Viaggiare - Diari di Viaggio


ISLANDA 2004

(con due ruote in America)

18 luglio – 6 agosto 2004

di Mauro Bertagnolli


Credo che per quanto riguarda le motivazioni di questo viaggio ogni commento sia inutile, visto che l’Islanda è la terra dei superlativi, dove niente è come te lo saresti aspettato, e visto che questo è il viaggio che probabilmente abbiamo desiderato più a lungo in assoluto. Se poi si aggiunge il fatto che tecnicamente si tocca l’America in camper, visto che geologicamente la parte occidentale dell’Islanda si trova sulla zolla americana, non si capisce come mai ci abbiamo messo tanto a deciderci.

Dopo questo viaggio, la definizione migliore che riusciamo a trovare per l’Islanda è: morbida. Morbida per i colori, per le forme della lava, per i muschi e per la microvegetazione che ricopre tutto il possibile, per i ciuffi d’erba, per i simpatici volatili che la popolano. Ispira relax.

Il viaggio è stato tecnicamente un po’ complicato perché, per poter rimanere il più a lungo possibile lassù, abbiamo optato per la spedizione del camper con un cargo. La spedizione avviene ad Amburgo, quindi oltre al viaggio vero e proprio (in aereo) ci sono state anche due andate e ritorno da Amburgo, con il risultato che noi siamo potuti rimanere in Islanda 18 giorni pieni con 3 settimane di ferie, e che il camper si è fatto una mega-vacanza di due mesi...

Questo è il nostro diario. Prendete i nomi delle località così come vengono, perché spesso abbiamo mescolato th, þ e p, come æ e ae, j e y, o e ö, d e ð ecc. D'altra parte, lo fanno anche le guide e persino i volantini islandesi...

Bibliografia
Abbiamo usato tre guide ‘generaliste’:

Lonely planet, edizione italiana EDT, 2001;
Rough guide, edizione italiana Vallardi 2003, edizione originale del 2001;
Insight guide, edizioni italiana Apa Zanfi 1994, edizione originale 1993.
Abbiamo poi comprato un’ottima guida specifica per il trekking, con 48 itinerari:

Rother walking guide, ed. 2000 (traduzione inglese della versione tedesca)
L’Apa è molto valida sull’inquadramento generale del paese e in poche pagine indica molto chiaramente le cose da vedere. La Rough, a nostro parere, nel caso dell’Islanda è meglio della Lonely, che francamente questa volta ci ha deluso, un po’ per una traduzione efferata, un po’ per il generale disordine nella trattazione, e poi perché eccessivamente sbilanciata sul ‘dove si mangia, dove si dorme’.

La cartina usata è la carta turistica Ferðakort (Islandese) in scala 1:500.000, e una carta in scala 1:100.000 per la zona di Þörsmork.

Prologo
Ovviamente il prologo non può che descrivere il primo pezzo del viaggio, cioè la salita fino ad Amburgo, la spedizione del camper, il rientro a casa con mezzi alternativi.

Sono le 16 di sabato 3 luglio quando inizia il viaggio. Sono solo. C’è il sole. Imbocco l’autobrennero, supero il confine, scendo a Innsbruck, esco dall’autostrada e faccio il Fernpass, raggiungo l’autostrada tedesca. Alla prima area di servizio (Allgäuer Tor) mi fermo. È ora di cena, ho la mia razione k pronta (non posso cucinare, la sistemazione del camper è stata predisposta per la spedizione, il frigo è vuoto, non c’è acqua), e consumo il frugale rancio dell’accompagnatore di camper.

All’indomani, tappone senza storia e senza imprevisti, circa 800 chilometri tranquilli sula A7, fino all’ultima area di servizio prima del porto container di Amburgo (Lehmsaal), dove c’è il terminal della Eimskip. Cena con classici würstel e birra alla tavola calda. Domani è il grande giorno: imbarcherò il camper per l’Islanda.

Lunedì, oggi bisogna essere precisi, i tempi sono stretti. Ore 7, apre il terminal, ore 9, parte il treno dalla stazione centrale di Amburgo; incognite: quanto tempo ci vorrà ad espletare le pratiche per la spedizione? Quanto ci vorrà in taxi ad arrivare in stazione? Sono al terminal alle 6:55. Il posto è immenso, c’è un traffico bestiale di TIR e di carrelli elevatori. Mi fanno il visto di ingresso nella zona portuale, e un furgone navetta mi porta alla palazzina. Quella sbagliata. Chiedo indicazioni e mi mandano ad un capannone. Alle 7:20 trovo finalmente il posto dove devo consegnare il camper. L’addetto strabuzza gli occhi quando gli dico che vengo dall’Italia solo per spedire un camper. In 10 minuti vengono espletate tutte le formalità. Avendo io un mezzo che eccede le misure di un container, ed avendo una bobola di gpl all’esterno, non possono trasportare il veicolo nella stiva, quindi devo firmare uno scarico totale di responsabilità. Per arrivare fin qui da casa ho percorso 1120 chilometri.

Dalla navetta che mi riporta all’ingresso guardo il camper fermo nel grande piazzale, circondato solo da agguerriti fuoristrada tedeschi, con tutti questi mezzi che gli girano attorno, speriamo che tutto vada bene… All’ingresso mi chiamano un taxi. Alle 7:45 arriva, alle 8:10 sono in stazione. Fantastico. C’è anche il tempo per fare colazione come si deve. Il treno parte alle 9:00, sfreccia veloce nella campagna tedesca. A Monaco si cambia, il vecchio convoglio italiano arranca su e giù per il Brennero, e alle 20:00 sono a Trento. Domani si lavora.

Il diario

17 luglio, Trento
Telefono in Islanda, parlo con una signora Qualcosadottir (come tutte le donne islandesi finisce per dottir e inizia per un miscuglio di lettere) della Eimskip: il camper, mi dice, è arrivato regolarmente, tutto ok. Bene, possiamo andare.

18 luglio, Trento – Keflavik (360 km in auto + aereo)
Volendo prenotare il viaggio con largo anticipo, dati gli stretti vincoli che avevamo sulle date, abbiamo optato per la compagnia tedesca LTU, che offriva i prezzi più convenienti, in partenza da Monaco di Baviera. Quindi partiamo di mattina da casa, e in auto arriviamo tranquillamente al nuovissimo e bellissimo aeroporto di Monaco, da dove alle 20:45 parte il nostro volo. I nostri compagni di viaggio (tutti tedeschi) sono di tutti i tipi. Alcuni sono vestiti come Indiana Jones, ci sono famiglie con figli piccolissimi e biciclette e, al solito (siamo in Germania!), tantissimi anziani. Al check-in l’addetta non vuole credere che noi andiamo in Islanda con una sola, piccola, borsa al seguito.

Primo piccolo inconveniente: Nadia ha dimenticato la sua mela (la sua bella golden, portata apposta per il viaggio) in macchina. Che dramma! Speriamo che in tre settimane non marcisca, colando sul vestiario leggero che abbiamo lasciato in macchina per il ritorno.

All’arrivo in Islanda cambiamo subito un po’ di soldi in valuta locale. Scopriremo dopo che non serve cambiare molto: tutti in Islanda accettano (anzi, preferiscono) la carta di credito, anche per pagamenti minimi. Alla fine del viaggio dovremo ricambiare parecchi soldi.

All’uscita dell’aeroporto ci aspetta il proprietario della B&B Guesthouse di Keflavik: ho prenotato qui, perché l’ora di arrivo è tarda (22:30), e le guesthouse di Keflavik offrono un pick-up gratuito all’aeroporto, cosa che rende più soft l’arrivo.

È una bella serata, c’è il sole, la temperatura è gradevole, l’aria è tersa.

La Guesthouse è pulita e ordinata (come penso sia la norma in Islanda), sembra di essere a casa, a parte la mancanza di imposte che rende un po’ difficoltoso il sonno, con la luce, se non il sole, che entra dalle finestre.

19 luglio, Keflavik - Sigoldustöð (255 km)
Sono le 9:15 quando prendiamo l’autobus che ci porterà a Rejkyavik, dopo una buona colazione che ci siamo preparati alla Guesthouse. C’è il sole, ma l’arietta fresca consiglia di tenere il pile. Durante il tragitto abbiamo le prime vedute dei campi di lava, con le loro crepe, le loro gobbe, le loro volute, e l’onnipresente muschio. La strada è terribilmente trafficata per i canoni islandesi (in realtà c’è un terzo del traffico che su una nostra provinciale), tant’è vero che la stanno portando a 4 corsie!

Alla stazione degli autobus BSI di Rejkyavik prendiamo un taxi per andare al porto. L’emozione e la tensione aumentano… come starà il nostro Ciccio, che è già qui da una settimana ad aspettarci? Arriviamo alla sede della Eimskip, disbrighiamo le formalità doganali (di fatto il tutto consiste nel pagamento della tassa per il diesel), e finalmente possiamo vederlo. È lì, in un bel piazzale, in compagnia degli agguerritissimi fuoristrada tedeschi superequipaggiati: mi viene naturale appoggiargli affettuosamente una mano sopra il faro sinistro. Siamo a casa!

Firmo il modulo di consegna: il camper è stato descritto come ‘usato, rovinato, arrugginito, con la vernice graffiata e molto sporco’. Nessun controllo viene effettuato in entrata sulle merci trasportate: avremmo potuto caricare tutto il cibo che ci serviva, mentre invece siamo stati onesti, limitandoci a 3 kg di alimentari a testa (o poco più). La prima tappa è un supermercato, per i rifornimenti e per risistemare il carico. Mi accorgo di una piccola macchia di acqua sotto il motore: il radiatore! L’atmosfera si fa cupa, mentre cerchiamo un meccanico. La diagnosi fortunatamente è benevola: la perdita è minima, non c’è nessun pericolo che peggiori, possiamo fare quello che vogliamo, buon viaggio!

A mezzogiorno inizia ufficialmente la nostra vacanza.

La nostra tattica è: giro in senso antiorario sulla 1, più deviazione a Landmannalaugar e taglio finale sulla 35, per rientrare a Rejkyavik con qualche giorno di anticipo sul volo di ritorno (non si sa mai) e visitare alla fine il triangolo d’oro e la penisola di Rejkyanes. Siamo speranzosi, il meteo promette bel tempo al sud per i prossimi giorni, sarebbe un bel colpaccio riuscire a vedere questi posti col sole.

Partiamo dunque sulla 1, deviando quasi subito sulla 39 in direzione di Þorlakshöfn. Campi di lava ovunque, la strada percorre un altipiano. Non appena inizia la discesa verso il mare, un cartello sulla sinistra indica la nostra prima meta: la grotta lavica di Raufarholsellhir. Inizia l’esplorazione: caschetto, frontalini e macchine fotografiche. La grotta è lunga 1300 metri, noi ne esploriamo i primi 3-400: è molto interessante, colorata (nero, grigio, rosso i colori predominanti), ma l’incedere è faticoso a causa dei blocchi di basalto, caduti dalla volta. Ci sono alcune stalagmiti di ghiaccio, ed in più punti la volta è crollata del tutto, e si ritorna per un breve tratto alla luce.

Finita l’esplorazione di questa parte ‘morta’, ci concentriamo su qualcosa di più vivo: la zona geotermica di Gufudalur a Hveragerdi. Non sappiamo cosa aspettarci e, data la totale mancanza di indicazioni (a parte quelle per il campo di golf), quasi ci perdiamo il piccolo geyser Gryla, che alla fine risulterà molto più interessante del più blasonato ed imponente Stokkur di Geysir, che, qualche volta, fa cilecca. Questo piccoletto ha un ciclo che ci è sembrato molto costante: prima sta calmo per 4-5 minuti, poi gorgoglia, poi emette uno sbuffetto di vapore. Poco dopo, tre sputacchi di fila, poi una sfumacchiata abbastanza larga e quindi il getto, potente, verticale, di almeno una decina di metri e di parecchi secondi di durata. Quindi il ciclo ricomincia.

Si riparte, direzione Landmannalaugar: abbiamo infatti letto che la F208 è percorribile senza problemi fino al guado, a 300 metri dal rifugio. Passiamo da Selfoss e facciamo una deviazione a Eyrarbakki, descritto come simpatico paesino di pescatori. Ci immaginiamo il porticciolo, le barchette, i gabbiani, i pescatori che riparano le reti… Nulla! Il porto semplicemente non c’è. Le barche venivano tirate in secca, e un enorme muraglione protegge il paese dalla furia degli elementi. Già, siamo in Islanda, mica a Ventotene! Proseguiamo, prendendo la 30, la 32 e la 26. Il paesaggio è lunare: la strada corre per decine di chilometri su di un’immensa distesa di lava e cenere, eruttata da pochi anni dal terribile vulcano Hekla, che ci osserva da lontano. Dopo Hravneyjafosstof (o qualcosa del genere), dove c’è l’ultimo distributore di benzina, si gira finalmente per la F208. Il fondo è discreto, e dopo qualche chilometro ci fermiamo per la notte nei pressi di una cascatella e di una centrale elettrica: non vorremmo infatti sforare nel parco nazionale, sapendo che il campeggio libero è vietato nei parchi. Negli ultimi 50 chilometri non abbiamo visto nessun mezzo ‘normale’, solo aggeggi dalle ruote mastodontiche. Non è che domani faremmo meglio a proseguire in bici? Durante la notte, qualche goccia di pioggia.

20 luglio, Sigoldustöð - ­­Ægissiðufoss (157 km)

Ore 9, nuvoloso. Si parte: ci aspetta un’ora e mezza di sterrato discreto, a parte alcuni pezzi di ‘tôle ondulée’ che ci fanno un po’ soffrire, per arrivare al rifugio. Le pendenze non sono eccessive, solo un paio di tratti richiedono l’uso della seconda. Dopo pochi chilometri incrociamo un camper mansardato (fiuuu! Vuol dire che si poteva effettivamente fare). Il posto è splendido: tratti di deserto di sassi si alternano a campi lavici vecchi e nuovi, crateri di esplosione neri e rossi ricoperti di muschio verde e grigio, laghi e colline, si iniziano a vedere le mille sfumature della riolite gialla, rossa, verde… Merita assolutamente la deviazione.

La colata di ossidiana che quasi si appoggia al rifugio è spettacolare, sembra un ghiacciaio pietrificato (per fare un paragone accessibile a noi montanari alpini), chissà che spettacolo il vulcano che l’ha eruttata… Seconda sorpresa: il vulcano, semplicemente, non c’è! La lava è uscita da una fenditura, la colata è quasi più larga che lunga. Fantastica l’Islanda, quasi nulla è come te lo aspetti!

Scarponi e zaino, è ora di provare la guida delle gite a piedi. Sembra affidabile e scritta bene, ma non si sa mai. Facciamo una gita molto frequentata, salendo il Brenninsteinsalda e poi il Blahnukur (la montagna blu, che poi è grigia, mah), scendendo poi per la valle del Graenagil, tra solfatare e laghetti azzurri, riolite rossa e riolite gialla, colate di ossidiana e terfrite grigia (bestia quanto stiamo diventando bravi con la lava!). Giriamo per più di 5 ore, come bambini in un negozio di giocattoli. Rinunciamo invece al bagno nel laghetto caldo, dove si mescolano le acque di due torrenti che escono dalla base della colata lavica, uno caldo (molto caldo!) e uno freddo. Ripartiamo, e sulla strada ci fermiamo per salire un conetto di cenere ricoperto di muschio, e per dare un’occhiata al Blahylur, lago all’interno di un cratere. A dispetto di come appare, tutto qui è morbido, le scarpe lasciano l’orma come se si fosse sulla luna, i pezzi di lava sono appena appoggiati sulla sabbia o sulla ghiaia. Pochi chilometri dopo aver ritrovato l’asfalto lo abbandoniamo, scendendo verso Hella sulla 26. Il paesaggio si fa via via più monotono, le pietre lasciano spazio a campi di foraggio. Ci immettiamo di nuovo sulla 1, per poi girare a destra verso Pykkvibær e raggiungere un parcheggino tra l’erba, nei pressi della cascata di ­­Ægissiðufoss, dove passeremo la notte.

21 luglio, ­­Ægissiðufoss – fiume Bakkakotsa (96 km)
Il cielo è velato, ci sono 14°, sono le 8:30, partiamo. Oggi la meta è ambiziosa, vorremmo andare a Þosrmörk, sicuramente non in camper (ci sono un sacco di guadi), ma almeno in rampichino. Ho visto una mappa su internet che riporta dei ponti pedonali sui guadi più impegnativi: speriamo sia vero.

Ci fermiamo all’ufficio turistico di Hvollsvöllur per chiedere informazioni. Ecco più o meno il dialogo:

‘Un’informazione, per cortesia: è possibile andare in bicicletta fino a Þosrmörk?’

‘Perché volete andare in fino a Þosrmörk? Prendete un bus!’

‘Non vogliamo andare in bus, vogliamo portare le biciclette, e vorrei sapere se si possono fare i guadi in bicicletta’

‘Potete mettere le biciclette sul bus!’

‘Non vogliamo mettere le biciclette sul bus, le abbiamo già sulla macchina. Ho visto che ci sono i ponti pedonali sugli ultimi guadi: si può andare in bicicletta fino a lì, lasciare le bici per strada e proseguire a piedi fino a Þosrmörk?’

‘Perché volete lasciare le bici per strada?’

‘Grazie, vorrei pagare queste 10 cartoline.’

‘Volete anche i bolli?’

‘Sì, grazie.’

Non abbiamo nessuna informazione in più, ma almeno abbiamo comprato le cartoline. Bè, parafrasando Cesare, andiamo, vediamo, mal che vada ritorniamo!

Seguiamo la 1, giriamo alla cascata di Seljalandsfoss sulla 249, passiamo da Seljaland e proseguiamo fino a Storamörk. Qui la strada si stringe, lo sterrato si fa più tosto, e la 249 diventa F249.

Parcheggiamo il camper ed estraiamo le bici. Un chilometro dopo troviamo il primo guado. Si levano gli scarponi, si mettono i sandali da guado, bici in spalla e via! Per i primi 10 secondi va tutto bene, poi all’improvviso è come se ti avessero messo i piedi in un tritacarne ad azoto liquido… ma non è che si può correre, si deve sopportare con calma. Fortuna che ci si abitua. Proseguiamo con questo abbigliamento da tedesco in campeggio (a parte la mancanza dei calzini in lana color vinaccia), è inutile rimettere gli scarponi. I guadi si susseguono, e finalmente, dopo il nono, arriviamo ai piedi del primo ghiacciaio, il Gigjökull, dove una passerella pedonale scavalca un torrente particolarmente impetuoso. Non è che si faccia meno fatica, le passerelle sono altissime per resistere alle piene, e le bici devono essere issate per una scala molto ripida, e calate dall’altra parte. L’ambiente in compenso è stupendo, con le nuvole a batuffolo in cielo che, ombreggiando ora un versante ora l’altro dei monti e dei ghiacciai, danno loro una profondità incredibile. Una curiosità: il muschio color verde evidenziatore resta incredibilmente dello stesso colore sia all’ombra, sia al sole!

Dopo una seconda passerella arriviamo finalmente alla meta dell’escursione, nei pressi di Basar: un canyon che conduce ad una cascata nascosta in una gola (Stakkholtgja): lasciamo le bici e ci addentriamo a piedi, guidati dall’ormai fido libretto delle passeggiate. Il canyon è suggestivo, richiede un’ora di cammino, vale la visita.

Al rientro, ormai temprati, i guadi li passiamo (o, a volte, tentiamo di passarli) in sella, e alla fine della gita abbiamo accumulato 35 chilometri di percorso. Sono solo le 19, quindi approfittando del bel sole andiamo a visitare la cascata di Seljalandsfoss ed un'altra (definita la casacata nascosta), a sinistra di questa, dietro al campeggio, cui si accede solamente camminando nel torrente per una decina di metri, inzuppandosi completamente a causa degli spruzzi. Anche questa è indicata sul libretto delle gite. Le due cascate sono assolutamente da vedere nel pomeriggio, in quanto di mattina sono completamente all’ombra.

Si prosegue sulla 1, più qualche deviazione per trovare un posto dove dormire. Alla fine ci fermiamo lungo il fiume Bakkakotsa (poco prima della strada per Eyvindarholar, con bella vista del Eyjafjallajökull.

22 luglio, fiume Bakkakotsa - Loftsahellir (51 km)
Durante la notte è piovuto e la temperatura è scesa a 10°, ma alle 9:30 c’è il sole e ci sono già 13°. Oggi ci aspetta l’ultimo dei tre giorni sul percorso del trekking Landmannalaugar – Skogar, con la salita verso il passo sopra Skogar. Parcheggiamo presso la cascata di Skogafoss e iniziamo la risalita lungo il sentiero che costeggia il torrente. Dopo due ore e mezza, in un susseguirsi continuo di canyon e cascate con decine di arcobaleni, arriviamo all’unico ponte che supera il fiume, in corrispondenza del guado della pista dei fuoristrada. Ridiscendiamo al camper per la strada, che si snoda su di un altipiano ricoperto di erba,muschi e licheni. Anche oggi ci siamo fatti le nostre belle 5 ore di cammino.

Ripresa la strada, subito dopo il fiume Jokulsa, seguiamo una strada sterrata di 5 km che porta alla base del ghiacciaio Solheimajökull. È molto caratteristico, con il ghiaccio, molto sporco di cenere vulcanica, costellato di coni ricoperti di detriti.

Vediamo per la prima volta un gruppo di persone che incontreremo molto spesso durante il viaggio: sono un gruppo di anziani olandesi, uomini e donne, che viaggiano a bordo di un camion dei pompieri, e sembrano dediti solo al birdwatching.

Tornati sulla 1, pochi chilometri dopo prendiamo la 218 (sterrata) per Dryholæy. Il paesaggio è stupendo, con le spiagge nere che cingono il promontorio, sul quale finalmente (dopo svariati tentativi falliti in tutto il nord Europa) facciamo l’incontro ravvicinato con le pulcinelle di mare. Sono tante e tranquille, proprio sotto il faro, ci si può avvicinare a non più di 5 metri, e scorrono fiumi di pellicola. Restiamo quasi due ore nella luce del tramonto a guardare questi buffi pennuti, i loro decolli ‘a tuffo’ e i loro sgraziati atterraggi (in qualche caso si possono meglio definire come schianti). Le rivedremo altre 4 volte, nel corso del nostro peregrinare per le scogliere d’Islanda.

Per dormire, ci sistemiamo appena fuori dei confini del parco, a Lofhasellir, con vista sui faraglioni di Vik.

23 luglio, Loftsahellir - Svinafelljökull (173 km)
Anche stanotte è piovuto, ma oggi sta ancora piovendo (d’altronde, siamo nella zona più piovosa d’Islanda). Sono le 8:45 quando partiamo per Vik: si va a fare la spesa, sotto scrosci di pioggia torrenziale. Pochi chilometri dopo si attraversano colate laviche coperte di muschio, e poi il Meðalassandur, la prima distesa di pietre di oggi. A Laufskalavörður c'è, al lato della strada, un curioso raggruppamento di ometti di pietra.

Arriviamo a Kirkjubæjarklaustur che non piove più, e vediamo l’interessante affioramento di basalto di Kirkjugolf, che sembra un pavimento piastrellato. Poco oltre, le colonne basaltiche di Dverghamrar non sono un gran che. Alla fattoria di Nupsstadur (l’ultimo caposaldo di vita prima di attraversare lo Skeidararsandur) uno dei tre fratelli descritti dalle guide come gli unici che sapevano attraversare il deserto di pietre, è morto di recente, c’è una commovente tomba fresca, con una croce fatta di zolle d’erba, nei pressi della chiesetta di torba.

All’inizio del sandur incrociamo dei ‘crazy germans’ (come li chiamano i locali) in bicicletta, con enorme bagaglio, e una coppia che sta viaggiando con i rollerblade, con tanto di carrellino con i bagagli ancorato in vita: chissà come faranno sullo sterrato. Il tempo va migliorando decisamente, è uscito un po’ di sole, e vediamo di fronte le lingue di ghiaccio che scendono dal Vatnasjökull. Abituati alle nostre dimensioni alpine, sembrano veramente grandi. Quello a cui non siamo ancora abituati è la visibilità islandese: non ci viene in mente che quelle lingue di ghiaccio si trovano a sessanta chilometri di distanza! Il risultato è che, dopo mezz’ora di strada nel deserto di sabbia e sassi del sandur, le dimensioni del ghiacciaio non sono cambiate apprezzabilmente. Solo dopo inizia a crescere, crescere, crescere ed alzarsi, alzarsi, alzarsi… Non sono ghiacciai grandi, sono sterminati.

Arriviamo al centro visitatori del parco di Skaftafell, e subito partiamo per una passeggiata tra betulle e cespugli: Sjonarnipa, con stupendo panorama sul ghiacciaio dello Skaftafellsjökull, poi Svartifoss, con le famose colonne di basalto mozzate, e quindi Sjonarsker, da dove la vista spazia su tutto il sandur. Anche oggi abbiamo fatto 3 ore di bella passeggiata. Sfruttiamo la doccia del centro visitatori e poi andiamo a cercare un posto dove dormire, al di fuori del parco. La scelta cade sul parcheggio dello Svinafellsjökull, una deviazione di 5 chilometri di sterrato appena fuori (o forse appena dentro?) al parco. Data la bella luce, non resistiamo alla tentazione di fare un giro al fronte del ghiacciaio, e quindi ci infanghiamo per bene le scarpe in un’altra oretta di cammino. Per la prima volta condividiamo un pernottamento con un altro camper. La sera piove, e la temperatura si abbassa notevolmente, complice la vicinanza del ghiacciaio.

24 luglio, Svinafelljökull - Stokksnes (168 km)
Sereno, 8,5°, si parte alle 8:40. Facciamo pochi chilometri lungo la 1 prima di arrivare alle lagune di Fjallsjökull e di Jökulsarlon. Mezza giornata viene trascorsa nell’ammirare la varietà di iceberg che affollano le lagune. Nella prima, più piccola, gli iceberg sono più minuti e puliti, nella seconda, più grande e più frequentata dai turisti, gli iceberg sono molto grandi, e di vari colori a seconda dei depositi di cenere o lava che si portano dietro.

Pranziamo sulla spiaggia dove sfocia il fiume che esce dalla laguna, e dove dei pezzi di ghiaccio spiaggiati sulla sabbia nera sembrano cristalli Swarowsky esposti in una vetrina.

Dopo pranzo si riparte. Sulla via di Höfn ci sono parecchi stagni pieni di cigni. A Höfn (dove c’è il primo porto degno di tal nome) visitiamo il museo dei ghiacciai, abbastanza interessante, per poi ripartire alla ricerca di un posto per la notte. Lo troviamo quasi subito, in una strada laterale, buona a parte gli ultimi 300 metri, che porta al faro di Stokksnes. Lungo la strada troviamo delle baracche delle quali non siamo riusciti ad indovinare l’uso: sono delle palafitte coperte, con le pareti parte in legno e parte in rete, che poggiano nel fango della laguna, raggiunte da una passerella. Attorno, numerose impronte nel fango testimoniano che vengono usate, ma come? Potrebbero essere capanni da caccia o da pesca, ma perché il cacciatore dovrebbe stare con i piedi nel fango (non c’è il pavimento) dopo aver raggiunto il capanno con tanto di passerella? Potrebbero essere ricoveri per barche, ma servirebbero solo per barche basse e nella massima marea. Potrebbero essere trappole per uccelli, ma sembra difficile immaginare un uccello talmente stupido da infilarsi lì. L’unica soluzione è che siano state fatte per permetterci di fare delle foto suggestive: grazie, Islanda!

Dormiamo nel parcheggio antistante la stazione radar della NATO, che si raggiunge dopo aver attraversato una zona di dune di sabbia nera. Anatre e foche grigie fanno capolino tra gli scogli.

25 luglio, Stokksnes - Miðfiördur (410 km)
Sereno, 14,5° alle 8:30, quando partiamo per il primo tappone di trasferimento del viaggio. Non ci negheremo comunque una bella passeggiata. Visto che siamo già in anticipo sulla tabella di marcia, e visto che abbiamo preso confidenza con le strade islandesi, ci concederemo una digressione verso la costa nord-ovest dell’Islanda, dimenticata dal turismo, e sulla quale una delle nostre guide sostiene ci siano tantissimi resti di balene spiaggiate.

Riprendiamo la 1, per fermarci poco dopo alla laguna di Lon, dove migliaia di cigni se ne stanno a distanza di sicurezza dagli intrusi, formando una indistinta macchia bianca a qualche centinaio di metri dalla riva. Quello che si percepisce bene è invece lo schiamazzo che fanno. Ci sono i pompieri olandesi, con i loro binocoli. La spiaggia di ciottoli neri che chiude la laguna è bellissima, piena di piantine grasse con delle gocce di rugiada tra le foglie. Vediamo anche un’enorme vertebra di balena (non è difficile da trovare, bianca sul nero della spiaggia…).

Poco più a est, dopo Djufivogur abbandoniamo la 1, prendendo a sinistra la 939, che si inerpica per la vallata. Il fondo è buono, c’è un tratto con pendenza elevata, ma nel complesso si risparmia qualche decina di chilometri verso Egilsstadir, ed il panorama è stupendo. Ripresa la 1, giriamo nuovamente a sinistra per Hallormstradur.

Sosta pranzo con sorpresa… c’è ancora acqua sotto il camper, ma questa volta viene dal serbatoio delle acque bianche. Ha ceduto una saldatura, non c’è altro da fare che svuotare tutto e proseguire a secco. Da questo momento in poi il viaggio si trasforma in un interessante esperimento su quanto sia enorme lo spreco quotidiano di acqua di cui tutti siamo responsabili. Infatti la nostra scorta d’acqua si riduce ad una tanica da 10 lt per uso cucina, e a tre / quattro bottiglie da 1,5 litri per tutto il resto. Viene abolito l’uso del wc (cosa che peraltro in Islanda non rappresenta un gran problema, visto l’affollamento che c’è), impariamo di nuovo a usare il tappo del lavabo. Nadia è particolarmente a suo agio, tanto da non voler più andare in campeggio, e da arrivare a lavarsi i capelli facendo scaldare mezzo litro d’acqua in una padella… una sorta di richiamo della foresta?

Dopo pranzo andiamo alle cascate di Hengifoss (sempre seguendo la guida dei trekking). Ci vuole un’oretta a piedi per arrivare alla cascata più alta, contornata da formazioni rocciose rosse e nere, mentre la cascata intermedia si trova in una zona di colonne di basalto, meno regolari ma più alte e più colorate che a Svartifoss.

Ritorniamo sulla stessa strada e, passata Egilsstadir prendiamo a destra per la 917. Questa strada è molto migliorata rispetto a quanto descritto nelle guide, lo sterrato è liscio e, anche se si sale quasi a 700 metri (dove peraltro veniamo avvolti dalle nuvole), la pendenza non è mai eccessiva. Scendiamo verso Vopnafjörðdur, poi passiamo da Selardalur e arriviamo a Bakkafjörður. Qui cerchiamo un posto per dormire sulla stradina che va verso il faro, nei pressi dell’impianto di essiccazione del pesce, ma la pendenza e le sterne artiche ci fanno desistere. Proseguiamo, e ci fermiamo nei pressi di Miðfjörður, su una spianata di ghiaia alta sul mare. Sono ormai le 23, è stata una lunga giornata.

26 luglio, Miðfiördur - Melrakkasletta (184 km)
Sono le 9 quando ripartiamo, ci sono 15°, il tempo è buono. Prevediamo di passare la giornata sulla penisola di Melrakkasletta, la zona più settentrionale d’Islanda. Passiamo per Þorshôfn e facciamo una deviazione verso la penisola di Lauganes, fin dove la strada ce lo consente. Le spiagge sono piene di tronchi e di uccelli, ma di ossa di balena nessuna traccia. Potremmo proseguire in bici lungo la penisola, ma temiamo di non avere poi il tempo di rispettare il programma per i giorni successivi. Quindi torniamo sui nostri passi e proseguiamo per Sævarland. Poco dopo, seguendo non la guida dei trekking, ma le indicazioni della Lonely Planet, facciamo un’escursione a piedi (di circa 3 ore) sulla penisola di Rauðanes. Il paesaggio assomiglia a quello che poi troveremo ad Arnastapi nello Snæfellsnes, la scogliera è formata da colonne di basalto ed è molto ricca di archi naturali e grotte

Durante la passeggiata vediamo tantissimi uccelli, tra cui alcune pulcinelle molto, ma molto vicine. Ci crolla però un mito: quello dell’eleganza del cigno.

Succede che ci sono due cigni su di uno scoglio, ricoperto d’erba, di circa 5-6 metri di altezza. Noi li vediamo, loro ci vedono. Sappiamo che sono molto schivi, quindi averli a pochi metri è una bella occasione di foto. Sì, lo so, i cigni ci sono anche nei nostri parchi e gli si può chiedere di farti una fotografia tanto sono tranquilli, ma questi sono selvatici, è tutto diverso. Mentre mi acquatto per montare il teleobiettivo, Nadia, vestita con giaccavento variopinta, si rizza col binocolo sulla scogliera, e succede l’irreparabile: i cigni se ne vanno. Uno, due, tre passi verso il ciglio e… si lasciano cadere a peso morto in acqua! Splat! Splat! Una legnata terrificante. Notare che il cigno fa proprio splat, e non splash, in quanto non affonda di un millimetro, è come se si schiantasse sull’asfalto. Le due bestiole, probabilmente stordite dall’impatto, si allontanano nuotando. Foto sfumata e mito del cigno infranto.

Dopo pranzo passiamo per Raufarhöfn tra stormi di uccelli ovunque e, dopo Sigurðarstaðir, quando si ricomincia a vedere un po’ di lava, giriamo a destra su uno sterrato buono che ci porta a Nupskatla. Questa fattoria (che è riserva naturale) è un posto stupendo, pieno di fiori, con una spiaggia di grossi sassi e ai piedi di un vecchio cono vulcanico, fronteggiato da una coppia di faraglioni pieni zeppi di uccelli. Seguiamo al solito la nostra guida dei trekking. Il posto è magico nella luce del pomeriggio, gli uccelli sono sistemati come in un condominio, a strati, in cima ci sono le sule, gialle e azzurre, poi le pulcinelle, quindi le urie e i gabbiani. Anche il vecchio cono, ampio e ricoperto di erba, ha il suo fascino. Torniamo al camper dopo un paio d’ore, la visita ha meritato sicuramente la deviazione.

Per dormire ci infiliamo nella stradina successiva a quella appena percorsa, su di un prato in riva al mare, di fianco ad una vecchia fattoria abbandonata. Posto splendido, con la possibilità di vedere un sacco di uccelli (tra cui cigni e morette) direttamente dal camper, durante la cena. In tutta la giornata avremo incrociato sì e no 10 macchine. Fantastico! Siamo ormai sul mar Glaciale Artico, la temperatura dell’acqua è di 6,5°. Di ossa di balena, neanche l’ombra.

27 luglio, Melrakkasletta - Reykjalid (204 km)
Inizia oggi la visita al secondo polo di attrazione turistica d’Islanda, il parco nazionale del Jökulsárgljúfur e il Myvatn. Partiamo alle 9 sotto un bel sole, ci sono 13°. Dopo una sosta-spesa a Kopasker, proseguiamo verso Asbyrgi. Lungo la strada vediamo 3 trampolieri nel delta del Jokulsa, e osserviamo lo sviluppo di una piccola tempesta di sabbia (leggeremo POI sulla guida che in questa zona sono particolarmente frequenti).

Visitiamo rapidamente Asbyrgi (il canyon è abbastanza interessante e la visita è veloce), poi prendiamo la F862 e, con una ventina di chilometri di sterrato decente, arriviamo a Vesturdalur. Sempre seguendo la guida dei trekking ci incamminiamo tra le belle formazioni di basalto (le migliori che abbiamo visto) di Hljóðaklettar, messe in luce dal fiume Jökulsá á Fjöllum, e ci spingiamo oltre fino alle rocce rosse e nere di Rauðholar, che emergono dal fianco di un vulcano di cenere, veramente spettacolari. C’è un vento bestiale, si fa fatica a stare in piedi sulla cresta del vecchio cratere. Ritornati sui nostri passi, dalla parte opposta del parcheggio andiamo a vedere i faraglioni di Karl og Kerliny, che emergono dalle acque grigie del fiume (e che sono meno significativi del resto). In tutto girelliamo tra le rocce per quasi tre ore.

Sarei tentato di proseguire sulla F862 fino a Dettifoss per vedere la cascata da ovest, ma da questo punto in poi la F862 diventa ‘F’ davvero, peggiorando notevolmente, e visto che poi dovremo comunque passare da Dettifoss dall’altra parte del fiume, rinunciamo e rientriamo ad Asbyrgi. Risaliamo verso Dettifoss sulla 864, con uno sterrato brutto, molto ondulato e fastidioso. Breve sosta per vedere Hafrangilsfoss dall’alto (qui è molto bello il tratto di strada che porta al parcheggio, tagliato nella lava nera e rossa di un vulcano), poi arriviamo a Dettifoss. La cascata è spettacolare nonostante il colore grigio della sua acqua fangosa, anche perché ci si può avvicinare al ciglio proprio nel punto in cui inizia il salto. Viene utile la custodia stagna della macchina digitale, visto che il vento spira in senso sfavorevole e siamo sottoposti ad una doccia abbastanza intensa. Percorriamo a piedi i due chilometri verso monte fino ad arrivare ad una seconda cascata (Selfoss), molto particolare perché, pur non essendo molto alta, il suo salto è parallelo al corso del fiume, che si infila da destra e da sinistra in un canyon più stretto. Particolare curioso: nelle pozzanghere attorno alla cascata galleggiano dei sassolini di pomice, scagliati lì dalla violenza dell’acqua.

Dopo Dettifoss la strada migliora (Dettifoss viene raggiunta infatti principalmente da sud), il paesaggio è molto vario, con distese di lava che si alternano a deserti di sassi ed a dune sabbiose ricoperte da ciuffi d’erba. La strada è parecchio trafficata per gli standard islandesi, ed è proprio lungo questo tratto che, incrociando un fuoristrada, un sasso prende in pieno il faro sinistro, e lo rompe. Beh, meglio il faro che il vetro!

Tornati sulla 1, andiamo verso Myvatn, passando davanti all’incrocio per Askyia. Non ci andremo, abbiamo deciso di rinunciare alle massacranti gite organizzate per goderci la natura in santa pace. Attraversiamo grandi campi di lava ed arriviamo a Namafjall, una stupenda zona geotermica. È tardo pomeriggio, il sole sta tramontando dietro la collina sulfurea, ma il cielo è terso, ci dobbiamo fermare a fare qualche foto, anche se torneremo anche domani, perché chissà come sarà domani il tempo. C’è una forte puzza di zolfo, ma noi ormai l’odore di zolfo lo cerchiamo!

Arriviamo a Reykjalid alle 20, e ci apprestiamo a passare l’unica notte in campeggio di tutto il viaggio (siamo nel parco, quindi non si può dormire all’esterno). Il campeggio Hlið è in bella posizione, tra un bellissimo campo lavico e la chiesa. È abbastanza affollato, ma data l’enorme differenza tra i nostri ritmi e quelli di tutti gli altri campeggiatori (molti dei quali hanno già finito di lavare i piatti della cena) troviamo tutti i servizi liberi. Ci sono due curiosità: l’aeroporto è proprio dietro la collina, e deve avere una pista molto corta perché gli aerei che atterrano passano pochi metri sopra la nostra testa; l’acqua puzza decisamente di zolfo, e non esce mai fredda dai rubinetti.

E i famosi moscerini del Myvatn? Quando arriviamo c’è un po’ di brezza, esco dal camper e non ce ne sono, ma che bello; giro sottovento al camper e, whooosh, vengo avvolto dalla nube! Non pungono, le adorate bestiole, ma prediligono infilarsi in allegra compagnia in naso, bocca, occhi e orecchi, quindi non è facile resistere a lungo. Dovremo ridurre al minimo la permanenza fuori dal camper. Tra l’altro fa abbastanza fresco.

28 luglio, Reykjalid - Masvatn (88 km)

Oggi, giornata ‘tutta lava’. Si parte con un bel sole e 15°. Ritorniamo sulla 1 da dove siamo arrivati ieri. Pochi chilometri, e la prima deviazione sulla destra ci porta a Grjotagja, una grotta nella lava in cui c’è una pozza d’acqua un po’ troppo calda per un bagno. Il sole basso del mattino filtra dalle spaccature della lava formando suggestivi effetti di luce.

Proseguiamo, e in prossimità della fabbrica di diatomite (con immancabile laghetto stile ‘laguna blu’), una nuova deviazione a destra ci porta al nuovo stabilimento termale (anche questo in stile ‘laguna blu’, attualmente in costruzione), dove le cose più spettacolari sono la vista sul Myvatn e l’enorme pentolone a cielo aperto in cui ribolle l’acqua utilizzata dallo scambiatore di calore della piscina.

Dopo queste due brevi tappe torniamo alla zona geotermica di Namafjall: dobbiamo fare un altro giretto consigliato dalla guida, con escursione fin sulla cresta che sovrasta i soffioni e le solfatare. La zona è spettacolare, con il giallo dello zolfo mescolato agli ocra della montagna, ai verdi e rossi delle alghe, al grigio dei fanghi e all’azzurro del cielo. I rollini vanno via come il pane, tra il gorgogliare, soffiare, ribollire della terra. Ci abituiamo talmente all’odore delle emanazioni sulfuree, che poi quasi ci mancano. Meno male che la macchina fotografica è al sicuro nella custodia stagna! Due ore di cammino a fotografare tutto il possibile, e si riparte. Poche centinaia di metri a est, e una bella strada asfaltata sulla sinistra ci porta al Krafla, annunciato dalla centrale geotermica. Anche questa ha il suo fascino, con le nuvole di vapore e tutti i tubi lucenti che corrono giù dai pozzi situati sulle colline circostanti.

Dal posteggio ci vuole almeno un’oretta per farsi un’idea del campo lavico più recente d’Islanda, i colori predominanti qui sono il nero, il viola, il rosso, con qualche macchia gialla di zolfo. È spettacolare, e rientriamo al camper solo due ore e due rollini più tardi. Ci colpisce meno la visita al Viti, il cratere di esplosione in cui si cela un laghetto: ci era piaciuto di più il cratere visto vicino a Landmannalaugar (era molto più ‘sincero’).

Ripassiamo a Reykjalid, e ci fermiamo un attimo ad un’altra pozza d’acqua calda, la Storagja. È in una spaccatura, è vicina alla strada ma non vale la sosta, molto meglio la Grjotagja. Proseguiamo sulla sponda nord del lago, Nadia ha deciso che non vuole passare altre notti in campeggio, quindi ci sposteremo fuori dai confini del parco. Ci soffermiamo un’oretta nei pressi del ponte sul Laxa, l’emissario del lago, ad osservare anatre (morette ed altre) e cigni, poi proseguiamo in direzione di Akureyri fino al lago Masvatn, appena fuori del parco, sulle cui sponde pernottiamo.

29 luglio, Masvatn - Arskogssadur (194 km)
Sono le 8:45, è nuvolo e tira vento, ci sono però 16°. Anche se non siamo sul Myvatn, i moschini abbondano sottovento al camper. Oggi completeremo la visita alla zona del Myvatn; ritorniamo quindi indietro, fino a Shutustaðir, la zona degli pseudocrateri, raggiungibili attraverso un breve sentiero che parte dal centro (leggi, di fronte al distributore: la località è composta da una dozzina di case, come al solito). Sono interessanti, ma andrebbero visti dall’alto, come si vedono nelle cartoline. Incontriamo di nuovo i nostri amici pompieri olandesi, che stanno facendo la posta a delle anatre bianche e nere.

Qualche chilometro più avanti, una stradina a destra porta al parcheggio di Dimmuborgir, un campo lavico molto particolare, con pinnacoli, archi e grotte di lava. La struttura più interessante è la Kirkja, una grotta lavica le cui entrate sembrano archi gotici; peccato che per raggiungerla bisogna seguire la famigerata traccia rossa, che ci fa camminare per 20 minuti tra strutture molto meno interessanti.

Seguendo la guida delle escursioni (e i numerosi cartelli), ci allontaniamo poi dalla zona dei pinnacoli, dopo essere passati sotto ad un arco di lava. Mezz’oretta tra lava e betulle, e siamo ai piedi dello Hverfell, grande cratere che caratterizza il panorama del Myvatn. La salita dura mezz’ora, ma ne vale la pena. Nonostante il vulcano sia totalmente grigio, l’enorme cratere è spettacolare, e la vista sul lago e sulla faglia retrostante veramente notevole. Tira un vento incredibilmente forte, si fa fatica a stare in piedi. La discesa, fatta di corsa zigzagando lungo il sentierino di lava morbida, è divertentissima, a parte la polvere lavica tra i denti. Ai piedi del cratere si può arrivare anche in macchina, prendendo una strada sterrata ma segnalata, che si stacca dal lungolago.



Ripreso il camper, passiamo per Reykjalid per comprare un pezzo di hevabraud, pane scuro, dolciastro e appiccicoso che, dicono, viene cotto nel vapore geotermico in buche scavate nel terreno caldo. Lasciamo quindi la zona del Myvatn, riprendendo la 1 in direzione di Akureyri. Ci fermiamo un attimo a Godafoss, che non ci dice molto, vuoi perché veniamo da cascate molto più caratteristiche, vuoi perché oggi il tempo è veramente bigio.

Un altro posto che non ci dice molto è Akureyri. Qui ci aspettiamo una botta di vita, visto che si tratta della città più bella di Islanda. Invece ci ritroviamo nella mitica zona dello shopping, che risulta essere una sola strada con negozi mediocri o, peggio, turistici. In più piove, e alle 18 scatta il coprifuoco commerciale: gli unici esseri viventi in giro dopo quell’ora sono turisti infreddoliti, sbarcati qui da qualche tour, che non sanno cosa fare per ingannare il tempo prima di cena.

Quindi si riparte. Direzione nord, per un’altra digressione rispetto alla solita 1. Seguiamo, la 82, oltrepassiamo Hauganes e ci fermiamo per la notte nel porticciolo di Arskossanður, da dove partono i traghetti per l’isoletta di Hrisey. Il tempo migliora, e la serata ci offre un bel tramonto con le montagne ancora innevate.

30 luglio, Arskogssaður – torrente Kotagil (243 km)
Partiamo alle 8.40 c’è il sole, la temperatura è di 16°. Attraversiamo Dalvik, dove c’è un piccolo porticciolo. A Olafsfjördur prendiamo la strada sterrata 82 che abbandona la costa, con buon fondo. Lungo il percorso ci fermiamo a vedere uno degli innumerevoli rifugi di emergenza. Sono piccole baracche, poste su tutte le strade isolate, nei punti più difficilmente accessibili, in modo da dare un riparo agli automobilisti che si trovassero in difficoltà. All’interno c’è un letto, una stufetta, una cucina, legna, qualche busta di minestre e caffè. C’è un diario, che dovrebbe servire solo per indicare le derrate eventualmente consumate, in modo che possano essere prontamente rimpiazzate, ma che invece ospita saluti, commenti e considerazioni dei visitatori.

Verso le 11 arriviamo a Siglufjörður. C’è un insolito movimento, tante macchine, tanti camper, tante tende… ovunque. Ogni piazza, rettangolo d’erba, slargo sono occupati dai campeggiatori, e continuano ad arrivarne. Che succede? Oggi è il venerdì che precede il primo week-end di agosto, ed è gran festa in tutta l’Islanda. In particolare, a Siglufjörður si celebra l’epopea dell’aringa, conclusasi alla fine degli anni 60. Che bello, pensiamo, bancarelle, aringhe a sfare, si mangia, si beve. Falso! Di aringhe nemmeno l’ombra. La festa presenta, sui tre giorni, numerosi momenti di spettacolo, ma la cosa che più conta per gli islandesi è stare in tenda, tutti pressati, e bere, bere, bere in compagnia: ed infatti c’è una lunghissima coda allo spaccio degli alcolici
.
Ci limiteremo a visitare il paese, che è sicuramente quello che più si avvicina all’idea del paese di mare che ci aspettiamo: ci sono i moli, alcuni dei quali non sono racchiusi da stabilimenti per la lavorazione del pesce, ci sono barche di dimensioni umane, c’è addirittura una piazza nei pressi del porto. Arrivano delle barchette di pescatori, viene scaricato il pesce (pesci gatto che vengono pescati con la lenza), la gente si accalca, guarda, commenta. Inoltre c’è il museo dell’aringa, realizzato in tre edifici che ospitavano la lavorazione del pesce negli anni d’oro. È molto interessante, una delle costruzioni è stata allestita come se la gente se ne fosse andata da pochi minuti, e si gira negli ambienti con tutte le suppellettili e gli arnesi in disordine, la biancheria stesa, le scarpe infangate sull’uscio. Non c’è nessun controllo, è triste pensare che da noi gli ambienti sarebbero ormai deserti…

Ripartiamo alle 16, proseguendo lungo la costa. Incrociamo una marea di campeggiatori che stanno arrivando: dove diavolo li metteranno? Seguiamo la 76, passiamo per Hofsos dove ci sono delle belle rocce basaltiche vicino al porto. Poco dopo ci fermiamo a vedere una chiesetta di torba nei pressi della fattoria Gröf. Proseguiamo, raggiungiamo la 1 e la seguiamo a sinistra, di nuovo verso Akureyrj. Non siamo impazziti, stiamo seguendo ancora i consigli della guida delle escursioni. Oggi ci manca ancora una sgambatina, ci fermiamo nei pressi del ponte sul torrente Kotagil. Qui c’è l’uscita di una gola molto stretta, all’interno della quale si trova una cascata che si può raggiungere solo risalendo il torrente e guadandolo più volte. Indossiamo gli stivali e partiamo. La gola è aperta verso sud, quindi le condizioni di luce al tramonto non sono proprio quelle ideali, ma pazienza. In mezz’ora si raggiunge la cascata, piccola ma suggestiva, tra belle formazioni rocciose.

Tornati al camper, decidiamo di passare qui la notte. Alle 11, quando andiamo a dormire, c’è ancora un traffico sostenuto in direzione del Myvatn: sono tutti fuoristrada con carrello tenda al seguito, nessuno vuole perdersi il week-end della sbornia!

31 luglio, torrente Kotagil - Foss (358 km)
Oggi, secondo tappone di trasferimento, da nord a sud. Sono le 8:40, e ci sono 14° quando ripartiamo, riprendendo il senso antiorario del giro. Ci fermiamo un attimo a Varmahlið per guardare le previsioni del tempo all’ufficio turistico, poi visitiamo la chiesetta di torba di Viðimjri. Proseguiamo lungo la 1: a Huanver c’è un particolare recinto per le pecore, circolare con vari settori. La strada si snoda lungo una vallata molto dolce. Poco dopo, a Bolstaðarhlið, lasciamo la 1 per tagliare l’Islanda attraverso la strada di Kjolur, che fino ad un paio di anni fa era una ‘F’, ma ultimamente è stata molto migliorata. Percorreremo 180 chilometri di sterrato ininterrotto, a volte buono, a volte piuttosto faticoso.

Seguiamo la 731, poi la 732 per arrivare alla 35. La strada si snoda dapprima in una zona di tundra cosparsa di laghetti, poi si entra nel deserto sassoso (Blöndulon). In lontananza, purtroppo seminascosti dalle nuvole, si vedono le calotte dello Hofsjökull e del Langjökull. Il tempo non è dei migliori, momenti di sole si alternano a cupe nubi. La meta di spicco della giornata è il campo geotermico di Hveravellir, che si raggiunge con una breve deviazione dalla 35. Arriviamo alle 12, l’ora di punta: ci sono ben tre pullman, oltre a parecchie automobili che affollano il piccolo parcheggio del rifugio.

Nonostante la folla, facciamo subito il giro della zona geotermica, in quanto al momento c’è il sole, e la caratteristica principale del posto sono i fantastici colori determinati da vari tipi di alghe. Sono spettacolari alcune sorgenti calde, gialle, arancio, quella a forma di occhio verde, un’altra che forma una gradinata di piccolissime vaschette calcaree, ma soprattutto il piccolo soffione giallo, che domina la zona sullo sfondo di un laghetto azzurrissimo. Ora, con il sole e lo sfondo di nuvole nere, è favoloso.

C’è anche una vasca per fare il bagno, alimentata da due tubi, uno di acqua calda e uno di fredda. C’è parecchia gente a mollo, poi per i turisti ‘organizzati’ il tempo scade, i pullman ripartono, e la vasca rimane a nostra disposizione. Finalmente riusciremo a fare il mitico bagno nell’acqua calda! Pioviggina, fa freschino, ma il momento è propizio. Per prudenza, decido comunque di provare la temperatura dell’acqua prima di mettermi in costume. Immergo la mano vicino al tubo dell’acqua fredda: la vasca è rovente! Saranno 45°, si fa fatica a tenerci una mano. Ecco spiegato il color aragosta delle persone immerse poco fa; ma come faranno questi uomini, abituati a dei climi così rigidi, a sopravvivere a temperature così alte? Comunque, niente bagno nella vasca calda…

Dopo pranzo facciamo un altro giretto a piedi, incamminandoci per il campo lavico. Arriviamo fino alla grotta del bandito Fialla Ejvindar, una bolla di lava, in cui pare che questi abbia vissuto per vent’anni con la sua sposa Allar. Il tempo peggiora, adesso piove decisamente.

Ripartiamo, la strada è faticosa, raggiungiamo il passo a 670 metri, dove inizia a grandinare. Si formano grosse pozzanghere fangose sulla strada, dobbiamo proseguire con prudenza. Fortunatamente smette quasi subito, per ricominciare però dopo 10 minuti. Accendo il tergicristallo… nulla! Non funziona. Non va nemmeno la ventilazione in cabina, e anche gli anabbaglianti ci hanno lasciato. Non è che si possa fare molto, si prosegue lentamente scrutando dal vetro fradicio e sperando che smetta di piovere. C’è di buono che la zona non è trafficata. Fortunatamente la pioggia cessa, e possiamo proseguire con più facilità.

C’è una bella zona con dune di sabbia prima del Hvitarvatn, che lascia poi il posto al deserto sassoso. Si scende dall’altopiano, e la strada peggiora notevolmente, anche perché ci sono imponenti lavori stradali in corso: probabilmente dall’anno prossimo la traversata della 35 perderà un po’ del suo fascino.

Passiamo davanti a Gulfoss, dove ritroviamo l’asfalto, cosa che oggi ci fa particolarmente piacere. Dobbiamo cercare un posto per dormire, non vorremmo che ci sorprendesse il buio, senza fari. Dopo Bratholt giriamo a sinistra sulla 30 con la quale raggiungiamo il fiume a Foss. Oltre il ponte c’è un comodo parcheggio che fa per noi. Sono già le 22, ci sono 9°.

1 agosto, Foss - Þingvellir (77 km)
Piove. Siamo senza fari e senza tergicristallo. È domenica. Mancano 5 giorni alla partenza. Urge una ripianificazione strategica. Oggi visiteremo le zone turistiche circostanti, e domani andremo a Reykjavik per cercare di riparare il guasto (deve essere poco più di un fusibile). Però non possiamo muoverci con questa pioggia, qui le strade cominciano ad essere trafficate, ci serve almeno il tergicristallo. Estraggo il kit del piccolo elettricista e, con un filo, un fusibile, un interruttore porto la corrente dalla batteria al motorino del tergicristallo. Nadia sarà il temporizzatore umano a comando vocale.

La cosa funziona, e partiamo un po’ più rilassati. Sono le 11, ci dirigiamo a Geysir. Piove, tira vento, c’è tanta gente. Dopo tante aree geotermiche, il geyser Strokkur è l’unica vera attrattiva per noi. È decisamente grosso, soffia con parecchia regolarità, e non ci si può esimere dal tentare di immortalare tutte le fasi dell’esplosione, tra cui la più difficile da prendere è il momento della formazione della bolla nella vasca, un’istante prima del soffio. Possiamo dedicarci ad un po’ di tourist-watching, in particolare di japanese-watching: sono troppo divertenti. DOPO ogni soffio del geyser, si scatenano in ululati di meraviglia, e le signore si mettono in posa per farsi fotografare col getto. Ma il getto non c’è più. Aspettano un minuto poi, delusi, fanno per andarsene… whooosh, ululati di meraviglia, richiamo del marito, messa in posa, attesa del getto… il getto non c’è più. Un minuto… troppo bello!

Ripartiamo, andiamo a vedere Gullfoss. Siamo bardati come pescatori dell’oceano Artico, cerata completa, guanti, macchina fotografica stagna. Tra vento, pioggia e spruzzi della cascata ci facciamo una doccia completa. La cascata è bella anche con questo tempo, chissà come dev’essere suggestiva col sole e col famoso arcobaleno. Comunque non ci deprimiamo, finora il tempo è stato sicuramente molto meglio di quanto ce lo potessimo aspettare, e avevamo messo in conto di avere una piccola punizione al nostro ritorno verso sud.

Ripassiamo per Geysir, e dopo prendiamo la 37 fino a Laugarvatn. Qui pranziamo nel parcheggio della piscina. Ha smesso di piovere, si inizia a vedere qualche squarcio di sereno. Prendiamo la 365, sterrata, per Þingvellir. È il peggior tratto di strada di tutta l’isola, pieno di buche e parecchio trafficato, una vera sofferenza. Se fatto all’inizio del viaggio puo’ servire come test per la prosecuzione della visita!

La vallata di Þingvellir è spettacolare: tira vento, l’aria è limpidissima, la dorsale medioatlantica si vede alla perfezione. Un posto da brividi, a pensare che ci troviamo nel luogo dove nasce la Terra! Seguiamo la strada lungolago fino all’hotel Valhöll, dove posteggiamo. In zona i parcheggi sono parecchi. Noi stiamo seguendo le indicazioni della solita guida delle escursioni, e faremo un bel giretto a piedi. Visitiamo subito l’Almannagjà (la frattura più evidente), poi proseguiamo verso nord, prima di addentrarci nel campo lavico costellato di crepacci pieni di acqua cristallina. Vaghiamo per un’ora tra le betulle, prima di arrivare ai ‘resti della fattoria Skogarkot’, abbandonata negli anni 20. Non c’è più nulla, nemmeno un muro. Rientriamo per un altro sentiero, dove vediamo 5 fagiani e parecchi altri uccelli. Alla fine, tappa d’obbligo alla Þingvallakirkja e alla frattura di Peningagjà.

È ora di cercare un posto per la notte, ma dobbiamo uscire dai limiti del parco. Prendiamo la 52 per Hvanneyri, e ci fermiamo in una piazzola quando pensiamo di essere ormai a posto con la legge (su questa strada l’inizio del parco non è segnalato). Ci sono 10°.

2 agosto, Þingvellir - Hellisandur (316 km)
È il giorno del meccanico! Si parte alle 8:40 con un bel sole. Direzione Reykjavik. Sappiamo già dov’è la Volkswagen, vicino al meccanico che aveva guardato il radiatore all’inizio del viaggio. Si arriva lì in mezz’ora, il traffico è scarso, molto scarso, troppo scarso, per meglio dire, completamente assente. La zona artigianale è deserta. Saremo arrivati troppo presto? No, sono le 9 passate. Finalmente trovo qualcosa di aperto, un autonoleggio. Chiedo informazioni: oggi è il lunedì del weekend della festa del lavoro Islandese, che comprende appunto anche il lunedì (probabilmente serve a smaltire la sbronza). Tutto chiuso.

Ulteriore ripianificazione strategica. Abbiamo ancora tre giorni, il tergicristallo funziona. Proseguiamo come se niente fosse, si va allo Snaefellsness, giro della penisola in senso orario. Riprendiamo quindi la 1, facciamo il nuovo tunnel di Akranes, proseguiamo poi per Bogarnes, dove prendiamo la 54, piuttosto monotona. Posso fare una buona azione da automobilista: una signora ha una gomma a terra, e non riesce a svitare i dadi. Non c’è problema! Croce e martello, e un eroico automobilista italiano può vantarsi di aver aiutato una rude automobilista islandese in casa sua! A Buðir ci fermiamo: c’è una bella chiesetta nei prati vicino al mare, con un piccolo cimitero. La zona è dominata dalla calotta dello Snæfellsjökull, che si intravede tra le nubi. Facciamo un giretto sulle dune e lungo la scogliera: avvistiamo una foca grigia. Dopo pranzo si prosegue. Prima di Arnarstapi deviamo brevemente verso l’interno sulla 570, ripida ma ben percorribile, fino alla Sönghellir, piccola grotta di lava con una strana acustica. Le formazioni di basalto sul mare di Arnarstapi sono parecchio interessanti. Seguiamo il sentiero lungo costa, siamo come al solito assaliti dalle sterne artiche, ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Vediamo ancora delle pulcinelle di mare. Poco più avanti, entrati nei confini del parco, andiamo a vedere la laguna di Djupalon. Sulla spiaggia ci sono ancora i resti di un naufragio di un secolo fa, e le 4 pietre usate come prova di forza dei marinai.

Attraversiamo una zona lavica, avvicinandoci alla punta di Snæfellsnes e proseguiamo oltre, visto che è ora di fermarsi e siamo, al solito, in un parco. Arriviamo a Hellisandur, nei pressi dell’antenna del LORAN (oltre 400 metri di altezza), e ci fermiamo in un parcheggino tra le sterne nei pressi della chiesetta. Potremo osservare le sterne tranquille, una buona volta. Dopo cena passeggiatina sulla scogliera: la costa è molto movimentata, piena di archi e grotte. Per scendere alla spiaggia di ciottoli grossolani, c’è una corda annodata. Quando andiamo a dormire ci sono 12°.

3 agosto, Hellisandur - Akrar (239 km)
Ore 9, nuvoloso, pioggia leggera. Torniamo indietro di qualche chilometro per visitare la punta estrema dello Snaefellsnes, öndverðarnes. La strada, sterrata, si snoda tra bei campi di lava. C’è un bel faro arancione, un pozzo scavato nella lava (Falki), mentre la scogliera ci delude un po’, non troviamo la varietà di uccelli promessa, e non vediamo nemmeno una foca.

Ripartiamo, passiamo per una serie di paesini anonimi, mentre i paesaggi montani sono molto belli. Prendiamo la 56, che taglia la penisola, per fare l’ennesima escursione. Questa volta la meta è il Berserkjahraun, una montagna di tufo. Partiamo da un parcheggio panoramico lungo la strada, e scendiamo nella vallata. Attraversiamo una zona paludosa, poi saliamo lungo un crinale erboso. Ci sono strane formazioni di tufo, e verso la cima resti di coni vulcanici sormontati da formazioni di rocce a lamelle, disposte in modo casuale. Scendiamo dalla parte opposta, in vallette formate da roccia morbida color ocra, con strane formazioni a fungo. Tutto l’itinerario è libero, non ci sono sentieri segnalati. Non è il caso di farsi sorprendere dalla nebbia!

Rientriamo al camper alle 18, possiamo ancora fare un sacco di cose. Andiamo a Stjkkisholmur, paesino simpatico tra decine di isolette, con un porticciolo e l’aspetto di posto di villeggiatura. È tornato un bel sole, vale la pena di sfruttare le condizioni favorevoli, quindi decidiamo di percorrere la 55, sterrata e più lunga, anziché la 56 per tornare in direzione di Reykjavik. La scelta è felice, lo sterrato è molto liscio, il paesaggio molto vario, colline, montagne, laghetti, fiordi si susseguono nella luce calda del tramonto.

Dopo Elborg giriamo a destra per la 540, dobbiamo trovare un posto per la notte. Attraversiamo una bella zona piena di stagni, con uccelli, cavalli sulla spiaggia. La costa è bassa, ci sono parecchie isolette. Il mare è una tavola, il cielo è sereno, troviamo un posto a un metro dal mare su una penisoletta tra Akrar e Holmakot. Ci sono 11°.

4 agosto, Akrar - Stafnesviti (252 km)
Nuvoloso, ore 8:30. Riproveremo col meccanico. Perché? Perché ci piacerebbe trovare il camper almeno con i fari funzionanti quando dovremo attraversare la Germania, tra tre settimane: in Germania la notte fa buio, poi c’è anche qualche galleria da attraversare. Ripasseremo quindi da Reykjavik, dovrebbero essere ormai rientrati dal weekend della sbornia.

Alle 10:30 siamo alla Volkswagen (non a quella dell’altro giorno, quella era solo carrozzeria, ma chi lo sa come si dice autofficina in islandese?). Il titolare ci dice subito che dev’essere qualcosa nel blocchetto d’accensione, fa smontare il copripiantone e si rende conto che non ha il pezzo. Prende nota del numero di telaio, fa un paio di telefonate: il pezzo non è disponibile. Peccato. ‘Quanto devo?’ ‘Nulla, si figuri, non abbiamo fatto niente’. Troppo gentile, visto che di fatto ho portato via loro almeno 20 minuti di tempo.

Ripartiamo, siamo rientrati nella strategia originale del viaggio: gli ultimi giorni saranno dedicati alla penisola di Reykjanes, dove dovrebbero esserci parecchie curiosità geologiche. Usciamo da Reykjavik e prendiamo la 42: subito fuori della città ci sono parecchi essiccatoi per il merluzzo, ormai aggrediti dalla periferia in espansione. Proseguendo, si risale un passo tra nere montagne di lava, per poi scendere in un deserto di lava verso il lago Kleifarvatn. Arriviamo all’area geotermica di Krisuvik, dove ci sono i resti di un Geyser esploso pochi anni prima; i cartelli di pericolo di esplosioni sono ovunque, anche al parcheggio.

Si pranza, poi ci attende l’ennesima gita indicata dalla guida, che parte proprio da qui. Attraversiamo la zona geotermica, molto colorata, poi risaliamo il pendio di lava, girando dietro ad una piccola collina. Scendiamo quindi su un’altra zona geotermica, completamente nascosta dalla vista. Zone di terriccio verde si alternano a zone ocra, poi rosse; lava rossa si alterna a quella nera. Peccato non ci sia il sole. Piccole polle di fango grigio azzurro borbottano tutt’intorno. La guida raccomanda di essere prudenti, e di seguire le tracce delle pecore per attraversare il pendio fumante; le pecore, ci informa, conoscono la strada più sicura, non sbagliano mai. Ci incamminiamo su questo terreno infido e scivoloso, il fango caldo si incolla alle suole. Poco dopo siamo ‘al sicuro’, e scendiamo lungo un costone erboso verso il Grænavatn, piccolo lago vulcanico dal colore verde intenso.

Proseguiamo in direzione di una colonna di vapore che sale da dietro un’altra collina. Raggiungiamo così un grande lago di fango grigio, avrà un diametro di una trentina di metri; tutt’intorno una serie di vulcanetti di fango. Poco oltre, zone erbose si alternano a pozze di acqua calda, pozze di fango. Non è proprio facile muoversi, seguiamo con fiducia le tracce delle pecore, osservando i colori cangianti delle alghe. Ad un certo punto sentiamo un forte odore di carne in putrefazione: poco più avanti, in una pozza di fango, c’è una pecora morta! Gonfia, galleggia ‘bollita’, con il muso sull’erba. Attimo di perplessità: e adesso che tracce seguiamo, visto che quelle delle pecore non sembrano poi così affidabili?

Mezz’ora dopo, e dopo aver attraversato una zona MOLTO paludosa, ma fredda, rientriamo al camper, e ripartiamo verso Grindavik, attraverso la non terribile 427. Vado all’ufficio turistico, ho bisogno di una connessione internet o di un telefono per riconfermare il volo di domani. Entro, saluto. ‘Mi sa dire dove posso trovare un collegamento ad internet?’ ‘Se ha un laptop può collegarsi alla nostra rete WiFi’. No, grazie, c’è mica un telefono’ ‘Può usare questo’ ‘È una chiamata internazionale’ ‘Non c’è problema, è abilitato’. Faccio la telefonata, confermo il volo. ‘Quant’è?’ ‘Niente, si figuri!’ Incredibile, una telefonata internazionale gratis! Il volo è confermato, domani saremo nel gorgo dei preparativi per riuscire a non dimenticare niente di importante (tipo chiavi della macchina o passaporti) e a non lasciare cose pericolose in camper (tipo roba deperibile in frigo).

Facciamo una puntatina alla laguna Blu, è un must. È pieno di gente, ci sono tantissimi pullman, parecchi italiani, tanti giapponesi. Stiamo giusto il tempo di fare la classica fotografia della gente nella piscina con la centrale sullo sfondo, poi ripartiamo. Ripassiamo da Grindavik e proseguiamo sulla 425 verso Hafnir. Dalle parti di Gunnuver c’è una piccola zona geotermica, con piccoli soffioni e fanghi verdi. Poco oltre arriviamo al faro di Reykjanesviti, il più antico d’Islanda, bianco su una bella scogliera. Il posto è molto bello e solitario, peccato non poterci fermare, purtroppo nelle prime operazioni di sistemazione del camper abbiamo esaurito le nostre esigue scorte d’acqua. Proseguiamo quindi per Hafnir, attraversando una mediocre spaccatura semiinsabbiata che, per aumentare l’appeal turistico della zona, è stata sormontata da un ponte pedonale, pomposamente definito ‘ponte tra i due continenti’. Poco dopo passiamo per Keflavik, giriamo intorno all’aeroporto, sotto un acquazzone violento, arriviamo a Sandgerði e giriamo a sinistra per Hvalsnes.

Abbiamo nel frattempo fatto acqua, la strada termina in un piccolo parcheggio nei pressi di un faro arancio, a Stafnesviti. Incredibilmente, non siamo soli: c’è un altro camper, tedesco. Il tempo migliora, la serata sarà bella, anche se ventosa.

5 agosto, Stafnesviti - Reykjavik (97 km)
Piove. A dirotto. Speriamo che migliori perchè oggi, il nostro ultimo giorno, saremo particolarmente indifesi. Ce la prendiamo con calma, partiamo alle 10:30, ci sono 12°. Abbiamo ancora una meta turistica. Andiamo a Garður, dove c’è una famosa zona ornitologica nei pressi del faro. Uccelli non ne vediamo molti (solo le solite anatre e qualche cormorano), foche men che meno, ma in compenso vediamo per l’ultima volta i nostri amici, i pompieri olandesi.

A Keflavik approfittiamo del miglioramento meteo per preparare il camper: borsone, zaino, borsa macchine fotografiche, documenti, soldi. C’è tutto. Passiamo dall’aeroporto, ma non c’è il deposito bagagli: peccato, sarebbe stato comodo. Pranziamo, poi andiamo a Reykjavik, dobbiamo riconsegnare il camper entro le 16. Passiamo dalla stazione degli autobus BSI, e lasciamo il borsone (il deposito bagagli qui c’è). Ripartiamo e arriviamo al porto. Quando consegnamo il camper alla Eimskip sono le 15:50. Abbiamo sprecato solo 10 minuti in tre settimane! Ciao Ciccio, buon viaggio, ci vediamo ad Amburgo.

Per inciso, le formalità di riconsegna del veicolo sono talmente poche che non è necessario arrivare entro le 16. Il camper si può riconsegnare 24 ore su 24 direttamente al personale dello scalo. Basta riconsegnare il camper, le chiavi ed il modulo doganale. Niente da firmare, nessuna ricevuta (gulp!).



Abbiamo tutto, chiavi, documenti, soldi, giacche, zaino. Ora dobbiamo ritornare in città, dovremo pur vedere anche questa, abbiamo 4 ore di tempo prima che il Flybus ci porti all’areoporto. C’è un bus navetta a disposizione dei turisti delle grandi navi da crociera. Saliamo. L’autista non è particolarmente sveglio, ma molto ligio. Dopo una lunga discussione intuiamo che il biglietto, sola andata, costa 3 euro, oppure 3 dollari, oppure 2 sterline. E in corone? 3 euro, oppure 3 dollari, oppure 2 sterline! No corone. Non abbiamo monete da 1 euro, sul bus c’è solo una petulante turista tedesca ultrasettantenne, proviamo a convincere l’autista che 5 euro più 100 corone fa più di sei euro. È dura, ma alla fine cede.

Si parte, arriviamo al primo incrocio. Nadia fa: ‘E le macchine fotografiche?’ Porc… le macchine fotografiche! Ho lasciato la borsa delle macchine in camper! Ci fiondiamo dall’autista, pregandolo di farci scendere lì, in mezzo all’incrocio. È basito, non capisce perché due individui che gli hanno rotto tanto le scatole trattando come due marocchini sul prezzo del biglietto adesso cercano di metterlo una seconda volta nei guai con la legge facendogli fare una fermata non prevista. Però per fortuna si ferma e apre le porte. La vecchia è impietrita, chissà che cosa sta pensando degli italiani. Scendiamo. Ulteriore attimo di paranoia. Dove sono le chiavi di riserva del camper? Nello zaino c’è il marsupio, in cui c’è un borsino verde, devono essere lì… No, nel borsino blu nel cappuccio dello zaino, o forse è lo zaino che è nel marsupio delle chiavi… calma! Trovate le chiavi, faccio un volatone giù per la collina, le 16 sono ormai passate, troverò ancora qualcuno? Arrivo, l’inserviente sta andando via, gli ansimo qualcosa, mi sorride, mi dice ‘Il suo camper è lì, vada pure.’ È fatta, le macchine fotografiche vengono recuperate.

Per smaltire l’adrenalina, passeggiatona fino al centro, sul lungomare (sono 4 chilometri e mezzo). Adesso possiamo visitare la città. Iniziamo dalla nave vichinga, che è proprio sul lungomare. Linea essenziale e suggestiva. Saliamo poi alla famosa chiesa a forma di basalto, anche questa molto essenziale. Ci sono parecchie statue sul sagrato, rappresentano persone che passeggiano, oppure sono sedute sulle panchine. Percorriamo la via dello shopping, poi andiamo a vedere il municipio, guardiamo un paio di mostre di fotografie sull’Islanda, facendo ‘Visto, visto, manca!’ Non riusciamo a mangiare in un posto che ci garantisca di arrivare in tempo alla stazione della BSI, quindi ci accontentiamo di un pezzo di pizza e un’hamburger alla stazione stessa.

Sono le 20, il pullman parte puntuale. Passiamo per l’ennesima volta sulla strada di Keflavik, vediamo per l’ultima volta i campi di lava: sono sempre belli. All’aeroporto facciamo checkin e cambiamo le corone rimaste, con una mossa molto tattica, al cambiavalute nella hall degli arrivi. Qui non c’è nessuno, mentre alla banca nella hall delle partenze troveremo una coda esagerata di persone.

Facciamo la coda al controllo di sicurezza. Una signora (tedesca) poco davanti a noi viene fermata, le fanno aprire lo zaino… È pieno di sassi! Lava di tutti i colori, nera, rossa. Capiamo dai gesti che sta cercando di impietosire gli addetti, invano: viene rispedita indietro, dovrà uscire dal terminal e buttare via le pietre. Giusto! Criminali! Delinquenti! Se è vietato è vietato! C’è scritto ovunque di lasciare solo impronte e di portare via solo fotografie! Per fortuna noi abbiamo un camper per espletare tutte queste rischiose attività di export!

Abbiamo tre ore di tempo, è il momento di finire le pile del computer portatile. Ci guardiamo le foto delle vacanze che stanno finendo, e subito si forma una piccola folla alle nostre spalle (visto, visto, manca, con nostra grande soddisfazione, sono più i ‘manca’ che i ‘visto’).

6 agosto, Reykjavik – Trento (aereo + 360 km in auto)
Decolliamo puntuali alle 0:55. È buio, sembra che fuori stia piovendo. Ciao Islanda! Penso che ci rivedremo, magari d’inverno per una settimana di scialpinismo. Scalo a Düsseldorf, e alle 8:30 siamo a Monaco. Sosta al nastro dei bagagli, passano borse, borsoni, valige, biciclette, poi più nulla. E il nostro borsone? Perso! Pare sia rimasto a Düsseldorf. Beh, meglio al ritorno pieno di roba sporca che all’andata pieno di spaghetti.

Il tempo è bello, fa caldo, ritroviamo la mela sana e salva nel baule, poi qualche ora di autostrada, pranzo da Vetter, per noi un classico, pochi chilometri dopo il Brennero, e alle 16 siamo a casa. I bagagli ci verranno recapitati domenica sera.

Epilogo
E, come il prologo ha raccontato della salita verso Amburgo, l’epilogo deve necessariamente descrivere il recupero del camper, decisamente più vario.

17 agosto. Ieri ho telefonato ad Amburgo. Il camper sta arrivando, domani potrò ritirarlo a partire dalle 12. Questa settimana sono in ferie forzate, capitano al momento giusto, potrò evitare di fare una corsa come all’andata. Quindi è meglio non andare da soli. Viene anche mio papà. Abbiamo scelto la soluzione aereo + albergo ad Amburgo, più comoda e più conveniente: in due spendiamo meno di quanto ho speso da solo semplicemente per il viaggio in treno! Ovviamente con Ryanair da Bergamo. Mio papà non è proprio convinto del tutto: ‘4 euro e 99? È un aliante? La tanica di benzina la dobbiamo portare noi?’

Ovviamente fila tutto liscio: Treno da Trento a Milano, da qui c’è la comoda navetta per Orio. Pranziamo all’aeroporto, volo fino a Lübeck, altra navetta fino ad Amburgo. Abbiamo scelto un albergo molto vicino alla stazione… la zona non è proprio il massimo, girano dei tipacci e le signore per strada ti si rivolgono con estrema familiarità. In compenso l’alberghetto è pulito, standard tedesco.

Durante il viaggio metto al corrente mio papà (che, per inciso, sarebbe il proprietario del camper, anche se sarebbe meglio definirlo armatore, visto che il suo camper non lo vede praticamente mai) delle attuali condizioni del veicolo, con tutto il tatto di cui sono capace. Lui è abituato a dormire nei campeggi, sa che io non li sopporto, cerca di convincermi.

‘Mi porterai anche in qualche campeggio, vero?’

‘Andremo solo in campeggio. Sai, senza gabinetto è meglio fermarsi in campeggio.’

‘Come sarebbe a dire, senza gabinetto?’

‘No, no, il gabinetto c’è, ma non abbiamo acqua.’

‘Non abbiamo acqua?’

‘Acqua ce n’è, ma solo in bottiglia, visto che anche il serbatoio si è rotto.’

‘Anche il serbatoio? Come sarebbe a dire, anche?’

‘Anche, ma il radiatore perde solo poco poco.’

‘Il radiatore perde? Non sarebbe meglio farlo riparare subito?’

‘Anche lui?’

‘E cos’altro?’

‘I fari e la ventola, visto che per il tergicristallo abbiamo l’interruttore a mano.’

‘Ma non potevi avvisarmi subito, che restavo a casa?’

Si cena in centro ad Amburgo, buon ristorantino di pesce. Si mette a punto la strategia di rientro. Abbiamo tutto il tempo per prendercela comoda e visitare qualche pezzo di Germania. Ma prima dobbiamo tentare di sistemare il camper. Sappiamo qual è il problema, sappiamo anche come risolverlo, col tedesco me la cavo discretamente, so dov’è l’officina Volkswagen più vicina al porto.

All’indomani si visita Amburgo, c’è tutta la mattina. Dopo pranzo, un taxi ci porta al terminal container, poche formalità, alle 15:30 siamo alla Volkswagen. Spiego che ho un problema al blocchetto d’accensione. Interviene un tecnico. Mi diche che deve essere un fusibile. Sarà, a me sembravano tutti a posto. Lavora per una ventina di minuti, interviene un secondo tecnico, rispolverano un vecchio manuale dove sono riportati tutti i circuiti elettrici. Seconda diagnosi: è un problema al ruttore. Obietto che per me è un problema al blocchetto d’accensione, che si potrebbe risolvere escludendolo con un ponte. Lavorano un altro po’, litigano tra di loro. Diagnosi definitiva: è un problema al blocchetto d’accensione. Ma va? Mi dicono che non hanno il blocchetto di ricambio, chiedo se per caso non si possa risolvere con un ponte… Sì, potrebbe funzionare. Due minuti, un pezzo di filo elettrico di 10 centimetri e tutto è a posto. Vado a pagare: 65 euro! Complimenti.

Si parte dunque, è quasi tutto a posto (a parte il radiatore, il serbatoio dell’acqua ed il faro). La discesa della Germania si svolge senza problemi, il tempo è decente anche se non ottimo, i campeggi appena sufficienti.

Dal 19 al 22 agosto scendiamo fino a Giessen, poi tagliamo per Koblenz, risaliamo la valle della Mosella (dove facciamo anche un bel giro in bici), visitiamo Trier, passiamo da Saarbrücken, poi andiamo a Pirmasens. Tra Pirmasens e Landau facciamo un secondo giro in bici tra le colline calcaree. Da Karlsruhe proseguiamo fino a Ulm, quindi Kempten, il solito Fernpass e dopo, visto che il tempo è bello, facciamo il passo del Rombo per rientrare in Italia. In tutto per rientrare abbiamo fatto 1680 chilometri.

Notizie utili

Spedizione del veicolo
Grazie ai consigli di Ugo Bechini, mi sono rivolto direttamente all’agenzia Eimskip di Amburgo, che cura la spedizione di veicoli turistici. Rispetto agli imbarchi sui traghetti, la procedura è estremamente semplice: un fax con la carta di circolazione del veicolo circa un mese prima dell’imbarco e con l’indicazione della data di partenza. Pochi giorni dopo, arriva la fattura, che va pagata prima dell’imbarco: per il nostro camper si trattava di 2055 euro.

Arriva poi la documentazione, tra cui un po’ di moduli da compilare, che serviranno solo in Islanda. Un altro modulo invece va compilato ed inviato via fax in caso si abbiano bombole di gas a bordo. Ci sono forti raccomandazioni di non portare alimenti nel camper, ed il consiglio esplicito dello spedizioniere di portare anche i tre chili a persona ammessi per via aerea, allo scopo di rendere le operazioni doganali più semplici e veloci. In realtà in Islanda l’importazione si riduce ad una cosa meramente burocratica, l’ufficio della dogana è a un chilometro dal molo, nessuno controlla niente.

Anche le raccomandazioni per la spedizione sono esagerate. Al terminal di Amburgo non ci sono formalità. Un'unica cosa, che non vi dicono: bisogna fermarsi all’ingresso dello scalo container a farsi fase il visto. Io al primo tentativo sono entrato diretto e sono stato inseguito per tutto il teminal da un’auto della sicurezza, prima di essere portato al posto di controllo. Bisogna consegnare il veicolo almeno un giorno prima della partenza.

All’arrivo in Islanda si va al terminal, si consegna il foglio di imbarco. Vi consegnano un altro foglio, che va portato in dogana. Qui si paga la tassa diesel, che di pende dal peso del veicolo e dai giorni di permanenza (nel nostro caso circa 100 euro), anche con carta di credito, poi si ritorna al terminal e si ritira il camper. Fatto.

Il ritorno è ancora più semplice. Si arriva a qualsiasi ora (anche se noi abbiamo fatto l’impossibile per arrivare entro le 16, quando gli uffici sono aperti, in quanto ci sembrava impossibile che la procedura fosse così semplice) e si consegna il veicolo e il foglio doganale (ricevuto all’arrivo in Islanda) al terminal, aperto h24. Finito.

Il camper va consegnato almeno un giorno prima della partenza della nave. Se il deposito dura più di tre giorni, vi verrà fatturato un sovraprezzo. A noi è successo, per 3 giorni c’è arrivata una fattura di 35 euro. Attenzione, che in questo caso si tratta di un bonifico fuori zona euro, e quindi la commissione della banca è esagerata. Nel nostro caso ci sono stati addebitati 45 euroa forfait, ridotti a 15 solo dopo una litigata furibonda in cui ho fatto notare che la commissione era nettamente superiore all’importo, senza che nessuno ci avesse avvertito.

Annotazioni di sicurezza: il vettore non è responsabile delle cose contenute nel veicolo, quindi io ho messo tutte le cose ‘prelevabili’ nei due armadi, chiusi a chiave. Anche le biciclette sono state legate all’interno del camper, con un cavo e un lucchetto. Al ritorno mi è stato rubato il giubbotto catarifrangente dal cruscotto.

Stato delle strade islandesi
Le strade islandesi, pur se spesso sterrate, sono in condizioni eccellenti, sicure, ben segnalate. Tutti i bivi sono ricchi di informazioni, con tabelloni riassuntivi che indicano tutte le località raggiungibili, e i cartelli turistici che indicano la classificazione delle strade: tale indicazione è risultata sempre molto veritiera. Sulle statali ci sono dei tabelloni luminosi che indicano velocità, direzione del vento e temperatura in vari punti della strada che si andrà a percorrere; a volte viene indicata anche la temperatura dell’asfalto.

La classificazione islandese prevede 4 categorie di strade:

principali (asfaltate oppure sterrate)
per veicoli affidabili (pendenze moderate, nessun guado)
per veicoli a trazione integrale (sassi, pendenze notevoli, guadi)
per veicoli speciali (guadi profondi)
Noi con il camper siamo ovviamente arrivati solo alle strade per veicoli affidabili.

Le nazionali sterrate, dove il traffico è scarso, sono spesso più lisce delle asfaltate (abbiamo fatto dei lunghi tratti a 80 all’ora, la massima velocità consentita). Esistono invece dei tratti di sterrato tremendi, strade trafficate, specie in prossimità dei dossi e dei ponti, dove la carreggiata si restringe e non c’è possibilità di evitare le buche: sono comunque tratti abbastanza corti (ne abbiamo trovati qualche decina di chilometri in tutto). La strada peggiore che abbiamo trovato è quella che va da Laugarvatn a Þingvellir.

Clima islandese
Dato il tempo splendido e caldo che abbiamo trovato, non siamo in condizioni di dare nessun consiglio utile in materia! Ad ogni modo, eravamo attrezzati con ogni sorta di abbigliamento caldo e antiacqua, e abbiamo utilizzato quasi tutto almeno una volta. Nei pochi momenti di brutto tempo ci siamo fatti un’idea di come dev’essere da queste parti farsi una vacanza metereologicamente sfortunata.

Quant’è cara l’Islanda?
L’islanda non è molto cara per il camperista. Ovviamente costa molto arrivarci, le derrate alimentari costano di più che in Italia, e il differenziale più alto si ha ovviamente per la frutta e la verdura. Comunque i prezzi non sono ESAGERATAMENTE più alti (tra una volta e mezzo ed il doppio), il che permette di sopravvivere dignitosamente.

Il fatto di potersi fermare praticamente ovunque a dormire azzera le spese di campeggio, che comunque sono decisamente modeste (anche perché i campeggi di solito non offrono molto più che una doccia calda ed un bagno).

Ovviamente, se si decide di mangiare al ristorante (ammesso di riuscire a trovarlo), o si è costretti a dormire in albergo, o si partecipa a gite organizzate, o si noleggia una macchina, si incorre in spese considerevoli.

Dati essenziali

giorni in Islanda 18
di tempo decisamente bello 10
di tempo prevalentemente bello 6
di tempo prevalentemente brutto 2
chilometri totali in Islanda 3485
su asfalto circa 2200

su sterrato

circa 1000
su sterrato per veicoli affidabili circa 280
ore complessive di cammino circa 40
fotografie 600 dia + 1200 digitali
spesa complessiva circa 4500 euro (inclusi transfert da e per Amburgo, per portare e riprendere il camper)
le cose migliori la lava, le pozze di fango, la riolite, la solitudine, il muschio, gli iceberg, i pulcinella (le pulcinelle?) di mare
la cosa peggiore il piccolo furto subito durante il rientro del camper in nave. In Islanda, nulla.

Ringraziamenti
Dobbiamo ringraziare per aver contribuito all’effetuazione del viaggio:

Elena, che oltre ad averci prestato una guida e le carte, ha scatenato la competizione, avendo effettuato il viaggio in Islanda nel 2003. E, se lei sì, perché noi no?

Ugo Bechini, che, oltre all’idea, ci ha dato indicazioni dirette sulla spedizione del camper.




 


Copyright © 2001-2020 Taccuinodiviaggio.it - autorizzazione Tribunale di Roma n 206/07 - tutti i diritti riservati
Tutti gli articoli e i testi firmati presenti in questo sito sono protetti dalla legge 633/1941 sul diritto d’autore