Viaggiare - Diari di Viaggio


TURCHIA ORIENTALE 2001

 

di Sylvie Surmely

Prima Parte

 

DIARIO DI VIAGGIO - PRIMA PARTE

Venerdì 27 luglio 2001
14h25, Nancy-Milano, 654 Km
Si mette in moto dopo aver caricato le bici e via in partenza per la Turchia!
Orrore! La spia dell'olio resta accesa. Si spegne il motore, si riavvia, si rispegne, si riavvia ancora, e si rispegne il motore a 50 metri da casa. Oh, nooo, non ricominceremo ancora come l'anno scorso!
Pronto!, chiamiamo il meccanico per rassicurarci, dal momento che Philou ha cambiato l'olio proprio la settimana scorsa, e forse non è ancora ben distribuito (lo speriamo vivamente....). Siamo soltanto a 100 metri dal garage, riproviamo a mettere in moto e se non va, ci potremo fermare subito.
Miracolo della meccanica, aiutati da Santa Zita, la patrona delle cause disperate e senza dubbio anche dei camperisti in perdizione.... la spia rossa si spegne. Speriamo di non ricominciare come lo scorso anno, ormai i meccanici turchi li conosciamo bene!
Dopo il Passo di Bonhomme scendiamo verso l'Alsazia e ad Ammerschwhir vediamo un profilato Challenger targato 42mo dipartimento, con adesivi di renne e che sembra proprio quello dei nostri amici che rientrano dalla Norvegia: che vie misteriose riescono a volte a far incrociare le strade di chi ritorna dal nord con quelle di chi parte per il sud!...
Il tragitto è quello solito: Colmar, Basilea, Lucerna, Tunnel del San Gottardo con i suoi 40 gradi e mezzo, si tenta di battere il record degli anni precedenti, ma qui dentro regna sempre un calore micidiale.
All'uscita da una tale fornace, i lampi cominciano a tenerci compagnia fino a Milano, pioggia e tuoni ritmano la nostra avanzata verso il sud. E' l'una del mattino quando fermiamo Bouli su un'area di sosta autostradale.

Sabato 28 luglio
4h57, Milano-Brindisi, 945 km

La sveglia è stata regolata per le 5, ma Sylvie, abituata alle sveglie mattutine, è pronta alle 4h45 e alle 4h57 è già al volante per raggiungere Brindisi per le 18, due ore prima della partenza del traghetto, prevista per le 20.
Ci si dà il cambio per alternare guida e riposo e percorrere i 1.000 km che ci separano dal molo d'imbarco.
A mezzogiorno siamo a Pescara e alle 17h10 siamo a Brindisi. I biglietti possono essere convalidati al porto, senza bisogno di recarsi in centro città, ma vi è una coda infinita e un immenso imbuto di macchine all'entrata. La barriera d'ingresso è chiusa a metà, cosa che obbliga chi entra e chi esce ad alternarsi, creando un'attesa di più di 30 minuti. Sylvie parte a piedi e va ad espletare le formalità. Quando saliamo il ponte è già pieno di camper ma per fortuna troviamo un posticino niente male.

Domenica 29 luglio
4h, Patrasso-Galaxidi, 103 km

Alle 4 risveglio obbligato per lo scalo a Igoumenitsa, scendono in molti e possiamo scegliere un posto migliore, vicino alle finestre. Philou sistema il tavolino da pic-nic e le sedie per approfittare dei primi raggi del sole. Facciamo colazione mentre incrociamo l'Isola di Lefka e ammiriamo il paesaggio.
Alle 13 Bouli poggia le ruote sul suolo greco, precisamente nel Peloponneso, direzione Rio per il traghetto che ci porterà in Grecia Centrale. La traversata della cittadina di Naupacte è gradevole e pittoresca.
Poco dopo Galaxidi un piccolo parcheggio in riva al mare sarà la nostra sosta ideale per una notte di riposo dopo due giorni di follie stradali.
Menù della serata: barbecue e patate, formaggio, il tutto innaffiato da un buon vin gris della Meuse.

Lunedì 30 luglio
8h, Galaxidi-Kavala, 560 km

Il levar del sole è magnifico sul golfo di Corinto e merita qualche fotografia.
I nomi delle località sgranano come un rosario: Lamia, Larissa, Salonicco, ed infine Kavala con la spiaggia di Nea Iraklista, che sarà la nostra sosta notturna. Facciamo un bagno in un mare caldo e limpido.
Anedotto del giorno: siamo passati così di fretta ad un pedaggio autostradale così vecchio da credere che fosse dismesso che non siamo riusciti a fermarci per pagare il dovuto....

Martedì 31 luglio
8h, Kavala-dopo Istanbul, 549 km

S'è alzato il vento e ci accompagnerà fino a sera, quando ci fermeremo dopo Istanbul.
Philou controlla il mezzo, e scopre con orrore che mancano 3 litri di liquido di raffreddamento. Eh no!, non succederà come l'anno scorso?
Il piccolo porto di Makri, un po' prima di Alexandroupoli, suggerito da Suzy e Alain, ci accoglie per la sosta di mezzogiorno.
Dopo 100 km la spia del liquido s'accende: arresto immediato, scrutiamo il motore, Philou vede dell'acqua ma non si capisce la causa. L'aggiungiamo, ripartiamo e dopo qualche chilometro ci fermiamo di nuovo. Alla fine scopre il guasto: un bullone da stringere e fatto ciò ripartiamo con lo spirito più rasserenato.
Prima della frontiera facciamo il pieno ed il ragazzo che ci serve ci chiede se andiamo in Turchia e poi aggiunge: "Turc people not good!"
Ed io rispondo: "Greek people good, Turk people good…" L'astio tra i due paesi è grande, anche nelle giovani generazioni.
Passiamo la dogana in 30 minuti, tempo rekord, bisogna riconoscere che conosciamo ormai a memoria le formalità e i passaggi da fare. Un doganiere ci chiede dove andiamo, e quando glielo diciamo s'illumina di contentezza perché viene da Dogubayazit, poi ci parla del monte Ararat ed è molto fiero del fatto che noi ci andremo.
Istanbul s'annuncia con i suoi nuovi quartieri in perpetua costruzione, decine di chilometri prima del passaggio sul Bosforo.
Sul ponte che unisce le due sponde c'è traffico, e l'autista del dolmus a fianco a noi ci saluta in francese: "Buongiorno signori", noi gli rispondiamo e allora ci chiede dove andiamo e poi ci augura buon viaggio. Magico mondo, la Turchia.
Incrociamo venditori di cavetti per telefonini, (tanti!), i turchi vanno pazzi per i cellulari.
Sosta notturna sulla prima area di servizio dell'autostrada "Anadolu Otoyolü", in direzione di Ankara. Il nostro sonno sarà ben controllato da un gruppo di giovani soldati che sosteranno per tutta la notte proprio a fianco a noi.
Cominciamo ad incontrare una nuova "specie" di camperisti: dopo i viaggiatori, i camperisti che vanno nei campeggi, e quelli del campeggio libero fronte-mare, eccone un altro tipo: i turchi che rientrano a casa per le ferie con degli Hymer nuovi fiammanti.
Ci manca il pane e Philou parte alla ricerca, Sylvie sa bene che non ci sono negozi nei paraggi ma che lui tornerà col pane. Strada facendo incontra una famiglia turca che abita in Francia. Lui fa l'autotrasportatore (ci ha clacsonato diverse volte durante il tragitto in Grecia), va a Bursa a scaricare poi porta moglie e figli a casa a Izmir per le vacanze. Va e viene dalla Turchia ogni 15 giorni.
Un camper italiano si parcheggia vicino a noi. Scende la notte e poniamo fine alla giornata.

Mercoledì 1 agosto
9h, dopo Istanbul - prima di Sivas, 549 km
.
L'autostrada comincia ad esserci familiare, superiamo Izmit e i suoi container del dopoterremoto di due anni fa, e che in buon numero sono ancora abitati.
La strada e il tunnel verso Bolu non sono ancora terminati e la salita è infernale, punteggiata dai soliti venditori di nocciole, tavolini di legno, cesti di paglia, giocattoli in legno per i bambini, "lokantasi" e botteghini di snacks.
L'autostrada è deserta, come i paesaggi alpini che attraversiamo, con il superamento del passo a 1.600m e che ci porta il fresco dopo i 35 gradi della pianura.
Ankara appare in un immenso paesaggio di campi di grano, 25km di una mini Manhattan spuntata dalla terra con un vicinato di minuscole casette con a fianco i blocchetti di sterco di vacca e paglia lasciati a seccare al sole per le fredde sere invernali.
All'esterno della megalopoli, immensi quartieri di robivecchi e sfasciacarrozze convivono con fiammanti moschee: v'immaginereste voi una chiesa troneggiare tra i cantieri della Fiat?
Nella regione di Yozgat il sole regna sovrano e permette alle industrie locali di produrre mattoni rosseggianti. Ma questo sole generoso scalda anche immense colture di barbabietole che permettono la fabbricazione dello zucchero consumato in grande quantità per la preparazione del çay (thé).
Superiamo Sorgun, dove nel 1998 la fontana di una stazione di servizio oggi in rovina aveva accolto e rinfrescato i piedi di Yoann e Philou.
Decidiamo di continuare per avvicinarci a Sivas e mettiamo fine alla giornata abbastanza sul tardi in una bella stazione di servizio BP.
Quattro camper italiani ci scorgono e vengono a parcheggiare anche loro vicino a noi.

Giovedì 2 agosto
9h, Sivas - tra Gürün e Darende, 742 km

Toh!, alle 7 del mattino i camper italiani sono già scomparsi, e non li rivedremo più, nemmeno a Sivas.
Sivas, che Sylvie sogna da tre anni, Sivas è finalmente davanti a noi. La città è di facile accesso, pulita, accogliente e vuota di turisti. Le mederse principali da visitare sono all'interno di un bel parco, senza troppo cercare troviamo un parcheggio custodito a pagamento proprio lì a fianco.
La medersa Bürüciye è chiusa, ma il suo portale è di rara bellezza.
Più lontana, la Çifte medersa, i suoi due minareti e la medersa Sifayie sono due magnifiche rappresentazioni dell'arte selgiuchide. Intarsi, iscrizioni, incisioni su pietra donano agli edifici eleganza e bellezza.
All'interno della prima, un piccolo bazar artigianale dove compriamo un bel paniere per le "findik" (nocciole) e che a casa diventerà un rustico porta riviste. Una sala da thé serve le sue bevande in questa oasi di bellezza e frescura ritmata degli zampilli della fontana centrale.
Ma la meraviglia dell'arte selgiuchide, portata dai mongoli e ispirata all'arte delle steppe dell'Est, è all'esterno del centro-città, purtroppo nascosta da alti bandoni ondulati. La Gök Medersa, in stato pietoso, meriterebbe di essere nell'elenco del patrimonio mondiale dell'Unesco. I due minareti che fiancheggano l'entrata di questa scuola coranica sono ricoperti di bei mosaici a tesserine blu.


Il portale è magnifico, nessuna rappresentazione umana come vuole la tradizione musulmana, ma fiori di pietra. L'interno è miserevole, ma cerchiamo di immaginarci come doveva essere questa meraviglia nel XIIImo secolo.
Su consiglio di Alain riguardo la salita su uno dei minareti, Philou ha portato una torcia e con l'accordo... finanziario del guardiano, inforchiamo le scale che salgono in alto. Per fortuna i muezzin non salgono più cinque volte al giorno sui minareti: che esercizio per le loro gambe sarebbe, con questi gradini alti e stretti!
Il panorama è bello e ci permette di scorgere i minareti della medersa Çifte in mezzo al parco. L'ascensione ci ha messo appetito e partiamo alla ricerca della "Büyük Merkez Lokantasi" consigliata dalla Neos e dalla Lonely: siamo ciechi? Ci passiamo davanti due volte senza vederla, ma la cortesia dei turchi è proverbiale e ci conducono lì davanti.
Il pianerottolo è riservato agli uomini, il mezzanino è per le famiglie, ed ha l'aria condizionata. Degustiamo un'insalata di pomodori e cacik (cetrioli con yoghurt, simile allo tzatziki greco), sis kebab per Philou e sebzeli Sivas kebab per Sylvie, che si rivela un enorme piatto di verdure grigliate con pezzi di carne di montone, il tutto con pide (pane piatto come una pizza bianca fine). Delizioso.
Per bevande coca e acqua, con l'immancabile thé alla fine, e il tutto per la modica somma di 9.300.000 lire turche, cioè 8,50€.
Eccoci pronti ad affrontare i vari mercati della città, più o meno tipici. Un caravanserraglio ospita innumerevoli negozi di calzature, un altro più tipico, venditori di spezie e frutta secca, di cui la vicina regione di Malatya è grande produttrice. Finiamo al mercato della frutta e verdura, dove facciamo spese a prezzi irrisori. Sylvie ha scovato un botteghino che espone tantissimi barbecue molto pratici, e con 5€ Philou fa felici acquisti.
Lasciamo Sivas in direzione Malatya. Troviamo lungo la strada un bel posto sul bordo di un ruscello, ma dei ragazzini molti insistenti ci obbligano a ripartire. Alcuni chilometri più avanti un ristorante di pesce a fianco del fiume Tokma viene eletto a nostra sosta notturna.
Ajmed, un trentenne calvo e robusto, ci invita a braccia aperte a sistemarci all'ombra dei pioppi.
A destra il fiume, a sinistra gli alberi, sul retro il "mangal" (grill) dove Ajmed prepara il "balik" (pesce) o il montone, con contorno di insalata di pomodori.
Per noi sarà pesce grigliato allevato nelle vicine vasche. E con i rari clienti, eccoci ad intrattenere una conversazione in turco... ed è qui che entra in azione il dizionario franco-turco acquistato prima della partenza. Ed anche senza di questo, Sylvie e Philou riescono a capire quello che dicono queste persone senza conoscere una parola: mistero!
Si capisce che Ajmed guadagna 250$ al mese, moneta invariabilmente utilizzata per rendere idea dei prezzi, perché qui la moneta è in perenne inflazione e solo il dollaro può dare un'idea stabile. Spende 100$ per la casa dove vive con la moglie e due figli. E' di lontane origini siriane, vicino al Mar Morto, e ci indica il suo villaggio sulla mappa della Giordania. Quest'uomo emana buonumore, gentilezza e gioia di vivere. Ci pone delle domande con tatto e delicatezza, che lavoro facciamo, ma il dizionario non riporta né "informatica", né "computer" e Ajmed capisce soltanto quando gli mostriamo il portatile. Quanto guadagnamo, e qui rimane a bocca aperta, ma tutto viene ridimensionato quando gli diciamo che il costo della casa è sette volte superiore al suo, e così via.
Saali, un bell'uomo di una quarantina d'anni che ogni tanto si unisce alla conversazione, non perde mai il suo immenso sorriso: è macellaio, uccide i montoni che mangiano i clienti del ristorante. Ride, ride in continuazione, e alla fine ci regala un sacchetto di albicocche.
E' tempo di andare a dormire, ma Ajmed con il suo tatto ci chiede a che ora vogliamo partire, perché arriverà soltanto alle 10, e se partiamo prima ci sarebbe il conto... Fa i suoi calcoli e sono 5.000.000 (4,50€), una sciocchezza, considerata anche la sosta notturna!
Gliene presentiamo 10.000.000 dicendo di tenerli tutti e a fatica lo convinciamo che non vogliamo il resto.
Un'ultima foto, e l'indirizzo per fargliela arrivare.
La notte passa nel fresco e nella tranquillità.

Venerdì 3 agosto
9h30, tra Gürün e Darende-Kahta, 301km

Toh, dei belati a fianco di Bouli, un pastore ed i suoi "kayun" (montoni) ci passa vicino, più per curiosità che per altro. Saali ci suggerisce di fotografarli, poi di fotografare lui e il pastore. Dopo qualche manovra eccoci di partenza, un po' in ritardo questa mattina.
Attraversiamo contrade desertiche, superiamo passi ad oltre 1.500 metri e attraversiamo piccole oasi di poche decine di case, con l'immancabile moschea (Allah è onnipresente), piantagioni di albicocche, poi di nuovo il deserto... profondi canyon che ci ricordano i film messicani e le loro case dai tetti piatti, i muri lisci dove le albicocche sono stese a seccare: mancano solo i gringos.
Malatya si avvicina, la discesa s'addolcisce e la temperatura risale... principio dei vasi ... comunicanti (l'altitudine scende, la temperatura sale, cvd).
In città dobbiamo fare acquisti in uno dei suoi due supermercati nuovi fiammanti. L'Afra sarà quello scelto.
Facciamo provvista d'acqua, "baklava" (dolci), çay, ekmek (pane). Basta, Bouli rigurgita ancora di surgelati e provviste di ogni genere.
Alla periferia della città una fabbrica di tessuti con il suo negozio ci colpisce ed entriamo a fare acquisti niente male, poi cerchiamo un posto all'ombra per il pranzo. Lo troviamo a fianco di quella che ci sembra una caserma. Mentre prepariamo, un uomo in uniforme arriva portandoci una brocca di acqua gelata e un timballo, sicuramente fa parte del rituale di accoglienza e non possiamo rifiutare. Ma la sorpresa non è finita: dieci minuti più tardi arrivano altri due soldati con un enorme bouquet di peonie e di rose rosse, rosa e gialle. Sylvie è sorpresa, rimane senza parole e riesce soltanto a dire "Tesekkür ederim" (grazie infinite). Bouli è ben fornito, nel gavone c'è pure un vaso che spunta per accogliere questo bellissimo dono floreale. E dopo i fiori, sarà il çay (thé), che fa sempre parte di ogni rituale di ospitalità. Li ospitiamo a bordo e intavoliamo una conversazione aiutati dal nostro magico dizionario.
Ma anche se la compagnia è piacevole, è tempo di ripartire.
La strada serpeggia per una vallata dove scorre un bel fiume, una ventina di donne e uomini stanno facendo il bucato. Le donne lavano con i piedi nell'acqua, gli uomini stendono su dei cespugli, poi il bucato s'asciuga, lo piegano formando delle alte pile immacolate. Eh sì, gli uomini turchi fanno il bucato, non si sarebbe detto.
Ci fermiamo ad una stazione "Petrol Ofisi", che sembra l'ultima per parecchi chilometri, facciamo il pieno e poi Philou chiede se può caricare acqua. Naturalmente!, ci rispondono, qui l'acqua scorre a fiotti per far sopravvivere un magro praticello e qualche albero riscattato all'elevato calore. E poi ci offrono il theall'ombra degli alberi, e insistono per rinfrescare anche Bouli. Philou rifiuta, ma non c'è niente da fare, non si può che accettare con il sorriso, un rifiuto sarebbe un affronto: noi gli facciamo l'onore di venire nel loro paese e loro ci vogliono accogliere degnamente. Alla fine di una toletta completa, ripartiamo e riprendiamo la nostra traversata di un deserto punteggiato ogni tanto da alcune oasi di frescura perdute nel mezzo del nulla.
Ed eccoci arrivati a Kahta, la temperatura da 43º è scesa a 39º. Abbiamo caldo e sognamo una piscina, e all'Hotel Zeus, per 9€ veniamo accontentati e ci immergiamo in un'acqua turc...hese. Ci sistemiamo al Camping Zeus, a fianco del Camping Commagene che non ha piscina. Siamo i soli, e poi in serata arriva una coppia di motociclisti di Firenze.
Inauguriamo il barbecue e facciamo qualche altro tuffo prima di andare a nanna.

Sabato 4 agosto
7h per Sylvie, 9h per Philou (no comment), Kahta- Nemrut Dagi, 61 km
Mattinata calma tra incombenze varie, bucato, verifiche meccaniche, stesura del diario e tuffi in piscina.
Arriva un gruppo di camper italiani, gli occupanti sono sulla cinquantina, molto discreti. Dopo un bagno in piscina partono per l'escursione al Nemrut Dagi.
Un piccolo camper austriaco, papà, mamma, bambina e nonno, ritornano dalla nottata passata sul Nemrut: ci spiegano che si può salire, lentamente, molto lentamente e che in cima un parcheggio in piano per 5/6 veicoli è l'ideale per passarvi la notte, infatti un camper francese era lì con loro.
Perfetto, questa notte saremo noi che dormiremo lassù e che alle 5 del mattino potremo ammirare l'alba sul sepolcro di Antiochio I.
Wait and see...
Alle 16 lasciamo Kahta e il comfort del campeggio dopo aver comprato il buon ekmek che accompagnerà la nostra colazione di domani. Ci fermiamo dapprima ai tumuli di Karakus eretti da Mithridate I per sua madre, sua figlia e sua nipote (e la moglie dov'è andata a finire??). E' in realtà un tumulo di pietrisco e quattro colonne di cui una sormontata da un'aquila e un'altra sormontata da un leone a cui manca la testa che è a terra, qualche decina di metri più in là. Questo sito sembra il preludio a ciò che dovrebbe essere il sepolcro di Antiochio I, 45 km più avanti e 2.200 metri più in alto (che manìa di grandezza che hanno gli uomini!, mentre invece le donne si accontentano di ciò che gli uomini gli vogliono concedere...)
Il caldo è tremendo, Philou procede, per ora la strada è facile, attraversiamo dei villaggi dove i bambini ci fanno segno con la mano, timidamente. Philou si chiede quando cominceranno le difficoltà, ed ecco che arrivano a 12 km dalla meta: l'asfalto si trasforma in ciottoli per due chilometri: beh, pensiamo, se è questo l'acciottolato di cui parlava il nostro vicino austriaco, è una risata.... Ridete, ridete, non riderete più fra poco….
Dopo due chilometri l'acciottolato si trasforma in sentiero e la salita in prima fa salire il calore e accendere la spia del liquido di raffreddamento. Ci fermiamo, aspettiamo un quarto d'ora, cade il silenzio e preoccupati, nessuno dei due apre bocca per non spaventare l'altro... Pensiamo: Antiochio è stato proprio un megalomane di prima classe e un sadico per le nostre meccaniche, dal momento che anche le nostre macchine del XXImo secolo sono messe a dura prova da questo reuccio che regnò tra il 69 e il 23 Avanti Cristo.
Seconda sosta per surriscaldamento, seconda angoscia dissipata scattando fotografie e riprese dell'evento che, lo speriamo di cuore, si evolverà in bene.
Che situazione! E pensare che dobbiamo telefonare a Marina per dirle se è possibile la salita al Nemrut o no: possibile sì, ragionevole no!
La salita varia da un 12 ad un 22% minimo, e in linea retta senza possibilità di sosta. La meccanica è messa a dura prova. Quando si crede che il calvario sia finito esso ricomincia daccapo.
Bouli, non ti fermare proprio adesso! Bouli, realizza uno dei nostri sogni, dormire al Nemrut Dagi e vedere il sole levarsi sulle teste giganti di questo santuario fuori dal comune!
Terza sosta ad un chilometro dalla meta, con pendenza del 20%, se non riusciamo a ripartire dormiremo qui questa notte.
Scrutanto la cima del Nemrut vediamo soltanto dei veicoli parcheggiati in pendenza: dove sta il posto di cui parlava il nostro collega austriaco? Ripartiamo e arrivati troviamo circa 25 vetture parcheggiate. Ma la fortuna è con noi, e troviamo un vasto terrapieno a sinistra della strada che sarà ideale per la notte e da qui circa 10 minuti di salita a piedi ci separano dall'entrata al sito. Inch'Allah, la strada per noi si ferma qui.
Non assistiamo al tramonto del sole sulle statue ma soltanto sulle montagne. Il panorama è grandioso e la parola non basta per descriverlo, dai 2.200 metri la vista abbraccia la regione, la diga d'Atatürk sull'Eufrate (decisamente questo fiume ci ha dato appuntamento, ci eravamo bagnati alle sue acque l'anno scorso in Siria), le montagne all'infinito e un sentimento strano ci sommerge davanti a tanta immensità.
Nella mini-boutique acquistiamo un libro sul sito e una piccola riproduzione della testa di Antiochio I in attesa di vederla dal vivo domani all'alba.
Un tale avvenimento si festeggia degnamente e Philou apre una bottiglia di Col de Velours (a migliaia di chilometri da casa la Meuse sarà degnamente rappresentata questa sera,) e il nettare con le sue bollicine scende nelle coppe di champagne, mentre un fuoco illumina la notte stellata. La luna questa sera è tra gli invitati poiché ci fa l'onore di essere piena. E' veramente una serata eccezionale.
A nanna, sono già le 22 e domani dobbiamo alzarci alle 4 per salire ad ammirare il levar dell'astro solare sulle terrazze del santuario.

Domenica 5 agosto
4h, Nemrut Dagi-Sanli Urfa, 235 km

Il risveglio è alle 4, un caffé ed un the ed eccoci alle 4.30 pronti a scalare le centinaia di metri che ci separano dalla cima. I dolmus hanno già riversato un gran numero di visitatori semi-addormentati, piccola fila per I biglietti ed eccoci sul sentierino di ciottoli che s'inerpica sul tumulo alto 50 metri ma che ne ha perduti circa 25 in seguito ai tentativi degli archeologi di accedere alla camera funeraria fino ad oggi ancora inviolata.
C'è affluenza e in circa 15/20 minuti arriviamo sulla terrazza Est poiché è là che l'astro celeste abbraccerà le statue, il tumulo e le celebri teste cadute dal loro piedistallo.
Il luogo è pieno di gente, almeno 300 persone, molti turisti turchi, alcuni dei quali con fornelletto a gas, enormi teiere e tutto l'occorrente per preparare il the!
Il sito si componeva di tre terrazze di cui ne restano due, la terrazza Est per il levar del sole e quella Ovest per il tramonto, oltre al gran tumulo di pietre che nascondono la tomba del re.
La terrazza est è vasta poiché ospitava un altare di cui non resta che la piattaforma ed una statua di leone seduto; le sette immense statue sedute di Antiochio e degli dei greci hanno perso la testa nel corso dei terremoti che scuotono ogni tanto la regione, e queste giacciono a terra. La terrazza Ovest ha le stesse statue ma su una terrazza più piccola, più intima.
Bisogna pazientare un'oretta per lo spettacolo solare, ma lo spettacolo umano è già iniziato e con un po' d'occhio attento ci si rende conto che non tutti sono venuti a cercare le stesse cose. I turchi aspettano l'alba sulla montagna, sono tutti girati verso il punto da dove apparirà il sole, mentre i turisti stranieri hanno lo sguardo e la macchina fotografica puntata sulle statue.
Un guardiano fornito di fischietto richiama all'ordine i curiosi che cercano di salire sulle statue o sul tumulo...
L'occhio si abitua lentamente all'oscurità che lascia progressivamente spazio all'alba, siamo circondati da montagne che man mano emergono alla luce del sole.


Eccolo, arriva, è ancora invisibile ma già schiarisce il cielo, e all'improvviso degli "oh!" si levano dalla folla riunita in questo luogo unico. Il tumulo e le statue prendono un colore ocra luminoso. L'insieme è incredibile e le macchine fotografiche entrano in azione, e anche noi facciamo lo stesso cercando di scattare foto senza turisti, cosa alquanto difficile.
Col passare del tempo la terrazza si svuota e restano soltanto tre coppie di turisti, per scattare delle fotografie in tutta solitudine, una coppia italiana, una turca e noi, tutte e tre rapite dall'atmosfera di questo luogo fuori dal comune.
E mentre il sole s'innalza nel cielo ammiriamo il frutto della megalomania dell'uomo: che follia questo santuario a 2.200 metri di altezza, ma un vero regalo per le generazioni che ne sono seguite!
Andiamo a vedere anche la terrazza ovest, molto più piccola, ma con dei bei bassorilievi intagliati nella pietra nera e le teste sono in miglior stato e raggruppate, cosa che gli dà un maggior senso di potenza e nobiltà.
Il momento è magico. Siamo nel luogo di cui tanto abbiamo sognato dal nostro primo viaggio nel 1992. Quello che tanto avevamo guardato sui depliants turistici è qui, sotto i nostri occhi. Facciamo delle foto ma principalmente ammiriamo il paesaggio, l'immensità montagnosa, i riflessi dorati e le scintille dei laghi formati dalla costruzione della diga sull'Eufrate.


Non vogliamo andarcene e torniamo alla terrazza Est un'ultima volta, ed effettivamente ormai siamo soli, sembra che il posto appartenga a noi soltanto, cosa che amplifica la sua magia e la sua bellezza.
Il guardiano è già da tempo ritornato all'ingresso e la stessa cosa facciamo anche noi, anche se a malincuore, dopo essere ripassati di nuovo per la terrazza ovest per un ultimo addio, o meglio, un arrivederci.
Raggiungiamo Bouli che sono le 8, facciamo una sostanziosa colazione e lasciamo con dispiacere questo luogo magico verso le 9.15.
La discesa è lenta e prudente, con una sosta per far raffreddare i freni supersollecitati. Ne approfittiamo per riposare all'ombra degli sparuti alberi che crescono a questa altitudine, e dissipare le preoccupazioni per gli eventuali problemi meccanici che potrebbero verificarsi.
Arrivati vicino a Kahta giriamo verso il ponte romano di Cendere, che dopo aver visto passare le legioni romane 2.000 anni fa, vede ora arrivare le legioni dei turisti moderni. La sua forma a dorso d'asino sembra creare problemi ad un piccolissimo camper che sta cercando di attraversarlo.
Ci parcheggiamo all'ombra vicino ad un ristorante curdo che vende anche tappeti, e facendogli capire che torneremo per pranzo gli chiediamo il permesso per sostare.
Philou ha notato che parecchie famiglie turche o curde, per noi sono tutte uguali, non riusciamo a distinguere, stanno facendo pic-nic all'ombra di una grotta che il corso d'acqua lì vicino ha creato nel corso dei secoli.
Un costume da bagno, un paio di short, un asciugamano ed eccoci filare verso le acque fresche e limpide del torrente.
Arriva un gruppo di capre che risalgono il fiume, passando sotto il ponte, condotte da alcuni bambini a piedi o a cavallo. Uno spettacolo fuori dall'ordinario si presenta ai nostri occhi, famiglie intere, con vettovaglie e bambini al collo cominciano ad attraversare il fiume. Sylvie aiuta alcune bambine a superare gli ostacoli, le piccole sono sorprese da questa mano inattesa e i papà ringraziano col capo.

Risaliamo il corso d'acqua verso delle anse dove speriamo di trovare la possibilità di fare un bagno ma ovunque troviamo uomini, adolescenti, bambini, ma di donne o ragazze nemmeno l'ombra.
Abbandoniamo quindi l'impresa e torniamo al ristorante, dove il patron ha da offrirci soltanto un'omelette fatta con uova curde (ci tiene a precisarlo) ed una insalata di pomodori. Sarà l'ombra e la frescura, ma questo semplice pasto ci sembra delizioso. Poi il patron ritorna e ci vanta la bellezza dei tappeti in vendita ma gli spieghiamo che a casa abbiamo già sumak, kilims e tappeti marocchini.
Riprendiamo la nostra strada verso sud.
Un'altra grandiosa opera incrocia la nostra strada verso Sanli Urfa, ma è un'opera moderna: la grande diga sull'Eufrate che fa parte del grande progetto che permetterà l'irrigazione di tutto il sud-est del paese e far divenire fertile e produttiva una regione arida. Il soldato posto all'ingresso della zona controllata chiede i passaporti e ne approfitta per sbirciare a lungo Sylvie. Un chilometro più in là, possiamo ammirare questa gigantesca costruzione, la quinta del mondo: alcuni militari annoiati, messi a guardia di questo luogo, ci invitano a prendere il the.
Al ritorno tre giovani ci chiedono dove andiamo e se possiamo dargli un passaggio fino a Urfa: sono due giovani turchi che abitano a Liegi ed un loro cugino. Mehmet è architetto e lavora proprio vicino l'ufficio di Sylvie.
Questa mattina presto erano anche loro sulla cima del Nemrut ed avevano visto il nostro camper e provato un po' di invidia per queste persone che avevano potuto passare la notte lassù, vicino alle stelle.
Facciamo così un'ora di tragitto insieme, in piacevole compagnia, e si offrono di accompagnarci ad un parcheggio vicino al centro. Mentre parcheggiamo pagano il parcheggio per due giorni. L'ospitalità turca non viene dimenticata nemmeno dagli emigranti, abituati ad un altro stile di vita.
Ci guidano poi verso la meraviglia della città: Gölbasi, la vasca sacra.
Il luogo è bellissimo: un immenso insieme di vasche, medersa e moschee sparse in un grande parco adatto alle passeggiate e ai pic-nic, un'oasi di frescura e tranquillità unite alla bellezza dell'architettura araba, una meraviglia in questa città che sembra essere la più calda della Turchia.
Mehmet ci racconta che un re aveva acceso un grande falò per precipitarvi Abramo e che un miracolo aveva trasformato il fuoco in acqua e la legna in carpe: da allora le carpe sono sacre e non si possono nutrire che con il cibo venduto sul posto. I pesci si gettano sui piccoli bocconi gettati dai visitatori e li seguono a bocca spalancata. Non si riesce nemmeno a distinguere più l'acqua, tanto sono numerosi.
Ci invitano a prendere il the e arricchiamo la nostra cultura turca grazie ai nostri giovani amici: Mehmet è architetto, il suo amico è all'ultimo anno di medicina ed il suo cugino turco è professore di geografia, e ci erudiscono su una miriade di argomenti.
Allaha ismarladik, güle, güle, bisogna salutarci, grazie per averci invitato sul vostro camper e di essere stati nostri ospiti a Urfa la gloriosa. E ci scambiamo gli indirizzi per rivederci a cena al ritorno di tutti in Francia.
Scende la notte e si accendono le luci che illuminano la kale (cittadella), le vasche e le moschee, e noi, dopo una cena a base di Urfa kebab e sis kebak con cipolle e pomodori presso la Ayn-Zaliha lokantasi, ci ritiriamo nel camper per un meritato riposo. Sono le 11 di sera, siamo in piedi dalle 4 di questa mattina e la giornata è stata lunga e veramente piena.

Lunedì 6 agosto
9h30, Sanli Urfa - 25 km

Ci eravamo ripromessi di svegliarci presto per andare a scoprire le viuzze dei numerosi bazar di Sanli Urfa ma non avevamo fatto i conti con la stanchezza e solo alle 10 inizia il nostro viaggio per i vicoli di questa cittadina incredibile per noi occidentali e ci inoltriamo in un percorso da Mille e una Notte.
Oggi sarà la giornata più frenetica per i nostri acquisti.
L'inizio della mattinata è dedicato agli acquisti di Philou, e in una botteguccia di 3 metri per 5 compriamo una lanterna e una lampadina da utilizzare fuori del camper, il tutto per la modica cifra di 0,50€, the e sigaretta compresi. Ci chiediamo come fanno a vivere con questi prezzi irrisori!
Poi è la volta di alcune belle coppe cesellate che servono a bere l'ayran. Mercanteggiamo, poi il venditore ne va a cercare altre, più antiche, alle fine due antiche e cesellate più tre nuove vanno a finire dentro il nostro zaino.
Nel bazar dei falegnami, tra lettini per bambini, tavolini, armadi, letti e finestre compriamo due confortevoli sgabelli per meno di 3€: ovunque vediamo utilizzare questo tipo di sgabelli ed ora anche noi ne possediamo due.
A fianco, dei fabbri stanno preparando delle bellissime culle per neonati, una meraviglia di finezza ed eleganza, ed il rumore dei martellamenti ritma la loro giornata.
Due giovincelli di meno di 10 anni ci seguono incuriositi, hanno abbandonato il loro compito come lustrascarpe per venirci dietro. Che avvenire avranno, ora che ha preso piede la moda delle scarpe da ginnastica?
Siamo presi dalla febbre degli acquisti: E' la volta di una torcia nuova, quella vecchia ha ormai reso l'anima ad... Allah e Philou si lancia in una contrattazione con un venditore che gliene vuole vendere una per 2 milioni (meno di 2€, decisamente una rovina!!) e alla fine mentre stiamo uscendo il venditore accanto ce ne offre una identica per la metà, e così ce ne andiamo con la nostra torcia pagata 1 milione.
Su una piazzetta all'ombra, appena all'uscita di queste stradine tortuose, una lampada in metallo cesellato e opaco dal tempo e... dalla polvere del luogo, attira l'occhio di Sylvie. Di forma quadrata, dà l'impressione di essere una lampada per esterno, c'è una porticina e all'interno una piccola lampada ad olio, con una base cesellata. Considerato il lavoro, deve costare ben cara ed abbiamo notato che qui la contrattazione è abbastanza difficile perché i prezzi sono onesti. Riusciremo a spuntare soltanto 5 milioni di sconto (4€) sul prezzo che ci verrà richiesto, ma sarà uno degli acquisti più apprezzati di tutto il viaggio. Poi, decidiamo di acquistare un grande vassoio per le nostre cene turche, e ci rechiamo in una bottega che ne ha di tutte le misure: il n. 17, di 85cm di diametro sarà il nostro. Molto bello, ma poco pratico da trasportare per le viuzze del bazar!
Riprendiamo la strada del camper per posare tutte le nostre meraviglie e poi ci rechiamo verso il ristorante vicino alle vasche, che è il luogo più fresco e piacevole della città.
Passiamo nel bazar dei tessuti dove stoffe di tutti i colori incantano gli occhi e poi nel bazar delle spezie dove ci inebriamo le narici di mille profumi.
In un piccolo angolo, un venditore di keffiehs ci arpiona cercando di convincerci a comprare la sua merce e ci conduce al piano superiore dove delle vecchie Singer in perfetto stato cuciono senza sosta mentre altre donne stirano con vecchi ferri a vapore.
All'angolo di una strada, il Gümrük Han, bel caravanserraglio trasformato in giardino da the, dove uomini, e solo uomini, chiacchierano, bevono the e giocano a backgammon mentre su un tavolo alcuni sono impegnati a riparare degli orologi meccanici.

Al piano superiore lo stesso spettacolo, solo uomini mentre i bambini lavorano, sia vendendo oggetti o aiutando i genitori nell'impresa familiare, o nei campi.
Tutti vogliono essere fotografati e poi ricevere la fotografia, e il nostro taccuino di viaggio si riempie di indirizzi: Ahmet del ristorante del pesce grigliato sul bordo del fiume, Nabi, il piccolo venditore di materiale elettrico, Mustafa il panettiere e i suoi compagni di lavoro, Ahmet il sarto con i suoi baffi, Kazim il venditore di keffieh e foulard che ci ha offerto il the, Halil il gioielliere così gentile e dal quale siamo ritornati a fare altri acquisti... e la lista si allunga con grande felicità di Sylvie e dei suoi figuranti così sorridenti.
Ovunque gioiellieri vendono oro, ma noi preferiamo l'argento lavorato in modo artigianale. Nel bazar dei gioielli troviamo un collier molto bello ma costoso. Alla fine lo compriamo da Halil, allo stesso prezzo ma compresa la gentilezza e il the, e poi vi facciamo ritorno per acquistare dei pendenti che contengono al loro interno un estratto del Corano. E' un articolo molto comune da queste parti, ma da noi è un articolo originale e fuori dal comune.
Uscendo dai bazar vediamo dei bei cuscini sui quali i turchi si siedono per mangiare. Chiediamo come si chiamano, e ciò ci faciliterà nelle nostre future ricerche.
E' ora di lasciare Sanli Urfa, sia per il caldo che vi regna che per il nostro portafoglio, ma è con dispiacere che lasciamo alle nostre spalle questa cittadina che aveva appena cominciato a svelarci i suoi segreti.
Una stazione BP dove due timidi ragazzini stanno giocando sarà la nostra sosta per la notte. Non è niente di speciale, ma è sicura: siamo ormai ad oriente ed è bene che cominciamo a fare attenzione alle nostre soste.
Ad ogni fermata è sempre lo stesso cerimoniale: siamo accolti da due o tre uomini, alcuni ragazzini e poi il gruppo si ingrossa: il telefono senza fili qui funziona a meraviglia!
Una R12 (qui ce ne sono a bizzeffe) della "Jandarma" si ferma a fianco di Bouli e ne scende un giovane arrogante che invita Philou a bere una Coca Cola e allo stesso tempo gli dice di infilarsi una maglietta perché è sconveniente stare a torso nudo. Durante la conversazione egli ignora totalmente Sylvie. Lei è soltanto una povera donna in un paese dove chi comanda sono gli uomini. Mustafa Kemal, quanto è lontana la tua Turchia egalitaria e democratica!....
La notte è lunga, soffocante e verso l'una di notte una macchina si ferma, illumina con i suoi fari e dà un colpo di clacson. Il benzinaio, che sta dormendo al fresco sul tetto, si sveglia, scende, va a servire il cliente, dopo di che ritorna la calma e sia lui che noi torniamo a dormire.

Martedì 7 agosto
9h, Urfa-Ahlat (Lago di Van), 454 km
I 200 km che separano Urfa da Diyarbakir non sono che un vasto deserto di pietre nere dove l'agricoltura fa fatica a sopravvivere. I contadini qui usano bruciare le stoppie il che rafforza l'impressione di un deserto lugubre e inospitale dove rari villaggi dalle case di terra e dai tetti piatti sono nati lontano da ogni vegetazione e alberi. Diyarbakir, che ha una ben cattiva reputazione, verrà da noi evitata e ne vedremo da lontano soltanto le scure mura di cinta.
La jandarma si fa sempre più presente man mano che procediamo verso Est, ogni 15 km un posto di blocco o un passaggio a zig-zag ferma la nostra avanzata. Ci chiedono i passaporti, a volte dove siamo diretti, ma più spesso quando il soldato, chiuso all'interno della sua garitta, alza gli occhi e ci guarda, ci lascia passare facendoci un cortese cenno di saluto. Non deve essere certo facile essere curdo in questa regione che è la loro e che essi rivendicano!


Bei terreni irrigati, come ovunque in Turchia, prendono il posto dell'inferno nero, ma sono soltanto delle oasi in mezzo a terre aride, inframmezzate da un verde intenso bordato d'ocra, e un blu azzurro: impossibile da raccontare ma soltanto da fare proprio e imprimere nella memoria.
La nostra sosta di mezzogiorno sarà a Catakköprü dove un grande ponte selgiuchide è sfigurato da un nuovo ponte lì nei pressi, e sopratutto dalla costruzione di una diga indispensabile per l'irrigazione. Qui siamo di nuovo fermati dalla jandarma che ci invita gentilmente a parcheggiare per fare delle fotografie. Ne approfittiamo per farci consigliare un ristorante e ci indicano una lokanta. Ed anche qui, diveniamo l'attrazione della giornata.
Menù inesistente, mangeremo ciò che avranno la bontà di cucinarci.
Un the, poi due, per ingannare l'attesa, "parliamo" con gli altri clienti finché un giovincello viene a preparare la tavola, ed i nostri vicini di tavolo, dei camionisti simpatici, ci fanno portare della coca cola.
L'attesa è all'altezza del piatto preparato, un succulento insieme di minuscoli pezzi di carne di montone, peperoni e pomodori servito con pane finissimo. Non rimarrà niente sul piatto.
Riprendiamo il cammino verso Beykan, dove il caldo è insopportabile, gli abitanti hanno installato sui tetti delle case dei letti giganti dove dorme tutta la famiglia.
La jandarma aumenta i controlli, che punteggiano la strada uno ogni 5 km, all'inizio siamo colpiti dal fatto, poi ci si fa l'abitudine, ma ci si può abituare a vivere sotto la minaccia delle armi?
A Bitlis è il massimo, arriviamo proprio dietro ad un convoglio militare eccezionale, un carro caricato su un enorme rimorchio per il trasporto di carri armati affiancato da camions pieni fino all'orlo di soldati. La popolazione kurda resta indifferente a questo defilé di forza ed intimidazione... Noi procediamo al passo, e intanto abbiamo tutto il tempo di osservare la città, ogni edificio pubblico, scuola, municipio, posta.. è ornato da immensi drappi turchi che ornano le facciate su più piani, incredibile e vessante per i curdi, pensiamo noi.
A Tatvan, che non vede più arrivare molti traghetti da Van, ci fermiamo a fare acquisti, suscitando sempre la curiosità della gente.
Il prossimo incontro non sarà con la jandarma ma con delle grosse tartarughe. Per tre volte alcuni esemplari ci attraverseranno la strada durante il tragitto verso Ahlat.
Ahlat non è una grande cittadina e Philou chiede ad un poliziotto dove possiamo sostare, ma questo non ci degna di molta attenzione. Non fa niente, andremo a chiedere alla jandarma.
Il piantone di guardia ci dice che non può fare niente per noi, e I superiori sono assenti. Niko, un soldato gentile che vive in Germania ad Amburgo e sta facendo I suoi due anni di ferma ci spiega... in tedesco (Philou e Sylvie, che facevate nei vostri anni di scuola? Se aveste immaginato che la lingua tedesca un giorno vi sarebbe stata utile.....) che i capi sono andati a nuotare nel Lago di Van lì vicino. Mentre aspettiamo ci offre il the e ancora il the, facciamo conversazione, ci spiega che è sposato con una tedesca ed ha un bambino di 4 anni, e che il tempo gli sembra così lungo lontano dalla sua famiglia...
Non vedendo tornare nessuno prende la decisione di scriverci un biglietto in turco che dovremo consegnare alla Polizia, affinché ci conduca in un posto sicuro.
Ciò fatto, la polizia si attiva immediatamente (con un modo di fare ben diverso da quello avuto in precedenza) e sotto scorta veniamo accompagnati fino al Park Alani, un luogo con tavoli da pic-nic dove i turchi vengono la sera a prendere il fresco e a passeggiare.
Un giovane ci rivolge la parola in inglese e poi ci chiede di visitare la nostra casetta su ruote, poi tutti gli altri poliziotti vogliono anche loro fare una visita e si meravigliano del forno, frigo, doccia, tutti comfort che non pensavano potessero esserci su un camper e ci elogiano il fatto di poter essere così indipendenti.

Mercoledì 8 agosto
8h. Ahlat-Akdamar, 213 km

Colazione e via a visitare la città e il suo sorprendente ed enigmatico cimitero selgiuchide ricco di centinaia di stele di tufo grigio ricoperte di licheni argentati.

Ogni stele è ornata di diversi motivi, dragoni stilizzati, e scritture antiche: il tempo e la natura ha fatto il resto, cosa che dona loro una bellezza magica e misteriosa.
Un luogo molto bello, dove la pietra si fonde con l'erba e il blu profondo del cielo.
Adilcevaz, che possiede una bella moschea dalle molte cupole, è stata sfigurata da un viale con panche in cemento imitazione legno, dal gusto orrendo, al posto di una bella spiaggia bianca.
Per raggiungere Van ci tocca far salire Bouli a 2.235 m. in un paesaggio di verde inatteso. Parecchie famiglie stanno approfittando della frescura del piccolo ruscello che scorre in molteplici rivoli. Un vero quadro bucolico.
Dopo il passo, una strana sensazione di "già visto", o piuttosto un paesaggio somigliante a quanto si vede alla televisione sull'Himalaya o la Cordigliera delle Ande: montagne spoglie, villaggi di terra che si fondono con le montagne e una vegetazione che la fa da padrona. Molto bello e spoglio.
Infine l'isola di Akdamar, il suo "campeggio" spartano e il suo gestore troppo simpatico per essere onesto! Philou dà ancora dimostrazione del suo barbecue cuocendo una parte dei 3kg di carne di montone e bovino comprata questa mattina da un macellaio per 8€.

Giovedì 9 agosto
7h30 (per chi sapete) e 9h (per chi immaginate), Akdamar-Van, 60 km
.
Laboriosa mattinata di pulizie per Bouli che è tutto polveroso, sia all'esterno che all'interno, e piccola nuotata seguita da una sessione di bucato,in quanto, come dicono tutte le guide, l'acqua del lago è molto salina, ed ogni indumento ne esce impeccabile.
Alle 15 partenza con un battellino a vapore per l'isola di Akdamar che ospita un gioiello dell'architettura armena, la chiesa della Santa Croce costruita nel 921 per ordine di Gagik Artzruni, re di Vaspurakan.
Le ptture esterne sono un po' sbiadite, ma le magnifiche sculture ci lasciano esterefatti: rami di vite, animali e uomini ornano tutto il circuito, molteplici scene della Bibbia sono una lettura a cielo aperto: Jonas e la balena, Davide e Golia, Daniel nella gabbia dei leoni (grazie Lonely Planet per tutti questi dettagli!, anche qui sul posto nessuna guida, né un libro o una cartolina da poter acquistare).
Scattiamo fotografie e facciamo tante riprese, vogliamo cercare di portare con noi il ricordo dell'atmosfera di questo luogo magico.
Nelle piccole calette dell'isola, I turchi giunti qui per il posto e per l'architettura, fanno il bagno e fanno pic-nic con la famiglia. Facciamo anche noi una nuotata nell'acqua un po' oleosa di questo piccolo Mar Morto.
Prima di lasciare il luogo notiamo che le forze armate hanno preso possesso di una parte dell'isola e un elicottero sorvola sopra di noi facendo fotografie....
Mentre il battellino ci riporta sulla terraferma, contempliamo per l'ultima volta questa oasi di bellezza allo stato puro.
Arrivederci Akdamar, ritorneremo un giorno!
Passando a Gevas, ammiriamo un bel mausoleo costruito davanti ad una siepe di verde, sul fondo della montagna.
VAN ci appare alla fine della giornata, la vita riprende il suo corso, gli abitanti sono per le strade passeggiando dopo il lavoro, all'entrata della città troviamo un supermercato MMMigros che riceverà la nostra visita domani mattina, adesso vogliamo sperimentare il ristorante Çem, consigliato vivamente dalla Lonely.
Secondo la mappa si trova verso l'imbarcadero del "feribot". Percorriamo Iskele Caddesi e non troviamo nulla per 3 km, era quindi a destra e non a sinistra che si doveva andare. Inch'Allah, facciamo dietrofront e lo troviamo vicino alla stazione di servizio Türk Petrol.
Philou ne approfitta per fare il pieno d'acqua e l'impiegato si meraviglia che ci voglia tanto tempo, I nostri 200 litri lo lasciano sbalordito.
I camerieri del ristorante si affrettano a farci parcheggiare a fianco dell'edificio di una eleganza irreprensibile per il paese e raramente incontrata: bisogna riconoscere però che preferiamo frequentare i locali tipici piuttosto di quelli per i turisti tutto-compreso.
Dopo esserci cambiati e aver lasciato le nostre vesti di girovaghi veniamo accolti come dei nababbi, tutto il personale ci saluta ed un cameriere molto gentile e chic ci conduce al primo piano da dove si ha la vista sul viale.
La carta con foto a colori è molto fornita, noi siamo venuti qui per le "mezzes" (antipasti) e ordiniamo la "totale", poi scendiamo in cucina, o meglio al grill, per scegliere il piatto forte. Sylvie vuole assaggiare sis köfte, adana köfte, sis kebab, pilis kebak e chiede un assortimento di carni diverse; OK, non c'è problema, prepareranno delle mezze porzioni.
Il cameriere, con classe ci chiede cosa vogliamo bere. Philou vorrebbe una birra (Efes Pilsen) ma il ristorante non serve né birra né vino (sarap), prendiamo quindi della coca per Philou e un ayran (yoghurt liquido servito molto fresco, che sta molto bene con i kebab) per Sylvie.
Comincia l'altalena dei piatti, arrivano le mezzes: köfte fredde leggermente speziate, crema di yoghurt, insalata di pomodori con cipolla, prezzemolo e melanzane, carne cruda tritata, speziata all'aglio, il tutto servito con crêpes finissime e del pane piatto caldo, una vera delizia!
Il nostro cameriere è sempre all'erta, pronto ad eventuali ordini. Ha spedito un giovanetto a trovare una birra e la serve a Philou di nascosto dicendo: business... Ha nascosto la bottiglia in un tovagliolo di carta e la mette a terra vicino al lungo vestito di Sylvie mentre fa troneggiare sul tavolo una lattina. E continuerà a servirci con discrezione le nostre bevande.
Le mezzes non sono ancora finite che arriva la nostra carne, una vera delizia! E poi? No, non è ancora finito, un giovane porta una specie di pallone, un pane caldo gonfio, il massimo!
Il dolce e la frutta (uva) ci vengono offerti dalla casa.
Çay o caffé? Optiamo per la bevanda nazionale, il the. Ma ci verrà portato anche il caffé. Anche questo con i complimenti della casa.
Siamo pieni come uova e chiediamo il conto (hesap), calcolando che considerato il menù, il servizio e l'eleganza sarà almeno 20 milioni di lire turche. Sorpresa! È soltanto 9,5 milioni, nemmeno 9€. Una vera sciocchezza considerato tutto.
Avevamo già deciso di lasciare una buona mancia e mettiamo in mano al cameriere 3 milioni (3€). Questi non se l'aspettava e corre a chiamare il patron che esce per salutarci e scattare una foto di rito con la promessa di inviargliela in seguito.
A nanna, per digerire il tutto!

Venerdì 10 agosto
8h, Van - Polizia di Muradiye, 108 km

Spese al Migros dove facciamo il pieno di bevande. Questa mattina andiamo alla scoperta di Van Kalesi (rocca di Van) che è in realtà una cittadella del 700-800 avanti Cristo. Lasciamo Bouli parcheggiato vicino ad una sorgente nascosta in mezzo ad un piccolo bosco di betulle.
I muri della cittadella sono simili alle fortificazioni dei villaggi del Mali, un misto di terra, ciottoli e pezzi di legno. Dall'alto la vista abbraccia il lago, l'imbarcadero dei traghetti, la città nuova, i pochi resti della città antica rasata al suolo dai Russi durante la Prima Guerra Mondiale.
Il ragazzino di soli 6 anni al quale Philou aveva regalato una penna prima di andar via è ancora là, seduto davanti alla porta di Bouli e ci guarda. E' molto bello ma il suo viso è melanconico, perduto nei suoi pensieri è di una estrema tristezza. Philou gli dà una macchinetta e subito il suo viso s'illumina, ringraziandoci per il nostro piccolo gesto; Philou gli spiega come farla funzionare e lui la carica, e la ricarica e la ricarica ancora per farla camminare. Se ne va nascondendola bene in tasca come gli ha consigliato Philou. Ritorna mentre stiamo pranzando, e Sylvie gli offre una pera che lui accetta.
Della città antica di Van dell'inizio del XXmo secolo, le uniche cose che si sono salvate dai bombardamenti russi sono due piccole moschee di pietra nera e bianca. Due piccoli mausolei completano l'insieme che si eleva in questa terra di nessuno dove centinaia di buchi di granate e l'erba invadono le fondamenta della città vecchia di più di 3.000 anni: un luogo carico di storia e che trasmette una sensazione strana.
Una delle due moschee è ancora luogo di culto ed è quindi chiusa. La seconda è in fase di restauro ma un giovane ci invita ad entrare. Essa ha perso le piccole cupole del suo "portico" ma possiede ancora delle belle pitture floreali al suo interno. All'esterno, la fontana per le abluzioni è stata rifatta come anche il canale per lo scolo delle acque. Alcuni pezzi che sembrano dei bulini sono stati portati alla luce e scoperte alcune ceramiche: ci mostrano alcune brocche e i coperchi in terracotta.
Solito rituale della foto e indirizzo per gli operai che stanno riportando alla luce queste meraviglie dimenticate.
Mentre attraversiamo il bosco una famiglia curda che abita in Francia, ad Evreux, e che sta facendo pic-nic ci invita a prendere il the con loro e a sgranocchiare qualche frutta secca. Sono originari di Erzurum e sono venuti a vedere la sorella (e le nipotine che sono ormai delle signorine) che lui non vedeva dal tempo della sua partenza per la Francia: 17 anni!
Il nostro ragazzino si ripresenta al nostro ritorno: Sylvie gli domanda in turco come si chiama: Amra. Philou prima della partenza aveva fatto pulizia con Joann e quest'ultimo aveva ceduto diversi giochi che sono ora in una scatola. Philou tira fuori questa scatola delle meraviglie: ne esce un dinosauro e lo dona a Amra. Quando ci prepariamo a partire egli crede che ce lo deve restituire ma Philou gli fa capire che lo può tenere e il suo visetto si rischiara in un sorriso.
Arrivederci Van col tuo lago che ci ha tanto incantato!
A Muradiye il fiume forma delle belle cascate ed un piccolo bosco lì a fianco sarà la nostra sosta per la notte. Riposo, barbecue e serata al lume della lampada comprata al bazar di Urfa.
Quattro camper dei sette incontrati a Van arrivano per la notte.
Verso le 20 un giovane arriva e ci parla in turco nominando spesso la parola "Polis". Non riusciamo a capire e pensiamo che la polizia arriverà per farci andar via di lì. Non riuscendo a farsi capire, il giovane se ne va. Verso le 22 ce ne andiamo a letto e dopo esserci infilati sotto le coperte (siamo a 1.800 metri di altitudine e le notti sono fresche) con un buon libro sentiamo arrivare la polis con un gran turbinio di fari: rosso, blu, rosso, blu... Ci spiegano che per la nostra sicurezza dobbiamo seguirli fino in paese, a circa 9km da lì. Un poliziotto, vedendo che siamo francesi, sfodera le tre frasi imparate a memoria: "Bonjour Madame", "Comment allez-vous?" e "Bienvenue". Viene formato un convoglio, prima la vettura della polizia, poi due camper italiani, poi noi e poi altri due camper italiani...e partiamo nella notte buia rischiarata soltanto da una via lattea brillante di miliardi di stelle. Arriviamo in paese e ci fanno cenno di parcheggiare allineati in una vasta piazza centrale.
Notte tranquilla e risveglio in pieno sole senza ombra e frescura, tanti apprezzati in questo caldo paese.(segue...2 parte)

(Traduzione dal francese di Marina Greco. Per la versione originale di questo itinerario clicca qui)


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