizi commerciali. Qualcuno cucina roba da servire in “ristoranti” improvvisati, qualcuno brucia dei rifiuti, qualcun'altro si lava. Il tutto avviene all'aperto, in mezzo a un misto di fango, olio e spazzatura. Nello spiazzo in corrispondenza di un curvone, i due camion che mi stanno davanti si fermano. C'è un folto gruppo di giovani vestiti di rosso e con bandiere rosse. Hanno anche della tinta rossa in faccia. Bloccano i camion e sembrano incazzati neri.

Mi vengono in mente cose sentite o lette prima e durante il viaggio: “In Nepal permangono situazioni di tensione soprattutto in occasione di scioperi e manifestazioni...”. “Attento, dopo Narayangadh potrebbero bloccarti...” “La N05 è comunque rischiosa...”
Vari pezzi di informazione, che in principio non erano chiari, acquistano magicamente significato quando vengono collocati nel loro contesto: mi trovo in corrispondenza di un blocco stradale da parte di simpatizzanti maoisti. Quindi in Nepal ci sono effettivamente attività da parte dei maoisti. Interessante. Cerco di mantenere la calma, e dico ai maoisti che sono diretto a Kathmandu. Per fortuna mi fanno cenno di proseguire, così continuo il viaggio verso la capitale. Sia per la difficoltà della strada che per il buio che cala, comincio a pensare che non sarà possibile arrivare a Kathmandu stasera.

Se guidassi con il buio, considerando una media di 25 o 30 km/h (perché più veloce è impossibile), potrei essere a Kathmandu intorno alla mezzanotte. Sarebbe fattibile, ma troppo pericoloso. La “provvidenza camperistica”, questa sera, a circa 90 km da Kathmandu, è un cartello con scritto River Side Spring Resort. In pratica, indica che alcuni chilometri più avanti troverò un complesso turistico. Considerata la bellezza di questa zona, che si trova all'interno del Chitwan National Park, credo che si tratterà di un resort di lusso, certamente dotato anche di ristorante di alto livello. Proprio quello che mi serve dopo questa dura giornata di viaggio. Inoltre, dormendo qui, domani potrò ammirare il panorama della valle di Kathmandu alla luce del giorno. Senza considerare che potrò spingermi, con calma, fin dentro la città e magari cercare un buon punto sosta per due giorni.

Il resort si trova sul lato sinistro della strada in direzione Kathmandu, in pratica stretto tra la montagna e il fiume che corre in fondo alla gola. Chiedo al guardiano all'ingresso se posso sostare per la notte, e lui mi suggerisce di chiedere alla reception. Attraverso il magnifico giardino del resort, dove incrocio qualche turista occidentale, e chiedo alla reception se posso parcheggiare il camper e dormirci dentro, eventualmente pagando un extra. “Certo che puoi, ma non paghi nessun supplemento.” Questo posto è il sogno del camperista: scenario da favola, ristorante, parcheggio custodito 24 ore e gratuito.
La struttura di ristorazione è di ottimo livello, ma assai cara (almeno per gli standard locali).È anche possibile utilizzare il telefono a pagamento dell'albergo, da cui faccio una lunga telefonata ai miei parenti a Cagliari rassicurandoli sulla mia incolumità. Naturalmente ometto di raccontare alcuni dettagli, tipo quelli su fiumi/sciopero/maoisti.
km oggi: 463 totali: 10.056

giovedì, 19 agosto 2010

La lunga, infinita strada per Kathmandu ricomincia di mattina presto. Meno di 100 chilometri mi separano dalla meta che ormai mi sono messo in testa e a cui non ho nessuna intenzione di rinunciare. Panorami incantevoli si alternano a incredibili difficoltà di transito, tra frane e smottamenti, ingorghi e incidenti. Finalmente, attraverso i rami degli alberi a bordo strada, vedo la Valle di Kathmandu alla mia sinistra.
Ancora pochi chilometri, un posto di blocco, cartelli di vari sponsor che dicono “Welcome to Kathmandu”, ed entro nella periferia della città. Il primo impatto non è esaltante. L'ambiente è sporco, l'aria è inquinata, la stretta strada che porta verso il viale di circonvallazione è inadeguata al flusso del traffico. Inoltre, in un tratto si procede a senso unico alternato perché una grossa voragine, causata di sicuro dalle forti piogge, occupa una corsia. Per fortuna c'è un vigile, equipaggiato con mascherina antismog, che dirige il traffico.

Intendo spingermi fino al quartiere di Thamel, centro di Kathmandu, perché una mia amica (grazie Claudia!) mi ha detto che c'è almeno un parcheggio in cui posso provare a sostare con il camper. Appena individuo un punto in cui posso fermarmi, cerco un taxi e mi faccio guidare fino a un parcheggio nella zona di Thamel. Seguire il taxi per il centro di Kathmandu è un'impresa pazzesca: non che il numero di veicoli sia elevatissimo (sicuramente niente in confronto ai flussi di città come Milano o Firenze), ma i nepalesi creano un gran casino con le loro manovre spericolate.

Il parcheggio che mi viene consigliato dal tassista è davanti a un ristorante. Lo spazio è più che sufficiente, è recintato e c'è il custode. Il problema è la tariffa oraria: il camper viene assimilato al bus, per cui dovrei pagare circa un euro all'ora. Per due giorni sarebbero più di 40 euro. Ovviamente tratto pesantemente sul prezzo, pretendendo uno sconto per la sosta lunga. Riesco a scendere fino a 25 euro per 2 notti. La tariffa sarebbe normale per un'area di sosta in Italia, ma è assolutamente esagerata per il Nepal. Tuttavia, il parcheggio è custodito 24 ore e si trova davanti a un ristorante che sembra di buon livello. Inoltre, durante la prima passeggiata esplorativa, scopro che il centro di Thamel è a soli cinque minuti a piedi. Non potevo chiedere di meglio, considerato che è la prima volta che visito Kathmandu e che non avevo studiato preventivamente i punti sosta.

Pranzo al ristorante davanti al parcheggio. Il cibo è di buona qualità e il prezzo è onesto (comunque elevato per gli standard locali). La prima cosa che faccio dopo pranzo è andare a cercare una lavanderia. A Thamel ce ne sono diverse. Mi rivolgo a quella più vicina. Fare il bucato mi costerebbe pochissimo: qualcosa come 1 euro. Però questa lavanderia si prende 48 ore per riconsegnarlo. Impossibile per me aspettare due giorni, perché dopodomani mattina riparto per l'India. Ma il lavandaio: “Noi chiediamo sempre 48 ore”. “Non hai capito. La roba mi serve per domani sera, perché dopodomani mattina me ne vado. Fai tu il prezzo.” Il lavandaio, per consegnarmi la roba in 24 ore, raddoppia il prezzo: 2 euro in totale. Perfetto.

Gironzolando per Thamel comincio a prendere contatto con la realtà di Kathmandu, che non c'entra un bel niente col resto del paese che ho visto: qui è pieno di gente che cerca di trascinarti nel suo
negozietto perché vuole venderti souvenir a prezzi osceni. Ci sono spacciatori di droga a ogni angolo. La cosa più fastidiosa sono i santoni indù che vogliono metterti l'inchiostro in fronte perché così ti possono chiedere la mancia. Non mi faccio avvicinare né toccare da nessuno di questi individui. In pratica mando tutti affanculo, a costo di sembrare antipatico.

La connessione a Internet è disponibile in più locali, a prezzi orari che variano tra 0,20 e 1 euro, ma i PC sono spesso obsoleti, lenti e vanno in “out-of-memory” facilmente. Comunque sono fortunato perché oggi c'è la corrente: a Kathmandu infatti ci sono frequenti black out, e gli esercizi commerciali si arrangiano come possono per avere un po' di autonomia in caso di black-out. Negli Internet café, c'è l'angolo batterie: due o tre batterie di TIR sono collegate a un sistema di inverter per erogare corrente alternata e alimentare i PC. Tra l'inverter e i PC ci sono anche gli UPS (gruppi di continuità), che danno alcuni minuti di autonomia anche dopo lo scarico delle batterie. Un sistema semplice ed efficace.

Peccato che le batterie, quando sono in carica, rilasciano vapori tossici. Andrebbero collocate quantomeno all'esterno, per non respirarne i veleni. Negli internet café è anche possibile telefonare all'estero a prezzi accettabili. Purtroppo però la linea si interrompe frequentemente. Inoltre non riesco a utilizzare il cellulare: sia la SIM indiana che quella italiana in teoria vanno in roaming sui gestori locali, ma non mi permettono di fare niente (neanche di inviare/ricevere SMS). Continuo a gironzolare e incontro tanti turisti europei, specialmente francesi e spagnoli. Pochissimi italiani. Ho necessità di procurarmi del cibo per la cambusa, quindi cerco un supermercato. Trovo un piccolo market che vende un po' di tutto e compro crackers, una montagna di biscotti (il Nepal produce ed esporta biscotti di ogni tipo) e latte. Inizialmente mi viene proposto latte in polvere, ma insisto per avere quello liquido in confezione da un litro.

Tornato al camper, dopo aver dato una bella pulita, mi siedo in dinette. Sono molto perplesso: dopo aver raggiunto Kathmandu, non sarà facile trovare una meta della stessa portata. Infatti qui a Kathmandu c’è la fine della strada, sia simbolicamente che praticamente. La mitica rotta verso est, di moda tra gli anni ’60 e ’70, terminava proprio nel centro della città. Autobus passeggeri facevano servizio Londra-Kathmandu. Il giro durava alcune settimane. I servizi non erano di linea, ma erano frequenti. Famiglie con bambini partivano per il viaggio, che allora attraversava anche l’Afghanistan. Bei tempi (cosa mi sono perso!), prima della rivoluzione in Iran e dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Sul lato pratico, invece, a Kathmandu la strada finisce fisicamente: proseguendo verso Sud-Est si ritorna in India (Bengala); a Nord/Nord-Est si va in Tibet, verso la Cina, ma la strada peggiora molto prima del confine, e richiede una certa preparazione del veicolo. Senza considerare le lungaggini burocratiche necessarie per l’ingresso in Cina dal Tibet.
Ottima cena al ristorante davanti al parcheggio, e poi vado a letto presto perché domani mi aspetta un bel giro turistico della città.
km oggi: 102 totali: 10.158

venerdì, 20 agosto 2010

Nel parcheggio in cui mi trovo c'è anche una specie di autolavaggio improvvisato. Quindi è possibile prelevare acqua per il camper
Mi incammino attraverso Thamel per cercare di raggiungere Durbar Square. Il centro di Kathmandu è un groviglio di stradine e cavi elettrici. L'inquinamento è notevole. C'è tanta gente sia a piedi che in bici. Ma per fortuna, contrariamente a quanto temevo, le vacche sono poche. A ogni angolo, specialmente presso le numerose piazze con i tempietti, ci sono giovani che si spacciano per guide turistiche e rompono abbastanza con la loro insistenza.
L'ingresso a Durbar Square è a pagamento.

Beh, adesso sono soddisfatto. Ora che sono arrivato alla fine della strada, non mi resta che tornare indietro. Bisogna però stabilire come, visto che il percorso inverso su strada presenta le seguenti criticità:
non ho abbastanza tempo: il 30 agosto, cioè tra 10 giorni, devo essere in ufficio a Pisa. Il percorso su strada mi richiederebbe almeno 2 settimane (correndo come un pazzo) non ho il visto per il secondo ingresso in Iran. Dovrei chiederlo all'ambasciata iraniana di Islamabad, in cui non ho nessuna intenzione di andare perché il nord del Pakistan è alluvionato ed è anche a rischio attentati mi aspetto di trovare, specialmente in Pakistan, una situazione logistica uguale o peggiore di quella che ho trovato all'andata, in quanto le piogge monsoniche non sono cessate

Siccome questi aspetti li sto considerando da tempo, ieri ho provveduto a inviare un'email all'ufficio di una compagnia di navigazione italiana che fa servizio regolare tra India e Italia. Le sue navi partono ogni due settimane da un porto del Gujarat, e imbarcano anche veicoli in ro-ro. L'ufficio della Messina-Line mi ha risposto subito fornendomi il recapito della sua agenzia presso il porto di Mundra, nel sud del Gujarat, e precisamente nella provincia del Kutch. Quel porto dista più di duemila chilometri da qui. Ho intenzione di andare al più presto a Mundra, fare le pratiche per l'imbarco del camper, prendere un volo per Bombay e da lì per l'Italia.


Kathmandu, Durbar Square

Continuo a passeggiare per Thamel, evitando i negozietti i cui proprietari insistono per tirarmi dentro. Do invece un'occiata a un negozio di un signore che non mi caga, e per questo mi ispira, notando che c'è una quantità di oggetti artigianali molto interessanti. Ad esempio, le statuette di Buddha o le teste di Buddha intagliate a mano, sono ben fatte e non costano troppo. Ne faccio scorta per regalarle in Italia. Faccio tappa anche in una rivendita di CD e compro musica nepalese/indiana: 5 CD per 15 euro. Poi è la volta delle magliette di Kathmandu e Nepal: 10 euro per 3 T-shirt con bandierina del Nepal in omaggio.

Pranzo nella pizzeria gestita da un nepalese che parla perfettamente l'italiano e che certamente ha vissuto in Italia.
In serata faccio ancora un giro per Kathmandu. La zona adiacente a Thamel, verso il viale di circonvallazione, è meno frequentata dai turisti. Centinaia di bancarelle improvvisate vendono ogni tipo di oggetti e generi alimentari. Anche il Ratna Park è affollato di bancarelle e clienti, e per me è stato un po' una delusione, dato che è sporchissimo. Inoltre, in questa zona, l'aria è inquinatissima dagli scarichi dei veicoli. Molti nepalesi hanno la mascherina anti-smog perché è quasi impossibile respirare.

Ceno al solito ristorante davanti al parcheggio del camper, e dopo cena parlo con il giovane cuoco che è interessatissimo all'itinerario del mio viaggio. Noto che i lavoratori del ristorante dormono nella baracca all'ingresso del parcheggio.
km oggi: 0 totali: 10.158

sabato, 21 agosto 2010

Oggi tornerò in India. È molto semplice: basta uscire da Kathmandu, andare a Hetauda e da lì fino alla frontiera di Birganj. Hetauda è una delle principali città del Nepal, quindi la strada sarà segnalata in qualche modo. Per non sbagliare, scrivo in un foglio i passi che devo seguire per raggiungere l'India.


L'itinerario previsto tra Kathmandu e l'India

L'uscita da Kathmandu è abbastanza semplice, anche perché sono le sei del mattino e il traffico è ancora minimo. Faccio la stessa strada dell'andata. Appena fuori Kathmandu c'è un ingorgo. A causa di un incidente (scontro frontale tra due camion perché uno andava contromano per evitare una buca), il traffico è bloccato per mezz'ora. Ma l'evento che segna la giornata è che sbaglio strada.
Non vedo il bivio per Hetauda e quindi continuo sulla N01, verso la Mahendra Highway, verso il Terai. Me ne accorgo solo molti chilometri dopo. Ormai non mi conviene più tornare indietro. Preferisco stare sulla N01 e uscire alla prima frontiera utile con l'India.

Per conoscere le frontiere ufficiali guardo sulle guide L. Planet. Escludendo Birganj che ormai ho superato, sia la guida dell'India che quella del Nepal riportano il punto di confine di Bhairawa. Purtroppo però non riesco a trovare questa località nelle carte: la mia carta dell'India della Reise Know How non copre questa zona, ma solo l'India Nord-Ovest e un piccolo pezzo di Terai nepalese; l'atlante di India e Nepal è incomprensibile; la carta del Nepal riporta solo una cittadina chiamata Siddharthanagar, vicina al confine indiano. Anche se Siddharthanagar non ha nessuna assonanza con Bhairawa, decido di andare lì.
Per fortuna che ho i CD di musica nepalese che mi tengono compagnia. Passo per Butawal, chiedo informazioni per l'India e a questo punto non posso più sbagliare. Quando vedo un flusso di gente con carretti e animali, auto e moto con targa indiana, sono sicuro di aver fatto bene. Questa frontiera è molto più affollata di quella da cui sono entrato. Anche le attività commerciali denotano una certa importanza del centro: basti pensare che ci sono ben cinque cambiavalute, e li devo girare tutti prima di trovarne uno che mi converta le rupie nepalesi in rupie indiane.

L'ufficio dell'immigration è libero, e non mi fa perdere tempo. Quello della dogana invece è pieno di gente. L'ufficiale di dogana non è presente: è a casa perché dicono che oggi qui c'è una festa locale (boh?). Quindi, accompagnato da un dipendente della dogana, faccio una bella passeggiata sotto la pioggia fino alla villetta dell'ufficiale che fortunatamente timbra e firma subito l'uscita sul Carnet. Si noti che, sia in ingresso che in uscita dal Nepal, nessuno ha confrontato i dati del camper con quelli nel Carnet, nessuno mi ha chiesto carta di circolazione o certificato di proprietà e neanche patente o assicurazione.
Tornando al camper mi accorgo che i fari posteriori non funzionano. Si deve essere interrotto il cavo di massa. Fortunatamente non ho in programma di guidare col buio.
Il lato indiano della frontiera è molto più stretto, caotico e fangoso. Piazzo il camper appena trovo un punto non allagato. Ho superato involontariamente la sbarra della dogana. Cioè, sono entrato in India senza che nessuno mi dicesse niente. Il confine è quasi sguarnito. Tutti i pedoni vanno e vengono tra India e Nepal senza fermarsi perché non hanno bisogno del visto. Nessuno li controlla. Comunque non ho intenzione di entrare illegalmente in India, quindi mi prendo un altro po' di tempo per le pratiche del passaporto e del Carnet.

L'ufficio immigration è sotto una tettoia: quattro ufficiali seduti a un tavolo muoiono di noia mentre osservano il viavai di biciclette, carretti e animali. Presento il passaporto, specificando che ho un visto a due ingressi e che ne sto utilizzando il secondo. Compilo il foglio d'ingresso, scoprendo che la cittadina in cui mi trovo adesso, sul lato indiano, si chiama Sonauli e non è segnata nelle mie carte. Uno degli ufficiali da uno sguardo all'interno del camper, un altro mi dice che il mio visto scade il 21 settembre. Purtroppo me ne andrò molto prima. Non avendo particolarmente fretta, approfitto dei simpatici doganieri per chiedere indicazioni sulla strada più veloce verso il Gujarat. Mi consigliano il seguente percorso: Gorakhpur, Lucknow, Agra, Jaipur, Udaipur e poi Mundra. In ogni caso, dubito di arrivare a Gorakhpur entro oggi.

Ancora una tappa burocratica presso l'ufficio della dogana, mezz'ora per timbrare il Carnet (visto che i funzionari non sembrano molto pratici). Quindi rientro in India per l'ultima fase del viaggio. Sempre sotto la pioggia, mi dirigo verso Gorakhpur, e al tramonto cerco un punto sosta. Chiedendo informazioni presso una stazione di servizio scopro che poco più avanti c'è un hotel-ristorante con parcheggio.
Il posto si chiama Jungle Treat &Tanmay – Hotel and Restaurant, ed è gestito da un simpatico signore che non vuole essere pagato per il parcheggio del camper. Comunque, dopo la doccia, approfitto del suo ristorantino. La cucina è tipicamente indiana ma non troppo piccante. Al posto del dessert (che non è disponibile) prendo un bicchiere bollente di latte di bufala.
Alla televisione c'è una demenziale fiction di Bolliwood. Mi sa che la televisione indiana è peggio di quella italiana.
km oggi: 343 totali: 10.501

domenica, 22 agosto 2010

La lunghissima strada per il Gujarat continua in pianura per strade semi allagate. Attraversare Lucknow è un incubo, sia per il traffico che per l'acqua. Fortunatamente, man mano che procedo verso Sud-Ovest, la strada migliora e diventa a 4 corsie.

In un rettilineo poco prima di Kanpur, vengo sorpassato da dei tipi in auto che mi fanno cenno di fermarmi. Sono quattro giovani che stanno rientrando a Kanpur. Vogliono sapere da dove vengo, e le solite cose che mi chiedono sempre gli indiani. Insistono per seguirli fino al loro quartiere, dove gestiscono un'attività commerciale con un ampio parcheggio.
Non sono proprio entusiasta all'idea di andare fino al centro di Kanpur, ma sta per fare buio e temo che l'unica alternativa sarebbe pernottare lungo l'autostrada per Jaipur. Quindi decido di seguire questo gruppo di giovani autoctoni, che mi hanno già regalato un CD di musica indiana, hanno preso la mia email e hanno cercato il mio contatto su Facebook utilizzando uno smartphone.
Kanpur è un macello. Seguo l'auto degli indiani fino al quartiere di Chakri, dove c'è un'importante base militare. Il parcheggio in cui dovrei pernottare è quello dell'azienda di famiglia di due di questi ragazzi, che sono fratelli (mentre gli altri due sono loro soci o dipendenti). Mi spiegano la loro attività lavorativa, ma onestamente non capisco bene di che si tratta, anche se mi sembra qualcosa legata all'intermediazione nella compravendita di terreni o lottizzazioni.

Si decide di andare a cena nel centro di Kanpur. Chiarisco comunque che non ho intenzione di fare tardi, perché domani voglio partire presto per Jaipur e sono già in ritardo di alcuni giorni. I miei nuovi amici indiani sono di classe medio alta: hanno un'elevata cultura, parlano bene l'inglese e uno di loro ha lavorato a Dubai. Sono molto interessati alle motivazioni del mio viaggio e alle difficoltà che ho incontrato lungo la strada, specialmente in Pakistan.
A differenza dei pakistani, che sanno di essere un pochino in guerra con l'India ma non ci fanno molto caso, gli indiani mediamente odiano i pakistani. Li considerano dei barbari.
Questo è ancora più vero dopo gli attentati di Mumbai del 2008, di cui gli indiani ritengono il Pakistan responsabile. Mentre andiamo verso il Mc Donand's nel centro di Kanpur, chiamano una loro amica che lavora per un giornale locale e mi prenotano un'intervista. La giornalista è accompagnata dal fotografo, che mi scatta varie foto come se fossi un divo. Mi fa molte domande sul viaggio, specialmente sul Pakistan e sulle difficoltà che ho incontrato lì.
Prima di mezzanotte vengo riaccompagnato in auto al parcheggio del camper. Domattina partirò presto.
km oggi: 407 totali: 10.908

lunedì, 23 agosto 2010

Uno dei ragazzi di ieri, alle 6 del mattino, mi fa strada con la sua auto fino all'ingresso dell'autostrada. Devo ammettere che questa “express highway” è una vera autostrada. Per la prima volta dopo l'Iran posso viaggiare in quinta intorno ai 100 all'ora. L'unica cosa che mi disturba, a parte i pedoni e gli animali che attraversano la strada, sono dei leggeri sintomi influenzali che ho da stamattina. Prima di proseguire per Jaipur, entro ad Agra per visitare il Taj Mahal. Agra è una tipica metropoli indiana: affollata, trafficata e disordinata. Insomma, un luogo non proprio piacevole da girare in camper. Specialmente per chi non è abituato a viaggiare a sinistra.

Dalla mappa della città riportata sulla guida L. Planet, l'indizio che ottengo per trovare il Taj Mahal è che il complesso si trova appena fuori dal centro, in zona Sud-Ovest. Fortunatamente, appena entrato in città, trovo i cartelli con le indicazioni per il Taj Mahal, chiari e con la distanza chilometrica. In prossimità del Taj Mahal c'è un ampio parcheggio, a pagamento, dove si fermano anche gli autobus turistici. Si prosegue poi a piedi per qualche minuto fino alla biglietteria. Il biglietto costa circa 15 euro per gli stranieri, molto meno per gli indiani. In omaggio viene data una bottiglietta d'acqua. Vari giovani del posto si offrono di fare da guida. Ma con me non attacca.


Agra, il Taj Mahal


Agra, il complesso del Taj Mahal

Il complesso è molto esteso. Mi faccio un giro, più che altro per curiosità, visto che non sono per niente informato su questa zona. Si immagini che fino a ieri non sapevo neanche che il Taj Mahal fosse ad Agra; l'ho scoperto per caso sfogliando la guida in cerca di possibili punti-sosta nella regione. C'è molta gente ma non c'è ressa. I turisti sono quasi tutti indiani, con le donne dai vestiti colorati. Insomma, qui si vede l'India da cartolina, quella dei depliant turistici.
Peccato che non è tutta così: appena esco dal Taj Mahal per cercare un ATM, mi ritrovo nella vera India. Un casino indescrivibile tra esseri umani e animali, pozzanghere e aria irrespirabile. Trovo un ATM funzionante solo al quarto tentativo, e c'è la coda. In seguito, guidando il camper ad Agra in cerca dell'autostrada per Jaipur, finisco in una strada stretta e affollata, in un vortice di gente, animali e veicoli. Un risciò che mi sfiora chiude lo specchio destro, che in India corrisponde al nostro sinistro perché serve a vedere se qualcuno ti sta sorpassando. Comunque gli indiani hanno risolto i problemi degli specchietti a monte: li tengono sempre chiusi e non li usano. La polizia mi aiuta a uscire dai guai, indicandomi la giusta direzione.

In pausa pranzo cerco il termometro, mi misuro la temperatura e scopro che ho la febbre a 38. Entro nella regione del Rajasthan. Continuo, sull'autostrada per Jaipur, fermandomi solo ai caselli. Alcune volte i casellanti non mi fanno pagare il pedaggio. Però diventano insopportabili con le loro domande (da dove vieni, quanto costa il tuo veicolo, ecc.). Per chiedere chiarimenti sulla strada da seguire tra Ajmer e Udaipur (tratto che comunque coprirò domani) mi servo dell'aiuto dei dipendenti del casello. Secondo la carta ci sono due possibilità: statale 8 oppure statali 79 e 76. Mi viene detto che la 79 e la 76 sono “express highway”, quindi sono molto più veloci della 8. Uno dei dipendenti dice che abita alla periferia di Jaipur, in Ajmer Road, cioè nella strada che dovrò prendere io per andare verso Udaipur. Ha bisogno di un passaggio fino a casa, quindi ne approfitta e sale per farmi da guida. Questo signore mi fa passare attorno a Jaipur, evitando il centro, lungo stradine sconnesse ma poco trafficate. Se fossi andato da solo sarei certamente passato dal centro, perdendoci molto più tempo.

Il signore mi indica la strada fino ad Ajmer Road, cioè l'inizio dell'express highway verso Ajmer e Udaipur, in cui si troverebbero anche diversi hotel dotati di parcheggio. Poi torna a casa, mentre io vado in cerca di un punto sosta.
Gli hotel, sulla strada per Ajmer, sono effettivamente numerosi. Purtroppo però sono sul lato destro; questo vuol dire, viaggiando a sinistra, che bisogna attraversare l'autostrada per arrivarci. C'è anche una specie di complesso con parco dei divertimenti. Soluzione sicuramente ottima per famiglie con bambini. Però io voglio un posto tranquillo. Individuo un hotel che sembra avere un parcheggio spazioso, lo supero e appena trovo un'interruzione dello spartitraffico faccio la mia prima inversione in un'autostrada a 6 corsie. Comunque la manovra non è vietata, e ci sono le indicazioni orizzontali per farla in sicurezza. Prenoto la cena presso il ristorante dell'hotel, in cui mi danno il permesso di sostare per la notte. Il parcheggio è particolarmente fangoso, ma il ristorante è accettabile e molto economico. Vado a letto presto ma non riesco a dormire bene perché ho la febbre alta e molta tosse.
km oggi: 557 totali: 11.465

martedì, 24 agosto 2010

Oggi sono a pezzi: non ho dormito quasi niente, ho ancora la febbre a 39, tosse e mal di gola.
Sono tentato di cercare una clinica privata per farmi visitare, ma allo stesso tempo voglio arrivare a Udaipur quanto prima. Inoltre, dato che ho il riferimento di un buon punto sosta a Udaipur, cioè l'hotel Rang Niwas, penso che appena arrivato lì potrò far chiamare un medico.

Un'eccellente autostrada a 6 corsie va fino ad Ajmer, poi si riduce a 4 corsie continuando a essere ottima. Divoro chilometri con una media elevata e la guida non è per niente impegnativa. Per cercare di stare meglio prendo delle aspirine, che sono scampate al caldo del Beluchistan iraniano in quanto erano state conservate in frigorifero insieme alle altre medicine. Misurando la mia temperatura, osservo che è salita (di poco) oltre i 40°. Faccio notare che non mi ricordo di avere mai avuto la febbre così alta.
Inoltre, l'ultima volta che ho fatto l'influenza stagionale era il 1997. Non è che mi ammalo facilmente, quindi chissà che cazzo mi sono preso. Qualche virus tropicale, fanculo. L'avrò preso forse in Nepal. Mi consola aver letto nella guida L. Planet che una buona percentuale di chi si reca in India contrae qualche forma di infezione alle vie respiratorie. Ho notato inoltre che molta gente qui in India tossisce e sembra avere sintomi influenzali, quindi dev'esserci proprio un'epidemia l'influenza.

La bellissima autostrada arriva fino a Udaipur, dove intendo pernottare almeno per stanotte. L'Hotel Rang Niwas, segnalato da fuoristradisti o camperisti come possibile punto sosta, avrebbe un parcheggio interno. Si trova in Lake Road, strada che comunque non so come individuare. Chiedo a un indiano per strada se mi può guidare fino all'hotel. Questo stronzo mi chiede circa 3 euro di mancia, e mi fa prendere gli incroci contromano.
Quando mi incazzo per il modo in cui mi fa guidare per Udaipur, mi risponde che lui è indiano, sa come si circola in India e che queste cose si possono fare.

Arrivo all'Hotel Rang Niwas con la febbre altissima. Il parcheggio è subito dopo l'ingresso, è molto piccolo e ci sono vari ostacoli sia in larghezza che in altezza. Riesco incredibilmente a parcheggiare, mi trascino fuori dal camper verso la reception e chiedo al direttore dell'Hotel se può chiamare un medico perché ho una brutta influenza e vorrei un parere. E lui: “O mio Dio! Chiamo subito il medico.”
Nel frattempo, un signore italiano ospite dell'albergo che osservava a bocca aperta le mie manovre, mi fa: “Complimenti per essere arrivato fin qui in camper.” E io: “Grazie, ma non è stata una passeggiata.” Vorrei interloquire con il mio connazionale, cosa piacevole visto che ormai parlo italiano solo al telefono, ma purtroppo non mi reggo neanche in piedi. Rimando la conversazione a quando starò meglio.

Il medico arriva dopo mezz'ora, mi visita e mi prescrive: paracetamolo, antibiotico e uno sciroppo per la tosse. Il personale dell'hotel si offre molto gentilmente di andare in farmacia per me, visto che faccio fatica anche a camminare.

Le medicine, a quanto sembra, vengono vendute “sfuse”. Cioè non in scatole ma in pellicole che contengono solo il numero di compresse richieste. Naturalmente, il foglietto illustrativo non è
compreso. Anche lo sciroppo è senza scatola, senza foglietto illustrativo, e ovviamente senza dosatore.
L'albergo ha anche il servizio lavanderia, a cui consegno una mole di capi da lavare. Sembrerebbe che saranno pronti domani, ma su questo ho qualche dubbio. Se così fosse, domani dopo pranzo, compatibilmente con le mie condizioni, partirò per il Gujarat.
Per cena decido di rimanere in camper: non voglio espormi all'aria condizionata nel ristorante dell'albergo. Gentilmente, il cameriere mi porta zuppa, pane e insalata.
Il paracetamolo mi ha fatto leggermente abbassare la febbre e quindi riesco a dormire.
km oggi: 401 totali: 11.866

mercoledì, 25 agosto 2010

Oggi sto un po' meglio e ho poca febbre, ma lo sciroppo per la tosse non sta facendo effetto. A Udaipur avrei voluto vedere il bellissimo Lake Palace. Invece, devo approfittare delle forze per andare in cerca di latte, biscotti, frutta, un bancomat per prelevare contanti e un internet point per dare mie notizie.
Mentre giro mezza città per trovare una confezione di latte, incontro per caso il medico che mi aveva visitato ieri e che vuole sapere come mi sento. Il latte liquido confezionato non si trova facilmente in commercio. Generalmente viene venduto in polvere oppure sfuso. La soluzione migliore che trovo sono delle bustine (tipo quelle di mozzarella) di latte liquido “intero”.
Il bucato mi viene consegnato di sera, con mezza giornata di ritardo.
Ceno al ristorante dell'hotel.
km oggi: 0 totali: 11.866

giovedì, 26 agosto 2010

Guardando bene l'indirizzo della compagnia di navigazione del porto di Mundra, noto che non si trova a Mundra ma è a Gandhidham, cioè 50 km prima di Mundra. In ogni caso, per andare in quella zona del Gujarat mi hanno consigliato di prendere la NH 76 e la NH 14 per Palanpur, poi la NH 15 per Gandhidham. Dovendo uscire da Udaipur in direzione Palanpur, davanti all'albergo c'è un tassista che si rende disponibile a scrivere su un foglio il percorso per arrivare alla superstrada.
Nonostante gli abbia spiegato che devo passare per Palanpur, cioè che devo andare sulla NH 76, quello mi da le indicazioni per andare verso Ahmedabad, cioè per fare il percorso più lungo Me ne accorgo quando, seguendo le sue indicazioni alla lettera, mi ritrovo sulla NH 8 per Ahmedabad. Incontro il tassista per strada, mentre giro cercando la direzione per Palanpur, e sono incazzato nero. Il tassista mi fa: “Ma tu hai detto che volevi andare nel Gujarat!” Non aveva capito, o meglio non mi aveva ascoltato quando specificavo Palanpur. La realtà è che a volte, quando gli si chiedono informazioni, gli indiani non ascoltano bene quello che gli viene chiesto.

Tra Rajasthan e Gujarat ci sono zone rurali e collinari poco trafficate. La strada è abbastanza buona e interessante. Si vedono persone del posto che trasportano bagagli vari, e i soliti animali domestici, compresi i cammelli. Alcuni dettagli sono particolarmente curati, come le facciate dei tunnel che attraversano le colline.


Tra Rajasthan a Gujarat

Altri, come le frane che minacciano e invadono le carreggiate, sono assolutamente trascurati.
Gandhidham, dove devo contattare l'agenzia della Messina Line in India, è una città medio-piccola ma molto sporca.
L'indirizzo che mi ha inviato per email l'ufficio della Messina Line non esiste, secondo le persone a cui chiedo. I pareri, comunque, sono contradditori: alcuni dicono che quello è un vecchio indirizzo, altri sostengono che si trovi fuori da Gandhidham. Neanche l'aiuto di un guidatore di risciò risolve il problema: lui mi porta, a pagamento, in un posto sbagliato. C'è da dire, comunque, che tutti quelli a cui chiedo si prodigano per aiutarmi. Alcuni fanno telefonate coi loro cellulari per chiedere informazioni ad amici e conoscenti.

Quando riesco finalmente ad arrivare alla Meridian Shipping Company, un impiegao dice che mi stavano aspettando. Nell'ufficio di quest'agenzia, peraltro non indicata neanche da un'insegna, lavorano una decina di persone. Come spesso accade negli uffici, anche qui l'aria condizionata è molto forte, e questo non fa bene alla mia tosse. Mi fanno accomodare e mi chiedono di cosa ho bisogno. “Devo imbarcare il mio veicolo su una nave della Messina Line per Genova.” Si guardano e mi guardano perplessi.

“Ma hai già parlato con la Messina Line?”. “Sì. E mi ha detto di venire qui”. “Quando devi spedire questo veicolo?” “Al più presto.”
“Non è così semplice, perché bisogna fare <<custom clearance>> (sdoganamento) e per questo devi trovarti un agente doganale. Ci vogliono diversi giorni.” “Abbiate pazienza, voi avrete sicuramente un vostro agente al porto oppure ne conoscerete uno da consigliarmi.” “Ti mettiamo in contatto con uno che conosciamo. Per le procedure ci vorranno circa tre giorni, ma la nave parte tra due giorni, quindi quasi certamente dovrai aspettare la prossima, fra tre settimane.”

Ci accordiamo per aggiornarci domani mattina, dato che sono ormai passate le 17 e secondo loro gli agenti hanno già chiuso gli uffici. La cosa che mi urta è che, nonostante la mia fretta, questi della Meridian Shipping mi danno appuntamento comodamente alle 10:30 di domani mattina. Mi consigliano di pernottare allo “Sharma Resorts”, un complesso poco fuori Gandhidham con un grosso parcheggio. Effettivamente il Sharma Resorts è un posto molto lussuoso, e non proprio alla portata della gente locale. Ci sono alcuni lavoratori europei. Alla reception mi permettono di parcheggiare e pernottare senza pagare extra. Approfitto dell'ottimo ristorante, dove con meno di 10 euro mangio abbondantemente. Pago con carta di credito.
km oggi: 541 totali: 12.407

venerdì, 27 agosto 2010

Molto prima delle 10 sono già nel centro di Gandhidham, parcheggiato davanti alla sede della Meridian Shipping. Trovo un internet point per leggere/scrivere messaggi, prelevo contanti da uno sportello ATM della “Bank of India” e poi vado all'appuntamento. Da ciò che succederà oggi dipende se riuscirò a partire entro il weekend o se dovrò aspettare alla prossima settimana. Alla Meridian Shipping mi danno il numero di un agente doganale, cioè uno spedizioniere, e mi dicono di andare al porto di Mundra. Con calma, tanto la dogana apre dopo le 10. Lo spedizioniere sarebbe già stato avvisato.

Per arrivare a Mundra, che dista un po' più di 50 chilometri, ci metto oltre due ore. La strada infatti è disastrata e molto trafficata di TIR che procedono lenti.Il porto si trova totalmente fuori dalla cittadina di Mundra, ed è abbastanza facile raggiungerlo. È in una “zona speciale” (zona franca o qualcosa del genere), molto ben segnalato. All'edificio dell'autorità doganale attendo, per ore, lo spedizioniere. Parlo al telefono sia con lui che con la Meridian Shipping. Mi viene sempre detto di aspettare un quarto d'ora o mezz'ora. Quando si fa sera, lo spedizioniere mi telefona per dirmi che non può venire e non si può occupare della mia pratica. Domani è sabato, la dogana (a quanto pare) non lavorerà fino a lunedì, e io perdo la nave.

Negli ultimi anni ho letto articoli e libri che parlavano dell'India. Gli autori, precisando che lo sviluppo di questo mini-continente non coinvolge ugualmente tutta la popolazione, sembravano comunque mettere in guardia l'occidente sulla sua potenzialità.
“L'India che cresce...” “L'India con più di un miliardo di abitanti, con lo sviluppo...” “L'India qui, l'India lì...”
L'India un cazzo, scusate. Ecco cosa penso in questo momento. Un paese sottosviluppato. Con una carenza di infrastrutture ancora più palese se si rapporta, appunto, al numero di abitanti (che sembra l'unica cosa che veramente cresce). Devi fare una manciata di chilometri e ci metti 2 ore. Piove mezz'ora e ti ritrovi nella merda fino alle orecchie. La rete cellulare è al collasso. La dogana apre a metà mattina e sabato/domenica fa festa. L'India dove le cose semplici diventano complicate, e dove le cose complicate si fa di tutto per non farle perché sono troppo difficili.

E poi, tipico dei discorsi che pronosticano l'avvento dei nuovi imperi: “L'India che lì parlano tutti l'inglese della madrepatria”.
Ma dove? Nove su dieci sbagliano tono, pronuncia, spelling e grammatica. Si inventano le parole anche nei documenti scritti.
Ho dinuovo la febbre alta e sarò bloccato qui per molti giorni... in questo schifo di posto. Telefono alla Meridian Shipping, in cui si dicono dispiaciuti della fregatura che mi ha tirato lo spedizioniere e mi suggeriscono di dormire in qualche albergo a Mundra.

Domani mi telefoneranno per dirmi se hanno trovato uno spedizioniere che lavora di sabato, per iniziare a studiare la mia pratica.
Andando verso Mundra adocchio il “Galaxy Residency”, una specie di albergo con ampio parcheggio sterrato. Sperando in una sistemazione ancora migliore, provo ad infilarmi nel centro di Mundra, ma lì gli hotel non hanno parcheggio. Così torno verso il Galaxy Residency. Avendo avuto il permesso dalla reception, parcheggio davanti all'ingresso e ceno al ristorante “Galaxy Foods”. La cena è a base di pizza, insalata e gelato. Totale: circa 4 euro.
Pernotto gratuitamente nel parcheggio del Galaxy Residency
km oggi: 97 totali: 12.504

sabato, 28 agosto 2010

Non avendo fretta e dovendo attendere la telefonata della Meridian Shipping, faccio una passeggiatina in zona. La cosa non è molto gradevole perché devo fare lo slalom in mezzo al fango. Ma ho bisogno di comprare una ricarica per il cellulare indiano (AirTel) e del latte. Infatti, il latte che ho comprato a Udaipur l'ho buttato perché sembrava andato a male. Anche qui a Mundra vendono il latte in buste tipo mozzarella.
Cerco un Internet point e non lo trovo: mi viene suggerito di andare alla periferia di Mundra. Ne trovo uno presso un piccolo centro commerciale. Siccome manca la corrente, tutte le attività del centro commerciale sono chiuse, compreso l'Internet point. Aspetto mezz'ora, un'ora. La corrente non è ancora stata ripristinata. Vado nel centro di Mundra, col cellulare sempre in mano in attesa della chiamata della Meridian Shipping. Nel centro di Mundra, che è un merdaio, in mezzo al fango e agli animali riesco a trovare un Internet point dove per un'ora ho l'illusione di trovarmi in un'altra realtà.

È mezzogiorno e, non avendo ancora ricevuto la chiamata della Meridian Shipping di Gandhidham, decido di telefonare io. Mi rispondono che non hanno trovato nessuno disponibile a lavorare nel fine settimana. “Va bene, ma allora io cosa ci faccio a Mundra? Me ne vado in giro piuttosto che stare in questo schifo di posto.”
Quelli della Meridian Shipping mi richiamano poco dopo e mi danno appuntamento a Gandhidham per lunedì mattina. Sempre, comodamente, dopo le 10. Cerco di non pensare al fatto che lunedì dovrò ritornare a Gandhidham su quella strada pessima, in mezzo ai TIR e alle buche. Guardo il lato positivo della situazione: ho un weekend da trascorrere in una zona di mare indiana. Sulla guida L. Planet è riportata la città balneare di Mandvì con i suoi dintorni che offrono alcune cose interessanti. Decido di andarci e di fermarmi lì per la notte.
Mi servo del distributore della Indian Oil di Mundra per fare benzina e cercare di prelevare un po' d'acqua. Noto con sorpresa che c'è anche il GPL per autotrazione. Faccio il pieno di benzina, acqua e GPL. Gli addetti si fanno in quattro per predispormi un tubo di gomma per caricare l'acqua.


Il distributore di GPL a Mundra

Mandvì si trova sulla costa, una trentina di chilometri a Ovest di Mundra. Ci arrivo senza problemi. Cerco una sistemazione, tipo hotel con parcheggio, all'interno dell'abitato. Le strade sono abbastanza strette e gli hotel non hanno parcheggio. Mentre faccio un giro per il centro, che si affaccia sul mare, osservo i cantieri delle tipiche navi in legno del Kutch (cioè la provincia del Gujarat in cui mi trovo) che vengono costruite proprio qui. Vengono poi vendute anche in medioriente.

L'unico hotel con parcheggio (peraltro non troppo spazioso) è il “Kutch Inn”, si trova in periferia e non gradisce la sosta dei camper. Cioè, alla reception vorrebbero che prendessi una camera. Pranzo al ristorante dell'hotel e riprendo il camper per parcheggiarmi sulla spiaggia principale, ovvero quella a Est del centro. Qui ci sarebbe, secondo la L. Planet, il Toran Beach Resort. Purtroppo il resort è chiuso (sembra completamente abbandonato). Tuttavia lo spazio per il parcheggio abbonda e ci sono dei tratti erbosi dove si può fare manovra senza pericolo di insabbiamento. Mi rilasso un po' osservando l'oceano indiano e qualche famiglia che porta i bambini a giocare sulla spiaggia. La balneazione in questa zona, secondo la L. Planet, sarebbe sconsigliata perché l'acqua è inquinata. In effetti l'acqua non ha un bel colore, e nessuno dei locali fa il bagno. La spiaggia inoltre è un po' sporca ed è frequentata da animali: vacche e branchi di cani randagi.


Le navi in legno del Kutch

Ne approfitto per dare un'occhiata ai cavi di massa delle luci posteriori del camper.
Grattando via il fango da sotto la coda, scopro che i cavi di massa erano fissati, con un occhiello, a una piegatura dell'alluminio sotto la parete di coda. Non so se sia stata una scelta del costruttore o di qualche imbranato che ci ha messo mano. Si tratta comunque di una tecnica poco intelligente. Il contatto è minimo perché, temo, l'alluminio si è lesionato a causa delle vibrazioni e non trasmette quasi più la corrente. Si sarà anche ossidato a causa dell'acqua dei guadi. (Nota: in seguito risolverò il problema fissando l'occhiello a un longherone del telaio).
Dopo un paio d'ore di relax e avendo letto le pagine della guida relative a questa zona, decido di spostarmi verso le spiagge della zona ad Ovest di Mandvì.
La spiaggia non mi convince sia per la presenza di animali, sia perché non c'è un ristorante nelle immediate vicinanze.

A una quindicina di chilometri da qui c'è il famoso Vijay Vilas Palace, il palazzo appartenuto ad un marajà trasformato in museo. Vicino al palazzo c'è un possibile punto sosta, cioè il Vijay Vilas Beach Resort, segnalato dalla guida come una sistemazione di lusso: le tende, complete di aria condizionata, costerebbero 100 dollari a notte. Raggiungere il Vijay Vilas Palace è abbastanza semplice. Anche se lo svincolo non è segnalato, basta chiedere alla gente per strada per trovarlo. Davanti all'ingresso del palazzo, che intendo visitare domani, c'è l'indicazione per il resort.

Nella carta stradale dell'India la regione del Kutch è segnata come “allagabile”. Nel senso che quando piove viene parzialmente coperta d'acqua. È assolutamente vero, e la strada verso il resort ne è la conferma: all'incirca un chilometro di pista che mette alla prova il mezzo e il guidatore, una delle parti più difficili del viaggio. Parte della strada è sott'acqua, su un fondo di terra e sabbia (quindi instabile). Qualcuno ha cercato di aumentare la stabilità buttando pietre e assi di legno, migliorando la trazione ma mettendo a rischio le gomme e il sottoscocca di chi transita. Inoltre, la presenza di alberi con rami bassi impone molta cautela. Io i rami gli ho presi quasi tutti,
specialmente con le pareti laterali. Purtroppo non potevo fermarmi, perché se lo avessi fatto mi sarei impantanato. Sconsiglio a chi ha un camper ingombrante/pesante o con poca altezza da terra di spingersi fin qui. Specialmente nella stagione monsonica.

Il famoso Vijay Vilas Beach Resort non sembra niente di che: un parcheggio sterrato e un percorso pedonale in mezzo alla vegetazione che arriva fino al ristorante sulla spiaggia. Il proprietario non è entusiasta di ospitare un camperista, ma non sembra neanche voler rinunciare all'unico cliente.
Il resort è vuoto, e io sono uno dei rari turisti che si spingono fino a questa zona, che nel periodo monsonico è scomoda da raggiungere e da girare. Considerando che il resort è di lusso (l'affitto di una tenda costa circa 100 dollari a notte), mi accordo per una cifra poco sotto i 20 euro. Approfitto del ristorante sulla spiaggia che ha prezzi contenuti rispetto a quelli del resort (si pensi che pure la spiaggia privata è a pagamento).
Di notte piove pesantemente, e questo non potrà che rendere ancora più difficile domani la strada di uscita.
km oggi: 78 totali: 12.582

domenica, 29 agosto 2010

Prima che io vada via, il proprietario del resort vuole ovviamente curiosare all'interno del camper.
Percorrere la strada dal resort verso il Vijay Vilas Palace è un po' più complicato di ieri, perché stanotte ha piovuto è c'è ancora più acqua. Ma per fortuna ieri ho sperimentato che i rami sporgenti sono sottili e non particolarmente pericolosi (almeno per chi ha un camper vecchio come il mio). Così, per evitare l'impantanamento, prendo la rincorsa e me ne frego dei rami che colpiscono tetto e pareti. All'ingresso del terreno in cui sorge il Vijay Vilas Palace si paga l'ingresso per il veicolo. Al parcheggio si paga la sosta, sempre per il veicolo, e il biglietto d'ingresso personale. Per ogni pagamento viene rilasciata una ricevuta. Gli indiani sono molto precisi in questo. Ho notato che anche nei distributori di benzina rilasciano la ricevuta.


Vijay Vilas Palace a Mandvì

Il palazzo è molto bello, sia esternamente che internamente. Pare che sia appartenuto a uno degli ultimi marajà. Recentemente qui è stato girato anche un film internazionale. Per visitare il palazzo bisogna togliersi le scarpe, ed è pieno di cartelli che minacciano la multa per chi “sputa”, “grida”, “fuma”, “apre questa porta”, “cammina con le scarpe”. C'è anche l'ammontare della multa (qualche euro).

Decido di ritornare a Gandhidham prima di pranzo, in modo da avere tutta la sera libera per rilassarmi. Avevo notato che fuori Gandhidham ci sono, oltre al Sharma Resorts, vari altri hotel. Stavolta però vorrei dormire in una camera, visto che ho ancora l'influenza e sono abbastanza stanco.
Alla periferia di Gandhidham, trovo il “Rajvi Resort”, un albergo di categoria medio-alta con ampio parcheggio, giardino e addirittura parco acquatico con gli scivoli. La camera costa meno di 40 euro a notte, ed è dotata di tutti i comfort (compresa l'aria condizionata). L'uso del parco acquatico è gratis, ma vista la mia influenza preferisco evitare di fare il bagno in piscina. Il ristorante è accettabile, ma un po' sporco (così come tutto l'albergo, compresa la camera). Passo il pomeriggio a guardare la TV: alla BBC si parla dei disastri del monsone in India e Pakistan. Inizio a scrivere qualche pagina di questo resoconto.

Di sera approfitto dinuovo del ristorante dell'hotel. I camerieri hanno apparecchiato all'aperto, sfidando la pioggia che sicuramente arriverà prima di notte.È pieno di famiglie indiane (certamente molto benestanti) con i loro bambini. Sconsiglio di prendere la pizza perché è veramente pessima.
Vado a dormire prima che posso, così da riposare il più possibile.
km oggi: 100 totali: 12.682

lunedì, 30 agosto 2010

Prima che posso mi reco al centro di Gandhidham, dove mi connetto a Internet per dare mie notizie. Vado, in anticipo, all'appuntamento con la Meridian Shipping. Un impiegato mi accompagna presso l'ufficio di uno spedizioniere. Comincio a pensare che la Meridian Shipping non abbia molta dimestichezza con le pratiche di export dei veicoli. Prima di tutto, non sapevano neanche l'indirizzo esatto dello spedizioniere e abbiamo dovuto chiedere informazioni per individuarlo. Inoltre, lo spedizioniere mi fa una serie di domande che non c'entrano niente con i documenti, esamina il Carnet e poi se ne esce con: “La faccenda te la devi sbrigare tu con l'ufficiale di dogana.”
Sì, buonanotte! Alziamo i tacchi e torniamo alla Meridian Shipping, dove mi garantiscono che mi metteranno in contatto con un loro agente che lavora al porto di Mundra. Questo non sarebbe proprio uno spedizioniere, ma mi dovrebbe aiutare.

Riparto per Mundra, raggiungo l'edificio della dogana e aspetto l'agente che arriva ovviamente in ritardo. Si chiama Murthy, lavora per la Meridian Shipping e corre da un ufficio all'altro della dogana con pacchi di documenti in mano. Appena fa una sosta, mi introduce all'ufficiale di dogana. Ma prima scrivo il mio nome in un foglietto, che un militare consegna all'ufficiale. Poi l'ufficiale, che per la gente di qui dev'essere una specie di oracolo, mi chiama nel suo ufficio. La situazione è leggermente più complicata rispetto a una frontiera terrestre. I miei documenti sarebbero sufficienti per effettuare l'export via mare, ma prima di avere il lasciapassare per l'area doganale (cioè per fare il custom-clearance) devo chiedere formalmente un'autorizzazione. All'autorizzazione devo allegare una serie di documenti formali.

Il sig. Murthy dice che sa come fare o che comunque conosce qualcuno che mi aiuterà nella procedura. Sono sempre tutti pronti ad aiutarmi o a mandarmi qualcuno che mi aiuta, ma io sono arrivato qui giovedì e ancora non ho iniziato le pratiche. Poi, ogni tanto, mi chiamano quelli della Meridian Shipping per chiedermi se ho contattato quelli della Messina Line di Genova. E io continuo a ripetere che sono loro che devono contattare Genova (cioè, loro sono un'agenzia ufficiale della Messina Line in India, negli uffici hanno anche i calendari in italiano).

Mentre aspetto per l'ennesima volta come un deficiente nei corridoi dell'edificio, si presenta un certo sig. Sahu di “Transcontinental Logistics”. Dice che sa come sbrigare la mia pratica. Il sig. Murthy conferma che mi devo fidare. Non è che abbia molte alternative. Il sig. Sahu mi fa accomodare in un ufficio pieno di impiegati che firmano, timbrano e ordinano fascicoli, mentre comincia a scrivere i documenti formali al PC. Ha recentemente seguito la pratica di un indiano residente in Inghilterra che ha esportato un veicolo privato via mare. Effettivamente, alcune di queste lettere, ce le ha già pronte nel PC. Deve solo cambiare i dati della persona e del veicolo.
In pratica, insieme alle fotocopie di tutti i documenti miei e del veicolo, devo allegare le seguenti dichiarazioni:
una richiesta formale alla dogana in cui chiedo cortesemente di effettuare l'export
la storia del mio viaggio. Cioè quando è iniziato, qual'è stato il motivo e l'itinerario
l'elenco degli oggetti personali contenuti all'interno del veicolo
la quantità di carburante nel serbatoio

Intanto è calata la notte, e mi preoccupa non poco dover guidare col buio. Sahu mi consiglia di pernottare a Mundra presso il Shiv Nautica Hotel, che sarebbe l'hotel tipicamente scelto dagli stranieri. Un dipendente della sua agenzia, residente a Mundra, monta in camper e mi accompagna all'hotel. Il posto non è male (per essere a Mundra). Per gli standard locali è un hotel di lusso. Per me è poco più di un 3-stelle. Il ristorante è ottimo, ma il prezzo della camera è abbastanza alto: più di 60 euro a notte. Fortunatamente si può pagare con carta di credito. Ormai, avendo finito il viaggio, preferisco dormire in hotel.
km oggi: 95 totali: 12.777

martedì, 31 agosto 2010

Colazione in hotel. Anche stamattina, l'appuntamento è a un orario comodo: dopo le 10. Io alle 9 sono già al porto, ma l'agente Sahu non arriva prima delle 11. Noto che la gomma posteriore destra del camper è un po' bassa, e quindi la gonfio con il compressore.

All'ora di pranzo arriva la notizia che la dogana sta esaminando la mia richiesta e che entro sera mi faranno sapere. Arriva la sera e ancora non so niente sull'esito della mia richiesta. Sahu mi consiglia di andare in albergo e di tornare domattina. Lui si tratterà al lavoro, come fa sempre, fino all'una. La dogana, infatti, non chiude mai. In teoria chiudono solo gli uffici al pubblico, ma in pratica c'è sempre almeno un ufficiale di turno.

Sahu mi garantisce che domani avrò tutti i documenti in regola per guidare il camper fino al terminal del porto, e che qualcuno mi timbrerà l'uscita sul Carnet. Spero che sia così. Infatti devo prendere un aereo per l'Europa entro giovedì, altrimenti la mia situazione al lavoro diventerà complicata: all'inizio di settembre ho degli impegni improrogabili.
Torno all'Hotel Shiv Nautica, dove ceno ottimamente.
km oggi: 21 totali: 12.798

mercoledì, 1 settembre 2010

Dopo la colazione fatta all'hotel, vado agli uffici della dogana. Qui osservo che la gomma del camper si è sgonfiata ancora un po'. Temo che ci sia un difetto alla valvola oppure un piccolo foro, così scelgo di gonfiarla con uno spray di riparazione che ho a bordo. Anzi, per andare sul sicuro uso due bombolette. Non vorrei che la gomma mi piantasse proprio prima di affidare il camper al porto, oppure che si sgonfiasse durante la traversata in mare.
In mattinata Sahu dice che dopo pranzo dovrò portare il camper nel terminal, dove un ufficiale di dogana lo ispezionerà e poi mi timbrerà il Carnet. A quel punto potrò andarmene. Non mi sembra vero. E infatti non è vero: aspetto tutto il pomeriggio, e in serata due dipendenti di Sahu mi accompagnano, con una pila di documenti, fino all'area del terminal. Gli ufficiali di dogana non si fanno vedere neanche quando fa buio. Per entrare nel terminal io e i dipendenti dell'agenzia veniamo controllati, insieme al camper, e dobbiamo mostrare documenti, firmare e dare un casino di spiegazioni. Effettivamente, nessuno qui è abituato a vedere un veicolo privato in transito per l'export (specialmente un camper).

Il camper viene parcheggiato nel terminal veicoli e chiuso a chiave. I dipendenti del terminal lo terranno in custodia fino all'imbarco (che dovrebbe avvenire intorno al 10 settembre). Gli danno anche una lavata veloce, insieme alle altre auto che vanno e vengono. Si tratta di Tata o Suzuki nuove, in attesa di essere imbarcate per Europa o Nord America.
All'ora di cena, Sahu viene a prendere me e i suoi dipendenti in macchina e ci riporta negli uffici della dogana. C'è un cambio di programma: gli ufficiali sono tutti impegnati con una delegazione del ministero che è venuta in visita al porto, e quindi nessuno può timbrarmi il Carnet. Dovrò aspettare che qualche ufficiale si renda disponibile. Intorno alle 22, quello di ieri (l'oracolo) mi riceve nel suo ufficio. Dopo 10 minuti che guarda e riguarda il Carnet, dice che non può firmarlo. Praticamente, essendo il camper sdoganato ma non ancora imbarcato, la dogana non può certificare l'uscita dal paese.

Cerco di spiegargli che, una volta che la dogana ha preso in carico il mezzo, esso non può più circolare nel paese, e dunque io ho assolto ai miei obblighi. Cioè, ho riesportato il veicolo. Quello risponde che, finché non prenderanno in custodia la chiave del camper, non potranno firmare niente. E comunque dovranno annotare nel Carnet che l'imbarco avverrà il 10 settembre. Per me possono scrivere quello che vogliono sul Carnet, basta che timbrano e firmano.

In seguito ho un'animata discussione con Sahu, il quale si sta intascando circa 650 euro per il servizio (comprese le spese varie). Lui sostiene che gli ufficiali stanno seguendo alla lettera la normativa indiana. Io invece sostengo che fanno tutti confusione tra dogana e imbarco, che sono due concetti diversi. Se io affido il mezzo alla dogana, cioè glielo do in custodia, non vedo perché mi devono rompere i coglioni con la data di partenza della nave. Cioè, il mezzo ce l'hanno loro e lo possono eventualmente confiscarlo se l'imbarco viene rifiutato.

A mezzanotte prendo contatto con l'ufficiale che fa il turno di notte. Anche lui non è molto pratico di Carnet. Prima mi fa un casino di domande, poi prende il manuale di diritto doganale e si studia il capitolo “Carnet FIA”.
Per avere un'idea del livello di ridicolo che si può toccare in questi casi, si immagini che l'ufficiale mi chiede addirittura la tessera del mio Automobile Club, cioè l'ACI, perché il manuale della dogana prevede che il titolare del Carnet sia associato all'Automibile Club del paese di rilascio. Per fortuna che ce l'ho nel portafogli. Gliela mostro e faccio presente che l'ACI rilascia il Carnet solo agli associati (e se uno non ha la tessera se la deve fare).
L'ufficiale se ne va per il giro di ispezione notturno. Ho un'altra discussione con Sahu: lo avviso che domattina, in ogni caso, prenderò un taxi per Bhuj e un volo per Bombay. Tornerò in Italia con il Carnet non compilato e lo regolarizzerò quando il camper sbarcherà a Genova. Lui propone di lasciare qui il Carnet, che tanto loro me lo spediranno con corriere. La dimensione della cazzata appena pronunciata lascia intuire come queste persone ignorano l'importanza e la delicatezza di questo documento.

All'una di notte l'ufficiale torna dal suo giro, e finalmente timbra e firma il Carnet. Tuttavia, annota in inglese che “Il veicolo sarà imbarcato il 10 settembre sulla M/V Jolly Nero per Genova”. Spero che all'ACI di Pisa non siano così pignoli da farmi storie per questa scritta aggiuntiva.
Ma prima di lasciare il porto, l'ufficiale vuole ispezionare il camper. Si va in auto, insieme a Sahu, fino al terminal. Si arriva velcemente, perché ai check-point l'ufficiale mostra la sua tessera e nessuno ci blocca. Praticamente, l'ispezione consiste nel mostrare rapidamente gli oggetti contenuti all'interno del camper. Alle due di notte e dopo che ho ripetuto per l'ennesima volta la storia del mio viaggio, l'ufficiale mi dice: “Ben fatto mister Ghiani.”
Prendo i miei bagagli e mi faccio accompagnare da Sahu fino all'hotel Shiv Nautica. Sahu insiste perché io mi trattenga a Mundra anche domani, per finire di compilare le pratiche. Ma io non ho intenzione di fermarmi neanche un'ora in più. Non vedo l'ora di essere in Italia. Tra l'altro, domani in India è festa nazionale. La dogana sarà chiusa e quindi non vedo che utilità possa avere la mia presenza qui.
km oggi: 18 totali: 12.816

giovedì, 2 settembre 2010

Dopo la colazione chiedo alla reception di avere immediatamente un taxi per l'aeroporto di Bhuj e una prenotazione per il primo volo Bhuj – Bombay. Apparentemente non c'è problema: davanti all'hotel c'è più di un tassista disponibile. Posso anche scegliere l'auto in base alla categoria e al prezzo. La corsa Mundra-Bhuj (~60 km) mi costerà una trentina di euro.
Il volo Bhuj-Bombay costerebbe sui 100 euro, ma c'è un problema: il collegamento Internet è interrotto e dall'hotel non possono collegarsi per fare la prenotazione online. Mentre tentano di connettersi, mi fanno aspettare fino a metà matina. Ho esaurito la mia pazienza già da alcuni giorni e sono abbastanza intrattabile. Faccio capire alla reception che ne ho fin sopra dei problemi dell'India. Gli do dieci minuti di tempo per prenotarmi il volo, dopodichè partirò in taxi per Bhuj ed eventualmente farò il biglietto in aeroporto. Quindi la reception telefona a un'agenzia di fiducia a cui fa fare la mia prenotazione. Dopo aver pagato in anticipo sia il taxi sia la prenotazione (sulla fiducia), parto in taxi per Bhuj, nell'ennesima strada distrutta, per l'ultimo slalom in mezzo alle buche e al fango.

Poter lasciare finalmente l'India è un sollievo: non vedo l'ora di arrivare in Italia per riprendere il lavoro e per curarmi decentemente l'influenza che non mi è ancora passata. Ricevo il numero di prenotazione via SMS, e all'aeroporto mi stampano gratuitamente il biglietto della Kingfisher Red (una compagnia locale). Il volo per Bombay dura un'ora. Dall'aeroporto nazionale mi sposto a quello internazionale, in taxi, non prima di aver quasi litigato con tassisti che fanno prezzi allucinanti per una corsa di pochi chilometri. Bombay è una grande città, affollata anche di turisti, dunque non c'è da meravigliarsi se un guidatore di risciò chiede 20 dollari per 2 chilometri. All'aeroporto internazionale di Bombay vado subito alla biglietteria di Air India in cerca di un volo per l'Europa. Ce n'é uno questa notte per Francoforte. Da Francoforte non riesco a trovare un posto per Pisa né per Firenze. Ce ne sarebbe uno per Pisa, via Monaco, ma con arrivo domani sera alle 22. Preferirei arrivare di pomeriggio, per poter fare un salto in ufficio. La soluzione migliore mi sembra un volo fino a Malpensa da dove prenderò un'auto a noleggio.

All'una di notte salgo su un bel Boeing 777 di Air India che ha un monitor a colori per ogni sedile. In quello davanti a me seleziono la visualizzazione della rotta. Si vede un aeroplano che passa sopra a una mappa. Non si vedono le città affollate dell'India, le strade allagate del Pakistan, i deserti dell'Iran, le montagne della Turchia, le frontiere della penisola balcanica. Che noia.
venerdì, 3 settembre 2010

Durante il volo avrò dormito, in tutto, due ore. All'alba sbarco a Francoforte, in area Schengen, che sollievo. Sempre in mattinata, un aereo della Lufthansa mi porta a Malpensa. Gli sportelli degli autonoleggi sono affollati. Quello della Europcar sembra il più libero, e mi ci fiondo. “Mi serve un'auto fino a stasera, con restituzione a Pisa.” “Sono 146,40 compresa l’assicurazione extra.” Prendo la chiave, vado a recuperare la cara Panda (cara nel senso che costa uno sproposito) e imbocco l’autostrada per Milano, Parma, La Spezia, Pisa.

Intorno alle 17 sono al lavoro, dove incontro il capo che, un po’ stupito, mi chiede: “E la prossima estate dove vai?”.



martedì, 5 ottobre 2010

Genova è parzialmente allagata dalle forti piogge dei giorni scorsi. Sembra che il monsone abbia seguito la nave. Ritiro il camper presso il molo N. Ronco, terminal Messina-Line. Spendo 100 euro di commissioni per l'agenzia Ratti e Laghezza. La cosa buona è che il camper è immatricolato in Italia, è intestato a me e non contiene merci ma solo oggetti personali. Quindi lo sdoganamento è veloce perché fatto come “seguito passeggero”.

Il camper è sporco, disordinato e ammaccato ma il motore gira bene.

Dopo vari controlli, appuro che la bombola è aperta e completamente vuota (mi hanno rubato il gas?). Sono certo di averla chiusa prima di lasciare il camper a Mundra. Inoltre, mancano all'appello vari oggetti (tra parentesi il valore approssimativo in euro):
scarpe Dolomite (80), felpa in pile (20), zainetto Adidas (10), torcia elettrica grande (50), torcia elettrica piccola (5), cd di musica nepalese (10), caffè Lavazza (5), set di chiavi (20), chiave inglese (10), chiave a pappagallo (5), giravite stanley con kit di punte (20), seghetto multiuso (5), cavo di traino robusto (10), multimetro digitale (15), chiave per candele con snodo (10), saldatore a gas butano + bomboletta (40), rotolo di stagno (5), pompa acqua a immersione (10), capicorda e morsetti per cavi elettrici (5), presa multipla per accendisigari (5), compressore per gomme (40) giubbotto rifrangente (10), 2 ghiaccioli per borsa frigo (5), orologio-termometro digitale (15). Per un ammanco totale di circa 400 euro.

Riepilogo spese principali (in euro, al cambio dell’estate 2010)
Carburante (1.466 euro)

Nazione

Totale rifornimenti

 

Benzina

GPL

Italia

 

50

Slovenia

 

 

Croazia

 

63

Serbia

 

60

Bulgaria

 

36

Turchia

 

272

Iran

160

 

Pakistan

240

 

India

450

27

Nepal

108

 

somma

958

508


Pedaggi strade/autostrade (~ 160 euro)

Italia

24,70

Slovenia

15 (vignetta settimanale)

Croazia

22,68

Serbia

31

Bulgaria

6 (vignetta settimanale)

Turchia

5 (ricarica credito su tessera KGS)

Iran

~ 10

Pakistan

~ 15

India

~ 20

Nepal

~ 10

 

Documenti, visti, tasse, ecc. (839,34 euro)

Patente Internazionale (mod. Ginevra ’49)

27,22 (bollettini) + 14,62 (marca da bollo) +

 

5,00 (fototessera)

Carnet de Passages en Douane

120,00 (quota ACI, 160 per i non soci) + 200,00

 

(polizza fidejussoria per 4 mesi)

Lettera d’invito per visto iraniano

35 + 9,50 (invio denaro con Western Union)

Visti turistici per Iran (singolo), Pakistan

280,00

(doppio), India (doppio) e quota d’agenzia +

 

spedizione

 

Visto turistico singolo per Nepal (in frontiera)

25,00

Assicurazione RCA per Pakistan

65

Assicurazione RCA per India (valida anche in

58

Nepal)

 

 

Guide/Carte stradali (160,77 euro)

Carte stradali di Iran, Pakistan, India

80

Guide L. Planet di Iran, Pakistan, India

40,77

Atlante dell’India (acquistato in India)

10

Guida L. Planet del Nepal (acquistata in India)

24

Carta stradale del Nepal (acquistata in India)

6

Spedizione camper Mundra – Genova (4651,49 euro)

Spese di imbarco al porto di Mundra

650 (spedizioniere, tasse varie)

 

 

Trasporto ro-ro Mundra-Genova e spese di sbarco

3901,49

 

 

Spedizioniere per sdoganamento a Genova

100

Spese viaggio di rientro (1.159 euro)

Hotel a Gandhidham – 1 notte

40

Hotel a Mundra – 3 notti

165

Taxi Mundra-Bhuj

28

Aereo Bhuj-Bombay­Francoforte-Malpensa

780

Autonoleggio con riconsegna a Pisa

146

Telefonate: ~ 400 euro
Totale generale: ~ 8.850 euro (esclusi pernottamenti, parcheggi, pasti, ingressi a musei, souvenir, spese di preparazione e di ripristino del camper)

PUNTI SOSTA

BULGARIA
Biser
Camping Sakar Hills, sulla strada per la frontiera con la Turchia: Gergi Rakovsky Street 2 - Biser, Nr. Harmanli - +359 885504338

TURCHIA
Erzurum

Parcheggio gratuito davanti alle mura della Kale, nel centro della città. Sterrato e leggermente sconnesso ma silenzioso durante la notte. Durante il giorno è usato da automobilisti locali, meglio dunque arrivare di sera tardi.
Dogubayazit
Lalezar camping (sulla strada per Ishak Pasha). Uscendo da Dogubayazit, verso Ishak Pasha, procedere per qualche chilometro. Il camping si trova sulla destra, poco prima che inizi la salita per Ishak Pasha. Spazioso, fondo in ghiaia e terra battuta, possibilità di carico acqua con tubo in gomma. Bar-ristorante interno, parco giochi per bambini. Personale molto disponibile.

IRAN
Tabriz

Elgoli Park. Grande parco pubblico con attrazioni, giardini, ristoranti. Tipico luogo di ritrovo delle famiglie locali, che d’estate amano campeggiare con le tende nei prati del parco. L’ingresso è a pagamento, ed è possibile parcheggiare il camper e sostare per la notte. Meglio arrivare di pomeriggio, perché alla sera non si trova posto. Si trova alla periferia Sud della città. Conviene arrivarci dall’autostrada per Teheran, seguendo le indicazioni per Elgoli (oppure El Goli).


Isfahan
Ghadir Park
. Parco pubblico che in estate è tipicamente utilizzato dalle famiglie locali come campeggio. All’ingresso si riceve una tessera che servirà per pagare il prezzo della sosta in uscita. Cercare di arrivare entro il pomeriggio, perché alla sera si riempie completamente. Possibilità di prelevare acqua dai bagni pubblici, ma è meglio attrezzarsi con un tubo di gomma.

Kerman
Akhavan Hotel
. Arrivando dall’autostrada, cioè da Isfahan-Yazd, ci si immette direttamente nel viale in cui sorge l’hotel, cioè Ayatollah Saduqi Street. Bisogna fare inversione di marcia alla prima grande rotatoria che si incontra nel centro urbano e quindi tornare indietro per un paio di centinaia di metri. L’ingresso principale dell’hotel si trova nel lato destro, un po’ nascosto. Si può parcheggiare davanti alla reception per chiedere informazioni, ma il pernottamento è consentito nel piazzale sul retro, che è molto più ampio. Pulito e silenzioso. Carico d’acqua da rubinetto con tubo di gomma (flusso minimo).

Zahedan
Davanti alla stazione di polizia. Strada trafficata di giorno ma abbastanza silenziosa di notte. Avvicinatevi il più possibile al marciapiede. Su richiesta è possibile prelevare acqua dal cortile della stazione di polizia.

Mirjaveh
Tourist Inn.
Parcheggio e pernottamento consentiti nel giardino. Spazio per almeno 3 mezzi. Possibilità di carico acqua da rubinetto con tubo di gomma. All’interno dell’hotel c’è un ristorante di qualità accettabile.

PAKISTAN
Quetta
Bloom Star Hotel
. Si trova in Stewart Rd., 8. In teoria è possibile campeggiare nel giardino interno, ma non è possibile accederci con il camper. Il camper si può invece parcheggiare solo nel piazzale d’ingresso. Spazio limitato e presenza di ostacoli (anche in altezza) impongono la massima cautela nella manovre. Per motivi di sicurezza non si può sostare vicino al cancello. Possibilità di riempire la tanica d’acqua portatile da un rubinetto del giardino interno. Su richiesta, la reception può contattare un’agenzia di assicurazione per stipulare polizza RCA temporanea per il camper. Il ristorante non è male.

Mian Channu (tra Multan e Lahore) Night Bridge - Hotel & Restaurant. Motel con ottimo ristorante, giardino e parco giochi per bambini. Il pernottamento è consentito gratuitamente nel parcheggio davanti all’ingresso (chiedere il permesso). Fondo in ghiaia. Un po’ rumoroso per via della vicina autostrada, ma durante la notte il traffico è scarso. Si trova sull’autostrada Multan-Lahore, nel by-pass di Mian Channu (circa 220 km prima di Lahore) nel lato sinistro. Tel.: 065 2005536

Sukkur
Quartier generale della polizia (Police Headquarter). Su richiesta, è possibile pernottare nel parcheggio interno. Presenza di rami e altri ingombri. Spazio limitato.

INDIA
Amritsar
Mrs. Bhandari’s Guest House
. È un mini-villaggio turistico che comprende camere interne, spazi per campeggiare e una piscina all’aperto. Nei giardini ci sono gli scoiattoli. Il camper può essere parcheggiato tra i prati interni (ma non sull’erba). Direi che 4 o 5 camper ci possono stare senza problemi. Per il rifornimento d’acqua ci si può arrangiare con i rubinetti del bagno esterno. Il parcheggio del camper costa 2 euro a notte, da sommare ai 4 euro a notte per persona. Possibilità di corrente elettrica (shuko 2 poli, ma senza messa a terra!!) pagando il sovrapprezzo. La guest house ha il ristorante interno, buono ma con prezzi un po’ eccessivi. C’è una sala per l’accesso a internet, a pagamento, con 2 PC fissi. Indirizzo:
Cantonment n. 10, Amritsar-143 001 Tel.: 183 2228509 Email: bgha108@gmail.com

Gandhidham
Sharma Resorts
, sulla strada verso Mundra, lato destro (ben segnalato). Complesso alberghiero con ampi spazi di parcheggio.È possibile sostare gratuitamente (chiedere il permesso) nei giardini. Fondo in terra battuta, alberi che ostacolano le manovre ma fanno comodo per l’ombra. Ottimo ristorante all’interno dell’edificio. Indirizzo completo:
Nr. Airport Crossing, Galpadar;O.O. Box No. 255, GANDHIDHAM Tel.: (02836) 257823/24/25

Mundra
Galaxy Residency,
albergo con ampio parcheggio. È consentito il pernottamento nel parcheggio (chiedere il permesso alla Reception). Fondo sterrato, fangoso quando piove.Si trova sulla strada tra Mundra e il porto, un paio di chilometri dopo Mundra, sulla sinistra. È di fronte al distributore della “Indian Oil” (uno dei pochi che ha anche il GPL). In questo distributore è possibile fare rifornimento di acqua e di GPL (attacco italiano). Accanto al Galaxy Residency c’è il ristorante Galaxy Foods che serve anche la pizza e gelato buonissimo a prezzi onesti. Indirizzo esatto:
Adani Port Road (Opposite to Shubham Petroleum), Nana Kapaya Mundra 370415. Tel.: 02838-223970

Mandvì
Beach Resort, vicino al Vijay Vilas Palace, a Ovest di Mandvì
. Per arrivare, uscire da Mandvì sulla strada costiera verso Est, in direzione del Vijay Vilas Palace (chiedere indicazioni). Poco prima dell’ingresso del Vijay Vilas Palace, girare a sinistra sulla strada sterrata e procedere per un chilometro circa. Attenzione ai rami degli alberi, sia in larghezza che in altezza. Nella stagione monsonica la strada è un pantano. Normalmente la sosta dei camper non è consentita, ma insistendo (come ho fatto io) potrebbe essere concessa per una cifra che si aggira sui 20 euro a notte. Direi che il parcheggio può accogliere comodamente almeno 3 camper. Il ristorante è buono ed economico, e c’è una spiaggia privata (ingresso a pagamento).

NOTA: secondo alcune persone del posto, sarebbe possibile sostare anche sulla spiaggia a Est di Mandvì, vicino al Toran Beach Resort (che peraltro nell’agosto 2010 era chiuso). Sulla spiaggia ci sono effettivamente molti punti erbosi adeguati al parcheggio. Non ho sperimentato questo punto sosta perché non avevo individuato ristoranti nelle vicinanze e anche per la presenza di vacche e branchi di cani randagi.

Mcleod Ganj
Parcheggio multipiano di taxi / bus turistici.
Si trova all’ingresso del paese. Arrivando da Dharamsala, sul lato destro, prima del restringimento della strada. Il costo è di circa 1,20 euro per 24 ore. Cercate di sistemarvi all’ultimo piano che è all’aperto. Parcheggiate lontano dai cassonetti della spazzatura perché sono frequentati dalle vacche.

NOTA: è impossibile procedere per il centro di Mcleod Ganj con un camper standard, sia perché le strade sono strette, sia per la presenza di ingombri in altezza. Il parcheggio dei bus è quindi una scelta obbligata.

Rewalsar Lake
Parcheggio dei taxi/minibus. Gratuito.È bene occupare il minor spazio possibile (dato che il parcheggio dovrebbe essere per i taxi). Rampa d’accesso un po’ ripida: attenzione allo sbalzo. Per arrivarci, dalla zona di Mandi, seguire le indicazioni per Rewalsar Lake ed eventualmente chiedere indicazioni.

NOTA 1: ci sarebbe un monastero buddista che offre le camere ai turisti. Non chiede soldi in cambio, ma accetta donazioni. Il monastero ha un cortile con parcheggio recintato in cui ho osservato che, di notte, vengono ricoverati alcuni veicoli. Si potrebbe domandare se è possibile sostare con il camper nel parcheggio, magari dietro pagamento di piccola offerta. Non molto spazioso, direi sconsigliabile a mezzi ingombranti. Da verificare eventuale presenza di ostacoli in altezza. L’ingresso del monastero si trova esattamente di fronte al Topchen Restaurant.

NOTA 2: le strade che collegano Rewalsar Lake al resto del mondo sono pessime, quasi totalmente sterrate. Nella stagione delle piogge si riescono a malapena a percorrere, in certi tratti, a 5 km/h. I mezzi troppo bassi potrebbero avere degli inconvenienti, sia per la profondità delle buche che per la presenza di pietre nella carreggiata.

Udaipur
Rangniwas Palace Hotel

Possibilità di campeggiare a pagamento nel parcheggio davanti alla reception. Allaccio elettrico (shuko 2 poli, ma senza messa a terra!!) pagando un extra. Possibilità di rifornimento d’acqua dalla toilette davanti al giardino (procurarsi un tubo di gomma). Spazio limitato, presenza di rami e altri ostacoli, manovre complicate e rischiose. Capienza al massimo per due mezzi. Sconsigliabile per veicoli oltre 7 metri. Il ristorante è discreto e ha moltissima scelta. Personale gentilissimo. Si trova in Lake Road. Tel.: 0294 2523890 / 2523891. Email: rangniwas75@hotmail.com

Jaipur
Su Ajmer Road (l’autostrada che da Jaipur va verso Ajmer),
appena fuori Jaipur, ci sono vari hotel con ristorante e parcheggio. Si trovano tutti sul lato destro in direzione Ajmer (quindi, uscendo da Jaipur, bisogna fare inversione sull’autostrada). Uno di questi è il Hotel Raj Chidiya & Bar Restaurant, Narsinghpura, NH 8. Il ristorante è accettabile e molto economico. Il pernottamento è consentito nel parcheggio sterrato, sconnesso e fangoso. Oltre al prezzo della cena, viene richiesto un extra per il parcheggio, direi abbastanza esagerato. Consiglio quindi di tenersi questa come ultima possibilità.

Nagina
Pure Veg Restaurant.
Pernottamento consentito nel prato antistante (chiedere il permesso). Spazio limitato, rumoroso per la vicinanza della strada. Si trova nei pressi di Nagina, sulla NH 74 lato destro in direzione Kashipur (cioè verso il Nepal). Ristorante discreto ed economico. I proprietari, marito e moglie, abitano al piano di sopra e parlano bene l’inglese.

Banbasa (frontiera con Nepal)È possibile pernottare accanto al posto di polizia di frontiera. Si trova davanti all’ingresso del ponte per l’accesso alla zona di frontiera col Nepal (verso Mahendranagar). Ottima soluzione in caso si arrivi alla frontiera dopo l’orario di chiusura. Vicino al posto di polizia c’è una fontana con pompa manuale, da cui si può prelevare l’acqua.

Gorakhpur [vicinanze]
Jungle Treat &Tanmay – Hotel and Restaurant

È un piccolo motel sulla strada tra Sonauli e Gorakhpur. È consentito il pernottamento nel parcheggio antistante il ristorante (chedere il permesso). Fondo in terra battuta, rumoroso per via del traffico. Indirizzo esatto:
Campierganj-Gorakhpur (Near Van Nigam Dipo, Nepal Road) Tel.: 05522-211883 Mobile.: 9621824567

NEPAL
Bardia National Park
In corrispondenza dell’ingresso del parco, (strada N01 verso Kathmandu, lato destro), c’è un piccolo villaggio. Appena dopo l’ingresso, cioè oltre l’arco con l’insegna “Bardia National Park”, sul sentiero verso il centro del parco, ci sono delle baracche. Tra le varie attività c’è un piccolo ristorante a gestione famigliare, molto spartano. Chiedendo il permesso è possibile pernottare nel prato davanti al ristorante. C’è anche un telefono pubblico per chiamare l’Italia a prezzi convenienti e un mini-market.È possibile prelevare acqua dalla fontana (pompa manuale). Necessario dotarsi di torce elettriche per mancanza TOTALE di illuminazione.

Chitwan (zona parco nazionale)
River Side Spring Resort.
Complesso turistico di lusso con ristorante e ampio parcheggio alberato (custodito 24 ore). Fondo in terra ed erba. Chiedendo il permesso alla reception, è consentito pernottare nel parcheggio esterno, specialmente se si cena al ristorante del resort. Il ristorante è decisamente caro, ma ottimo. Si trova sulla strada N01, presso Kurintar, circa 90 km prima di Kathmandu, sul lato sinistro. Qualche chilometro prima ci sono le indicazioni con la distanza, ma l’ingresso NON è ben segnalato.

Kathmandu
The Place – Garden Restaurant & Lounge Bar
. Si trova in Tridevi Marg, Tel.: 01-6218676È possibile sostare, anche per più giorni, nel parcheggio a pagamento davanti all’ingresso. Attenzione, il parcheggio non è del ristorante ma è gestito da un privato. Di norma si paga in base alle ore di sosta (i veicoli grandi pagano quasi 1 euro all’ora), ma dovendo rimanere più giorni è possibile trattare il prezzo: con un po’ di fortuna si sta sotto i 15 euro al giorno. Il parcheggio è custodito 24 ore ed è in una posizione comodissima: 5 minuti a piedi dal centro di Thamel, 25 minuti da Durbar Square. Il fondo è leggermente sconnesso e con qualche dislivello. Meglio arrivare nel tardo pomeriggio, quando inizia a svuotarsi, in modo da occupare il posto migliore. Per raggiungerlo, arrivando dalla strada N04, andare verso il viale di circonvallazione. Procedere su Kantipath in direzione Nord. All’incrocio di Thamel girare a sinistra in Tridevi Marg (verso il centro di Thamel). Appena imboccata Tridevi Marg, il primo cancello grande sulla sinistra è l’ingresso del parcheggio. Trattate subito il prezzo con il guardiano e fatevi fare una ricevuta. C'è un rubinetto per il rifornimento d'acqua. Il ristorante è ottimo e ha prezzi stracciati, ma i tavoli sono scomodi perché troppo bassi.

NOTA: evitare assolutamente di guidare il camper in Tridevi Marg oltre questo punto. Si finirebbe in una zona in cui non è più possibile procedere a causa di ingombri in altezza (cavi elettrici, balconi) e in cui è difficile fare inversione.


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