Viaggiare - Diari di Viaggio


TURCHIA ORIENTALE 2001

di Sylvie Surmely

Seconda Parte

 

DIARIO DI VIAGGIO - SECONDA PARTE

Sabato 11 agosto
6h30 e 8h, Polizia di Muradiye - Dogubayazit, 113 km
.
La valle di Bendimahi Çayi è molto verde, solcata dal fiume che forma ogni tanto piccole cascate e molteplici ruscelli, una vera cartolina con i suoi prati, le greggi di capre e pecore, i rari villaggi curdi di terra, i mucchi di fieno e le cataste di sterco seccato per riscaldarsi durante i lunghi mesi invernali quando la temperatura scende a -35 e anche -40 gradi. Bello da vedere con gli occhi del turista, meno bello per le popolazioni autoctone che vivono di non si sa cosa.
Salendo verso il Passo di Gönderme (1900m) i controlli riprendono con maggior zelo.
Il villaggio di Soguksu è bellissimo, piazzato davanti a delle strane rocce che si riveleranno essere delle colate di lava che ci seguiranno per più di 30 km., il Tendürek Dagi (3.660m) deve essere stato l'antica causa di questo paesaggio sorprendente, enigmatico e lunare.
"Pasaport, Pasaport...", essi non abbandonano più il cruscotto, tanto sono richiesti dalla Jandarma.
Sosta foto e video per immortalare il passaggio del nostro passo più alto: 2.644m del Tendürek Geçidi, con un'aria più vivibile.
Improvviso, al di sopra delle montagne, un picco innevato e contornato da nuvole ci appare come fluttuante al di sopra del nulla.... il Monte Ararat o Agri Dagi, ci saluta dall'alto dei suoi 5.137 metri sempre incappucciato con il suo bel mantello bianco.
Ri-pasaport... e all'improvviso il piantone ci chiede da quale paese veniamo: "Francia" e ne chiama allora un altro che arriva tutto sorridente dicendo: "54, ma è la Meurthe-et-Moselle, non sarete mica di...?" Sorridiamo, è un giovane che sta facendo il servizio di leva ed è nato a... Epinal! Eh sì, questo è il bello del viaggiare, ci racconta che suo papà ha lavorato a Golbey, alla Michelin, chiacchieriamo un po', ma ciò non piace troppo al capo, che ha l'aria cupa e alla fine con dispiacere ci saluta dicendo: "Salutatemi Epinal".
Si cambia, questa volta è la Polis che ci ferma, ri-pasaport ed eccoci a Dogubayazit e al suo piccolo gioiello, il palazzo delle Mille e una notte.
La periferia della città, distante solo 35 km dall'Iran, è un vasto mercato di motori (diesel), officine, enormi cisterne che offrono carburante iraniano a buon mercato (il prezzo dai vicini è circa 5 centesimi di euro, e qui l'offrono a 77 centesimi, il prezzo più basso della Turchia, ma sempre con tanta differenza dai vicini!) Dei grossi bidoni sono piazzati ai bordi della strada, in modo ben visibile per mostrare la mercanzia... Non toccheremo niente, non sapendo in che modo è stato stoccato quel gasolio, né cosa ci sia veramente all'interno dei bidoni.
Direzione Sehir Merkezi (centro città) per spese diverse: un'ascia che Philou ha dimenticato al campeggio di Akdamar, una specie di brocca di metallo che gli abitanti usano per andare a prendere l'acqua e alcuni cuscini per sedersi al suolo. Troveremo la seconda e i terzi da Ahmet che è un venditutto. Ogni cuscino costa la modica somma di 4,5€, ne prendiamo quattro e la brocca costa meno di 2€. La contrattazione è difficile, non otteniamo che un piccolo sconto, un bel cucchiaio in legno a mò di mestolo ed una fotografia.
L'ascia, in queste contrade dove gli alberi sono rari, è più difficile da scovare nonostante l'aiuto del figlio di Ahmet. Alla fine Philou s'accontenta di una specie di incrocio tra una zappa e un martello.
Troviamo con difficoltà anche la Tad Lokantasi, la mappa della Lonely è sbagliata (una volta tanto!), una persona ci aiuta accompagnandoci.
Il ristorante sembra il ritrovo dei soldati e della polizia, non si svuota, dobbiamo attendere finché alla fine ci danno dei döner e degli iskender kebab con coca cola e ayran per 3€.
Facciamo un salto ad una macchinetta di prelievo automatico: 9 anni fa questi giocattoli erano rari, adesso sono migliaia.
Un bigliettino sul parabrezza di Bouli ci segnala che il Laika parcheggiato poco lontano è del nostro stesso dipartimento! Da una settimana non vediamo nemmeno un camperista, ed ecco che andiamo ad incrociare proprio dei concittadini! Sul loro camper non c'è nessuno, sicuramente sono andati a pranzo e ricambiamo il biglietto con le coordinate dei nostri cellulari prima di ripartire per fare ulteriori acquisti.
Direzione Ishak Pasa Sarayi, 5 km e 50 camions circa più in là, il palazzo domina tutta la pianura: la salita ci ricorda un po' quella al Nemrut, il palazzo è in pieno restauro e rifacimento, vi si aggiungono muri, blocchi interi e tetti: STOP, che scempio, che massacro architettonico!
Ancora una piccola salita e arriviamo ad un parcheggio all'ombra proprio di fianco ad una moschea dove chiediamo per passare la notte: la polis si accorda con il guardiano per la sorveglianza di Bouli e dei suoi occupanti durante il riposo notturno. Tesekkür ederim (Grazie tante!)
Un giovane arrogante e fastidioso arriva sul suo motorino nuovo fiammante per dirci che dobbiamo andare al Camping Murat, che si trova proprio sotto il palazzo, a 1 o 2 km da lì. Philou sentendo puzza di imbroglio va a cercare il guardiano del parcheggio che ci assicura che ci farà da guardiano durante la notte: basta, la questione è chiusa.
Stemperato un po' il caldo, ci infiliamo le nostre scarpe da trekking e siamo pronti a scalare lo sperone roccioso che domina Ishak Pasa Sarayi: un'ora nella polvere per cominciare, attraversamento di una gola che una persona "robusta" non potrebbe superare, scalata, passaggi stretti su dei costoni: Sylvie non ne può più, imbocchiamo la strada del ritorno fatta di numerose discese. Siamo di ritorno alla base e ci riposiamo.
Ma dopo alcune ore Sylvie non si sente più al sicuro, questione di feeling!
E poi, aveva lasciato scritto nel biglietto per i francesi che saremmo stati al campeggio, e allora via, direzione Camping Murat per essere di parola.
E difatti eccoli là, in compagnia di altri 9 camper italiani. Sembriamo dei coloni alla conquista del Far West, ma in questo caso sarebbe meglio dire del Far East. Una bionda simpatica ci viene incontro, dicendoci che ci aveva tenuto un posto vicino a loro.
Fin dalle prime frasi capiamo che siamo sulla stessa lunghezza d'onda, come raramente succede. Sono i primi camperisti francesi con i quali scambiano parola, e sono della nostra stessa città! Francine ed André, freschi pensionati, si stanno recando in Iran per 6 settimane e al ritorno sosteranno di nuovo in Turchia per 3 settimane.
Per l'inverno andranno al sole del Marocco: ci raccontiamo le nostre esperienze, parliamo e più parliamo più ci rendiamo conto di essere molto simili, e spesso scoppiamo a ridere avendo l'impressione di vedere noi stessi riflessi in uno specchio.
André sembra Sylvie: meticoloso nella preparazione dell'itinerario, alla ricerca di ogni informazione possibile, in particolare per il passaggio delle dogane, i cambi, i posti dove sostare, i prezzo del gasolio, i posti giusti dove mangiare.... Gli faccio leggere la mia "guida pratica" della Siria-Giordania e lo sento esclamare: "Ecco cosa cerco e cosa vorrei trovare nei resoconti di viaggio degli altri viaggiatori, ma che non sono mai così dettagliati!"
Passiamo una serata piacevolissima, e siamo contenti della decisione presa di scendere al campeggio, decisione che ci ha permesso di fare un incontro così ricco e piacevole con queste persone con le quali ci troviamo così bene.
Ma dobbiamo lasciarli andare a dormire perché domani vanno verso la frontiera: quattro ore d'attesa, di controlli, di timbri... e André dovrà fare tutto da solo perché le pratiche sono proibite alle donne. La sola cosa che Francine dovrà fare è presentarsi con il suo travestimento per vedere se esso è conforme alla legge islamica.
Francine, lungimirante, si è organizzata: stamattina ha acquistato un maaaaaaagnifico impermeabile nero, e un foulard nero leggero, con un bel bordo di passamaneria colorata: va bene che si va a casa degli integralisti, ma siamo sempre donne e un po' di civetteria non guasta!

Domenica 12 agosto
8h Dogubayazit-Kars, 285 km

Diciamo addio, o meglio arrivederci, ai nostri amici "iraniani" di Nancy. Dopo un'ora siamo pronti anche noi e partiamo. Il campeggio in realtà non era altro che un vasto parcheggio senza ombra dove il proprietario di un negozio di tappeti fa sostare I camper con l'intenzione di vendergli poi la sua mercanzia!
Ishak Pasa Sarayi è già invaso dai turisti arrivati in pullman. Ma il luogo, che è stato un po' snaturato dai lavori di ristrutturazione e posa dei tetti si rivela essere una meraviglia, un gioiellino, un miscuglio di arte selgiuchida, ottomana, georgiana, iraniana e armena che, dobbiamo ammetterlo, non è altro che un vero trionfo di equilibrio, bellezza, grazia, finezza ed eleganza.
Mentre Luigi XIV costruiva Versailles, Ishak Pasa Sarayi, follia di un capo curdo, nasceva verso il 1685 per essere terminato 99 anni dopo.
Fin dall'entrata siamo soggiocati da questo immenso palazzo che contava, sembra, 365 vani; dopo aver superato il portale in stile selgiuchide, si giunge ad un vasto cortile dove si affacciano sale, vani comuni, dependances, scuderie.. e dove si aprono due porte, una per le guardie, un'altra per i civili. Dal secondo cortile si irradiano gli accessi alle diverse abitazioni del Pasciá.
Il Pasciá, senza dubbio uomo colto, aveva previsto una biblioteca, una bella moschea che ha conservato all'interno delle pitture, e delle sale di ricevimento nella parte pubblica.
Attraverso la grandiosa porta scolpita in mille arabeschi si penetra nella parte privata che si componeva di parecchi vani.
La cucina dall'alto soffitto possedeva un sistema di riscaldamento centrale (erano state previste l'acqua corrente e lo smaltimento delle acque scure).
La sala da pranzo era stata curata in maniera particolare, i muri con le pietre a righe bianche e nere sostengono delle belle volte finemente lavorate.
L'harem doveva ospitare parecchie mogli, considerato il numero delle stanze fornite di caminetto, come quasi in tutte le stanze del palazzo, due piccole vasche abbellivano la vita reclusa di queste donne.
Un piccolo hammam (bagno turco) di cui ancora si vede il sistema d'alimentazione dell'acqua, completano il tutto.
E' veramente bello bighellonare per questo piccolo scrigno di estrema raffinatezza e alla fine lasciamo il luogo con dispiacere.
Scendendo abbiamo una sorpresa, un dono raro, l'Ararat è libero delle nuvole che lo avvolgono sempre e si mostra maestoso ai nostri sguardi e alle nostre foto-ricordo. Ne approfittiamo per immortalare l'evento.
Direzione Iran, o meglio la frontiera, dove un cratere gigante si è creato nel 1920 in seguito alla caduta di un meteorite che ha lasciato una voragine di diverse decine di metri di diametro e profondità.
Ancora un controllo, ormai i passaporti sono sempre sul cruscotto, e ritroviamo i nostri concittadini "iraniani" e decidiamo di andare insieme a vedere il cratere.
Dopo 3 km di pista ci troviamo davanti ad un buco che si rivela essere IL cratere: e allora? dove sono i 60 e 35 metri di cui parla la guida???
Ormai siamo là, è mezzogiorno e abbiamo ancora in frigo una mezza-bottiglia di Col de Vilours. Brindiamo ai piedi dei due Ararat al viaggio iraniano e ai nostri nuovi amici, visto che per 6 settimane non potranno toccare alcool!
Un ultimo arrivederci e la promessa di vederci a casa a metà ottobre: per noi le vacanze saranno già un ricordo lontano, e lasciamo Francine ed André alle loro vestizioni preparatorie.
Per una quarantina di chilometri costeggiamo il Grande Ararat che mostra la sua faccia innevata e i suoi ghiacciai, poi gli voltiamo le spalle e 20 km prima di Kars lo perdiamo di vista, ormai sono 200 km che ci fa compagnia e lo abbandoniamo con dispiacere. Philou, ammaliato dal suo charme, ad ogni curva continua a gettargli sguardi dal retrovisore.
Attraversiamo paesaggi grandiosi, all'apparenza disabitati, irreali e quasi lunari. Dopo Tuzluca la terra si riempe di colori, e ci offre delle colline ocra, beige, rosse, ruggine, marroni, brune... uno spettacolo in technicolor difficile da immortalare su pellicola.
Siamo all'incrocio di quattro paesi: l'Iran a sud, l'Armenia, di cui si scorge una centrale nucleare, Erevan e le montagne, ad Est, la Georgia a Nord e l'ospitale Turchia. Gli occhi sono sollecitati da tutte le parti, e all'improvviso ad una curva appare il piccolo villaggio di Digor e là, il verde riempe le montagne, il villaggio è circondato da verdi praterie dove pascolano mucche, montoni, pecore e asini che spesso costituiscono l'unico reddito dei contadini di questi luoghi dimenticati.

Ed infine Kars ci fa tirare un sospiro di sollievo perché siamo stanchi dei 280 km percorsi oggi, accumulo di queste due settimane di folle corsa per le steppe e montagne curde.
Parcheggiamo presso il giardino alla periferia della città ma veloce arriva un'auto R12 e l'autista in inglese ci dice che dobbiamo andare a parcheggiare a fianco dell'albergo. Ce ne andiamo, in considerazione anche dei ragazzini insolenti che girano intorno a Bouli. Arrivati all'hotel siamo accolti dal comitato d'accoglienza che ci chiede subito 10 milioni di lire turche per pernottare. Non se ne parla nemmeno, e ripartiamo alla ricerca di un posto dove far riposare le nostre povere membra stanche. Come al solito, una stazione di servizio Ofisi farà al caso nostro.
Sembra che l'autista della R12 altri non era che un inserviente dell'albergo incaricato di trovare clientela.

Lunedì 13 agosto
8h30, Kars-Kars, 47 km

Verso le 8 siamo svegliati da un ragazzino che vuole lavare Bouli, Philou s'innervosisce e ce ne andiamo a cercare del pane e a fare colazione all'ombra di questa città particolare, appartenuta fino al 1920 all'impero russo.
Le strade hanno dei bei marciapiedi anche se non sempre tenuti come si dovrebbe, ed edifici tipici d'inizio secolo, con le facciate a colonne, mura sagomate, scale monumentali negli edifici amministrativi... anche al panificio le sagome ai muri coesistono ricoperte dalla fuliggine e abbellite da disegni naïf di paesaggi turchi dove spesso sono presenti moschee, cicogne, una casa, un lago e le montagne verdeggianti.
L'ufficio del turismo che rilascia i moduli per la visita alla città morta di Ani si trova in uno di questi edifici che serve anche da dispensario, viste le targhe appese al muro.
Riempiti i moduli, bisogna andare alla polizia per farli vistare.
Ottenuti i visti dobbiamo trovare un'officina per far cambiare i freni, che cominciano a farsi sentire. Ci dirigiamo quindi al quartiere dei meccanici, che si trovano a 8km dalla città in direzione di Erzurum: quale scegliere? Non c'è un concessionario Peugeot, men che meno Citroën, le sole vetture numerose sono le Renault, le Fiat-Tofas e le Toyota che stanno invadendo la Turchia.
Di passaggio in passaggio finiamo dal rappresentante Isuzu. Il capofficina si chiama Mustafa, lui e i suoi inservienti non capiscono bene, ma mostrato il difetto tutto gli è chiaro.
Naturalmente non possiedono quel modello e in questa città di 80.000 anime non c'è un magazzino per i ricambi: pensano allora ad una soluzione tecnica: lamatura dei dischi, posa dei ferodi sulle ganasce esistenti e rimontaggio del tutto.
Cominciamo ad avere l'abitudine ai meccanici turchi: Bouli entra nel locale, due giovani cominciano lo smontaggio agli ordini del boss, i dischi sono spediti da un fabbro, le ganasce da un altro... e noi aspettiamo con l'eterno rituale del the.
Mustafa è molto cordiale, è un curdo come ci fa capire subito, e comprendiamo che questa identità è forte, ancor più forte essendo essi sottomessi a soprusi e controlli di tutti i generi.
Sylvie batte sulla tastiera del portatile quando dalla finestra vede arrivare una teiera colma di the caldo, tre piccoli bicchieri e lo zucchero... non ci abitueremo mai a questa ospitalità, ogni volta è la stessa sorpresa, lo stesso imbarazzo, ma bisogna arrendersi e riconoscere che è così.
Sylvie e Philou sono invitati nell'ufficio che sovrasta l'officina per un bicchiere di the e quando Sylvie viene attirata da un piccolo oggetto su tavolo, Mustafa lo prende e glielo regala. Lei cerca sul dizionario la parola giusta per far capire che la sua era soltanto una curiosità, ma non cambia niente, lui glielo vuole offrire lo stesso.
Dobbiamo fotografare il piccolo cane che Mustafa ha nel suo ufficio e che salta di gioia tra Sylvie e Philou.
Arriva mezzogiorno, Mustafa ci chiede che vogliamo mangiare, e 30 minuti più tardi uno dei suoi ragazzi torna con il pranzo. Sylvie prepara la tavola per tre e avvisa che è pronto, ma il capo vuole prima controllare il montaggio del primo disco, mentre ha rispedito il secondo al mittente non essendo contento del lavoro.
Con Philippo, è cosí che chiama Philou, non riesce a dire Philippe, supervisiona I lavori, ma gli proibisce di mettere mano nelle riparazioni…
Ed eccoci qui, possiamo mangiare, Mustafa non disdegna un bicchierino di vino bianco turco, né poi una birra Efes Pilsen: aiutati dal dizionarietto e dalla misteriosa capacità di comprensione della lingua turca da parte di Sylvie, tiriamo avanti una conversazione col nostro ospite meccanico.
Philou ne approfitta anche per far rimettere una lucetta perduta ad Urfa durante un passaggio troppo vicino ad un albero: il modello è quello di un camion ma l'effetto è molto bello.
Alle 15h le riparazioni sono terminate, il patron arriva con la sua calcolatrice, Sylvie chiede l'hesap (il conto), lui prende tempo, fa e rifa il conto dieci volte:
- 15 milioni (14€) per il rifacimento dei dischi pagati con Philou al fabbro, di solito sono 15 per il fabbro e 5 per Mustafa, ma in questo caso niente ricarico
- 15 milioni (14€) per i ferodi, stesso discorso come sopra
- 2,5 milioni (3,20€) per la luce
- arriva la voce più difficile da determinare, la mano d'opera di Mustafa... ciò prende molto tempo... pazientiamo, bisogna imparare ad avere pazienza in questo paese, ... lui conteggia, riconteggia... alla fine lancia un prezzo: 10 milioni (9,3€).
Totale: 42,5 milioni (38€), una sciocchezza, ci chiediamo dove è il suo guadagno, come fa a pagare i suoi dipendenti...? Gli diamo 50 milioni, considerato anche che abbiamo mangiato a sue spese oggi!
Mustafa è il felice proprietario di una stazione di servizio "Petrol Ofisi" sulla strada per Digor, dove ci conduce per indicarci dove passare la notte, spiegandoci che ceneremo insieme, poi andremo a prendere il the e il caffé da lui. Ci accompagna poi al museo a prendere i biglietti per la visita di Ani e ci dà appuntamento a questa sera per la cena.
Il pomeriggio lo dedichiamo ad un giro per la città.
Riposo, doccia ed ecco Mustafa che arriva con la sua R12 carica di pacchetti: tutto è pronto, tavola apparecchiata e sedie preparate.
30 costolette d'agnello, 20 ali di pollo, un'enorme insalata di pomodori e un grosso piatto di meloni saranno il nostro pasto: sono invitati anche i suoi due dipendenti e dal frigo esce una bottiglia di Col de Vilours e anche il raki (liquore) fa parte della festa. Tutto il costo della manodopera è sicuramente là, sulla tavola, ma questo non importa, l'importante è ricevere bene questi ospiti che ci hanno fatto l'onore di sedere a tavola con noi.
Terminato il pasto ci rechiamo a casa di Mustafa, accompagnati da musica curda che apprezziamo in modo particolare, e allora Mustafa ci dice che farà una copia della cassetta affinché la possiamo portare via con noi... non osiamo più profferire parola, tanto abbiamo paura di tramutare in ulteriori doni ogni nostro cenno di apprezzamento per qualcosa.
Nermin, sua moglie, Özlem, la sua bellissima figlia di 18 anni, Özgür, il suo figlio ventenne, ci accolgono con calore, e passiamo il resto della serata a bere the e caffé: arrivano il fratello e la cognata di Nermin, lei indossa delle belle scarpe multicolori e Sylvie ha la cattiva idea di chiedere se sono curde e di dire che sono molto belle. Subito Mustafa le chiede di togliersele e di regalargliele: Ah Sylvie! Sylvie! devi imparare a stare zitta....! Alla fine si unisce a noi anche il nipotino, Ezel, fino a quando arriva l'ora di andare a nanna.

Martedi 14 agosto
9h Kars-Yusufeli, 325 km

Verso le 10 partiamo per Ani e le sue chiese armene. Strano spettacolo lungo la strada: dieci o dodici montoni giacciono per terra sgozzati. Mistero, sarà un atto dei turchi o del PKK? Non lo sapremo mai.
Ancora un posto di blocco dove il piantone ci chiede una bottiglia di acqua fresca: bisogna riconoscere che la minuscola garritta è piazzata in pieno deserto ed in pieno sole.


Arriviamo in vista di Ani: mura di cinta, chiese... due camper italiani sono gli unici turisti al momento. Entriamo e ci chiedono di lasciare la cinepresa. La cosa non ci piace ma pazienza, faremo sempre delle fotografie... ma quando vedono la macchina fotografica ci ordinano di lasciare anche quella: Eh no!,se noi siamo venuti fin qui per non fare nemmeno una foto non ci stiamo!
Siamo furenti: Cinepresa no, fotografie no, le guide specificavano che non bisogna puntare gli obiettivi verso l'Armenia, ma evidentemente è entrata in vigore una nuova normativa.
Facciamo dietrofront e ritorniamo a Kars a chiedere il rimborso dei biglietti di ingresso ad Ani: sappiamo che siamo passati a fianco di qualcosa di meraviglioso ma pazienza!
Mustafa condivide con noi di nuovo il pranzo, ma questa volta siamo noi ad invitarlo. E per sdebitarsi poco dopo ritorna con diverse bottiglie di birra, acqua, raki... non sappiamo come rifiutare tutti questi doni, anche perché se con tutti i clienti fa così..... dove sta il suo guadagno??
E parlando di ceramiche conosciute, Mustafa parte a cercare una magnifico recipiente in terracotta per farcene dono: lo metteremo a fianco di quello comprato nel 1998 a Avanos da Mehmet.
Alla fine lasciamo il nostro caro amico, che ci accompagna per un pezzo per mostrarci la strada finché non viene "intercettato" dalla Polis, con la quale intrattiene rapporti "cordiali", ma sebbene sua moglie sia turca, ci fa capire che non sempre è facile...
Francine ed André ci avevano detto che a Yusufeli il Campeggio Greenpeace si trova in un'oasi di verde sulla riva del fiume e allora cambiamo il nostro itinerario e partiamo alla scoperta di steppe sconfinate dove galoppano bei cavalli montati a pelle da giovani dai tratti mongoli: qua e là, si scorgono villaggi circondati da oasi di verde.
Di nuovo un passo a 2.400 metri, poi ridiscendiamo lungo una vallata, appaiono i pini che danno un aspetto alpino al paesaggio, alcune donne fanno raccolta lungo la strada: ci fermiamo, si tratta di fragole.
Incontro anacronistico tra un camper e diversi gioghi di buoi, i villaggi prendono un aspetto alpino, le case in legno prendono il posto di quelle in pietra: veri e propri chalet come dalle nostre parti.
Passiamo per le gole di Çoruh Nehri, arriviamo a Yusufeli, cerchiamo il campeggio, imbocchiamo una strada stretta che alla fine diventa un sentiero, incerti torniamo indietro ma eravamo sulla strada giusta, rifacciamo di nuovo il percorso e alla fine ecco IL campeggio...
Due aree di parcheggio sulla ghiaia, sei tavoli sul greto del torrente: ecco il nostro campeggio. Bene, ci piazziamo, siamo proprio stanchi, ma la musica dell'autoradio di un vicino ha la meglio sui nostri nervi e ce ne andiamo via, fino ad una stazione di servizio come è d'abitudine in questi luoghi dove le soste devono essere necessariamente in luoghi "controllati": la nostra tappa notturna sarà a fianco di gomme da autocarri e bidoni di olio, con a fianco un bel posto di blocco dove si devono fermano tutti i camion che passano. Cari amici, le vacanze sono anche questo!

Mercoledì 15 agosto
9h Yusufeli-Rize, 268 km

Questa mattina partiamo alla scoperta di una delle magnifiche chiese romaniche georgiane della regione di Yusufeli, la Chiesa di Ishan: il villaggio si compone di due parti: la prima a fianco della strada e disseminata di bei ponti, l'altra a 6 km da là arroccata su un crinale. Ma per raggiungere questo edificio costruito dai monaci circa 1.000 anni fa bisogna imboccare una piccola strada stretta e ripida per arrivare al piccolo gruppo di case.
Sul cammino, incrociamo uno spettacolo commovente, una mamma pernice con i figlioletti, otto piccoli di pernice che la seguono in fila, lungo la scalata alla montagna.
Per fortuna non incrociamo alcun veicolo lungo il percorso e arriviamo al villaggio dopo 20 minuti. Un campo di grano tagliato di recente sarà il nostro parcheggio con una splendida vista sulle montagne che ci circondano e la vallata sotto di noi.
Incrociamo una famiglia turca che abita nel Jura, i bambini sono contenti di incrociare dei francesi e si aggregano a noi nella visita di questo gioiellino nascosto tra queste montagne.
Il luogo meriterebbe di figurare nella lista del Patrimonio Mondiale e di essere salvato dall'abbandono nel quale si trova. La cupola ormai si tiene soltanto grazie a quattro sottili arcate e fa passare di tutto: intemperie, pioggia, vento, sole, neve...che si accumulano sui muri ricoperti di magnifici affreschi che scompaiono ogni giorno un poco.
I ragazzini del villaggio giocano a pallone su questo campo improvvisato, tirandolo sempre più in alto addosso alle pitture multicolori. Un vero disastro per questa opera d'arte moribonda.
Questa visita è uno dei momenti più belli e commoventi del nostro viaggio, sappiamo bene quale sarà la triste sorte di questo gioiello dell'arte cristiana se nessuno interverrà. Cerchiamo quindi di approfittare al massimo del momento e di imprimere nella nostra memoria l'opera meravigliosa dei monaci che hanno abitato questo luogo per secoli.
Per ridiscendere ci vorrà lo stesso tempo che per salire, con in più un magnifico panorama.
Invece di fare un grande giro per Artvin e la costa del Mar Nero per raggiungere Rize, optiamo per una strada secondaria che passa per Ispir: non l'avessimo mai fatto!
Questa strada secondaria si rivela un sentiero in terra battuta con buche, rocce, case, campi coltivati e ruscelli tortuosi. Philou fa gran uso del clacson per evitare un eventuale incontro con un altro veicolo (ne incroceremo soltanto due nei 60 interminabili chilometri di questo percorso). L'attenzione deve essere al massimo e la velocità di crociera va dai 5 ai 10km/orari ed esclusivamente in prima e seconda...ma i paesaggi sono eccezionali, e ciò ci consola mentre percorriamo questo inferno di strada che unisce alcuni villaggi dall'aria alpina.
Philou è sempre all'erta, scrutando ogni metro della strada, o piuttosto di questo sentiero carrozzabile, cercando di anticipare l'eventuale incrocio con un'altra vettura o peggio un camion, che con la sua mole non riuscirebbe a farsi da parte in questo nastro stretto e pieno di curve: forse siamo l'unico camper che abbiano mai visto gli abitanti della zona.
Attraversiamo dei guadi seccati dal sole estivo e Philou deve raddoppiare la prudenza e l'attenzione, che sono già al massimo.
Le rare località attraversate sono la nostra fissazione, perché la strada all'improvviso è incanalata tra le siepi dei piccoli giardini e Bouli infila la sua mole nella strettoia per passare. Sylvie crede che ad ogni passo la strada finirà, o che un albero sarà caduto in mezzo di essa e ci sbarrerà la strada, ma si può parlare di strada?
E così, all'improvviso la strada si ferma... nel letto ghiaioso di un fiume a secco: di fronte una magnifica e alta siepe di betulle, a destra e a sinistra niente che assomigli ad una strada. Bouli, sai fare il 4x4? No?, bene lo imparerai presto! Philou scende nel corso d'acqua mentre Sylvie va in avanscoperta ad assicurarsi che sia la direzione giusta, perché Bouli non saprà fare marcia indietro in queste condizioni. OK, la via è libera, Sylvie fa un cenno e Philou avanza con esssssstrema prudenza, e poco dopo ritroviamo la strada e tiriamo un sospiro di sollievo.
Avanziamo piano senza sapere se siamo sulla direzione giusta, i piccoli villaggi non sono segnati nella nostra mappa IGN. Passiamo davanti ad una minuscola scuola che deve accogliere i bambini dei dintorni che fanno chilometri per venire ad istruirsi, partendo dai loro villaggi arroccati sulle montagne per lasciar posto libero alle terre coltivabili e all'agricoltura.
Abbiamo l'impressione di essere fuori dal mondo.
Improvvisamente cambiamo di "il" (provincia) e anche di strada, e per miracolo essa si allarga, si ricopre di un bel manto d'asfalto e filiamo a ben 60km/orari. Finalmente, cominciavamo ad essere stanchi di questa gimkana!
Arriviamo a Ispir e ai suoi contrafforti ocra, gialli e rossi che controllano le vallate di accesso alla città. Per superare la catena imbocchiamo una bella strada di montagna fiancheggiata da un bel fiume dove si divertono diversi adolescenti (tutti maschi, nessuna femmina): la tentazione è grande e anche noi ci fermiamo per un bagno ristoratore.
I campi arsi dal sole lasciano il posto a pascoli verdeggianti dove pascolano delle magre mucche e dove svolazzano senza dubbio milioni di api, considerate le migliaia di arnie sparse dappertutto negli alpeggi: le nebbie d'altura sostituiscono i raggi di sole, la temperatura scende a 13,2 gradi: delle cabine rettangolari in legno e in pietra servono da rifugio e forse da abitazione alle famiglie dei pastori e degli apicultori: alle finestre ci sono persino le persiane.
Tra le nebbie e le brume arriviamo al passo di Ovit, a 2.640 metri, che segna il passaggio dalla catena Pontica al Mar Nero e al suo clima umido.
Non sappiamo se la miseria è maggiore nell'Est della Turchia, ma ne abbiamo spesso degli esempi: nell'aria ovattata e umida delle nebbie, una donna senza età con una gerla sulle spalle raccoglie le lattine vuote della coca, aranciata, birra, lasciate dagli automobilisti, sicuramente per rivenderle al riciclaggio.
Arriviamo ad un paesaggio verde saturo d'acqua con le colline ricoperte completamente da coltivazioni di the: entriamo nella regione di Rize, bagnata dal Mar Nero, il Pont-Euxin dei Romani. Siamo molto delusi dalla costa, la strada costeggia il mare con pochi punti di accesso al litorale e ovunque alte costruzioni che accolgono i contadini fuggiti dalle campagne. Piove e troviamo un punto sosta per la notte dietro ad una stazione di servizio.

Giovedì 16 agosto
8h30, Rize-Sumela (dopo Trabzon), 141 km

La giornata inizia male, è piovuto tutta la notte ma l'aria non si è rinfrescata.
Qualche acquisto al supermercato, e la cassiera non capisce che vogliamo dieci stecche di sigarette. Alla fine una cliente glielo spiega, ma non può accontentarci perché la sua riserva non ne ha che quattro.
Rize è la capitale del the, da Of fino alla frontiera Georgiana di Hopa le colline sono coperte da coltivazioni e disseminate da hangar areati per lo stoccaggio delle foglie che vengono seccate, affumicate e poi impacchettate e spedite ai quattro angoli della Turchia e anche all'estero perché Sylvie compra lo stesso the a Nancy in un piccolo negozio di una gentile signora curda che ogni volta non perde l'occasione di scambiare qualche parola in turco.
L'Istituto di Ricerca del the si trova alla fine di una salita con una pendenza del 25% che fa urlare Philou quando si trova davanti chi lo fa rallentare...urla, però sale...!
Il luogo è pulitissimo, fiorito e vi si degusta the gratuitamente, ma francamente non vale il giro.
Sylvie ha scovato una magazzino di tessuti e ci fermiamo al ritorno per acquistare due tagli rossi e neri molto belli e che diventeranno delle tovaglie, ma che si riveleranno essere dei foulard o stole con le quali le donne si coprono i capelli e le spalle.
I raccoglitori di the sono scomparsi, e sono stati rimpiazzati dai raccoglitori di nocciole: è l'epoca della raccolta e i bordi della strada sono coperti di rami che le donne, uomini, bambini stanno sfogliando per estrarre le nocciole. Ne compreremo un sacchetto.
Trabzon, l'antica Trebisonda bizantina si rivela essere una città moderna e brulicante di gente, lontana dalle grosse borgate contadine che abbiamo lasciato nell'Est della Turchia. Il contrasto è forte e un po' fastidioso, troveremo la calma che cerchiamo al Cardak, che oltre ad un cortile ombreggiato da un pergolato, ha anche l'aria condizionata. Inoltre, le pide (specie di pizze, ndt) sono buonissime, gustiamo Kiymali Yagli (una specie di calzone piatto ripieno di carne trita e rosolata) e beviamo coca, ayran e acqua, il tutto per 3€.
Ma siamo venuti in questo porto importante per i suoi gioielli d'arte bizantina: la Chiesa di Santa Sofia è una meraviglia nascosta in un'oasi di verde e racchiude degli affreschi bizantini che evocano diversi passi del Vangelo: si può ammirare l'Ultima Cena, la moltiplicazione dei pani, Gesù che cammina sulle acque... una meraviglia rara nei nostri paesi occidentali.
Sulla strada che conduce ad un'altra meraviglia acquistiamo un grosso pane rotondo, una sorta di michetta, dalla forma sconosciuta in altre regioni.
15 km di strada in pendenza in una gola per raggiungere il monastero di Sumela, o meglio, il parcheggio, perché il luogo si trova arroccato sul fianco della montagna che bisogna scalare per 1.200 metri. Un tempo abitato da monaci ortodossi greci fin dal IV secolo, il monastero ha dovuto essere abbandonato dai suoi occupanti dopo la guerra greco-turca nel 1923, dopo quindici secoli di esistenza anche sotto l'impero ottomano che lo pose sotto la protezione del sultano.
In 50 anni d'abbandono il luogo è diventato praticamente una rovina: ma data l'ora lo ammiriamo dal parcheggio. Domani scaleremo la montagna, e Philou accende il barbecue per far cuocere la carne mentre altri 4 camper italiani arrivano.

Venerdì 17 agosto,
8h30, Sumela-Zara (prima di Sivas), 407 km

Sono le 8.30 quando, scarpe da ginnastica ai piedi, iniziamo la scalata dei 1.200 metri di sentiero che porta al monastero. Il luogo ci ricorda i Vosgi, e procediamo nell'umido del bosco raccogliendo more.
30 minuti dopo scorgiamo il monastero che non è visibile che all'ultimo: siamo i primi visitatori della giornata, saliamo i 50 gradini che ci separano dalla porta di ingresso ancora chiusa e che si apre su un cantiere in pieni lavori di restauro.
Il posto ha sofferto molto per gli atti vandalici dei locali che hanno mutilato praticamente tuti i visi o gli occhi dei santi, e dei visitatori che hanno lasciato le loro scritte-ricordo come in tutti gli altri luoghi visitati.
I lavori consistono nel rifare i muri delle celle e delle sale comuni perché non resta che la facciata, la chiesa, una cappella e qualche altro locale.
La chiesa ci sorprende perché è ricoperta di affreschi sia all'interno che all'esterno.
Sui muri esterni affreschi su fondo nero rappresentano scene della vita di Cristo e fanno impressione perché sono al di fuori, alla mercé di tutte le intemperie.
Una gran parte dei muri della chiesa sono scolpiti nella roccia e ricoperti di affreschi su fondo ocra, rosso, e sono dei veri "ritratti" di santi, di Gesù e Maria: diverse pose di affreschi sono strati posti uno sull'altro per far posto al nuovo strato.
L'insieme emana molta forza, calma, pace e serenità; ma il tutto viene interrotto dall'arrivo di un gruppo di turisti riconoscibili dal badge che ognuno ha al collo... manca soltanto il campanaccio al capo comitiva...
Riprendiamo la strada che all'improvviso si trasforma in un mare di catrame, la strada verso il passo e al di là è in ristrutturazione e Bouli si trova all'improvviso completamente incatramato. Ma le strade in Turchia sono così, in eterni lavori, passando da piccole strade che sono in realtà sentieri a tre corsie nuove fiammanti. Per 20 km procediamo sulla pista a bassa andatura: ciò ci rovinerà la media, perché vogliamo arrivare in fretta in Cappadocia.
Prima di Erzincan ritroviamo con piacere l'altipiano anatolico a 1.200 metri di altitudine, interrotto dalle belle colline ondulate con i campi di grano dorato e punteggiate da sprazzi di verde.
Ritroviamo la "civilizzazione" e con lei, la Polis Traffik che ci ferma e ci fa capire che non portiamo le cinture di sicurezza: sorpresa! Ci chiedono se in Francia noi mettiamo le cinture, se lì non fanno le multe, e noi facciamo gli asini per non farci multare. Funziana, e ci lasciano andare con la raccomandazione di mettere le cinture, in questo paese dove nessun turco le usa!
Superiamo i passi, 1.950 metri, 2.190 metri... le greggi spariscono e le immense steppe di grano invadono l'orizzonte, siamo in Anatolia e ci sentiamo rilassati, perché una certa tensione s'era installata in noi dopo Sivas. Tensione dovuta alla presenza continua della polizia, dei controlli, dell'impossibilità di sostare ovunque, di poter approfittare dei bei posti sulle rive dei fiumi, dell'assillo dei ragazzini che comparivano appena ci fermavamo, chi elemosinando, chi chiedendo sigarette, "money", "hello lira"... che si attaccavano a volte al portabici, alle portiere..
Ultima sosta "forzata" su una stazione di servizio a Zara.

Sabato 18 agosto
8h, Zara-Göreme, 356 km

Notte fresca e riposante, come tutte le notti anatoliche: le cicogne sono di nuovo sul nostro cammino: nei villaggi le battitrici arcaiche separano il grano dal fieno; i rimorchi, in fila indiana (o turca??) aspettano davanti ai mulini affinché il loro raccolto sia trasformato in farina per la preparazione del ekmek (pane).
Dopo Sivas, ritroviamo la Uzun Yol (la lunga strada) che unisce la capitale roume di Konya a Sivas, Erzurum e la Persia, dove le lunghe carovane procedevano in tappe di 30 o 40 km trovando sosta e sicurezza nei caravanserragli che punteggiavano la loro lenta avanzata.
Lasciando la Lunga Strada, superando un ponte dalle molte arcate, marciamo, o meglio, corriamo, sulle tracce dei carovanieri, non siamo in fondo dei carovanieri dei tempi moderni?
Le nostre due carte indicano un "han", ma per 40 km di strada meravigliosa (nel senso di paesaggio, perché lo stato della strada non lo è) nessun edificio in vista. Solo magnifici uccelli verdi, specie di colibrí giganti che accompagnano la nostra salita verso l'ennesimo colle, effettuando delle magnifiche virate davanti a noi. Un'altra specie beige, nera e bianca prende il volo.
Sulla strada, nessun segno di altri due "han" indicati nella mappa, solo la visione di una mandria di mucche con le zampe in una pozza, occupate ad abbeverarsi: da lontano assomigliano a quelle immagini televisive dei safari in Kenya, emozione forte e semplice.
Siamo alla ricerca visiva del han di Sultanhani, eccolo a 200 metri dalla strada, maestoso, disertato dalle orde dei turisti che si recano in Cappadocia, e con lui il nostro incontro con i primi francesi dopo una settimana, una coppia di insegnanti di Rennes con due bambini in partenza per un tour del Mediterraneo della durata di un anno. Piacevole scambio di opinioni che si vorrebbe far durare più a lungo, ma sia noi che loro dobbiamo continuare la nostra strada.
Kayseri appare alla fine, grossa città di 500.000 anime che si sviluppa su 15 km di casermoni popolari: attraversando le città turche abbiamo l'impressione che tutta la Turchia abiti in questi palazzoni.
Quartieri interi di immense torri dove troneggia sempre una moschea nuova, pagata spesso dai fratelli sauditi... sembra Cergy-Pontoise, la Defense e Mureaux messi insieme: che saranno questi quartieri senza anima fra qualche anno?, ci chiediamo noi che sappiamo già cosa essi siano a casa nostra.
Incesu, villaggio sconosciuto dai turisti, è la porta di ingresso alla Cappadocia, Ürgüp e poi Göreme. E' al Camping Dilek che ci fermiamo, preferendolo al Kaya, bello e posto in un paesaggio grandioso, ma lontano dal paese.
Un bus di polacchi che fanno campeggio, 4 camper italiani, e altre 3 coppie di tendisti sono tutta la clientela del campeggio. Troviamo un bel posticino all'ombra e ci piazziamo.
Due adorabili gattoni, uno bianco striato di rosso di circa 2-3 mesi e uno tigrato di 2 mesi più vecchio si avvicinano e come al solito Sylvie cerca nel frigo qualcosa da dargli: un avanzo di rillettes d'anatra, formaggio alle erbe, formaggio turco, il tutto innaffiato da latte medaglia d'oro al concorso di Ankara...

Domenica 19 agosto
8h30, Göreme- Göreme, 0km

Giornata di riposo totale passata tra la piscina e le sdraie, a leggere, mangiare e fare bello Bouli che è tutto polveroso.
Stessa cerimonia con i nostri due gattoni: grande ricevimento all'interno di Bouli, siesta sui cuscini e giochi, e, sacrilegio per dei gatti musulmani, pranzo con salsicce e prosciutto: l'islam proibisce la consumazione del maiale!
Giretto per Göreme dove ogni casa s'è riconvertita in negozio di tappeti, agenzia di turismo o supermercato: un disastro per la bellezza del villaggio e le sue antiche case greche.
Stasera i gatti fanno festa: gli lasciamo le nostre cotolette, troppo dure per i nostri gusti, e le apprezzano enormemente.

Lunedì 20 agosto
7h e 9h Göreme-Göreme, 0 km

Stesso scenario di ieri con in più, un giro pomeridiano attraverso i camini di fata: grandi nubi hanno invaso il cielo ed è sotto grossi goccioloni di pioggia che dopo una corsa sfrenata tra i vigneti alla fine troviamo rifugio nelle antiche case greche intagliate nel tufo e abbandonate da circa 80 anni.
Tavole e panche scolpite nella roccia, nicchie che hanno perso le loro porte di legno, acquai, letti di pietra, ecco cosa hanno lasciato gli abitanti costretti all'esodo forzato.
Il gruppo di case nasconde una piccola chiesa senza affreschi ma decorata da forme geometriche rosse, e sopra di essa, un'altra chiesa divenuta inaccessibile a causa dell'erosione e dell'abbassamento di una parte del pinnacolo di roccia tenera.
Giochiamo agli avventurieri, sicuri di scoprire questi luoghi per primi, assaporando emozioni forti, sicuramente più che in un luogo a pagamento e segnalato.
Finito di piovere rientriamo tra le vigne di uva bianca e nera, le piante di pomodori e gli eterni campi di cocomeri che deve essere il frutto nazionale, tanto sono numerosi i venditori ai bordi delle strade dove formano piramidi di frutti grondanti zucchero e acqua.
Chiamano Marina e Renato: sono a Sivas e stanno per raggiungerci: sarà un incontro reale dopo i tanti incontri virtuali: come la tecnica crea le amicizie!
Chiama anche Yoann che evidentemente comincia ad annoiarsi e forse a rimpiangere di non esser venuto con noi.

Martedì 21 agosto
8h, Göreme-Zelve, 8km (e 30km in scooter)

Questo pomeriggio, Philou parte verso Göreme in bici e ritorna con un vecchio scooter, per un giro di due ore.
Splendida idea per ammirare a 40 km/orari i camini di fata, le chiese e i pinnacoli rocciosi della regione.
Meta: il villaggio di Ortahisar, da noi non ancora visitato.
Il luogo è ancora preservato dalle orde dei pullman che ormai piovono sulla Cappadocia: pochi negozi, stradine tipiche, un piccolo pinnacolo roccioso su una vallata piena di colombaie e abitanti intenti alle loro occupazioni senza preoccuparsi dei vacanzieri in giro. Saranno sicuramente contenti che la stagione è quasi finita e ritroveranno la loro calma e le loro abitudini.
Evitiamo Ürgüp e fendendo l'aria a 60km/orari, ci dirigiamo nella vallata di Devrent, esente da costruzioni e negozietti, verso Avanos.
Ritorno al campeggio dopo un giro di 30km per fare conoscenza con i nostri amici italiani arrivati nel frattempo.
Splendido, Marina e Renato e i loro due magnifici figli sono simpaticissimi, parlano ottimamente francese e così eccoci a chiacchierare fitto fitto dei nostri programmi.
Partenza dal campeggio per il circo di Zelve, con cena nel piccolo ristorante del posto: condividiamo lo stesso spirito d'indipendenza e di scoperta, le stesse passioni ed interessi, parliamo dei nostri viaggi... la serata è troppo corta per dirci tutto e verso mezzanotte ce ne andiamo a letto con dispiacere.

Mercoledì 22 agosto
8h, Zelve-Ankara, 320 km

Mattinata dedicata, per le due famiglie, quella francese e quella italiana, agli acquisti nella capitale turca della ceramica: Avanos.
I ragazzi vanno da Rambo, ad eseguire una ceramica che poi torneranno a prendere in seguito, quando sarà asciutta.
Gli adulti vanno alla ricerca di meraviglie in quello che è divenuto un odioso mercato di paccottiglia di cattivo gusto: i negozi non hanno più i pezzi di produzione tipica e autentica, ma soltanto degli orrori che, pensiamo, sono destinati ai turisti turchi che cominciano ad essere numerosi.
Dove sono finite le belle ceramiche in argilla rossa di Kizilirmak?
Dopo i saluti le due strade che si erano congiunte si dividono di nuovo: per noi le vacanze sono alla fine e dobbiamo pensare alla strada del ritorno. Un'ultima sosta per un pranzo tipico al Sofra Salonu come lo scorso anno e via, per la Uzun Yol (lunga strada) verso Aksaray e Ankara.
Aih, aih, Bouli è ancora malato, "tira" verso destra. Sosta in una "lastik" (piccola officina che cambia i pneumatici dei trattori, rimorchi e camion) e per la modica somma di 2€ viene sistemata la ruota sinistra. Ma dopo poco il difetto si ripresenta.
Seconda sosta in un'altra "lastik" dove cambiano l'altra ruota e scopriamo che la ruota destra aveva una protuberanza. Ma c'è un altro problema. Le ganasce montate a Kars sono arrivate, non possono fare gli altri 3.000 chilometri che mancano fino a casa.
Il garagista ci propone di chiamare il garage "Peco" (leggi: Peugeot), domani mattina, perché ormai sono le 21 ed è tutto chiuso.
Mentre un operaio piazza il suo tappeto da preghiera in un piccolo locale a fianco e si piega al rito che ogni buon musulmano deve onorare cinque volte al giorno, gli altri due operai che lavorano la notte ci preparano il the e chiacchieriamo in turco, grazie al nostro dizionarietto, accompagnando il the a dei dolci bretoni.
A letto, è mezzanotte e domani mattina alle 7 arriva il capo che telefonerà al garage "Peco".

Giovedì 23 agosto
7h, Ankara-Ipsala-Komotini, 864 km

Alle 7 scopriamo che il "Peco" apre soltanto alle 8h30. Che fare?
Philou decide di chiamare l'ambasciata, ma sono ancora a letto. Ultima soluzione, seguire un "taksi" che ci condurrà al garage Peugeot che sembra trovarsi a 15km da qui, per una strada facile da raggiungere. Ma in questa grande città dal traffico infernale preferiamo essere accompagnati. Dopo l'ultimo the, accompagnato da pomodoro, formaggio e ekmek (pane) seguiamo il tassista.
Effettivamente era facile arrivarci, è nel quartiere dei grandi concessionari internazionali. Il tassista fa la cresta sulla corsa, e ci chiede 9,5€, ma paghiamo e siamo contenti di essere arrivati dal concessionario.
Attesa, spiegazioni smontaggio e.... sembra che il modello che serve a noi non ci sia. La cosa sarà più lunga del previsto e noi abbiamo il traghetto domani alle 18 a Patrasso, e dobbiamo percorrere ancora 1.500 km...
E' sempre un problema con i traghetti, era molto meglio quando si attraversava la Yugoslavia, non eri legato agli orari, costava di meno e per noi che abitiamo in Francia dell'Est era anche più rapido con l'autostrada fino in Bulgaria.
Aspettiamo, aspettiamo mentre gli operai riparano le altre vetture: ma quando arrivano questi diabolici pezzi?
Eccoli finalmente alle 11.30, sono delle magnifiche ganasce Citroën che un fabbro ha sistemato: si fa così qui in Turchia.
Mentre aspettavamo Bouli era stato messo a nudo e in 30 minuti le ganasce sono montate, il conto è di 86 milioni (74€), paghiamo e di corsa sull'autostrada che è poco frequentata tranne che per i camion e gli emigranti turchi che rientrano a grande velocità nei loro paesi di adozione: Germania, Francia, Svizzera, Belgio e Olanda.
E vedremo, sia in Turchia che in Grecia, diversi incidenti, sopratutto grandiose uscite di strada, dovute alla stanchezza degli autisti che fanno più di 3.000 chilometri senza riposarsi a sufficienza.
Non abbiamo nemmeno il tempo di preparare il pranzo e ci fermiamo in un ristorantino sull'autostrada e per un'ultima volta mangiamo kebabs.
Dopo Bolu siamo colpiti da alcune mucche che pascolano tra l'erba verde, scene sicuramente normali, ma strane per noi dopo i brulli paesaggi dell'Anatolia.
Un ultimo passaggio sul ponte che scavalca il Bosforo e filiamo sulla strada costiera in mezzo ad una circolazione notturna infernale. Cena veloce su una stazione di servizio e via di nuovo.
La strada è strana, ovunque le stazioni di servizio hanno decorazioni luminose multicolori, sembra di essere a Natale.
Verso mezzanotte siamo vicino alla frontiera, ma siamo fermati da una fila di veicoli di 4 o 5 chilometri... facendo i conti non saremo alla barriera prima di domani mattina.
Bisogna prendere una decisione: Philou, essendo l'autista principale, ha diritto di andare a dormire mentre Sylvie prenderà il volante e avanzerà secondo il ritmo dei doganieri... Pronto il letto, Philou si corica e Sylvie assume il controllo della guida.
Poco prima delle 5 si scorge la dogana, Philou si risveglia e prende il volante mentre Sylvie parte per andare a comprare le sigarette che qui hanno un prezzo imbattibile. Le formalità sono veloci e dopo veniamo a sapere che l'intoppo era dovuto alla scoperta di clandestini che cercavano di attraversare la frontiera...
Alle 5h15 usciamo dalla Turchia, è spiacevole andarsene in queste condizioni di interminabile attesa, ma ciò non cambia il nostro amore incondizionato per questo magnifico paese.
Ci si mettono anche i doganieri greci... ma per fortuna dopo 25 minuti eccoci di nuovo sulla strada.
Philou se ne torna a letto, Sylvie procede per avanzare il più possibile per non perdere il traghetto, ma alla fine ci fermiamo per una sosta poco prima di Komotini. Sono le 7 del mattino.

Venerdì 24 agosto
9h30, Komotini-Igoumenitsa, 744 km

Risveglio tardivo ma comunque mattiniero per Sylvie che ha dormito soltanto due ore e per Philou che con tutto il trambusto non ha dormito gran ché.
Colazione frugale e via di nuovo.
Apprezziamo gli anelli intorno alle città e i nuovi tratti autostradali e come d'abitudine verzo mezzogiorno facciamo sosta vicino ad Asprovalta, per gustare l'ultimo bagno e osserviamo una famiglia di gitani che pranza all'ombra dei pini: la signora si riposa all'ombra mentre il piccolo fa il bagno in slip e il marito traffica col camion: che vita, la vita dei gitani...
Mentre cerchiamo una pompa vicino Salonicco Philou avverte un rumore strano: mentre il benzinaio fa il pieno apre il cofano e scopre che stava per staccarsi la cinghia. A Sylvie gli prende quasi un colpo, forse anche a Philou, che però lo nasconde cercando dentro la sua borsa degli attrezzi dalla quale estrae degli oggetti miracolosi e chiede l'aiuto del benzinaio. Riposizionamento della cinghia, tensione, prova... tutto ok e via di nuovo. Che dose di ottimismo bisogna avere per sopportare tutti questi piccoli e grandi inconvenienti di un viaggio, quando c'è un traghetto da prendere!
Dopo aver guidato per due ore per dare il cambio a Philou, Sylvie dorme un'oretta (fatto eccezionale, ma che si ripete per due giorni) per svegliarsi verso le 18 all'arrivo alle Meteore che ormai ci sono familiari: facciamo i conti, è la settima volta che passiamo per di qua, quasi un'abitudine ormai.
Su questa strada, che attraversa la Grecia e porta in Turchia, abbiamo i nostri "rituali" ai quali rinunciamo a fatica: sosta al supermercato di Larissa, sosta sulla spiaggia e alla cappella di Koroni, bagno dopo Asprovalta, bagno a Kavala, ed infine sosta al Passo di Katara a 1.690m di altezza per il pranzo, ma questa volta non ci sarà che una breve sosta al fresco alle 19.30 e una discesa sfrenata di 200 km verso Ioannina e Igoumenitsa dove arriviamo verso le 22.40.
Sospiro di sollievo: ci siamo. Sylvie prepara una veloce cena, considerata l'ora. L'agenzia del traghetto è proprio di fronte, cosa che facilita le operazioni di consegna dei biglietti e registrazione.
La partenza è prevista alle 2.30, ma saranno in realtà le 3.30, abbiamo ormai l'abitudine ai ritardi greci.

Sabato 25 agosto
3h30 e 10h40. Igoumenitsa-Bologna, 788 km

Sono le 10.30 passate quando sbarchiamo e dopo alcune settimane verremo a sapere che la famiglia Bile, incontrata l'anno scorso in Cappadocia, ci ha aspettato fino alle 9.30 sul porto. Oggi sarà una giornata "mangiachilometri" e i nomi delle città li vedremo sgranare lungo l'autostrada: Bari, Foggia, Ancona, San Marino, Bologna...

Domenica 26 agosto
6h40, Bologna-Nancy, 825 km

Alle 6.30 Sylvie riprende il volante per continuare il viaggio, fa dei calculi e prevede che saremo a Nancy verso le 16, cosa che ci lascerà almeno il tempo di sistemare un po' e rimetterci dal viaggio. Dopo tre ore di guida e quasi 300 km, verso le 9.30 ci fermiamo per la colazione.
Il tempo è molto bello, la strada scorre bene, senza rallentamenti in Italia, ma 500 metri prima dell'imbocco del Tunnel del San Gottardo siamo fermati da un semaforo: c'è stato un incidente all'interno del tunnel.
Decidiamo di prendere l'uscita seguente e fare il passo, ma ci vorranno 30 minuti per fare 300 metri. Sembra che un gran numero di veicoli in entrambi i sensi abbia avuto la stessa nostra idea e una lunga fila di veicoli si snoda per la strada che serpeggia lungo la montagna. Al Passo, una folla enorme ed inattesa fa la gioia dei venditori di wurstel e souvenirs, mentre il sole brilla sui minuscoli ghiacciai che scintillano. Ognuno è in giro a prendere una boccata d'aria.
Noi ne approfittiamo per pranzare al sole e riprendere velocemente la strada avendo perso due ore a causa dell'incidente.
Per una volta tanto, in Francia splende il sole, soprattutto nell'Est, per festeggiare il nostro rientro.
Alle 18.30 poniamo fine al nostro lungo tour facendo i calcoli col contachilometri e scoprendo che quest'anno abbiamo percorso 10.855km.

Ancora una volta ci è stato dato di vivere giornalmente l'ospitalità e la gentilezza di questo popolo senza distinzione tra turchi o curdi, che noi abbiamo incrociato nell'Est. Mai siamo stati delusi dalla generosità di cuore di tutte le persone incontrate durante il nostro tragitto.
Turchia, noi t'amiamo.

(Traduzione dal francese di Marina Greco. Per la versione originale di questo itinerario clicca qui)


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