Viaggiare - Diari di Viaggio


MAROCCO - DIARIO DI UN VIAGGIO FATTO PER CASO

15 settembre - 7 ottobre 2001

di Mauro Bertagnolli


Premessa
Fino a quest'anno non avevamo mai pensato di andare in Marocco in ferie: troppo caldo d'estate, in concorrenza con viaggi più lontani in inverno. Troppo vicino per andarci con un viaggio organizzato, troppo lontano per andarci in camper. Poi una serie di circostanze (l'idea di un collega di lavoro, lo spostamento forzato delle ferie a metà settembre) ci ha fatto considerare questa possibilità: tutto sommato la distanza per andare in Marocco era minore di quella fatta l'anno prima per andare in Norvegia, le strade erano buone, il viaggio facile. Quindi abbiamo deciso di andare in Marocco, e mai scelta è stata più opportuna! E' stata veramente una vacanza indimenticabile.

Il diario
Il prezzo che si deve pagare per raggiungere il Marocco in auto senza volersi vincolare con i traghetti da prenotare è l'attraversamento di Francia e, soprattutto, Spagna. Sono 2300 chilometri di viaggio (almeno da casa nostra) che, se all'andata sono abbastanza sopportabili, al ritorno costituiscono una dura prova.

Tralasciamo per il momento la descrizione del viaggio da Trento fino ad Algeciras e ritorno, che ha richiesto rispettivamente due giorni e mezzo e tre giorni. Il racconto quindi inizia ad Algeciras.

Giorni 1-3 - da sabato 15 a lunedì 17 settembre 2001
Trento - Brescia - Piacenza - Genova - Imperia - Ventimiglia - Aix en Provence - Montpellier - Barcellona - Valencia - Alicante - Malaga - Algesiras.

Giorno 4 - martedì 18 settembre 2001
Partiamo presto dal posteggio della spiaggia del Riconcillo (bar los Polpos): qui in questa stagione, per via del fuso orario, alle 8 è ancora buio. Acquisto il biglietto di andata e ritorno Euroferries per Ceuta e ci imbarchiamo sul catamarano in partenza alle 9:15.

L'imbarco ad Algeciras è molto più tranquillo di quanto il caotico avvicinamento al porto possa far pensare. Si può andare direttamente al terminal, oppure si può acquistare il biglietto in una delle decine di biglietterie sparse lungo la strada. Al terminal si può arrivare sia per la strada diretta, sia passando per il centro ed andando poi verso il porto. Il biglietto, acquistato nelle agenzie lungo la strada, a quelle al terminal o nelle biglietterie ufficiali, costa sempre uguale. All'arrivo al terminal si viene assaliti da un gruppo di procacciatori delle agenzie, anche quando si è ormai di fronte all'impiegato di uno degli sportelli. Il costo dei biglietti viene ridotto del 10% per la tratta di ritorno se si acquista andata e ritorno. Tutti i biglietti sono open, cioè in pratica non esiste prenotazione.

La giornata inizia all'insegna della foschia, che quasi ci impedisce di vedere la rocca di Gibilterra. Dopo uno slalom tra le navi alla fonda, il traghetto prende velocità e in 35 minuti arriviamo in vista del porto di Ceuta. Qui facciamo gasolio, perché Ceuta è zona franca ed il carburante costa pochissimo, e poi ci avviamo verso la temutissima frontiera marocchina.

Alla dogana spagnola è tutto 'normale', ma subito dopo l'impatto è quasi drammatico: ci sono code di marocchini in attesa di uscire, una ressa di persone che aspetta di entrare carica di merce, una confusione totale. Si fa fatica a passare con il camper: meno male che è mattina presto (sono le 8, ora marocchina). Una colonna ininterrotta di persone cammina sulla cresta della collina sulla nostra destra, folle di mendicanti (o almeno persone che ci sembrano tali) si accalcano sulla nostra sinistra, la polvere è ovunque, si fa fatica a distinguere chi ha un incarico ufficiale da chi non ce l'ha. Sappiamo che ci sono da disbrigare parecchie formalità, e sappiamo che qualcuno si offrirà di aiutarci. Infatti, immediatamente una guida turistica ufficiale, di nome Mustafà, si offre di aiutarci: accettiamo, un po' frastornati dalla situazione per noi assolutamente nuova. L'offerta di aiuto si trasforma ben presto in una di accompagnamento, gratuito e disinteressato, alla visita di Tetouan, a pochi chilometri dal confine. Lo accettiamo, anche per liberarci quanto prima dalla sindrome da 'bidone' in agguato che penso colpisca chiunque si rechi in Marocco dopo aver letto tutte le guide possibili immaginabili.

Ecco cosa ti succede una volta che, alla frontiera Spagna-Marocco, hai superato i poliziotti spagnoli, che peraltro praticamente non ti degnano di uno sguardo.

1. Un poliziotto marocchino ti dice a quale sportello ti devi rivolgere (è probabilmente il numero 4, riservato agli stranieri): l'informazione è comunque di scarsa utilità, tanto gli sportelli non sono numerati.
2. Posteggi in una specie di slargo tra due file di uffici/baracche, e chiudi il veicolo.
3. Vai allo sportello suddetto, che riconosci perchè ci sono degli stranieri in coda, e, se non lo hai già avuto per vie traverse, ti fai dare un biglietto giallo a persona. Lo compili e lo passi all'impiegato assieme ai passaporti. Dopo un po', i passaporti ti vengono restituiti, timbrati e con un numero sopra. Il numero impresso sul passaporto del proprietario del veicolo ti serve più avanti.
4. Torni indietro di qualche metro, sotto la tettoia c'è un container che funge da ufficio per gli autoveicoli. Lì devi solo chiedere che ti diano il modulo verde.
5. Compili il modulo, sul quale va riportato anche il numero stampigliato prima sul passaporto del conducente e, se hai la carta verde valida per il Marocco (probabilmente no), puoi tornare allo stesso container.
6. Se devi fare un'assicurazione provvisoria, ti servono i soldi. L'ufficio cambio è poco oltre lo sportello per gli stranieri.
7. La porta accanto all'ufficio cambio c'è l'ufficio delle assicurazioni. L'impiegato ti chiede di dichiarare il numero di giorni che ti fermerai in Marocco, perchè l'assicurazione costa un tanto al giorno (circa 5 €). Non è chiaro cosa succeda se rimani scoperto di questa estensione e fai un incidente, ma non è molto chiaro cosa succede anche se questa estensione ce l'hai.
8. Torni al container veicoli con passaporto, carta di circolazione, assicurazione a posto, eventuale foglio di autorizzazione a circolare se il veicolo non è intestato a te e il foglio verde compilato prima.
9. Torni al veicolo, mostri il foglio verde ed il tuo passaporto ad un doganiere che ispeziona il tutto.
10. Riparti, e alla sbarra devi mostrare i passaporti di tutti gli occupanti al poliziotto. Sei in Marocco.

Il foglio verde va conservato con cura: servirà in uscita per dimostrare che non si è venduta la macchina in Marocco.

A Tetouan posteggiamo in un parcheggio ufficiale vicino alla medina, che ci rilascia un regolare biglietto ('Con questo tu è seguro', sentenzia Mustafà, nel caratteristico miscuglio franco-ispano-italiano).Visitiamo la caratteristica medina, per noi la prima di una lunga serie, con i suoi vicoli che si vanno progressivamente animando. Mustafà è molto premuroso, continua a sincerarsi che la visita sia di nostro gradimento. Vediamo il piccolo quartiere dei conciatori di pelli, con le vasche della calce e quelle dei colori, la zona dei falegnami, la zona dei sarti, la moschea (solo dall'esterno), la kasbah, cioè la zona residenziale all'interno della medina. Iniziamo a familiarizzare con questi nuovi termini, tra cui ne spicca uno: kilim. Onnipresente, il tappeto berbero ci verrà presentato decine e decine di volte con la stessa procedura e con le stesse frasi ('No esiste due uguale', 'E' la storia di donna berbera'). La prima volta è qui, in un ensamble artisanal, dove ci viene anche offerto il primo tè alla menta: solo offerto, perché quando capiscono che non compreremo né vasi né tappeti, ci congedano, senza tè! Una seconda lezione ci viene offerta in una antica farmacia, con erbe, spezie e altre sostanze naturali. Qui soccombiamo alla nostra cultura, e ci sentiamo obbligati a comprare qualcosa, senza però rinunciare ad una debole (lo scopriremo in seguito) trattativa.


Tetouan, le concerie

Ritornati al parcheggio, discutiamo un bel po' sull'ammontare della mancia, prima che Mustafà ci congedi. Siamo per la prima volta da soli in Africa! Abbiamo già imparato che la prima cosa da fare è pattuire la cifra del compenso (in seguito poi però infrangeremo altre volte questa regola senza avere nessun problema).

Questa è la prima strana storia che ci è successa in Marocco.

Abbiamo preso una guida. O, meglio, lui si è preso noi. Al confine. Ci ha aiutato con le pratiche. Poi è scattato il trappolone. Visita di Tetouan, gratuita, solo una mancia decisa da me se la visita mi soddisfa, tanto lui è una guida ufficiale, lavora per il turismo. Insisto, quanto vuoi, non vuole niente.

A metà visita della medina di Tetouan, dopo 50 coincidenze ("di dove siete di Italia?", "Nord, Trento", "Ah nord, io ha amici in Venezia, Novara..."), 100 elogi ("Tu ha faccia marocchina!", "Nadia? Ma es nome arabo! Mia tersa filia se chiama Nadia!") e 1000 verfiche che tutto stia andando per il meglio, qualcosa inizia ad incrinarsi. Il venditore di tappeti dal quale ci ha portato la guida capisce che di tappeti non ne vogliamo, e ci congeda senza il tè che ci aveva promesso come segno della leggendaria ospitalità berbera. Alla farmacia tradizionale le cose non vanno meglio, ci spillano solo 50 dirham dopo che ce ne avevano chiesti 130 per un po' di zafferano e un po' di tè.

La nostra guida inizia a denunciare qualche tic nervoso, sembra parlare da solo, gesticola nel vuoto. Il passo, teatrale nelle sue 'babouches' all'inizio della visita, si fa sempre più lesto. Adesso quasi corre, arrivando al parcheggio ci fa notare con orgoglio che si è tolto il distintivo, il suo lavoro è finito.

"Quanto vuoi?"

"300 dirham."

"Cosa? Come mancia direi che te ne bastano 50."

Succede il finimondo: dice che 300 dirham (anzi, 20 marchi) li chiede di solito solo per il disbrigo delle pratiche, io gli replico che 50 dirham di MANCIA sono fin troppi, lui mi dice che non ci siamo capiti, comincia ad alzare la voce, ci minaccia di chiamare la polizia, dice che ci porta all'ufficio del turismo dove ci mostreranno le tariffe. Visto che non ottiene grandi risultati, cambia strategia: dice che gli ho fatto venire addirittura il mal di testa, dice che mai un italiano si è comportato così in passato. Alla fine, per farla finita, gli faccio vedere una banconota da 100 dirham. La prende, si volta, e se ne va. Neanche un saluto... mah!

Prendiamo la strada per Chefchaouen. Ci sono estese coltivazioni di ulivi, ed ogni casa ha una macina all'esterno. Verso l'una e mezza (per il nostro orologio biologico sono già le tre e mezza) ci fermiamo lungo la strada per il pranzo, all'ombra di un alberello. Appena fermi vediamo una macchina che passa, rallenta, si ferma, fa manovra, torna indietro: è un Audi targata Italia, ne scendono due tipi forzuti. 'Ecco fatto!', pensiamo, 'brutta storia'. Falso! Sono due marocchini di un paesino del Rif che lavorano a Milano, che si sono fermati per darci il benvenuto e scambiare quattro chiacchiere. Presentazioni, sorrisi, strette di mano, la frase che poi impareremo essere il vero tormentone del Marocco: 'Prima volta in Marocco? Benvenuto in Marocco!'. Ripartono strombazzando. Beh, la vacanza sembra cominciare proprio bene.

Nel pomeriggio proseguiamo verso Ouezzane attraversando una zona di coltivazioni di tabacco e sughereti. A Ouezzane prendiamo per Meknes - Fes. Il paesaggio cambia e si fà più ondulato, tra coltivazioni di grano e ulivi. Ci sono una marea di asini e muli in giro, di tutte le dimensioni, e con ogni tipo di carico; soprattutto nel pomeriggio tutti convergono verso le fontane che ci sono lungo la strada, carichi di ogni tipo di recipiente, per fare rifornimento di acqua. E' un peccato non poterli fotografare! Lungo la strada si susseguono casette di fango, con covoni di paglia, anch'essi ricoperti di fango, probabilmente per proteggerli dagli animali.

Al Col du Zeggate giriamo a destra e facciamo conoscenza con la prima pattuglia di Polizia, molto gentile, che ci indica la strada per il campeggio. Giriamo a sinistra in direzione di Moulay-Idriss. Nove chilometri dopo il bivio per Volubilis in direzione di Meknes ci fermiamo per la notte al Camping Zerhoun. Sono le 6 e ci sono 20°, inizia a spirare una leggera brezza che scopriremo essere una costante delle prime ore dopo il tramonto.

Giorno 5 - mercoledì 19 settembre 2001
Partiamo alle 7:40, sotto un cielo grigio di nubi, tornando brevemente sui nostri passi alla volta di Volubilis, antica città romana. Con nostra sorpresa, ci si arriva dall'alto (chissà perché poi ce l'eravamo immaginata in alto su una collina). Siamo i primi visitatori, ma purtroppo non riusciamo a sfruttare l'ora per fare delle belle foto, date le nubi basse che arrivano fin quasi a coprire il vicino paese di Moulay-Idriss. Le rovine sono suggestive, soprattutto i mosaici sono quasi intatti e molto particolari. Non si riesce a far a meno di pensare a che tipo di vita e che tipo di viaggi intraprendevano i nostri antenati per arrivare fino a qui.

Terminata la visita, proprio mentre arrivano i primi pullman con le visite organizzate, partiamo per Meknes. Lungo la strada, poco prima della cinta di mura esterne della città, vediamo una decina di cicogne. Andiamo direttamente al campeggio vicino al Dar el Maa prenotiamo subito una guida turistica ufficiale, perché ci sentiamo ancora inesperti ed insicuri. Questa volta il prezzo ci viene comunicato immediatamente da Mohammed (150 Dh), e cerchiamo anche di mettere in chiaro tutte le cose che vorremmo vedere: scopriremo comunque che non è facile capire se tutte le cose che uno vuol vedere gli vengono effettivamente mostrate. Prendiamo un petit taxi che ci porta verso il centro: costano pochissimo e conviene servirsene.


Meknes, particolare degli stucchi nella Medersa

Visitiamo il mausoleo di Moulai Ismail, con begli stucchi e bei soffitti intarsiati in legno di cedro, poi andiamo velocemente verso la medina, incontrando lungo la strada dei venditori d'acqua (prettamente turistici) e passando per il quartiere dei cardatori e filatori della lana (questi invece originali). Alla medina visitiamo subito la medersa Bou Inania, che dopo chiude. Le mederse sono le scuole coraniche e quelle antiche hanno tutte la stessa struttura, con un cortile centrale contornato dalle celle degli studenti, il tutto stuccato ed intarsiato nel legno di cedro. La medersa di Meknes è decisamente la meglio conservata che abbiamo visto. Dalla terrazza si ha una bella vista sulla grande moschea e sui tetti della medina, con le loro mille antenne e le loro mille parabole. Facciamo un giro nei souk e poi veniamo portati in una cooperativa di berberi dove si vendono tappeti. Qui riusciamo finalmente a bere il nostro primo tè alla menta ma purtroppo anche a comprare il nostro primo (e fortunatamente ultimo!) kilim. Alle 13 e 30 la guida dichiara che abbiamo visto tutto quello che volevamo vedere e ci congeda. Affamati, andiamo alla ricerca del ristorante Riad, che Mohammed ci ha consigliato. Ci accompagna nell'ultimo tratto un ragazzino che ci aveva sentiti parlare del ristorante con la guida. Il ristorante è carino, con un bel giardino, pulito, un po' caro per gli standard marocchini. Mangiamo la nostra prima tajine e gli unici dolcetti del viaggio.

Finita la visita alla medina di Meknes, mostro la pianta della città alla guida per chiedere ulteriori informazioni. Quando gli faccio vedere il quartiere di Riad, mi dice: "Ah, il ristorante Riad! Buono, non turistico", e mi indica la strada per raggiungerlo. Va detto che il ristorante, oltre a non essere per niente nel quartiere Riad, è indicato da una marea di cartelli e di scritte sui muri. Congediamo la guida, facciamo tre metri, ed un ragazzo seduto sul gradino di una bottega, ci dice: "Buono il Riad, no turistiquo". Non gli diamo peso, andiamo verso il campeggio, ma dopo qualche metro decidiamo di andare a 'sto Riad a vedere com'è, e svoltiamo seguendo la freccia.

Dieci minuti dopo, ad un'ennesima svolta, ci ritroviamo davanti il ragazzo di prima. Questo, senza che glie lo chiediamo e senza volere alcuna mancia, ci porta al Riad, seguendo peraltro le frecce sui muri. Appena rrivati, sparisce nel nulla. Sentiamo di nuovo parlare di lui dal cameriere un'ora dopo, quando viene a sincerarsi che sia stato proprio il ragazzo a consigliarci il ristorante. E' più o meno vero, e con la nostra dichiarazione autorizziamo la concessione di una sicura mancia.

Nel pomeriggio, dopo essere rientrati a piedi al campeggio lungo l'interminabile (saranno tre chilometri) muro del palazzo Reale, visitiamo il palazzo dell'acqua con i suoi enormi granai, la cui temperatura è mantenuta fresca da un sistema di canalizzazioni d'acqua. Alla fine non resistiamo alla tentazione di fare il nostro primo giro da soli e ci facciamo portare da un petit taxi in place Ladim; giriamo per il souk delle spezie e per il mercato delle pulci, per il souk degli strumenti musicali e dei falegnami.

La serata è gradevole, c'è la solita brezza e la temperatura alle 10 di sera è di 21°.

Giorno 6 - giovedì 20 settembre 2001
Partiamo al solito verso le 8 alla volta di Fes; lungo la strada c'è un gran traffico di asini che vanno verso il mercato carichi di frutta e verdura. A Fes cerchiamo subito il campeggio Diamant Vert, che individuiamo quasi subito con un colpo clamoroso di fortuna, dopo aver attraversato alcuni sobborghi della città. Il campeggio dista circa 12 km dal centro, ed è fuori della portata dei petit taxis, che non possono spingersi oltre il confine della municipalità. Cerchiamo di farci procurare una guida ma ci dicono che sono tutte occupate fino alle 2 del pomeriggio. Aspettiamo un po' e poi andiamo a vedere alla reception. Sorpresa! Casualmente c'è una guida non ufficiale che parla italiano (Mohammed, di cognome Benito); ci accordiamo per 100Dh, per l'intera giornata.


Fes, veduta della medina

Per andare in centro prendiamo un autobus che ci porta fino all'inizio della città nuova; di qui proseguiamo con un petit-taxi che ci porta alla moschea all'aperto nei pressi del Borj sud, una delle due torri di avvistamento fatte costruire per controllare la medina. La moschea, vicino ad un enorme cimitero, viene utilizzata solo due volte l'anno, poco prima del Ramadan e alla festa del Montone. Da qui si goda una bella vista della medina. Fa abbastanza caldo, e la parte pesante deve ancora venire. Mohammed ci porta verso delle colonne di fumo nero alla periferia della medina: è la zona dei ceramisti, dove in una fabbrica ci vengono mostrati i vari procedimenti di produzione, e ci vengono naturalmente vendute delle tipiche ceramiche blu di Fes; riusciamo a ridurre i danni comprando solo cose molto piccole, visto che tra l'altro dovremo portarcele tutte in giro per la città.

Dopo aver pagato questa specie di 'tassa' rituale alla guida, entriamo finalmente nella medina, visitando subito la medersa Es Sahrij e la vicina moschea nel quartiere andaluso; scendiamo poi verso il fiume e vediamo il souk El Ghezel (mercato della lana filata) con le sue matasse multicolori. A questo punto Mohammed ci molla ad un suo amico, che non parla una parola di italiano, cammina come un missile e ci porta, ormai sudati fradici, al famoso souk dei tintori, non senza averci prima dotati di un rametto di menta per resistere al terribile olezzo. La zona delle vasche multicolori la vediamo dalla terrazza di un negozio di pellami. Qui siamo bravi, e riusciamo ad uscire senza aver comprato niente. Ma la vista dall'alto del souk (tra l'altro semi vuoto, vista l'ora pomeridiana ed il fatto che è giovedì) è un po' troppo artificiale, così ci facciamo accompagnare giù, tra le vasche. Qui è tutta un'altra cosa, veramente spettacolare: data l'ora tarda, non c'è nemmeno un gran odore. Poi l'idea di essere a nostra volta fotografati da orde di turisti dei viaggi organizzati che si sporgono dalle terrazze in alto senza poterci imitare è divertente. Sempre seguendo l'amico di Mohammed, che si chiama Mohammed, vediamo la Medersa El Attarin (del tutto simile a quella di Meknes ma peggio conservata), l'attigua mosche El Qaraouiyyn, nella quale si può sbirciare dall'esterno, una farmacia tradizionale, una cooperativa di tappeti, in un bellissimo palazzo nobiliare, gestita da un signore molto gentile che ci offre il tè anche se capisce subito che non compreremo niente.


Fes, particolare delle concerie

Mohammed ci restituisce a Mohammed, che ci fa poi visitare la cooperativa berbera della sua famiglia (citata nelle guide Lonely Planet inglese e francese), dove gli uomini filano la lana per le coperte, mentre le donne, al solito, fanno i tappeti ('no esiste due uguale'). Usciti dalla medina vediamo una folla di persone che si vanno radunando: è un Moussem, festa religiosa tra le più importanti della città. Mohammed ci sconsiglia di avvicinarci, dicendoci che è pericoloso perché ci gira brutta gente, ma è chiaro che considera esaurito il suo lavoro ed ha fretta di riportarci al campeggio. La visita, grazie a Mohammed, è stata veramente piacevole, e gli regaliamo una maglietta. Solita seratina con l'arietta dopo il tramonto.

Arriviamo a Fes, ore nove e mezza del mattino, campeggio Diamant Vert, fuori città. Alla reception ci dicono: prima delle due, impossibile avere una guida, sono tutte impegnate. Provo ad insistere, mi dice: "Se ne trovo una, vengo a chiamarti." Alle 11 decidiamo che non possiamo passare un giorno al campeggio, andremo da soli. Alla reception l'impiegato ci dice che guide ufficiali non ce ne saranno per tutto il giorno, ma che casualmente c'è lì Mohammed, che casualmente parla l'italiano e che ci può fare da guida per 150 dirham. Trattiamo fino a 100 dirham. Ok, si va.

Un pezzo a piedi, poi autobus, petit taxi, visita alla fabbrica di ceramiche, un altro pezzo a piedi, ingresso nella medina. Ad un incrocio, Mohammed ci presenta Mohammed, che sembra essere lì per caso. "Io devo andare alla moschea", ci dice Mohammed, "nel frattempo Mohammed vi porterà qui, lì, là, dove ci rincontreremo". Mohammed due non parla l'italiano, e va come un missile impazzito. Ma ben presto impariamo che se ci fermiamo a fare qualche foto lui apparentemente si perde tra i vicoli, ma lo ritroveremo alla prima svolta importante. Durante il percorso, piuttosto lungo, Mohammed due saluta 300 persone, dà dei soldi a 50, ne riceve da altre 50, sempre senza fermarsi, come se sapesse esattamente chi troverà tra qualche metroe quanti soldi devono essere scambiati. In una città da due milioni di abitanti, sembra che tutti conoscano tutti.

Saranno appuntamenti cronometrici o casualità? In ogni caso, una cosa è certa, tutti qui sanno perfettamente cosa faremo noi turisti!

Giorno 7 - venerdì 21 settembre 2001
Questo è il giorno il cui inizia la nostra vera visita del Marocco: ci si allontana dalle grandi città, si va verso gli spazi che finora abbiamo solo immaginato. Partiamo alle 8 dal campeggio e ci dirigiamo verso Ifrane; attraversiamo dapprima una zona collinare, poi iniziamo a salire tra foreste di pini marittimi e coltivazioni di meli. Il paesaggio ad un certo punto diventa roccioso, e lungo la strada ci sono tantissime bancarelle che vendono fossili e minerali. Ci fermiamo ad acquistare della vanadinite, dell'azzurrite e un geode di galena (probabilmente finto, ma carino). Attraversiamo Ifrane e arriviamo fino ad Azrou, dove facciamo un giretto per il piccolo souk.

Da Azrou prendiamo la stradina che porta fino al cedro Gouraoud, gigantesco ma ormai mezzo morto. Qui ci sono parecchie scimmie di barberia, che girano tra i turisti e le bancarelle di fossili. Ovviamente dobbiamo acquistare qualcosa, e la scelta cade su una scatolina di finto alabastro, barattata con una maglietta. Proseguiamo più oltre sulla strada che diventa sterrata ed abbastanza impegnativa per il camper a causa di alcuni brevi tratti in forte pendenza, e si inoltra in una stupenda foresta di cedri. Ci fermiamo a pranzo sotto un enorme cedro nei pressi di una radura, e dopo alcune decine di minuti veniamo raggiunti da due ragazzi in motorino che cercano di venderci dei fossili; poi ne arriva un altro a piedi, cercando di venderci un coltello: è ora di andare!


Verso il souk nei pressi di Nzala

Seguiamo il cartello del Tour de la Foret des cedres per la strada 3398. Dalla foresta di cedri si passa ad un paesaggio sassoso e vulcanico, disseminato di tende berbere. Dopo una ventina di chilometri, non avendo trovato una deviazione che era segnata sulla carta e che ci avrebbe fatto rientrare ad Azrou, ripercorriamo a ritroso la stessa strada fino alla statale P21. Prendiamo per Midelt, attraversando una zona pianeggiante circondata da monti brulli. Raggiungiamo il col du Zaz, dal quale scendiamo in una valle circondata da montagne rosse punteggiate di cedri. Le colate di fango e sassi ai bordi della strada ci fanno capire che qui deve essere piovuto da non molto. La valle si apre a Zeida, dove sorge un'importante zona mineraria. Il paesaggio cambia di nuovo, questa volta vediamo soprattutto sabbia e cespugli spinosi: ci stiamo avvicinando al deserto. Raggiungiamo Midelt dove ci fermiamo al camping Municipal. Poco prima dell'ingresso veniamo avvicinati da Aziz, un cercatore di minerali, che ci invita a vedere i suoi minerali a casa sua. Lo seguiamo nella sua piccolissima casa, con cataste di letti (usati solo come contenitori di minerali) nel minuscolo soggiorno. La vanadinite di Aziz è veramente bella, ma lui è interessato ad una vendita in blocco di un intero plateau di minerali, ed è davvero troppo caro (1800 Dh), quindi rinunciamo e torniamo al campeggio. Il camping è un parcheggio, con servizi molto spartani, ma puliti. Siamo quasi a 1500 metri di quota e fa freschino: alle 10 di sera ci sono 16°.

Giorno 8 - sabato 22 settembre 2001
Partiamo da Midelt alle 7:40, in una bella giornata di sole un po' fresca (14°) in direzione di Erfoud. La strada sale fino al Col du Salgnant: ci sono piccoli villaggi e ksar (villaggi fortificati) in rovina. Incontriamo tantissima gente con asini e biciclette che vanno verso un vicino souk settimanale, pastori berberi con greggi di capre. Attraversiamo le prime oasi, iniziamo a vedere i caratteristici cimiteri musulmani in cui è una semplice pietra a segnare il luogo di sepoltura. Attraversiamo lo ouad Ziz e il tunnel du Legionaire: la strada si fa sempre più spettacolare, le rocce stratificate hanno bellissimi colori e le gole sono molto suggestive. Dopo una zona deserta arriviamo ad Errachidia, dove non ci fermiamo.

Proseguiamo invece poco oltre fino alla Source bleue de Meski, immersa in un'oasi (a proposito, stiamo imparando che qui le oasi sono quasi sempre ben nascoste in qualche canyon, niente a che fare con la palma che spunta dalla sabbia). La sorgente non è gran che, praticamente una piscina in cemento a ridosso di una parete rocciosa dalla quale sgorga l'acqua, ma in compenso il luogo è pieno di negozietti di souvenir! Veniamo immediatamente avvicinati dai commercianti e da Mohammed, che si offre di farci da guida per Merzouga, mostrandoci tutte le sue credenziali, una serie di biglietti da visita con raccomandazioni scritte in italiano. Gli dico che ne riparliamo con calma, anche perché fa parecchio caldo e non abbiamo nessuna fretta di proseguire: infatti ci aspetta l'hammada, il deserto di pietre. Dopo pranzo, facciamo un giro nei negozi (uno di questi ha in bella mostra un paio di sci), beviamo alcuni tè, suoniamo il tamburo, Nadia tenta, fortunatamente senza successo, un baratto di magliette, scarpe da ginnastica e pasta Barilla con alcuni oggetti di artigianato.

Ci accordiamo in modo molto preciso con Mohammed: accompagnamento a Merzouga, pernottamento vicino alla gran Duna, tramonto sulle dune, al mattino partenza alle 4 a dorso di cammello e gita di 4 ore fino alla gran Duna, rientro ad Erfoud passando, se le condizioni lo permettono, da una pista secondaria. L'accompagnamento ci costerà 80 Dh, che diventeranno 100 se saremo soddisfatti. Questa volta abbiamo fatto tutto secondo le regole (ma scopriremo ben presto che il bidone è sempre in agguato).


Indicazioni nel deserto

Partiamo alla volta di Merzouga. Mohammed ci dice che abbiamo fatto bene a non comprare niente a Meski perché lì vendono solo cose per tedeschi, e che ci pensa lui a portarci nei posti giusti: infatti poco dopo ci fermiamo sul crinale dei fossili tra Erfoud e Merzouga, appunto in un negozietto di fossili, piuttosto brutti. Proseguiamo, finalmente sulla pista, verso le dune che si cominciano ad intravedere in lontananza. In effetti sono a più di 30 chilometri, ma qui la visibilità è spettacolare, e poi c'è anche l'effetto della fata morgana. La pista è buona, facile. Spesso Mohammed ci fa stare all'esterno perché il fondo di sassi dell'hammada è meno sconnesso della pista stessa. Ci sono solo due punti un cui bisogna attraversare strisce di sabbia molto soffice, di circa 30-40 metri. In altri punti bisogna scegliere tra più piste, ma l'impressione è che vadano poi tutte nello stesso posto (al limite una pista è più sconnessa dell'altra, ma non sapremo mai se la nostra guida ci ha fatto andare sulla più comoda o sulla più spettacolare). Arriviamo a Merzouga dove, nonostante si stia avvicinando il tramonto, dobbiamo passare sotto le forche caudine di un negozio di tappeti berberi ('no esiste due uguale'). Fortunatamente siamo abbastanza veloci da arrivare al campeggio (annesso ad una specie di albergo) per tempo; peccato che il posto sia sì all'inizio del deserto di sabbia, ma il più lontano in assoluto dalle dune più grandi.

Cerchiamo di prendere accordi per la cammellata dell'indomani: ovviamente ci dicono che non ci sono cammelli, sono tutti prenotati, ma forse per 300 Dh a testa... Alla fine concordiamo per 300 Dh (la metà anticipata) e una maglietta in tutto, mentre Mohammed ci prende in giro perché vogliamo andare sulla gran Duna senza essere stati prima su quelle piccole: ovviamente è scocciato dal fatto che non abbiamo comprato niente nè al negozio dei fossili, nè in quello di tappeti. D'altra parte noi abbiamo capito di aver fatto un errore a ingaggiarlo.


Le dune di Merzouga si innalzano dall'hammada

Comunque, dobbiamo darci da fare perché il sole tramonterà tra un'ora, e quindi ci incamminiamo da soli verso le dune più interne. In particolare, abbiamo visto due persone su una duna abbastanza lontana, e siamo quasi certi che siano stati portati lì con i cammelli. Ma, un momento: il cammelliere berbero va in cammello o ci cammina davanti? Ci cammina davanti! Quindi, se lui porta un cammello fino a lì, ci possiamo arrivare anche noi, a piedi. Detto, fatto. In 40 minuti siamo ai piedi della duna; i due cammelli sono accucciati poco lontano, in un avvallamento. Mentre saliamo, giusto in tempo per il tramonto, sentiamo i due turisti parlare: sono italiani, i primi due italiani che incontriamo dall'inizio del viaggio. Quasi non credono che siamo potuti arrivare fin lì a piedi.

Il tramonto è spettacolare, i colori sono sfumati, il rosso predomina, faccio un sacco di foto, poi ci incamminiamo per rientrare prima del buio. Ceniamo all'albergo insieme ai due ragazzi italiani, viene organizzato uno spettacolino coi tamburi, insomma passiamo una serata piacevole. Tra le altre cose, andiamo a dormire tardissimo per gli standard del viaggio: sono le 11 e mezzo, e noi domani dobbiamo alzarci alle 3 e mezzo! Fa decisamente caldo: ci sono 29°.

Giorno 9 - domenica 23 settembre 2001
Ore 3:45, buio pesto, tutto tace, i cammelli dormono, i cammellieri dormono più dei cammelli, tutti dormono tranne noi, in piedi con gli occhi gonfi di sonno: ci hanno tirato buca! Ma, consideriamo la cosa dal lato positivo: adesso che tutti i generatori della zona sono spenti, c'è la più incredibile stellata che abbiamo mai visto, si vede chiaramente che la Via lattea è composta di due rami (da noi ormai la Via Lattea non si vede praticamente più), si distingue chiaramente la nebulosa di Orione ad occhio nudo, si vedono costellazioni da noi invisibili, una tra tutte la Croce del Sud. Restiamo una buona ora ad ammirare lo spettacolo (e ogni tanto diamo una sbirciatina ai cammelli che dormono), poi decidiamo che comunque vada, coi cammelli non ci porterebbero più lontani di dove erano arrivati i nostri amici la sera prima, e quindi ci incamminiamo a piedi verso est, nella sabbia.

Sulla solita duna, che ormai conosciamo bene, veniamo raggiunti da due berberi, che ovviamente si offrono di farci da guide. Rifiutiamo ed aspettiamo l'alba. Uno spettacolo fantastico: il colore cambia ad ogni istante, i contorni delle zone d'ombra sono così netti che fanno male agli occhi, il contrasto tra l'oro della sabbia ed il blu del cielo è incredibile. Decidiamo di spingerci qualche duna più in là, mentre i due berberi vanno verso un'altra duna dove si sono fermate delle altre persone. Vediamo in lontananza le persone scendere dalla gran Duna e tornare sui loro cammelli, ma non ci dispiace più di tanto, perché loro adesso sono legati ad un programma, noi invece siamo liberi di fare quello che vogliamo. Giriamo ancora un po' tra le dune, troviamo una zona piena di tubetti di sabbia, probabilmente impastati da qualche tipo di insetto. Troviamo poi delle piastrine sottilissime di sabbia, probabilmente formate dal vento, troviamo delle piantine che stanno in piedi sulle loro radici anche se il vento ha portato via la sabbia sotto di loro, troviamo orme di insetti. Saliamo e scendiamo dalle dune, quasi increduli del fatto che la sabbia abbia quasi lo stesso comportamento della neve che ben conosciamo: ci sono delle zone compatte di accumulo, delle zone soffici sottovento alle creste, si staccano perfino delle piccole valanghe che assomigliano in tutto e per tutto alle nostre vecchie care valanghe di fondo di neve soffice... E' bellissimo, questa alba vale sicuramente tutto il viaggio fatto per arrivare qui.


Effetti di luce sulle dune

Sono quasi le 7, comincia a fare abbastanza caldo, e quindi rientriamo al campeggio. Dopo che il cammelliere si è scusato per il disguido e ci ha restituito i soldi dell'acconto dei cammelli, facciamo colazione e ci accingiamo a partire. Mohammed ci scarica ad un suo amico per il ritorno, perché ha trovato degli altri polli da accompagnare in giro.

La nostra destinazione per la sera è Tinerhir. Percorriamo i 40 km di pista che ci separano da Erfoud seguendo la macchina dell'amico di Mohammed, dopodiché prendiamo per Torf. attraversiamo un enorme palmeto con moltissimi ksar in rovina, e dobbiamo effettuare due guadi: pare che sulle montagne sia piovuto il giorno prima, e se ne vedono le conseguenze. I guadi non sono difficili, saranno profondi una quindicina di centimetri e lunghi 50 metri, il fondo è asfaltato e non c'è corrente. Comunque, aspettiamo che prima di noi passi un'altra macchina, non si sa mai...

Dopo il palmeto, il paesaggio cambia radicalmente e ci troviamo ad attraversare un altipiano desertico con delle formazioni rocciose stranissime: sembrano tanti vulcanelli giallognoli, alti 4-5 metri e quasi equidistanti uno dall'altro. Fa molto caldo, non c'è apparentemente nessuno, ma basta fermarsi a fare una foto che salta fuori qualcuno ad offrirti fossili o semplicemente a chiederti qualche Dirham. Nuovo cambio di paesaggio, sassi misti a sabbia, poi creste rocciose che spuntano dall'hammada, poi di nuovo qualche albero. Attraversiamo Tinejad-Ait Aissa, alla disperata ricerca di un albero dove fermarci per il pranzo. Finalmente lo troviamo, ci fermiamo e... tempo quattro minuti arriva un bambino; poco dopo ne arrivano altri, e la situazione si fa insostenibile: siamo praticamente assediati, i bambini ci assillano con le loro richieste (bonbon, stilo, dirham) dobbiamo per forza ripartire senza pranzo.

Proseguiamo fino a Tinerhir e prendiamo la strada per le gole di Todra. Il paesaggio è fantastico, un enorme palmeto segue la valle fin dalla sua origine tra le montagne, costellato di villaggi e di antichi ksar in rovina abbarbicati sui monti. Il contrasto tra il blu del cielo, il rosso delle rocce e il verde delle oasi è impressionante. Ci fermiamo al camping Atlas di Tizgui, in un piccolo palmeto lungo il torrente, tranquillo e pulito, e finalmente possiamo pranzare. Sono le tre, siamo in piedi da quasi dodici ore!


Trasporti pubblici nelle gole di Todra

Dopo mangiato, decidiamo di tentare un'esplorazione solitaria del palmeto. Illusi! Poco dopo esserci incamminati lungo il greto del torrente veniamo agganciati da un ragazzino che diventa per forza la nostra guida, iniziando a zigzagare tra canali di irrigazione, orti, palme, muretti, portandoci infine ad un vecchio khsour in rovina, veramente suggestivo. Durante tutto il tragitto un ragazzo più grande, che ci segue, continua a proporsi come valida alternativa al piccolo, propagandando i suoi luoghi e dicendo che nessuno mai va a vedere le cose che ci sta mostrando il piccolo. Contemporaneamente ha luogo una conversazione in arabo, abbastanza violenta, tra il piccolo e il grande, che per quanto ci riguarda ha l'unico effetto di provocare una costante accelerazione del ritmo della visita. Alla fine praticamente il piccolo corre, tentando di seminare il concorrente. Rientriamo al campeggio stanchi morti, è stata una giornata decisamente pesante, ma possiamo ancora assistere ad una attività interessante: è la stagione del raccolto dei datteri, e stanno raccogliendo quelli della palma vicino al camper. Alla fine, ce ne regalano un paio di manate. Buonissimi. Crolliamo subito dopo cena.

Giorno 10 - lunedì 24 settembre 2001
Lasciato il camper in campeggio, alle 8 e mezza siamo per strada e camminiamo per circa un'ora (sono poco più di cinque chilometri) fino a raggiungere l'inizio della gola vera e propria. Da qui proseguiamo attraverso la gola e risaliamo la valle sovrastante per un'altra oretta, fino ad arrivare al tratto chiamato petit gorge dai free climber. Oggi è giorno di mercato a Tinerhir, e passano alcuni camion carichi di persone che ritornano verso casa nei villaggi sulle montagne. Sarebbe anche possibile addentrarsi con il camper fino nei pressi degli alberghi nella gola e pernottare qui.

Sulla via del ritorno decidiamo di scendere lungo il torrente, limaccioso solo a causa dei lavori che una ruspa sta effettuando a monte. Poche centinaia di metri nei viottoli di campagna e ci vediamo costretti da un guado a ritornare sui nostri passi per cercare una via alternativa. In questo modo contravveniamo ad una delle regole fondamentali per cercare di non farsi importunare dai locali: dare l'impressione di sapere esattamente dove si sta andando. Veniamo immediatamente agganciati da un bambino che si offre di farci da guida, dopo aver portato i panni a lavare a sua sorella al torrente. Il bambino ci fa guadare il fiume proprio dove noi eravamo tornati indietro e ci accompagna per alcune centinaia di metri. Poi arriva il solito grandicello che ci dice che il piccolo deve tornare a scuola e si offre di sostituirlo. Contrattiamo, e per 5 Dh ci porta, attraverso una vecchia kasbah e una serie di orticelli e palmeti, fino alla strada nei pressi del campeggio.

Pranziamo in campeggio, vista l'esperienza del giorno precedente, e verso le due partiamo alla volta della valle di Dades. Attraversiamo Tinerhir, passando poi per il souk settimanale, che è già finito, data l'ora. Pazienza, il nostro obiettivo è il grande souk di Zagora del mercoledì. Il paesaggio è abbastanza monotono in questo tratto. Passata Boumalne prendiamo a destra per la valle di Dades: ci aspetta il peggior tratto di strada di tutto il viaggio. Facciamo venti chilometri su una striscia di asfalto fatiscente, tutta una buca e un'ondulazione, rattoppato a più non posso, a non più di 20 chilometri all'ora. Il paesaggio però è fantastico: rocce rosse si susseguono a rocce verdi, antiche kasbeh ad antichi khsour, mimetizzati tra le rocce, il fondovalle è completamente coltivato. Le rocce stesse cambiano continuamente di forma: zone stratificate si alternano con zone in cui ci sono degli enormi funghi di roccia. Il sole basso del pomeriggio contribuisce come sempre ad aumentare la suggestione del luogo. La strada per fortuna ad un certo punto migliora (è stata asfaltata di fresco), ed in poco tempo arriviamo fino al punto chiave della vallata: le gole di Dades, dove la strada si inerpica con una serie di tornanti fino ad un passo con punto panoramico. Il posto naturalmente è dotato di venditori acchiappaturisti, e noi ci caschiamo e Nadia riesce a comprare degli indispensabili oggetti in presunto argento e presunto osso di presunta gazzella.


Formazioni rocciose nella valle di Dades

Il venditore è prodigo di informazioni: ci dice di andare fino in fondo alla valle, di tornare poi indietro (e vorrei vedere) perché non c'è niente di buono da vedere, e di riservarsi per l'indomani una gita a piedi in una delle gole laterali alla base delle gole principali ('tre giolì, no turist, original'). Poi, in uno slancio di generosità, ci dà un biglietto da visita dell'albergo migliore, con annesso campeggio, dicendoci che ci faranno pernottare gratis! Facciamo il nostro giro fino in fondo alla valle: la strada sale fino a 2000 metri e passa in alto sopra un canyon molto spettacolare. I campi in basso sono verdissimi. Arriviamo fino a Msemrir, dove termina la strada asfaltata. Verso le sei i villaggi si popolano: si vedono donne tornare dai campi, cariche di grano turco, mentre gli uomini siedono accovacciati lungo la strada a chiacchierare e giocare a carte. Per inciso, le carte che usano sono più piccole delle nostre, e non vengono tenute a ventaglio, ma sono tutte piegate in due longitudinalmente e vengono tenute in verticale, leggermente sfalsate.

Ritornati al belvedere, il venditore di prima ci chiede un passaggio, così è sicuro che finiremo nel campeggio giusto, il suo. Il 'Camping des Peupliers' è un prato lungo il fiume, senza servizi, ma illuminato da una singola lampadina che il proprietario installa per noi sul momento. Veniamo invitati a prendere un tè all'albergo e poi ci viene proposto di cenare al ristorante. Accettiamo perché il posto è carino e il proprietario è simpatico. In attesa del cous-cous ("Fatto a mano da mia moglie, non come quello che trovate nei ristoranti di città, dove usano le buste di cous-cous già pronto") e dell'omelette berbera il proprietario ci illustra le meraviglie dei pastori berberi che si trovano a monte delle gole laterali, sugli altipiani. Ci consiglia caldamente una gita a piedi per l'indomani, offrendoci anche i servigi di suo figlio come guida, dicendoci che comunque non è difficile e ci si può andare anche da soli. Dopo cena ci spiega il significato dei disegni berberi, e come supporto ci mostra tutti i tappeti ('no esiste due uguale') del negozio annesso all'albergo, che lui personalmente acquista dai nomadi durante l'inverno, barattando in cambio generi alimentari e abbigliamento. Va detto che i colori di questi tappeti sono molto particolari, e non ne vedremo più di simili.

Non ce ne rendiamo ancora conto pienamente, ma da questo momento in poi qualcosa nel nostro viaggio sta cambiando: il rapporto con le persone sta diventando sempre meno commerciale e sempre più amichevole. Forse ci siamo allontanati abbastanza dalle zone più turistiche, forse ci stiamo addentrando più profondamente nelle zone tradizionali berbere, forse stiamo capendo lentamente come interagire con questa gente; sta di fatto che l'interazione diventerà sempre più intensa.

Giorno 11 - martedì 25 settembre 2001
Ci accoglie al risveglio una fresca e luminosa mattina (16°). Partiamo a piedi, con calma, verso le 8 per avere un po' di luminosità all'interno delle strette gole. La gola laterale che risaliamo si prende attraversando a sinistra il torrente a partire dal camping 'Kasbah de la vallee', poco prima dell'inizio dei tornanti. E' una valletta sassosa, che in breve si restringe in un canyon strettissimo. Poche centinaia di metri più in alto inizia un sentiero ben tracciato che, ad una biforcazione della gola, prende il ramo di destra. Risaliamo fino ad un passo, e poi saliamo verso l'altipiano, dove vediamo un riparo sotto una roccia. Immaginiamo che serva sia per le capre che per gli uomini. Un paio di grossi rapaci che volteggiano molto in alto sono l'unica presenza animale. Il sole è già alto, e fa parecchio caldo. Dal passo scendiamo verso destra, verso l'altro ramo del canyon. E' molto più stretto e sinuoso, con passaggi tra massi enormi, alcuni dei quali sono incastrati tra le pareti rocciose a formare dei ponti naturali. Ricongiuntici al ramo principale, torniamo al camping. E' stata una bella passeggiata di circa due ore e mezza.

Ripartiamo in direzione di Boumalne e poi di El-Kelaa M'Gouna, dove andiamo alla cooperativa artigianale di produzione dei pugnali berberi. Qui facciamo conoscenza con Ahmed Olikhame, che costruisce i pugnali e ci invita a vedere alcune fasi della lavorazione. Questo ragazzo gentile ci spiega che è stato lui a realizzare i gioielli di scena di Cleopatra nel film di Asterix con Depardieu e Benigni, e ci mostra tanto di contratto per comprovarlo. Ci offre il tè, ci spiega le differenze tra i vari pugnali, ci invita a pranzo a casa sua, dove, ci dice, suo padre ha la fornace per temprare le lame in acciaio dei suoi coltelli. Decliniamo l'invito (purtroppo abbiamo ancora troppa fretta) ed acquistiamo un coltello. Le ultime fasi della finitura della lama, come pure la sua decorazione con dei fregi molto originali viene fatta in nostra presenza, e richiede quasi un'ora di lavoro. Ahmed ci spiega che tra lama, impugnatura, fodero, decorazioni e finitura un coltello richiedono tra i 4 e i 6 giorni di lavoro: per tutto questo lavoro paghiamo 180 Dirham! Il commiato è quasi commovente, con baci e abbracci, come se ci conoscessimo da sempre.


La kasbah di Amerhidil

Proseguiamo verso Ouarzazate, e poco prima di Skoura ci fermiamo per pranzo sotto una tamerici poco oltre la kasbah El Moro, che sulla guida è riportata come una delle poche visitabili. Veniamo immediatamente raggiunti da un bambino, che mi chiede se vogliamo visitare la kasbah di Amerhidil. Gli rispondo che quella non si può visitare, ma lui insiste che si può. Rischiamo, gli dico che sì, visiteremo la kasbah, ma solo dopo pranzo. Questa sì che si rivela una mossa vincente! Indipendentemente dalla visita alla kasbah, il bambino si trasforma immediatamente nel guardiano della nostra tranquillità. Pranziamo rilassati, anche se abbiamo davanti un muro di bambini che ci guardano, ridendo e scherzando, ma senza esagerare. Dopo pranzo arriviamo in camper fin sotto la kasbah, ed entriamo seguendo la nostra guida. Conosce molto bene il posto, ci fa visitare tutte le stanze, e alla fine ci presenta il proprietario, che ci accoglie nel patio, ci fa accomodare e ci offre il tè. E' un giovanotto elegante, dai modi gentili, con una veste immacolata. Trascorriamo mezz'ora con lui e con un suo amico pittore sotto una fresca pergola, chiacchierando della bellezza della vita di campagna, della tranquillità e della pace di un patio come questo, di altre cose amene, come se ci conoscessimo da sempre. Alla fine ci fa firmare un libro degli ospiti; lasciamo una mancia (ufficialmente un contributo per il restauro della kasbah) e ripartiamo.

Abbiamo notato che in Marocco non è proprio la cosa più facile del mondo fermarsi con il camper fuori dai campeggi, magari per riposare un po' o per la sosta pranzo. Così il viggio può a volte trasformarsi in una galoppata filata tra un campeggio e l'altro. A volte. Abbiamo sperimentato tre modalità diverse per la sosta.

La prima soluzione (abbastanza comune, purtroppo) prevede che uno si ferma in un posto abbastanza solitario, sotto un albero che fà un po' d'ombra, che a mezzogiorno ci vuole, spalanca tutte le finestre del camper, comincia a preparare il pranzo, ed immediatamente viene circondato da una masnada di bambini, che lo assillano con la fatidica invocazione: "Bon bon, stilo, dirham!" Non resta che richiudere tutto e ripartire senza pranzo.

La seconda soluzione (rara) inizia come la prima, ma questa volta la gente passa, ti guarda, ti saluta e prosegue. Questa situazione ci è successa in un magnifico palmeto a sud di Zagora, nella valle della Draa, in una torrida giornata.

La terza soluzione è più rara della seconda, ma, se si riesce ad attuarla, geniale. L'inizio è sempre lo stesso, ma il luogo di sosta deve essere abbastanza vicino ad un posto notevole da visitare, tipo una kasbah. Il trucco consiste nell'assoldare immediatamente il primo bambino che si avvicina come guida turistica, dichiarandosi pronti ad una visita, ma dopo pranzo. Oplà, il bambino diventa immediatamente il guardiano della tua privacy, mangerai circondato dai bambini, ma non ti disturberanno. Se poi la visita della kasbah è piacevole ed interessante, hai preso due piccioni con una fava. Questo trucco, inventato per caso, ci ha permesso di visitare la kasbah di Amedihil vicino a Skoura, che pensavamo addirittura non fosse visitabile, e che rappresenta uno degli esempi meglio conservati di questo tipo di costruzione.

La giornata è veramente molto calda. Dopo Skoura costeggiamo per un po' una gigantesca oasi, dove sono numerosissimi lungo la strada i venditori di datteri, poi attraversiamo nuovamente una zona desertica, ed infine arriviamo a Ouarzazate, che viene definita la Hollywood del Marocco, essendo la sede di molti studios cinematografici. Qui visitiamo l'antico mellah (il quartiere ebraico), accompagnati nostro malgrado da un tipo che dice di essere stato un figurante del film 'Il tè nel deserto', e la kasbah dove è stato girato il Gesù di Nazareth, accompagnati nostro malgrado da uno dei ragazzi che aspettano i turisti al varco sulla porta. A sera andiamo al camping: fa molto caldo, alle nove ci sono ancora 27°.

Giorno 12 - mercoledì 26 settembre 2001
Partiamo presto, la nostra meta è Zagora ed il suo famoso souk dei datteri. Alle 7 e mezza siamo già in viaggio; la strada sale tra montagne vulcaniche, per poi scendere ad Agdz, dove ritroviamo il corso della Draa. La valle della Draa è ricoperta da un unico, enorme palmeto, e le ksar si susseguono lungo la strada. Questa scorre un po' in alto rispetto al fondo della vallata, e ci offre degli scorci notevoli. A Zagora andiamo subito al souk: dobbiamo comprare i datteri, i più famosi del Marocco. Il mercato è molto 'vero': ci sono le venditrici di acqua, con i loro otri dalle imboccature ricoperte da una garza, i macellai, i venditori di polli e gli spennatori di polli, il venditore di teste di capra, i venditori di spezie, la maga che prepara le pozioni usando mercurio, polvere di camaleonte e altri strani ingredienti, incantando i potenziali compratori con chissà quali storie. Scatto qualche fotografia tenendo la macchina in mano, a penzoloni: non vorrei urtare la suscettibilità di questa gente. Compriamo finalmente la nostra cassetta di datteri: il venditore, che non capisce una parola di nessuna lingua a noi nota, non cede di una virgola sul prezzo. Soprattutto, non riusciamo a capire se abbiamo comprato datteri di buona qualità al prezzo giusto, schifezze a un prezzo da furto o che altro. Comunque sia a casa si riveleranno un successone, nettamente migliori di qualsiasi dattero confezionato comprato in Italia.


Zagora: venditore di teste di capra

Poco a sud di Zagora ci fermiamo ad Amezrou, un villaggio nel cui antico mellah si producono gioielli berberi in argento: lo scopo è vedere la lavorazione dell'argento. La lavorazione non la vediamo, perché tutti gli artigiani sono al souk di Zagora a vendere la loro merce; in compenso riusciamo a bere il tè da un commerciante e a comprare una collana 'antica' di corallo e argento, dopo una discreta contrattazione che ci porta al 40% del prezzo di partenza. Il venditore ci porta poi a visitare la kasbah, dove possiamo accedere ad una vecchia casa in via di ristrutturazione, con i suoi abitanti intenti alle loro usuali attività: una donna tesse una stuoia con stracci tagliati a striscioline, un ragazzo dorme tranquillo su quello che noi definiremmo il corridoio...

Ripartiamo, fa molto caldo (35°) e dobbiamo aspettare le tre per l'apertura della biblioteca coranica di Tamegroute. Ci spingiamo un po' a sud del paese e riusciamo a trovare finalmente un posto tranquillo dove fermarci con il camper all'ombra delle palme. Riusciamo addirittura a mangiare fuori senza che nessuno ci disturbi! Dopo pranzo torniamo in paese e seguiamo l'indicazione biblioteca: finiamo in una casa dove un tipo ci accoglie e si offre di accompagnarci. La nostra guida (Naciri Saddine) è un artista e si dichiara discendente degli antichi proprietari della biblioteca, e del santone locale. La visita è piacevole, Naciri ci spiega le differenze tra i vari scritti e tra le varie calligrafie (alcuni pezzi datano al 1063) e ci illustra la genesi dei numeri che noi chiamiamo arabi. Poi ci fa visitare l'attigua zawiyya, che è equivalente alla Mecca del Marocco: i meno abbienti possono effettuare il pellegrinaggio qui, senza doversi recare in Arabia. Alla fine della visita ritorniamo a casa del nostro ospite, che ci fa un disegno benaugurante e ce lo regala. Ovviamente ricambiamo con una mancia.

"Vi lascio il numero del cellulare, così se passa di qui un vostro amico mi può telefonare direttamente. Sapete, se andate a Zagora e chiedete di me, la mafia del turismo vi dirà certamente che sono in ospedale, o che sono morto."

"La mia famiglia vanta una discendenza diretta da Maometto, in questo paese siamo l'equivalente del Papa a Roma."

"Il due di ottobre sarei dovuto partire per Vienna per un corso di perfezionamento, ma ho cambiato i miei piani perchè la settimana prossima voglio fare una mostra personale a Zagora, e poi la mia mamma non vuole che vada così lontano."

Chi di voi nella propria città si fiderebbe ad andare in giro (o, meglio, a farsi portare in giro) da un tipo che fa dichiarazioni di questo tipo? Pochi, penso, certamente non noi.

Ebbene, questo tipo è stata la nostra guida in una delle visite più interessanti che abbiamo fatto in Marocco. Ci ha accolti a torso nudo e pantaloni della tuta nella sua casa: grande, poco illuminata, abbastanza sporca, quasi completamente vuota, a parte un televisore perennemente acceso, qualche tavolino ed un paio di sofà. Siamo arrivati a lui seguendo il cartello 'Biblioteque', scritto a mano ed appoggiato ad un cavalletto.

Ci ha spiegato delle sue pene d'artista, poi ci ha accompagnato fuori, a vedere la biblioteca coranica. Ci ha spiegato le differenze tra le varie calligrafie arabe, tra la scrittura araba e quella berbera, ci ha raccontato la genesi dei numeri che noi chiamiamo arabi. Poi ci ha mostrato la tomba di un suo antenato, un mausoleo che è l'equivalente della Mecca per i poveri del Marocco, che qui possono venire ad effettuare il pellegrinaggio almeno una volta nella loro vita. Ci ha spiegato che la vita qui per una arabo è abbastanza difficile, perchè si sta diffondendo un razzismo imperante.

Ci ha detto di essere un collaboratore delle guide della Lonely Planet, e di essere proprio lui ad aver suggerito di non dare mai confidenza a sconosciuti, autostoppisti, persone apparentemente in panne!

Nel tardo pomeriggio risaliamo la valle della Draa fino ad Agdz: i colori delle rocce e dei palmeti alla luce del sole che tramonta sono stupendi. Arriviamo al campeggio subito fuori della vecchia kasbah che sta già facendo buio. Fa ancora caldo, alle 9 di sera ci sono 26°.

Giorno 13 - giovedì 27 settembre 2001
Sole, come al solito, ed al solito partenza abbastanza presto per sfruttare appieno le prime ore del mattino. Alle otto siamo già per strada, ripassiamo per Ouarzazate e proseguiamo verso nord fino ad Ait Benhaddou, la kasbah che viene considerata la meglio conservata del Marocco, anche perché ha subito numerosi restauri prima degli innumerevoli film che vi sono stati girati (Lawrence d'Arabia fra tutti). La kasbah è carina, ma, oltre ad essere quasi totalmente disabitata, ha un sapore vagamente 'finto', artificiale. Inoltre, è piena di tutti gli accessori acchiappaturisti: guide molto insistenti, bancarelle con nulla di speciale. Per noi, ormai viziati dalle giornate originali vissute in precedenza, rappresenta ormai solo una tappa poco significativa.

Archiviata la pratica kasbah, ci rimettiamo in macchina, diretti sempre verso sud. Ci aspetta quello che sulla carta dovrebbe essere il tratto più avventuroso del viaggio: un centinaio di chilometri indicati come pista sulla carta. In realtà scopriremo poi che anche la mitica carta Michelin non riesce a stare dietro al ritmo con cui il Marocco sta ammodernando la sua rete viaria: al posto della pista troveremo infatti una bella strada asfaltata. Percorrendo parecchi chilometri di altipiano desertico, disseminato di greggi di capre (che non si capisce di che cosa possano nutrirsi) arriviamo a Tazenakht e prendiamo la strada per Foum-Zguid. Questa si inerpica tra le montagne, con una serie spettacolare di cambi di paesaggio: gole, forre, altipiani, oasi rigogliose, il terreno che varia continuamente di colore, passando dall'ocra all'oro, al viola intenso. Vediamo anche i primi esempi di animali veramente selvatici: due scoiattoli e un lucertolone, che ci attraversa la strada correndo solo sulle zampe posteriori.

Foum-Zguid è per noi la vera porta del deserto: è il punto in cui lo oued esce nella pianura attraversando una gola tra le rocce. Di fronte a noi solo una striscia di poche decine di chilometri di hammada ci separa dal confine algerino, ancora non del tutto definito. Da qui in poi incontriamo veramente poche macchine, ma la strada è ottima, asfaltata di fresco, con delle rette interminabili.


Il deserto nei pressi di Foum Zguid

L'aria è incredibilmente tersa e, probabilmente anche a causa di un effetto miraggio, i veicoli che si incrociano si vedono a grandissima distanza: devono passare parecchi minuti (e qui si può tranquillamente viaggiare a 80 all'ora) prima di incrociarli. Ovviamente in questi casi la lotta psicologica per stabilire chi dei due resterà sulla striscia di asfalto assume dei contorni epici: finte, colpi di fari e di clacson si susseguono finché, fatalmente, uno dei due (l'europeo, ovviamente) cede, rallenta, scende dall'asfalto. Va detto che nemmeno qui il territorio è completamente disabitato: qua e là si scorgono tende berbere, si vedono in distanza pastori camminare con i loro piccoli greggi di capre. La pietraia è costellata di alberi che noi identifichiamo, sbagliando, come alberi di argan: non lo sono, e lo capiremo quando vedremo le vere arganie, ma sono abbastanza simili, e sul nostro diario finiscono sotto la denominazione argan.

Attraversiamo il villaggio di Mrimina ed arriviamo a Tissnit, dove c'è il primo posto di controllo fisso che incontriamo. Il poliziotto ci chiede, al solito, da dove veniamo, dove andiamo, se conosciamo la strada, e poi ci consiglia di visitare le cascate. "Cascate? Ci sono delle cascate? Ma se siamo in pieno deserto!". Ebbene, cento metri dietro il posto di polizia il deserto finisce e ci sono le cascate e un laghetto limpido, formati da uno oued che esce dalle montagne. Ci sono ragazzi che pescano, che si tuffano, e ci sono asini e capre che si rinfrescano o bevono. C'è parecchia acqua nonostante la stagione avanzata, e l'insieme è veramente molto suggestivo.

Proseguiamo, la strada rientra tra le montagne e il paesaggio cambia di nuovo, radicalmente. Siamo ai bordi di una vallata di terra ocra, con l'erosione molto accentuata; sullo sfondo le montagne scure si alzano imponenti, creando un contrasto cromatico molto bello nella luce del tardo pomeriggio, che peraltro fa risaltare ancora di più le mille curve del terreno. In fondo a questi calanchi, quasi invisibile, sinuosa si allunga l'oasi. Arriviamo a Tata all'imbrunire, giusto in tempo per trovare il camping Municipal, affacciato sulla valle dello oued in secca, peraltro parecchio sporca. Questo posto è proprio bruttino, probabilmente è un villaggio cresciuto come piazzaforte militare ai tempi della guerra contro le milizie del Polisario. Ma il campeggio ha servizi decenti, e questo è quanto ci basta. E' stata una giornata veramente calda, abbiamo toccato i 36°, con solo il 18% di umidità, e ancora alle 9 di sera ci sono 29°.

Giorno 14 - venerdì 28 settembre 2001
Oggi inizierà la nostra avventura più intensa, che ci tratterrà in questa zona molto più di quanto avevamo programmato, e durerà un paio di giorni. Partiamo da Tata con la temperatura che è già di 25°, con l'intenzione di visitare almeno uno dei siti archeologici con graffiti rupestri citati dalle guide: se sono citati dalle guide, pensiamo, magari sono anche indicati. E infatti, nei pressi di Tiggane un cartello in francese indica, sulla sinistra, la presenza di graffiti a 800 metri, riportando inoltre tutti i vincoli di salvaguardia cui essi sono sottoposti. Una buona pista porta verso un piccolo passo tra due creste rocciose: il sito è sicuramente lì! Un occhio al contachilometri, e abbandoniamo la strada principale. Il passo è proprio a 800 metri di distanza, ci siamo. Scendiamo e iniziamo a guardarci intorno: come saranno 'sti graffiti, grandi, piccoli, in alto, su dei sassi, in qualche anfratto, direttamente sulla cresta? Riconosciamo solo qualche resto di trincea, sicuramente utilizzata negli anni '80 del secolo scorso, ma niente graffiti. Delusi, ritorniamo alla strada statale e proseguiamo.

Ad Oum el Alek vediamo un altro cartello, che indica un sito a 5 chilometri. Dapprima siamo dubbiosi: se non abbiamo trovato quello a 800 metri, figuriamoci quello a 5 chilometri! Poi decidiamo di provarci comunque. Attraversiamo un paesino e, dopo meno di 200 metri, la pista si divide in tre piste diverse che si inoltrano nel deserto. Non abbiamo nessuna speranza! Tornati sui nostri passi, mentre riattraversiamo il paese, un signore ci chiama con una certa insistenza: "Monsieur, monsieur!". Ci chiede se vogliamo vedere i graffiti, ma siamo abbastanza incerti ('non fate mai salire estranei in macchina', ci ammonivano le guide, e ce lo aveva ribadito anche Naciri). Alla fine la curiosità è troppo forte, e l'aspetto mite e rilassato del signore ci convince. Salito in camper, ci guida attraverso il deserto verso una cresta di rocce lontane: la pista è agevole, ed attraversa anche il percorso della Parigi-Dakar.

Scopriamo che il signore era lì per caso, in quanto abita a 30 chilometri da qui ed era andato a trovare sua madre, e veniamo a sapere che non è un signore qualsiasi: è Mouloud Taarabet, di fatto lo scopritore di quasi tutti i graffiti della zona. Quello che ci farà vedere, a detta sua, è uno dei siti migliori, e risale a 6500 anni fa, quando qui c'era la savana. Lasciato il camper alla scarsa ombra di un finto argan ci incamminiamo su per una cresta, che assomiglia alla spina dorsale di un enorme scheletro nero che sporga dalla sabbia.

Mouloud Taarabet è un signore tranquillo, silenzioso, magro, dall'aria un po' triste. Dimostra più dei suoi quarant'anni scarsi. Ti accompagna in giro, ti spiega con dovizia di particolari i dettagli dei graffiti, si ritira in disparte quando ritiene che la sua presenza non sia opportuna. I graffiti sono proprio 'suoi', li ha scoperti lui, li sta difendendo dalla burocrazia del suo Paese, e ne sta pagando le conseguenze. La sua è una storia strana, che spero di aver capito bene dato il mio grado di comprensione del francese.

Una ventina di anni fa intraprese la ricerca degli antichi insediamenti umani della zona spinto dall'incoraggiamento di sua madre e guidato da alcuni racconti di anziani del villaggio, e percorse così tutte le creste e le valli, individuando ben 45 siti con graffiti preistorici. Ebbe quindi una proficua collaborazione con il Ministero della Cultura. Ottenne poi un lavoro come consulente per la conservazione, o guardiano che dir si voglia, che durò per qualche tempo. Poi le persone al vertice cambiarono, ci furono varie visite di funzionari, e Moloud si rese conto che questi non erano interessati alla protezione dei siti, ma volevano semplicemente asportare i migliori graffiti per esporli nei musei di Rabat. Ma Moloud aveva rivelato l'ubicazione di soli 15 dei 45 siti, e si rifiutò di consegnare anche il più piccolo graffito. Ovviamente perse il lavoro statale che prima aveva avuto.

Ora di fatto è disoccupato, fa la guida, lavora soprattutto con i gruppi. Ci dice che ogni tanto lavora con gli italiani di Avventure nel Mondo, ci dice di conoscere molto bene i graffiti della Val Camonica.

Nella giornata trascorsa con noi, si è prodigato per renderci la visita piacevole, espandendola dai graffiti agli usi e costumi della sua gente, agli apsetti paesaggistici. Non ha trascurato di consigliarci per il proseguimento del nostro viaggio, in modo che non perdessimo la visita di alcuni posti veramente notevoli, al di fuori del circuito tradizionale. Il suo rapporto con noi è stato veramente da amico, e l'impressione è stata che fosse veramente felice ed orgoglioso di mostrarci le bellezze del suo paese, senza nascondere secondi fini.

Arrivati in cresta, Mouloud ci fa vedere il primo graffito, una gazzella. Poi si mette a scavare nella sabbia, prendendo i riferimenti necessari con le altre pietre che sporgono. Lo aiuto: dice che qui sotto c'è un graffito stupendo, ma la sabbia è veramente tanta ed è molto faticosa da spostare. Dopo un po' desistiamo, anche perché è quasi mezzogiorno e fà parecchio caldo. Riprendiamo il nostro cammino sulla cresta, e giriamo per quasi due ore a passo svelto tra graffiti di elefanti, gazzelle, struzzi, leoni buoi con l'aratro e uomini. Mouloud ci fa notare le differenze tra i graffiti originali e quelli contemporanei, eseguiti dai nomadi berberi negli ultimi anni. Sulla via del ritorno ci fermiamo sul sito dove sorgeva un villaggio: si distinguono ancora i resti dei focolari, ed il terreno è cosparso di piccoli frammenti di terracotta decorata e di selce scheggiata. Ne raccogliamo alcuni, Mouloud ci dice che questi non sono reperti importanti.

Tornando verso la statale non resisto e mi faccio fare una foto con il camper sul tracciato della Dakar... Poco distante, due carcasse di automobili ricordano i tempi della guerra: sono ciò che resta di uno scontro a fuoco tra i governativi ed i guerriglieri del Polisario. Qui, ci dice Mouloud, negli anni ottanta la gente fu costretta a scappare dai villaggi, che venivano continuamente attaccati, ed a rifugiarsi nei paesi più grossi verso le montagne, protetti dall'esercito.


Oum el Alek: graffiti preistorici

Mouloud ci propone un programma attraente per il resto della giornata: pranzo vicino ad una sorgente, una ventina di chilometri ad ovest, un salto a casa sua, la visita al grande souk del villaggio vicino (dura una settimana intera!), poi a dormire in un posto tranquillo, vicino a casa di un suo amico. Accettiamo di buon grado, ormai siamo amici. Percorriamo pochi chilometri e, abbandonato l'asfalto, arriviamo a Tagadirt, un paesino arroccato sulle pendici della montagna. Essendo venerdì le strade sono piene di uomini e ragazzi che vanno e vengono dalla moschea nelle loro cillava bianche. Poco più in là ci fermiamo per il pranzo in un palmeto, sui bordi di un laghetto formato da una piccola diga: la vegetazione è lussureggiante, il lago è pieno di rane e vediamo anche un airone grigio. Siamo al centro dell'attenzione di un gruppetto di donne che stanno intrecciando delle foglie di palma, Mouloud probabilmente spiega loro chi siamo e da dove veniamo, sembrano molto interessate a quello che dice.

Dopo pranzo, Mouloud ci invita a casa sua a Touzounine per il tè. La casa è semplice e fresca, ha due stanze senza finestre, dalle pareti di fango imbiancate a calce, illuminate da un buco nel tetto di paglia. Non ci sono mobili, ma c'è la televisione. Conosciamo la giovane moglie di Mouloud e i suoi due bambini di 2 e 5 anni. La signora è in attesa del terzo figlio e chiede qualche consiglio medico a Nadia. Alla fine ci regala un coprivivande in paglia fatto da lei; ricambiamo con un po' di alimenti secchi (che servono alla signora) e qualche medicinale.


Oum el Alek: resti degli scontri a fuoco

Ripartiamo insieme a Mouloud: si va al grande souk di Ait Guebli. C'è molta animazione, si capisce che si tratta veramente di un avvenimento importante per tutta la regione: la gente arriva da tutte le direzioni, dal deserto, dall'oasi e dalle montagne, tutte le donne sono vestite a festa, sfoggiano degli abiti bianchi e sono ingioiellate. Il souk in effetti è composto da non più di una ventina di bancarelle, che scompaiono di fronte alle più di duecento che abbiamo visto al souk settimanale di Zagora: questo ci fa almeno intuire, se non capire, in quale meravigliosa dimensione umana vivano ancora queste persone.

Da Ait Guebli torniamo brevemente indietro per abbandonare di nuovo l'asfalto. Ci addentriamo tra le montagne: in verità non ho capito bene dove Mouloud voglia portarci, perché il mio francese è praticamente zero. Ho capito solo che lui va a dormire a casa di un amico, che è un posto tranquillo e che possiamo fermarci lì per la notte con il camper. Non pensavo che ci avrebbe fatto fare 20 chilometri di pista, nemmeno segnata sulla carta e nel bel mezzo delle montagne. La pista si snoda in un'ampia vallata, poi si insinua in una gola: le luci del tramonto sono al solito spettacolari. All'imbrunire arriviamo al villaggio di Tamzraret, dove la pista termina. Non c'è nessun veicolo, e sicuramente il nostro è il primo camper che sia mai arrivato fin qui. Mouloud ci dice che la meta è un villaggio di pastori nomadi poco più avanti, e mi invita a proseguire. Sembra sapere il fatto suo, ma quando una pista è finita è finita.

Insabbiati! O, meglio, inghiaiati, e proprio davanti al villaggio! Bella figura, arrivano tutti gli uomini che si mettono a discutere, probabilmente sulla stupidità degli europei, o forse sulle modalità di estrazione del camper dalla ghiaia del greto dell'oued. Ovviamente arrivano anche i bambini, che ridono e scherzano come al solito. Mouloud sembra veramente dispiaciuto per l'inconveniente, e si mette a scavare come un forsennato. Io tiro fuori il kit da sabbia: piastre in plastica e pala. Qualcuno dal villaggio porta qualche pezzo di legno di palma e qualche stuoia, un altro arriva con una pala, che però si guarda bene sia dall'usare che dal prestarci (forse perchè non l'abbiamo chiesta). Con un po' di fatica ci togliamo dalla ghiaia, e possiamo proseguire, a piedi, per la casa dell'amico di Mouloud.

Il villaggio dei pastori berberi è composto da capanne di sassi e frasche, con coperte a fare da tetto. Una imponente signora ci accoglie sull'uscio di una di queste: è vestita di colori sgargianti e sfoggia bellissimi gioielli berberi. E' la mamma dell'amico di Mouloud, il quale è andato al souk e non tornerà prima di domani. Ci invita comunque a cena: decliniamo l'invito con la scusa che dobbiamo trovare un posto buono per la notte prima che faccia buio del tutto. Mouloud ci accompagna, e sulla strada incontriamo quello che sembra un notabile del villaggio: taccuino in mano e cellulare, sembra si stia recando nell'unico posto della stretta valle dove c'è un po' di campo!

Ci fermiamo per la notte a circa un chilometro dal paese, a lato della pista, in un palmeto. Mouloud ci dà appuntamento per l'indomani alle sette e mezzo e si incammina nel buio. A poco a poco le ultime grida dei bambini del villaggio si spengono nell'oscurità. Il silenzio è assoluto, pazzesco, la notte è calda e limpidissima, ci sono cento volte le stelle che si vedono da noi. Siamo veramente nel punto più fuori dal mondo che abbiamo mai raggiunto.

Giorno 15 - sabato 29 settembre 2001
Ci svegliamo alle 7. Mouloud è già fuori dal camper ad aspettarci: ha avuto una notte difficile, tormentato dalle zanzare. Ci chiede dove abbiamo intenzione di andare, e quando gli parliamo di Fort Beau Jerif non è d'accordo sulla nostra scelta. Mi propone un itinerario alternativo, secondo lui molto più interessante, indicandomi sulla cartina due piste che di recente sono state risistemate e quindi sono perfettamente percorribili in camper. Non contento, mi disegna una cartina a mano con tutte le indicazioni dei luoghi che abbiamo visitato, e di quelli che dobbiamo ancora visitare.

Ripartiamo verso la statale. Lungo la strada diamo un passaggio a due pastori berberi che vanno verso il souk (ci sono circa 17 chilometri da fare a piedi). Arrivati alla statale ci congediamo da Mouloud, e prendiamo la strada in direzione Bouizakarne. Dopo una trentina di chilometri di hammada arriviamo a Fam el Hisn, che rappresenta il punto più a sud del nostro viaggio: siamo a sud del 30° parallelo. Vicino al paese c'è il secondo posto di controllo fisso: questa volta, oltre alle domande che ormai sono di rito, il poliziotto prende nota dei numeri di passaporto e della targa. Alla fine, con nostro stupore, ci chiede se vogliamo bere un tè: riflettendoci poi in seguito, abbiamo pensato che effettivamente in un posto dove passano sì e no 50 macchine al giorno riuscire a fare due chiacchiere deve alleviare di parecchio la noia.

Il paesaggio muta di nuovo al passare dell'ennesima cresta montuosa, e cominciamo a vedere parecchi cactus, oltre ad alcune piante grasse dalle foglie carnose, i fiori lanuginosi e i frutti molli. Seguendo le indicazioni di Mouloud, qualche chilometro prima di Taghjicht prendiamo a destra per Amtoudi. Seguiamo una strada asfaltata che dopo 14 chilometri si trasforma in pista, uniforme ma parecchio sassosa, che mi fa piangere pensando agli ammortizzatori del povero camper. La pista, di 17 chilometri, sembra non finire mai, con rette lunghissime. Più di una volta pensiamo di rinunciare, ma per fortuna non ci lasciamo prendere dallo sconforto e insistiamo: stiamo andando verso l'agadir e la sorgente di Id AÎ ssa. Arrivati in paese, dominato dal granaio fortificato, veniamo subito circondati dai bambini, poi si fa avanti un signore in tunica azzurra che ricorda l'architetto egizio del cartone animato di Asterix e Cleopatra. Si tratta di Alì, che ci chiede subito se ci manda Mouloud, e poi se vogliamo visitare l'agadir andando a piedi o a dorso di mulo. Ovviamente si va a piedi. Detto, fatto: Alì prende la vecchia chiave in legno dell'agadir e si lancia su per un sentiero sassoso. Tutti quanti qui camminano velocissimi, ma ormai siamo abbastanza abituati. L'agadir, del 1200, merita assolutamente la deviazione e lo sconquasso patito dal veicolo.


Uno degli agadir sulla valle di Id Aissa

Dopo pranzo (che si svolge al solito sotto lo sguardo vigile di circa 20 bambini) vogliamo seguire ancora le indicazioni di Mouloud e ci incamminiamo verso la 'source', circondati dai soliti bambini. Man mano che procediamo, questi a poco a poco desistono; ne restano solo tre, che ovviamente saranno le nostre guide. Ci vuole più di un'ora di cammino per arrivare alla parte più suggestiva della gola, dove il torrente forma delle cascate e delle pozze d'acqua limpidissima, che fanno venir voglia di fare un bel tuffo. Lungo la strada ci sono altri due agadir, uno dei quali si protende da una roccia a picco e sembra un castello delle favole. I nostri piccoli accompagnatori (Mohamed, Rashid e Alì) non tardano ad individuare i nostri punti deboli, e quindi io mi trovo a dover fotografare un sacco di rocce, creste, particolari, Nadia si ritrova con le mani piene di fiori, erbe profumate, una zucca, datteri, semi di argan (finalmente quello vero).


Tafroute: case e granito

Sono le quattro del pomeriggio quando ripartiamo per Tafroute: abbiamo trascorso quasi una giornata in un posto che non avevamo nemmeno considerato in sede di programmazione del viaggio, e per il quale in seguito avevamo previsto una deviazione di due, tre ore al massimo. Magia del Marocco. Prendiamo la strada (asfaltata e rettificata di fresco) che sale da Timoulaye passando per Ifrane de l'Anti Atlas. Le colline di terra e granito rosa spiccano nella luce del tramonto su un cielo cobalto, l'architettura delle case cambia: sono rosa anche queste, ed hanno un fregio bianco o giallo sugli spigoli. Entriamo nella vallata di Tafroute che ormai è quasi buio, ma riusciamo a distinguere il paesaggio caratterizzato da coltivazioni di mandorli e argan. Arriviamo in paese che è buio pesto, e ci fermiamo al camping Troi Palmiers. Il clima è rinfrescato, ci sono 20°.

Giorno 16 - domenica 30 settembre 2001
Ormai si parla di ritorno. La parte migliore del viaggio è sicuramente alle nostre spalle, ma siamo soddisfatti perché siamo riusciti a prolungarla al massimo. Si parte presto, alle sette e mezza. Dopo un giretto al mercato, nello squallido paese di Tafroute (circondato però da belle montagne di granito) andiamo a vedere la famosa gazzella scolpita. E' bruttina rispetto a quelle di Mouloud, ma vale la pena di andarci perché ci sono delle caratteristiche casette arroccate tra le rocce di granito che ricordano quelle della Costa Smeralda; ci si attacca la solita guida non richiesta che poi insiste perché andiamo a vedere la solita cooperativa di tappeti berberi. Questa volta non ci sediamo nemmeno, il proprietario capisce che siamo esausti e ci fornisce solo rapide spiegazioni ('no esiste due uguale'), dopodiché possiamo ripartire.

Prendiamo la strada per Agadir e dopo pochi chilometri ci fermiamo a Oumesnat, per visitare la 'Maison Traditionelle'. E' una casa antica su tre piani (stalle e laboratori al piano inferiore, cucina e stanze della famiglia al piano intermedio, salone per gli ospiti e terrazza al piano superiore, con un ingresso separato), che conserva parecchi arredi e strumenti tradizionali. Le spiegazioni del proprietario cieco, estremamente esaurienti, ed il suo fare cordiale rendono la visita estremamente piacevole.

Ripartiamo lungo la valle di Ameln. La strada si fa tortuosa e corre lungo un versante estremamente scosceso. Passiamo accanto al caratteristico villaggio arroccato di Tioulit, poi scendiamo nella pianura tra coltivazioni di argan. Da Ait Baha ad Agadir la strada corre monotona tra serre e coltivazioni. Non entriamo nemmeno ad Agadir, ci limitiamo a passare sulla circonvallazione per la squallida periferia, e quello che ci colpisce di più è il traffico: in effetti nell'ultima settimana di macchine ne abbiamo viste veramente poche, e il ritrovarci in coda per un semaforo rosso ci dà la misura di come la vacanza stia veramente per finire. La costa a nord di Agadir ci accoglie con qualche nuvola bassa e parecchio vento. Compriamo qualche banana ad una bancarella (le coltivano qui, nei valloni che scendono verso il mare) e, passato cap Rhir, abbandoniamo la costa. La zona è abbastanza arida, costellata di alberi di argan; su alcuni di questi si vedono le famose capre marocchine che, pur di riuscire a mangiare qualche ramoscello fresco, si arrampicano fino a parecchi metri da terra. Ovviamente i pastori vogliono qualche Dirham per concederci le loro modelle da fotografare.

Arriviamo ad Essaouria all'imbrunire, e andiamo direttamente al campeggio sotto il faro. Il campeggio è pieno di camper, ed è la prima volta da quando siamo in Marocco che troviamo più di tre/quattro altri campeggiatori oltre a noi.

Giorno 17 - lunedì 1 ottobre 2001
Oggi è, tanto per cambiare, una limpida giornata di sole. Al mattino visitiamo la cittadina, piacevole con il suo porto peschereccio, le sue case bianche, i suoi bastioni portoghesi, i suoi intagliatori di legno di tuia ed il suo aspetto ordinato e pulito. Ovviamente siamo in centro prima che la vita cominci, ed assistiamo alle contrattazioni sulle bancarelle del pesce al porto. Diventiamo una simpatica attrazione quando Nadia, intenta a guardare non si sa cosa, va a sbattere con la testa contro un segnale stradale che riporta un pericolo generico!


Le capre arrampicate su un albero di Argan

Alle 11 partiamo alla volta di Marrakech. Lungo la strada c'è poco da vedere oltre alle capre sugli alberi di argan e all'enorme traffico di asini che si intensifica mano a mano che ci si avvicina alla città. Mangiamo per strada e poi entriamo a Marrakech. Raggiungere il centro venendo da Essaouria è facilissimo. Praticamente si va sempre dritto, finché non si vede la torre della Kotoubia sulla destra. La si punta e si arriva in un posteggio segnalato (abusivo) poco distante.

Iniziamo la nostra visita con le tombe sadiane, il palazzo el Badi, il museo d'arte marocchina, piuttosto poverello, mentre molto bello è il palazzo che lo ospita, il Dar si Said. Successivamente ci infiliamo nei souk: evidentemente ormai sembriamo abbastanza sicuri di noi per non farci importunare. I souk ci deludono un po': ci sembrano finti, fatti apposta per i turisti (che peraltro rappresentano almeno la metà delle persone che ci girano). Evidentemente ormai siamo un po' viziati... C'è di buono che i commercianti qui sono poco insistenti, si concentrano di più sui gruppi di turisti organizzati. Arriviamo alla medersa Ben Youssef, simile alle altre già viste, ma molto più grande e con in aggiunta dei caratteristici cortiletti interni su cui si affacciano le celle degli studenti.

Ritorniamo a piazza Jemaa el Fnaa sul far del tramonto: la piazza si sta animando, iniziano ad apparire i maghi, gli acrobati, gli incantatori di serpenti, le donne che fanno i tatuaggi con l'henné. Da non perdere sono i finti venditori d'acqua che sfoggiano variopinti costumi, ma ai piedi hanno le meno caratteristiche Timberland. Prendono posto le bancarelle dei ristoranti, e si sviluppano molte colonne di fumo profumato di carne alla brace. Decine di pullman sbarcano orde di turisti che passano per la piazza per poi rintanarsi al sicuro sulle terrazze degli alberghi e dei bar. Noi restiamo in giro, e cerchiamo con cura la bancarella dove cenare. Mangiamo delle croquettes e cous cous per pochi Dirham, poi facciamo un altro giretto e infine torniamo al camper.


Marrakech: la piazza al tramonto

Attraversare a piedi le strade a quest'ora, con il buio, è veramente un'esperienza interessante: dozzine di biciclette, motorini, macchine sfrecciano senza un ordine apparente in ogni direzione. Guidare in questo caos è invece abbastanza divertente. C'è di buono che qualche manovra estrema sugli incroci passa del tutto inosservata. Prendiamo la strada per Casablanca dove, a 12 chilometri dalla città sulla sinistra c'è, molto ben nascosto (almeno di notte) nei pressi di un distributore, il campeggio Ferdaous. E' stata una giornata calda, abbiamo toccato i 36° e, alle dieci e mezza, ci sono ancora 26°.

Giorno 18 - martedì 2 ottobre 2001
Al mattino mi accorgo di avere una gomma sgonfia, e ricordo che la sera prima, arrivando al campeggio, sentivo un tic-tic provenire da quella parte. Controllo e trovo una grossa vite conficcata in un pneumatico. Poco male, siamo vicini ad un distributore: gonfio la gomma per non rovinarla, andiamo al distributore, e, in meno di 5 minuti e per 20 dirham, la gomma è riparata. Fantastico!

Rientriamo in città per un altro giro dei souk e per vedere il quartiere delle concerie vicino alla porta Bab ed-Debbarh, con il suo passaggio complicatissimo che impone una quintupla svolta per attraversarla. Veniamo agganciati dalla solita guida, che ci fa visitare una conceria berbera ed una araba (ci spiega che la differenza sta solo nel tipo di pelli che lavorano): la visita è interessante, perché finalmente vediamo qualche operaio al lavoro. Alla fine della visita, con la scusa della terrazza panoramica, veniamo portati in un negozio di... tappeti ('no esiste due uguale'), e poi in uno di pellami. Siamo ormai scafatissimi: in 5 minuti siamo liberi. La nostra guida ci fa un lungo discorso su tutte le mance che dovrà dare a tutti quelli che abbiamo fotografato e ci chiede 100 Dh. Gliene diamo 10, ci guarda stranito: "Ma, come, solo 10 Dh? Per due persone?" Gli rispondiamo che sono fin troppi, li intasca e se ne va.

La visita di Marrakech volge al termine, e, visto che abbiamo ancora un po' di tempo, decidiamo di allontanarci ulteriormente dalla costa per andare alle cascate di Ozoud, di cui ci hanno parlato molto bene. A Demnate ci fermiamo per vedere il ponte naturale di Imi-n-Ifri, una grotta passante, non particolarmente interessante, piena di rifiuti. Arriviamo alle cascate d'Ozoud nel pomeriggio, e becchiamo il secondo vero bidone della nostra visita del Marocco, dopo quello dei cammelli. Il posto è molto bello, la luce del pomeriggio è quella giusta, ma qui hanno fame di turisti. Veniamo subito assaliti da vari posteggiatori, uno dei quali ci propone di campeggiare da lui, ha l'acqua e la toilette. Poi ci propone di andare a visitare le cascate, dove ci segue, continuando a proporci giri per il pomeriggio e per l'indomani mattina. Gli dico che possiamo fare da soli e qui si inalbera, dicendo che la nostra incolumità è di sua responsabilità, che le guardie l'hanno visto come nostro accompagnatore, che il posto è pericoloso... Siccome non ne possiamo più di accompagnatori, rinunciamo alla visita delle cascate e, dopo una rapida foto, ripartiamo. Passiamo davanti all'unico campeggio ufficiale del posto il cui custode ci dice che sì, il campeggio sarebbe aperto ma, siccome probabilmente stanotte pioverà, non accetta campeggiatori!

Ci dirigiamo quindi, ormai a notte fatta, verso Bin el Ouidane. L'hotel du Lac ha un campeggio, ma in questa stagione è chiuso. Lo squallido barista intuisce la nostra situazione e ci dice che possiamo stare nel posteggio dell'albergo, peraltro in salita, pagando il prezzo pieno del campeggio (35 Dh, quasi il più alto che abbiamo mai pagato), senza poter nemmeno usufruire dei servizi del bar; altrimenti, ci dice, possiamo andare alle cascate d'Ozoud, dove c'è un altro campeggio! Che brutto finale di giornata: prendiamo anche qualche goccia di pioggia!

Giorno 19 - mercoledì 3 ottobre 2001
Adesso bisogna veramente iniziare a fare qualche chilometro verso casa. Scendiamo in pianura ad Afourer e poi attraversiamo vastissime coltivazioni di frutta e olivi fino a Oued Zeem. Proseguiamo per Rommani passando per le zone di coltivazione delle miniere di fosfati, poi attraverso Ait El Ounda arriviamo a Rabat. Qui prendiamo l'autostrada fino a Larache: si attraversano foreste di querce da sughero, campi di pomodori e di canna da zucchero. Proseguiamo sulla costa fino ad Asilah, tra una serie interminabile di bancarelle di ceramica e meloni.

Visitiamo il paesino, caratteristico per le sue case bianche e azzurre racchiuse dai bastioni portoghesi. Ci sono parecchi murales di buon gusto, e un cimitero musulmano a picco sul mare, molto fotogenico. Una specie di guida tenta l'approccio, ma ormai non ce n'è per nessuno: semplicemente facciamo come se non ci fosse, e dopo un paio di minuti ci lascia in pace.

Andiamo al campeggio più vicino al centro, Al Saada. C'è vento, il mare è formato, è nuvolo. Siamo piombati in autunno.

Giorno 20 - giovedì 4 ottobre 2001
Decidiamo di fare la strada costiera fino a Ceuta. Passiamo per Tangeri senza entrare in città e poi perdiamo quasi due ore per fare le poche decine di chilometri fino alla Spagna: ci sono dei lavori in corso, e stanno mettendo talmente tanta ghiaia che a momenti ci insabbiamo!

Arriviamo in frontiera alle 9:30 marocchine (le 11:30 spagnole). C'è parecchia coda, ci mettiamo quasi un'ora a disbrigare le formalità doganali. Ci imbarchiamo sul traghetto delle 14:30. Arrivederci Marocco!

Uscire dal Marocco è molto più facile che entrarci. Ecco cosa succede.

1. Sei in coda con le altre macchine. Un passeggero va allo sportello per gli stranieri, quello con la coda, e compila il solito foglietto giallo per ciascuna persona. Lo passa all'impiegato assieme ai passaporti. Dopo un po', i passaporti vengono restituiti, timbrati.
2. Ritornato in macchina, alla sbarra devi mostrare i passaporti di tutti gli occupanti al poliziotto.
3. Sotto la tettoia c'è un container che funge da ufficio per gli autoveicoli. Nei pressi di questo devi fermarti con la macchina perchè l'impiegato deve vederla personalmente.
4. Vai al container (o al tavolino che c'è fuori) con passaporto, carta di circolazione e il foglio verde.
5. Torni al veicolo, mostri il foglio verde ed il tuo passaporto ad un doganiere che ispeziona il tutto.
6. Poi passi alla dogana spagnola, senza grosse formalità. Fatto.

Ad Algesiras, visto che abbiamo ancora tempo, decidiamo di fare una piccola deviazione, passando per Ronda, che non avevamo mai visitato. La strada si inerpica tra gli ulivi e poi nella macchia. E' molto panoramica e divertente. Numerosi paesini candidi stanno abbarbicati sulle pendici della montagna.

Ronda merita una visita, la parte intorno al ponte, con le sue stradine di acciottolato, ripide e tortuose è proprio caratteristica. L'idea è quella di proseguire verso Granada per poi risalire dall'interno della Spagna fino a Valencia, ma un indisposizione del pilota ci fa cambiare programma. Andiamo al campeggio di Ronda, dove constatiamo che ho almeno 39° di febbre.

Giorni 21-23 - da venerdì 5 a domenica 7 ottobre 2001
Ronda - Malaga - Alicante - Valencia - Barcellona - Montpellier - Aix - Ventimiglia - Imperia - Col di Nava - Alba - Trento (km 61698).

Annotazioni e consigli
Siamo andati in Marocco per la prima volta, e ci siamo rimasti solo per pochi giorni. Queste annotazioni non possono quindi dirsi frutto di esperienza, ma derivano da semplici impressioni.

Rifornimenti
Il Gasolio si trova dappertutto, non abbiamo avuto alcun problema, ma per sicurezza, soprattutto al sud, abbiamo fatto gasolio con una certa frequenza, cercando di non scendere mai soto il mezzo serbatoio.

Abbigliamento
Abbiamo sempre viaggiato rispettosi dei costumi locali, cioè indossando i pantaloni lunghi, ma ci è sembrato che ormai i pantaloni corti, almeno per gli uomini, non creino problemi in nessun luogo, neanche nel più sperduto che si può raggiungere con un veicolo normale. In città abbiamo visto delle turiste europee vestite in modo addirittura provocante, e la cosa ci ha dato un pò fastidio.

Acquisti
Non vale la pena di fare acquisti nei primi due-tre giorni, soprattutto se poi si va verso sud. Le abilità nel trattare aumentano, non ci si sentirà più in dovere di acquistare qualcosa, i prezzi calano inesorabilmente allontanandosi dalle grandi città. Abbiamo notato che se si fa un'offerta troppo bassa e quindi fuori mercato, il venditore tende a rinunciare subito alla trattativa; se il venditore non rinuncia, significa che il prezzo proposto è già accettabile. A questo punto il prezzo finale dell'articolo dipende in larga parte dal tempo a disposizione del compratore (che, per definizione di turista, è sempre limitato). In ogni caso, i rilanci devono essere minimi, perchè il venditore calerà il prezzo in modo infinitesimale.

Programmazione del viaggio
Conviene tenersi larghi nei tempi, in quanto possono verificarsi dilatazioni impreviste, vuoi per le continue visite a negozi di tutti i tipi, vuoi perchè non è sempre facile fare esattamente ciò che si era programmato. Le informazioni dei locali ingaggiati come guide sono sempre state valide e oneste, abbiamo grazie a loro visto posti bellissimi, a volte nemmeno citati sulle guide. Questo vale tanto più quanto più ci si sposta verso sud: avevamo previsto di passare sulla fascia a sud dell'anti-atlante in un giorno, ci siamo rimasti quattro giorni e siamo dovuti venir via perchè i tempi stringevano.

Le scarpe nelle case
Se venite invitati in una casa privata è probabile che il soggiorno sia praticamente vuoto tranne una serie di stuoie di palma, con magari sopra qualche coperta e qualche cuscino. Se vi fanno accomodare, cosa praticamente sicura, toglietevi le scarpe prima di salire sulla stuoia: non è il pavimento, è l'inizio del mobilio.

Il viaggio in pillole
In questa tabella sono elencate tutte le tappe del viaggio.

Giorno km tot Percorso Pernottamento
1 463 463 Trento - Brescia - Piacenza - Genova - Savona - S.Bartolomeo a Mare Area di sosta per camper
2 1089 1552 S.Bartolomeo a Mare - Ventimiglia - Aix en Provence - Monpellier - Barcellona - Tarragona - Castellon de la Plana Area autostradale de la Plana
3 925 2477 Castellon de la Plana - Valencia - Murcia - Almeria - Malaga - Algeciras Parcheggio Playa del Riconcillo
4 308 2785 Algeciras - Ceuta - Tetouan - Chefchaouen - Moluay Idriss Camping Zerhoun
5 43 2828 Moluay Idriss - Volubilis - Meknes Camping Agdal
6 70 2898 Meknes - Fes Camping Diamant Vert
7 262 3160 Fes - Azrou - Foresta dei Cedri - Midelt Camping Municipal
8 271 3431 Midelt - Errachidia - Meski - Erfoud - Merzouga Camping ? (l'ultimo!)
9 219 3650 Merzouga - Erfoud - Jorf - Tinerhir Camping Atlas
10 162 3812 Tinerhir - Boumalne - Msemrir - Gole di Dades Camping des Peupliers
11 155 3967 Gole di Dades - Boumalne - El Kelaa M'Gouna - Amerhidil - Skoura - Ouarzazate Camping Municipal
12 327 4294 Ouarzazate - Agdz - Zagora - Tamegroute - Zagora - Agdz Camping Kasbah Palmeral
13 425 4719 Agdz - Ouarzazate - Ait Benhaddou - Tazenakt - Foum Zguid - Tissint - Tata Camping Municipal
14 156 4875 Tata - Oum el Alek - Touzounine - Tizgui - Tamzraret tra le palme
15 331 5206 Tamzraret - Tizgui - Fam el Hisn - Amtoudi - Id Aissa - Amtoudi - Ifrane de l'anti Atlas - Tafroute Camping les troi palmiers
16 357 5563 Tafroute - Oumesnat - Ait Baha - Agadir - Essaouria Camping del faro
17 203 5766 Essaouria - Marrakech Camping Ferdaous
18 277 6043 Marrakech - Demnate - Cascate d'Ozoud - Bin el Ouidane Camping Hotel du Lac
19 537 6580 Bin el Ouidane - Rommani - Rabat - Larache - Asilah Camping As Saada
20 242 6822 Asilah - Tangeri - Ceuta - Algeciras - Ronda Camping El Sur
21 905 7727 Ronda - S. Pedro de Alcantara - Malaga - Almeria - Murcia - Valencia - Castellon de la Plana Area autostradale de la Plana
22 1091 8818 Castellon de la Plana - Tarragona - Barcellona - Monpellier - Aix en Provence - Ventimiglia - S.Bartolomeo a Mare Area di sosta per camper
23 528 9346 S.Bartolomeo a Mare - Imperia - Col di Nava - Alba - Alessandria - Piacenza - Brescia - Trento a casa

La durata del viaggio (da Trento a Trento) è stata di 23 giorni.

Abbiamo percorso in tutto 9346 chilometri, di cui 4236 in Marocco, consumando circa 910 litri di gasolio.

L'equipaggio era composto da Mauro e Nadia, su un Nord Camper Jumbo del 1983.

Abbiamo speso 1703 € per viaggio, vitto, campeggi, pedaggi, guide e mance, considerando che abbiamo portato gran parte degli alimentari da casa, di cui: 176 € in Italia; 177 € in Francia; 576 € in Spagna (incluso il traghetto con il Marocco, andata e ritorno); 774 € in Marocco (di cui 312 € di souvenirs).

Indirizzi
Ci pare doveroso citare le tre persone con cui abbiamo avuto le migliori relazioni nel sud del paese, anche perchè sono dei sicuri punti di riferimento.

Mouloud Taarabet, 84050 Douar Touzounine, Akka, (Pr. Tata), Maroc, cell. 062291864: il profondo conoscitore dei graffiti nel deserto.

Saddine Naciri, Hotel Riad Naciri, 45600 Tamegroute, cell. 062609722: l'eccentrico artista esperto in grafia araba.

Ahmed Olikhame, Cooperative artisanal Les Pognard, Cooperative n° 47, Kelaa M'Gouna, Ouarzazate, Maroc: il simpatico artigiano dei coltelli berberi.

Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento a Nadia, che ha scritto il diario 'dal vivo' e che non ha mai cessato di incoraggiarmi ("Beh, cosa fai? Sei ancora lì che scrivi?") ed aiutarmi ("Mi correggi la bozza?" "Non ne ho voglia" "Per piacere!" "Vabbè...ok va tutto bene." "Ma se ci hai messo solo 4 minuti!") durante la stesura della presente versione.


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